Documentazione per l’esame di
Progetti di legge |
Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo
D.L.
138/2011 – A.C. 4612 |
Articoli
di interesse della II Commissione |
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8 settembre
2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio
Studi
– Dipartimento Giustizia
(
066760-9559 / 066760-9148 –
*
st_giustizia@camera.it |
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I dossier
dei servizi e degli uffici della Camera sono
destinati alle esigenze di documentazione
interna per l'attività degli organi
parlamentari e dei parlamentari. La Camera
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la loro eventuale utilizzazione o
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legge. |
File:
gi0628.doc |
INDICE
TOC \o "1-3" \u Schede di
lettura
PAGEREF _Toc303243212 \h 1
Ddl di conversione, art. 1, commi
2-5 (Delega per la riorganizzazione della
distribuzione sul territorio degli uffici
giudiziari)
PAGEREF _Toc303243213 \h 3
Articolo 1-ter
(Calendario del processo civile)
PAGEREF _Toc303243214 \h 9
Articolo 2, comma 4
(Adeguamento alle disposizioni comunitarie delle
limitazioni all'uso del contante e dei titoli al
portatore)
PAGEREF _Toc303243215 \h 11
Articolo 2, comma 4-bis
(Esclusione sanzioni)
PAGEREF _Toc303243216 \h 13
Articolo 2, comma 35-bis
(Modifiche alla disciplina del contributo
unificato) PAGEREF _Toc303243217 \h 15
Articolo 2, comma 35-ter
(Modifiche al codice di procedura civile)
PAGEREF _Toc303243218 \h 21
Articolo 2, comma 35-quater
(Disposizioni relative al processo tributario)
PAGEREF _Toc303243219 \h 23
Articolo 2, comma 35-quinquies
(Modifiche alle disposizioni per l'efficienza del
sistema giudiziario)
PAGEREF _Toc303243220 \h 25
Articolo 2, comma 35-sexies
(Modifica della disciplina in materia di
mediazione) PAGEREF _Toc303243221 \h 27
Articolo 2, comma 35-septies
(Giustizia tributaria)
PAGEREF _Toc303243222 \h 29
Articolo 2, commi 36-vicies
semel (Reati in materia di imposte sui
redditi e IVA) PAGEREF _Toc303243223
\h 33
Articolo 3, comma 5
(Professioni)
PAGEREF _Toc303243224 \h 37
Articolo 12 (Intermediazione
illecita e sfruttamento del lavoro)
PAGEREF _Toc303243225 \h 43
Ddl di conversione,
art. 1, commi 2-5
(Delega per la riorganizzazione della
distribuzione sul territorio degli uffici
giudiziari)
Il maxiemendamento del Governo
sostituisce l’articolo 1 del disegno di legge di
conversione del D.L. n. 138/2011. In particolare, la
sostituzione comporta l’inserimento nella legge di
conversione di una delega al Governo per la
riorganizzazione della distribuzione sul territorio
degli uffici giudiziari (commi da 2 a 5 dell’art.
1).
Analiticamente, il comma 2
delega il Governo a emanare, entro
12 mesi dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione, uno o più decreti legislativi
per «riorganizzare la distribuzione sul territorio
degli uffici giudiziari al fine di realizzare
risparmi di spesa e incremento dì efficienza», con
l'osservanza dei principi e criteri direttivi
indicati nelle lettere da a) a q) del medesimo
comma.
In particolare, nell'esercizio
della delega il Governo dovrà, ai sensi della
lettera a), ridurre gli uffici
giudiziari di primo grado mantenendo comunque
sedi di tribunale nei circondari di comuni capoluogo
di provincia alla data del 30 giugno 2011.
Il principio di delega fa
dunque salvi i tribunali ordinari attualmente
esistenti nei comuni capoluogo di provincia, e
elimina ogni collegamento tra la revisione delle
circoscrizioni giudiziarie ed il processo di
riduzione del numero delle province avviato
dall’articolo 15 del decreto-legge in esame (v.
infra).
La lettera b)
invita il Governo a ridefinire la geografia
giudiziaria, ovvero l’assetto territoriale degli
uffici giudiziari, eventualmente anche
trasferendo territori dall’attuale circondario a
circondari limitrofi, anche al fine di
razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi
aree metropolitane. Nel compiere questa attività il
Governo dovrà tener conto di «criteri oggettivi e
omogenei» che comprendano i seguenti parametri:
§
estensione del territorio;
§
numero degli abitanti;
§
carichi di lavoro;
§
indice delle sopravvenienze;
§
specificità territoriale del bacino di
utenza, anche con riguardo alla situazione
infrastrutturale;
§
presenza di criminalità organizzata.
Il legislatore delegato
provvederà inoltre, in base alla lettera c)
a ridefinire l'assetto territoriale
degli uffici requirenti. Tale operazione dovrà
rispettare i seguenti principi:
la
ridefinizione dell’assetto territoriale non dovrà
riguardare le procure distrettuali, ovvero le
procure della repubblica presso i tribunali dei
capoluoghi dei distretti di corte d'appello;
la
ridefinizione non dovrà comportare la soppressione
delle procure presso il tribunale ordinario nei
circondari di comuni capoluogo di provincia alla
data del 30 giugno 2011;
possibilità di accorpare più uffici di procura
indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei
rispettivi tribunali. In tali casi, l’ufficio di
procura accorpante dovrà poter svolgere le funzioni
requirenti in più tribunali. Tale riorganizzazione
dovrà consentire una migliore organizzazione delle
risorse e dei mezzi, e una più agevole trattazione
dei procedimenti.
Si segnala che mentre la
lettera b) prevede che la ridefinizione
dell’assetto territoriale degli uffici giudiziari
avvenga in base a parametri oggettivi (abitanti,
carichi di lavoro, ecc..), la lettera c)
finalizza la riorganizzazione delle procure ad una
razionalizzazione di mezzi e risorse, ma non la
ancora a criteri specifici (quale, ad esempio, il
dato sui delitti denunciati).
Inoltre, il testo della
lettera c) fa riferimento alle sole funzioni
requirenti (es. quando prevede esplicitamente che
l’ufficio di procura accorpante debba svolgere
funzioni requirenti anche nel tribunale che ha
“perso” la propria procura a seguito di
accorpamento) e, ove richiama la più agevole
trattazione dei procedimenti, sembra riferirsi ad un
ufficio di procura esclusivamente concentrato sulla
fase successiva all’esercizio dell’azione penale,
senza alcun riferimento esplicito alle funzioni di
indagine, inquirenti, dell’ufficio del pubblico
ministero.
In base alla lettera d),
nell’esercizio della delega il Governo potrà
procedere alla soppressione ovvero alla
riduzione delle attuali 220 sezioni distaccate di
tribunale, anche mediante accorpamento ai
tribunali limitrofi, tenendo conto dei criteri
delineati dalla lettera b).
La successiva lettera e)
individua quindi come principio e criterio direttivo
di carattere generale quello di assumere come
prioritaria linea di intervento, nell'attuazione di
quanto previsto dalle precedenti lettere a),
b), c) e d), il riequilibrio
delle attuali competenze territoriali, demografiche
e funzionali tra uffici limitrofi della stessa
area provinciale caratterizzati da rilevante
differenza di dimensioni, mentre la lettera f)
impone di garantire che, all'esito degli interventi
di riorganizzazione, ciascun distretto di corte
d'appello, incluse le sue sezioni distaccate,
comprenda non meno di 3 degli attuali tribunali con
relative procure della Repubblica.
Le successive lettere g),
h) ed i) disciplinano la destinazione
del personale di magistratura e
amministrativo in servizio presso uffici giudiziari
di primo grado soggetti alla riorganizzazione
territoriale.
In particolare, la lettera
g) stabilisce che i magistrati e il
personale amministrativo dei tribunali e delle
procure soppresse transitino automaticamente negli
organici degli uffici cui sono trasferite le
funzioni, anche in eventuale sovrannumero
riassorbibile con le successive vacanze.
Si osserva che la previsione
della lettera g) è di agevole applicazione
nell'ipotesi di soppressione di un ufficio
giudiziario di primo grado e di integrale
trasferimento delle relative funzioni ad un altro
ufficio giudiziario. Più problematica, ad una prima
lettura, appare invece l'applicazione della
disposizione nelle ipotesi in cui si provveda ad
esempio, ai sensi della lettera b), solo ad
una diversa ripartizione dell'ambito territoriale di
circondari limitrofi. In tali casi non è chiaro se
non debba verificarsi nessun mutamento nelle
assegnazioni del personale di magistratura e di
quello amministrativo, ovvero se tale mutamento
possa aver luogo in misura parziale. Analogo
problema interpretativo parrebbe porsi nel caso in
cui la soppressione di un ufficio giudiziario di
primo grado determinasse non l'integrale spostamento
delle relative competenze a favore di un unico
ufficio giudiziario, ma una ripartizione di tali
competenze fra diversi uffici giudiziari. In tale
diversa ipotesi si potrebbe pensare che l'esito più
naturale sia quello della ripartizione del personale
fra tutti gli uffici giudiziari che ne ereditano le
competenze, ma la delega nulla dice in proposito non
fornendo alcun criterio sulla base del quale
effettuare tale ripartizione nell'ipotesi da ultimo
indicata.
Sotto un distinto profilo,
per quanto riguarda le problematiche concernenti il
personale di magistratura, si evidenzia che la norma
di delega non contiene previsioni specifiche sui
magistrati che esercitano funzioni direttive e
semidirettive negli uffici giudiziari che verranno
soppressi, così come non sono rinvenibili
disposizioni specifiche per il personale
amministrativo investito di funzioni dirigenziali
nei predetti uffici giudiziari.
La lettera h)
afferma che la suddetta assegnazione dei magistrati
e del personale ai nuovi organici non dovrà essere
interpretata come assegnazione ad altro ufficio
giudiziario o destinazione ad altra sede, né dovrà
costituire trasferimento ad altri effetti.
Infine la lettera i)
dispone che, con successivi decreti del ministro
della giustizia, saranno disposte le conseguenti
modificazioni delle piante organiche.
Le lettere da l) a p)
dettano principi e criteri direttivi per la
riorganizzazione territoriale degli uffici del
giudice di pace.
In particolare, la lettera
l) invita il Governo a prevedere la
riduzione degli uffici del giudice di pace
dislocati in sede diversa da quella circondariale
(per circondario giudiziario si intende l'ambito
territoriale di competenza di un tribunale e dunque
la sede circondariale è il comune ove ha sede il
tribunale). Nell’operare tale riduzione il Governo
dovrà tener conto dei criteri delineati dalla
lettera b) ed operare un’analisi dei costì
rispetto ai carichi di lavoro.
Il personale amministrativo in
servizio presso l’ufficio del giudice di pace
soppresso dovrà, in base alla lettera m),
essere così rassegnato:
§
almeno il 50% dovrà essere assegnato
alla sede di tribunale o di procura limitrofa;
§
la restante parte dovrà essere
riassegnata all'ufficio del giudice di pace presso
cui sono trasferite le funzioni delle sedi
soppresse.
Le successive lettere prevedono
un particolare procedimento per la soppressione
degli uffici del giudice di pace:
1)
sul bollettino ufficiale e sul sito internet
del Ministero della giustizia dovranno essere
pubblicati di elenchi degli uffici che il Governo
intende sopprimere e accorpare (lettera n));
2)
entro 60 giorni da tale pubblicazione, gli
enti locali interessati, anche consorziati tra loro,
potranno richiedere e ottenere il mantenimento
degli uffici del giudice di pace con competenza sui
rispettivi territori, anche tramite eventuale
accorpamento, facendosi integralmente carico delle
spese di funzionamento e di erogazione del servizio
giustizia (in concreto l’ente locale dovrà garantire
le strutture, provvedere all’indennità del giudice
di pace, individuare il personale amministrativo e
retribuirlo). Il ministero continuerà ad occuparsi
esclusivamente del reclutamento dei giudici di pace
e della formazione del personale amministrativo (lettera
o)). Trascorsi i suddetti 60
giorni, in assenza di richieste specifiche da parte
degli enti locali, le sedi del giudice di pace
saranno soppresse;
3)
nei successivi 12 mesi gli enti locali, anche
consorziati tra loro, potranno decidere di sostenere
gli oneri del servizio e dunque chiedere al ministro
della giustizia l’istituzione di nuovi uffici del
giudice di pace (lettera p)).
La lettera q)
stabilisce infine che dall'attuazione delle
disposizioni di cui al comma 2 non devono derivare
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
Il comma 3 prevede
quindi che la riforma realizzi il necessario
coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
Si osserva che la norma di
delega non detta disposizioni specifiche su
l’emanazione di una disciplina transitoria. Tale
disciplina, trattandosi di revisione di
circoscrizioni giudiziarie, con conseguente
soppressione di uffici, è rilevante per stabilire la
sorte dei procedimenti già instaurati e delle
indagini in corso.
In
proposito si rammenta il precedente di cui al comma
2 dell'articolo 1 della legge n. 254 del 1997,
recante delega al Governo per l'istituzione del
giudice unico di primo grado, che prevedeva
espressamente l'adozione di una specifica disciplina
transitoria volta ad assicurare la rapida
trattazione dei procedimenti pendenti, civili e
penali, fissando le fasi oltre le quali i
procedimenti non passano ad altro ufficio secondo le
nuove regole di competenza e stabilendo le relative
condizioni. La previsione di delega da ultimo
ricordata è all'origine delle previsioni del decreto
legislativo n. 51 del 1998, che prevedevano che
l'ufficio del pretore fosse mantenuto per la
definizione dei procedimenti pendenti alla data di
efficacia del citato decreto. L'assenza di
un'analoga previsione di delega nel testo in esame
sembrerebbe escludere la possibilità di un'analoga
soluzione - o comunque di altre soluzioni ad hoc -
per cui l'assegnazione dei procedimenti pendenti
dovrebbe essere decisa secondo gli ordinari criteri
interpretativi sulla base del nuovo assetto della
competenza territoriale.
Il comma 4 delinea il
procedimento per l’esercizio della delega e
prevede che gli schemi dei decreti legislativi siano
adottati su proposta del Ministro della giustizia e
successivamente trasmessi al Consiglio Superiore
della Magistratura e al Parlamento ai fini
dell'espressione dei pareri. I pareri delle
commissioni parlamentari competenti dovranno essere
espressi entro 30 giorni dalla data di trasmissione;
in assenza il Governo potrà procedere comunque.
Qualora detto termine venga a scadere nei trenta
giorni antecedenti allo spirare del termine per
l'esercizio della delega previsto dal comma 2, o
successivamente, la scadenza di quest'ultimo è
prorogata di 60 giorni.
Il comma 5 stabilisce
infine che il Governo, con la procedura indicata nel
comma precedente, possa - entro 2 anni dalla data di
entrata in vigore di ciascuno dei decreti
legislativi emanati nell'esercizio della delega -
adottare disposizioni integrative e correttive
dei decreti legislativi medesimi, nel rispetto dei
principi e criteri direttivi già fissati.
Articolo 1-ter
(Calendario del processo civile)
Con il maxiemendamento del
Governo approvato dal Senato è stato inserito nel
decreto-legge l’articolo 1-ter, che novella
l’art. 81-bis delle disposizioni di
attuazione del codice di procedura civile, frutto
della recente riforma del processo civile operata
dalla legge n. 69 del 2009.
Normativa vigente |
Emendamenti al D.L. 138/2011 |
Disposizioni di attuazione del codice di
procedura civile
Art. 81-bis, Calendario del
processo |
Il giudice, quando provvede sulle
richieste istruttorie, sentite le parti
e tenuto conto della natura,
dell’urgenza e della complessità della
causa, fissa il calendario del
processo con l’indicazione delle
udienze successive e degli incombenti
che verranno espletati. I termini
fissati nel calendario possono essere
prorogati, anche d’ufficio, quando
sussistono gravi motivi sopravvenuti. La
proroga deve essere richiesta dalle
parti prima della scadenza dei termini. |
1. Il giudice, quando provvede sulle
richieste istruttorie, sentite le parti
e tenuto conto della natura,
dell’urgenza e della complessità della
causa, fissa, nel rispetto del
principio di ragionevole durata del
processo, il calendario delle
udienze successive, indicando gli
incombenti che verranno in ciascuna
di esse espletati, compresi
quelli di cui all’articolo 189 primo
comma. I termini fissati nel
calendario possono essere prorogati,
anche d’ufficio, quando sussistono gravi
motivi sopravvenuti. La proroga deve
essere richiesta dalle parti prima della
scadenza dei termini. |
|
1-bis. Il mancato rispetto dei
termini fissati nel calendario di cui al
comma precedente da parte del giudice,
del difensore o del consulente tecnico
d’ufficio può costituire violazione
disciplinare, nonché può essere
considerato ai fini della valutazione di
professionalità e della nomina o
conferma agli uffici direttivi e
semidirettivi. |
Con l’odierno intervento il
legislatore richiede che il calendario delle udienze
sia maggiormente dettagliato: ispirato dal principio
di ragionevole durata del processo, il giudice dovrà
programmare e specificare le attività che saranno
compiute in ogni udienza, compresi gli inviti alle
parti a specificare le conclusioni davanti al
giudice istruttore prima della rimessione della
causa al collegio (ex art. 189 c.p.c., primo comma).
Il successivo comma vincola
tutti i soggetti processuali (giudice, avvocato o
consulente tecnico) al rispetto del calendario,
affermando che eventuali violazioni dello stesso
potranno essere imputate ai singoli a titolo di
responsabilità disciplinare. In particolare, per
quanto riguarda il giudice, il mancato rispetto dei
tempi processuali definiti dal calendario potrà
essere valutato negativamente ai fini della
valutazione di professionalità e dell’accesso agli
uffici direttivi e semidirettivi.
Articolo 2, comma 4
(Adeguamento alle disposizioni comunitarie delle
limitazioni all'uso del contante e dei titoli al
portatore)
Il comma 4 dell'articolo
2 interviene sull'articolo 49 del D.Lgs. n. 231
del 2007[2]
riducendo da 5.000 a 2.500 euro la soglia massima
per l’utilizzo del contante e dei titoli al
portatore.
La predetta modifica,
realizzata al fine di adeguare le disposizioni
adottate in ambito comunitario dirette a prevenire
l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio e di finanziamento del terrorismo,
interessa, in particolare, i commi 1, 5, 8, 12 e 13
del citato articolo 49, dei cui limiti viene
adeguato l'importo.
Si segnala, sotto il profilo
della tecnica legislativa, l'opportunità di
intervenire sotto forma di una novella sui predetti
commi 1, 5, 8, 12 e 13 dell'articolo 49, anziché
prevedere, come fa il testo in esame, che "le
limitazioni all'uso del contante (...) sono adeguate
all'importo di euro duemilacinquecento".[3]
L’articolo 49,
recante “limitazioni all'uso del contante e dei
titoli al portatore”, nella versione previgente le
modifiche apportate dalla norma in commento, dispone
fra l’altro:
§
il
divieto di trasferimento di denaro contante o di
libretti di deposito bancari o postali al portatore
o di titoli al portatore in euro o in valuta estera,
effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi,
quando il valore oggetto di trasferimento, è
complessivamente pari o superiore a 5.000 euro. Il
trasferimento è vietato anche quando è effettuato
con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono
artificiosamente frazionati. Il trasferimento può
tuttavia essere eseguito per il tramite di banche,
istituti di moneta elettronica e Poste Italiane
S.p.A. (comma 1);
§
l'obbligo di indicare negli assegni bancari e
postali emessi per importi pari o superiori a 5.000
euro l'indicazione del nome o della ragione sociale
del beneficiario e la clausola di non trasferibilità
(comma 5);
§
la
possibilità per gli istituti bancari e postali di
rilasciare assegni circolari, vaglia postali e
cambiari di importo inferiore a 5.000 euro, su
richiesta scritta del cliente, senza la clausola di
non trasferibilità (comma 8);
§
il
divieto di detenere libretti di deposito bancari o
postali al portatore con saldo pari o superiore a
5.000 euro. In via transitoria, relativamente ai
libretti che alla data di entrata in vigore del
decreto n. 231 del 2007[4]
presentavano un saldo superiore al predetto limite,
i clienti hanno tempo sino al 30 giugno 2011 per
estinguere ovvero ridurre il saldo al di sotto della
soglia fissata (commi 12 e 13).
La norma originaria
dell'articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007
prevedeva quale limite di importo all’uso del
contante - finalizzato al contrasto del riciclaggio
e del terrorismo – la somma di 5.000 euro. Tale
limite era stato elevato a 12.500 euro dall’articolo
32 del decreto legge n. 112 del 2009 e
successivamente riportato a 5.000 euro dall'articolo
20 del decreto legge n. 78 del 2010.
La norma in esame riduce
ulteriormente il limite di importo all’uso
del contante portandolo a 2.500 euro.
Il comma in esame, inoltre, a
seguito di quanto sopra disposto, interviene al
comma 13 dell’articolo 49 del decreto legislativo n.
231 del 2007, al fine di posticipare di 3 mesi (dal
30 giugno 2011 al 30 settembre 2011) il termine
entro il quale i libretti di deposito bancari o
postali al portatore con saldo pari o superiore a
2.500 euro devono essere estinti (ovvero il loro
saldo deve essere ridotto entro tale importo).
Articolo 2, comma 4-bis
(Esclusione sanzioni)
Il comma 4-bis
dell’articolo 2, introdotto nel corso dell’esame
al Senato, prevede che le sanzioni previste
dall'articolo 58 del decreto legislativo n. 231 del
2007 non si applichino per le violazioni delle
disposizioni in tema di divieto dell’utilizzo del
denaro contante e dei titoli al portatore commesse
dal 13 agosto (giorno di entrata in vigore del
decreto in esame) al 31 agosto 2011 oltre la soglia
massima modificata dal comma 4 (2.500 euro) ed entro
la soglia precedentemente in vigore (5.000 euro).
Si ricorda che
l'articolo 58 del decreto legislativo n. 231 del
2007 prevede, tra l'altro, le seguenti sanzioni:
§
per le violazioni delle disposizioni di cui
all'articolo 49, commi 1, 5, 6 e 7, si applica una
sanzione amministrativa pecuniaria dall'1 per cento
al 40 per cento dell'importo trasferito;
§
per la violazione della prescrizione di cui
all'articolo 49, comma 12, è prevista la sanzione
amministrativa pecuniaria dal 20 per cento al 40 per
cento del saldo;
§
per la violazione della prescrizione contenuta
nell'articolo 49, commi 13 e 14, è prevista la
sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento
al 20 per cento del saldo del libretto al portatore.
La sanzione
amministrativa pecuniaria non può comunque essere
inferiore nel minimo all'importo di tremila euro.
Si dispone, inoltre che dal 1°
settembre 2011 le sanzioni relative alle violazione
dei limiti all’uso del contante e dei titoli al
portatore, previste dall’articolo 58 del decreto
legislativo n. 231/07, sono applicate attraverso gli
uffici territoriali del Ministero dell'economia e
delle finanze.
Infine sono abrogati i commi 18
e 19 dell’articolo 49 del decreto legislativo n.
231/07, i quali prevedono limiti speciali al
trasferimento di contante per il tramite di
esercenti attività di prestazione di servizi di
pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento
dei fondi nonché di agenti in attività finanziaria
dei quali gli stessi esercenti si avvalgono (c.d.
money transfer).
Si rammenta che
l’agente in attività finanziaria, di cui
all’articolo 128-quater del TUB, è il
soggetto che promuove e conclude contratti relativi
alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi
forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su
mandato diretto di intermediari finanziari previsti
dal titolo V, istituti di pagamento o istituti di
moneta elettronica.
I cosiddetti "money
transfer", invece, sono gli agenti in attività
finanziaria, persone fisiche o giuridiche, che
offrono esclusivamente il servizio di pagamento
consistente nel trasferimento di fondi attraverso la
raccolta e la consegna delle disponibilità da
trasferire. Nel caso di attività circoscritta al
trasferimento di fondi (money transfer) la
limitazione deve essere espressamente prevista
nell'oggetto sociale.
I commi 18 e 19
dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 231/07
prevedono per tali
soggetti il divieto di trasferimento fondi per
importi pari o superiori a 2.000 euro e per importi
compresi tra i 2.000 e i 5.000 euro nel caso in cui
il soggetto che ordina l’operazione consegna
all’intermediario copia di documentazione idonea ad
attestare la congruità dell’operazione rispetto al
profilo economico dell’ordinante.
Si deve ritenere che, con
l’abrogazione dei commi 18 e 19 dell’articolo 49 del
decreto legislativo n. 231/07, anche per i money
transfer sarebbe applicabile la soglia dei 2.500
euro, senza obblighi di documentazione.
Articolo 2, comma 35-bis
(Modifiche alla disciplina del contributo
unificato)
Il comma 35-bis
apporta modifiche alla disciplina del contributo
unificato, di cui all’art. 13 del TU spese di
giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).
Le novelle introdotte riguardano gli importi del
contributo nel processo civile, amministrativo e
tributario che, per semplicità, vengono anzitutto
descritte attraverso un testo a fronte.
Normativa vigente |
Emendamenti al D.L. 138/2011 |
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
art. 13 (Importi) |
1. Il contributo
unificato è dovuto nei seguenti importi: |
1. Identico: |
a) euro 37 per i
processi di valore fino a 1.100 euro,
nonché per i processi per controversie
di previdenza e assistenza obbligatorie,
salvo quanto previsto dall'articolo 9,
comma 1-bis, per i procedimenti di cui
all'articolo 711 del codice di procedura
civile, e per i procedimenti di cui
all'articolo 4, comma 16, della legge 1°
dicembre 1970, n. 898; |
a) identica; |
b) euro 85 per i
processi di valore superiore a euro
1.100 e fino a euro 5.200 e per i
processi di volontaria giurisdizione,
nonché per i processi speciali di cui al
libro IV, titolo II, capo I e capo VI,
del codice di procedura civile, e per i
processi contenziosi di cui all'articolo
4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898; |
b) identica; |
c) euro 206 per i
processi di valore superiore a euro
5.200 e fino a euro 26.000 e per i
processi contenziosi di valore
indeterminabile di competenza esclusiva
del giudice di pace; |
c) identica; |
d) euro 450 per i
processi di valore superiore a euro
26.000 e fino a euro 52.000 e per i
processi civili e amministrativi
di valore indeterminabile; |
d) euro 450 per i
processi di valore superiore a euro
26.000 e fino a euro 52.000 e per i
processi civili di valore
indeterminabile; |
e) euro 660 per i
processi di valore superiore a euro
52.000 e fino a euro 260.000; |
e) identica; |
f) euro 1.056 per i
processi di valore superiore a euro
260.000 e fino a euro 520.000; |
f) identica; |
g) euro 1.466 per i
processi di valore superiore a euro
520.000. |
g) identica; |
2. Per i processi
di esecuzione immobiliare il contributo
dovuto è pari a euro 242. Per gli altri
processi esecutivi lo stesso importo è
ridotto della metà. Per i processi
esecutivi mobiliari di valore inferiore
a 2.500 euro il contributo dovuto è pari
a euro 37. Per i processi di opposizione
agli atti esecutivi il contributo dovuto
è pari a euro 146. |
2. Identico. |
2-bis. Fuori dei
casi previsti dall’articolo 10, comma
6-bis, per i processi dinanzi alla Corte
di cassazione, oltre al contributo
unificato, è dovuto un importo pari
all’imposta fissa di registrazione dei
provvedimenti giudiziari. |
2-bis. Identico. |
3. Il contributo è
ridotto alla metà per i processi
speciali previsti nel libro IV, titolo
I, del codice di procedura civile,
compreso il giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo e di opposizione alla
sentenza dichiarativa di fallimento e
per le controversie individuali di
lavoro o concernenti rapporti di
pubblico impiego, salvo quanto previsto
dall'articolo 9, comma 1-bis. Ai fini
del contributo dovuto, il valore dei
processi di sfratto per morosità si
determina in base all'importo dei canoni
non corrisposti alla data di notifica
dell'atto di citazione per la convalida
e quello dei processi di finita
locazione si determina in base
all'ammontare del canone per ogni anno. |
3. Identico. |
3-bis. Ove il
difensore non indichi il proprio
indirizzo di posta elettronica
certificata e il proprio numero di fax
ai sensi degli articoli 125, primo
comma, del codice di procedura civile e
16, comma 1-bis, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora
la parte ometta di indicare il codice
fiscale nell'atto introduttivo del
giudizio o, per il processo tributario,
nel ricorso il contributo unificato è
aumentato della metà. |
3-bis. Ove il
difensore non indichi il proprio
indirizzo di posta elettronica
certificata e il proprio numero di fax
ai sensi degli articoli 125, primo
comma, del codice di procedura civile e
il proprio indirizzo di posta
elettronica certificata ai sensi
dell’articolo 16, comma 1-bis, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546, ovvero qualora la parte ometta di
indicare il codice fiscale nell'atto
introduttivo del giudizio o, per il
processo tributario, nel ricorso il
contributo unificato è aumentato della
metà. |
5. Per la procedura
fallimentare, che è la procedura dalla
sentenza dichiarativa di fallimento alla
chiusura, il contributo dovuto è pari a
euro 740. |
5. Identico. |
6. Se manca la
dichiarazione di cui all'articolo 14, il
processo si presume del valore indicato
al comma 1, lettera g). |
6. Se manca la
dichiarazione di cui all'articolo 14, il
processo si presume del valore indicato
al comma 1, lettera g). Se manca la
dichiarazione di cui al comma 3-bis
dell’art. 14, il processo si presume del
valore indicato al comma 6-quater,
lettera f). |
6-bis. Il
contributo unificato per i ricorsi
proposti davanti ai Tribunali
amministrativi regionali e al Consiglio
di Stato è dovuto nei seguenti importi: |
6-bis. Identico: |
a) per i ricorsi
previsti dagli articoli 116 e 117 del
decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104, per quelli aventi ad oggetto il
diritto di cittadinanza, di residenza,
di soggiorno e di ingresso nel
territorio dello Stato e per i ricorsi
di esecuzione nella sentenza o di
ottemperanza del giudicato il contributo
dovuto è di euro 300. Non è dovuto alcun
contributo per i ricorsi previsti
dall'articolo 25 della citata legge n.
241 del 1990 avverso il diniego di
accesso alle informazioni di cui al
decreto legislativo 19 agosto 2005, n.
195, di attuazione della direttiva
2003/4/CE sull'accesso del pubblico
all'informazione ambientale; |
a) identica; |
b) per le
controversie concernenti rapporti di
pubblico impiego, si applica il comma 3; |
b) identica; |
c) per i ricorsi
cui si applica il rito abbreviato comune
a determinate materie previsto dal libro
IV, titolo V, del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104, nonché da altre
disposizioni che richiamino il citato
rito, il contributo dovuto è di euro
1.500; |
c) identica; |
d) per i ricorsi di
cui all'articolo 119, comma 1, lettere
a) e b), del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104, il contributo
dovuto è di euro 4.000; |
d) identica; |
e) in tutti gli
altri casi non previsti dalle lettere
precedenti e per il ricorso
straordinario al Presidente della
Repubblica nei casi ammessi dalla
normativa vigente, il contributo dovuto
è di euro 600. I predetti importi
sono aumentati della metà ove il
difensore non indichi il proprio
indirizzo di posta elettronica
certificata e il proprio recapito fax,
ai sensi dell'articolo 136 del codice
del processo amministrativo di cui al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104. Ai fini del presente comma, per
ricorsi si intendono quello principale,
quello incidentale e i motivi aggiunti
che introducono domande nuove. |
e) in tutti gli
altri casi non previsti dalle lettere
precedenti e per il ricorso
straordinario al Presidente della
Repubblica nei casi ammessi dalla
normativa vigente, il contributo dovuto
è di euro 600. |
|
Gli importi di
cui alle lettere a), b), c), d), e) sono
aumentati della metà ove il difensore
non indichi il proprio indirizzo di
posta elettronica certificata e il
proprio recapito fax, ai sensi
dell’articolo 136 del codice del
processo amministrativo di cui al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104, ovvero qualora la parte ometta di
indicare il codice fiscale nel ricorso.
L’onere relativo al pagamento dei
suddetti contributi è dovuto in ogni
caso dalla parte soccombente, anche nel
caso di compensazione giudiziale delle
spese e anche se essa non si è
costituita in giudizio. Ai fini
predetti, la soccombenza si determina
con il passaggio in giudicato della
sentenza. Ai fini del presente comma,
per ricorsi si intendono quello
principale, quello incidentale e i
motivi aggiunti che introducono domande
nuove. |
6- ter. Il maggior
gettito derivante dall'applicazione
delle disposizioni di cui al comma 6-
bis è versato al bilancio dello Stato,
per essere riassegnato allo stato di
previsione del Ministero dell'economia e
delle finanze, per le spese riguardanti
il funzionamento del Consiglio di Stato
e dei Tribunali amministrativi
regionali. |
6-ter. Identico. |
6-quater. Per i
ricorsi principale ed incidentale
proposti avanti le Commissioni
tributarie provinciali e regionali è
dovuto il contributo unificato nei
seguenti importi: |
6-quater. Identico: |
a) euro 30 per
controversie di valore fino a euro
2.582,28; |
a) identica; |
b) euro 60 per
controversie di valore superiore a euro
2.582,28 e fino a euro 5.000; |
d) identica; |
c) euro 120 per
controversie di valore superiore a euro
5.000 e fino a euro 25.000; |
c) euro 120 per
controversie di valore superiore a euro
5.000 e fino a euro 25.000 e per le
controversie tributarie di valore
indeterminabile; |
d) euro 250 per
controversie di valore superiore a euro
25.000 e fino a euro 75.000; |
d) identica; |
e) euro 500 per
controversie di valore superiore a euro
75.000 e fino a euro 200.000; |
e) identica; |
f) euro 1.500 per
controversie di valore superiore a euro
200.000. |
f) identica. |
In sintesi,
§
attraverso la lettera a) il
provvedimento eleva da 450 a 600 euro
l’importo del contributo unificato per i
processi amministrativi di valore indeterminabile
(è infatti eliminato il richiamo a tali processi
contenuto nella lettera d) del comma 1 con
conseguente applicazione della lettera e) del comma
6-bis;
§
con la lettera b) si specifica
che la sanzione dell’incremento della metà del
contributo unificato si applica, anche in caso di
processo tributario, alla fattispecie di mancata
indicazione, da parte del difensore, dell’indirizzo
di posta elettronica certificata;
§
con la lettera c) si aumenta il
contributo unificato dovuto nel processo
tributario in caso di omissione della dichiarazione
sul valore della controversia: tale
contributo passa da 1.466 a 1.500 euro;
§
le lettere d) ed e)
vanno considerate insieme in quanto affermano con
maggior precisione che l’importo del contributo
unificato nel processo amministrativo è
aumentato della metà se il difensore omette la
comunicazione della posta elettronica certificata e
del fax. Le stesse disposizioni precisano che
l’onere del contributo grava sulla parte soccombente
anche nel caso di compensazione giudiziale delle
spese e anche nel caso in cui la stessa non si sia
costituita in giudizio. Si esplicita, altresì, che
il contributo unificato nei processi amministrativi
è dovuto anche per i ricorsi incidentali e in caso
di proposizione di motivi aggiuntivi che introducono
nuove domande;
§
la lettera f) colma una lacuna
della normativa fissando in 120 euro la
misura del contributo unificato dovuto per le
controversie tributarie di valore indeterminabile.
Articolo 2, comma 35-ter
(Modifiche al codice di procedura civile)
L’articolo 2, comma 35-ter
modifica gli articoli 125 e 136 del codice di
procedura civile relativi, rispettivamente, alla
sottoscrizione degli atti di parte ad opera del
difensore e alle modalità di comunicazione alle
parti.
L’art. 125 c.p.c. riguarda in
particolare il contenuto e la sottoscrizione degli
atti di parte e dispone che salvo che la legge
disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la
comparsa, il controricorso, il precetto indichino
l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le
ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza,
e, tanto nell'originale quanto nelle copie da
notificare, debbano essere sottoscritti dalla parte,
se essa sta in giudizio personalmente oppure dal
difensore che indica il proprio codice fiscale.
L'art. 136 stabilisce invece che
il cancelliere, con biglietto di cancelleria in
carta non bollata, effettua le comunicazioni che
sono prescritte dalla legge o dal giudice al
pubblico ministero, alle parti, al consulente, agli
altri ausiliari del giudice e ai testimoni, e dà
notizia di quei provvedimenti per i quali è disposta
dalla legge tale forma abbreviata di comunicazione.
Il biglietto è consegnato dal cancelliere al
destinatario, che ne rilascia ricevuta, o è rimesso
all'ufficiale giudiziario per la notifica.
In particolare, lettera a) reca
modifiche al primo comma dell'art. 125 c.p.c.
obbligando il difensore ad indicare
anche il proprio indirizzo di posta elettronica
certificata e il proprio numero di fax.
La lettera b) reca modifiche
all'art. 136 c.p.c. disponendo che tutte le
comunicazioni alle parti siano effettuate a
mezzo telefax o a mezzo posta elettronica
nel rispetto della normativa, anche
regolamentare, concernente la sottoscrizione, la
trasmissione e la ricezione dei documenti
informatici e teletrasmessi.
Articolo 2, comma 35-quater
(Disposizioni relative al processo tributario)
Il comma 35-quater,
introdotto durante l’esame del
provvedimento al Senato, modifica le
disposizioni che regolano il processo tributario, a
tale scopo novellando gli articoli 18 e 22 del
D.Lgs. n. 546 del 1992.
In particolare, le disposizioni
in esame:
§
obbligano il soggetto ricorrente a
indicare, nel ricorso introduttivo del
processo, anche l’indirizzo di posta elettronica
certificata, precisando al contempo che la
mancata o incerta indicazione dell’ indirizzo di
posta elettronica non è causa di inammissibilità
del ricorso;
§
obbligano il ricorrente a
depositare, presso la segreteria della
commissione tributaria adita, all'atto della
costituzione in giudizio, la nota di iscrizione a
ruolo contenente l'indicazione delle parti, del
difensore che si costituisce, dell'atto impugnato,
della materia del contendere, del valore della
controversia e della data di notificazione del
ricorso.
Nel dettaglio, il primo
punto del comma in esame modifica l’articolo
18 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che disciplina il
contenuto del ricorso che introduce il
processo, nonché le modalità della sua
presentazione.
In particolare la norma
aggiunge agli elementi da indicare nel
ricorso, enumerati dal comma 2 dell’articolo 18,
anche l’indirizzo di posta elettronica
certificata
Il testo vigente del comma 2
specifica il ricorso deve contenere l'indicazione:
-
della commissione tributaria cui è diretto;
-
del ricorrente e del suo legale
rappresentante, della relativa residenza o sede
legale o del domicilio eventualmente eletto nel
territorio dello Stato, nonché del codice fiscale;
-
dell'ufficio del Ministero delle finanze o
dell' ente locale o del concessionario del servizio
di riscossione nei cui confronti il ricorso è
proposto;
-
dell'atto impugnato e dell' oggetto della
domanda;
-
dei motivi.
La norma inoltre novella il
comma 4 dell’articolo 18, che disciplina i
requisiti per la dichiarazione di inammissibilità
del ricorso.
Ai sensi del vigente comma 4,
il ricorso è inammissibile se manca o è
assolutamente incerta una delle indicazioni che il
ricorso deve contenere ai sensi del sopra illustrato
citato comma 2, fatta salva l’indicazione del codice
fiscale.
Il comma in esame, aggiungendo
a tale esclusione anche l'indirizzo di posta
elettronica certificata, precisa che la sua
mancata indicazione non rende
inammissibile il ricorso.
Il secondo punto del
comma 35-quater modifica la
disciplina della costituzione in giudizio del
ricorrente nel processo tributario,
disciplinata dall'articolo 22 del D.Lgs. 546/1992.
Il comma in esame obbliga il
ricorrente a depositare presso la segreteria
della commissione tributaria adita, all'atto della
costituzione in giudizio, la nota di iscrizione a
ruolo contenente l'indicazione delle parti, del
difensore che si costituisce, dell'atto impugnato,
della materia del contendere, del valore della
controversia e della data di notificazione del
ricorso.
Articolo 2, comma 35-quinquies
(Modifiche alle disposizioni per l'efficienza del
sistema giudiziario)
L’articolo 2, comma 35-quinquies
- introdotto del corso dell’esame del
provvedimento in Senato - modifica alcune
disposizioni del recente decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98,
tra cui quelle relative ai termini per la redazione
del programma per la gestione dei procedimenti
civili, amministrativi e tributari pendenti da parte
dei capi degli uffici giudiziari e quelle per
l'indizione di concorsi per i magistrati della
giustizia tributaria.
In particolare, la lettera
a) interviene sull’art. 37 del suddetto
decreto-legge (rubricato “Disposizioni per
l'efficienza del sistema giudiziario e la celere
definizione delle controversie"), ai sensi del quale
i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti
dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati,
devono entro il 31 gennaio di ogni anno redigere un
programma per la gestione dei procedimenti
civili, amministrativi e tributari pendenti.
Attraverso tale programma si determinano:
a)
gli obiettivi di riduzione della durata dei
procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno
in corso;
b)
gli obiettivi di rendimento dell'ufficio,
tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei
magistrati individuati dai competenti organi di
autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione
dei procedimenti pendenti, individuati secondo
criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto
della durata della causa, anche con riferimento agli
eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della
natura e del valore della stessa.
Il comma 3 dell'art. 37 prevede
attualmente che il primo programma venga adottato
entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto legge n. 98; tale termine – evidentemente
scaduto in questi giorni - viene posticipato dalla
disposizione in commento al 31 ottobre 2011.
La lettera a) interviene
anche sul comma 7 dell'art. 37 – relativo al campo
d’applicazione delle modifiche alla disciplina del
contributo unificato operate dalla manovra
finanziaria di luglio - per sostituirvi
l’espressione «controversie instaurate» con la più
corretta «procedimenti iscritti a ruolo».
La lettera b)
modifica l'articolo 39 dello stesso decreto-legge n.
98/2011, che reca "Disposizioni in materia di
riordino della giustizia tributaria". In
particolare, viene aggiunto un periodo al comma 4,
il quale dispone che al fine di coprire, a decorrere
dal 1° gennaio 2012, i posti vacanti alla data di
entrata in vigore del decreto-legge stesso, il
Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria
provvede ad indire, entro due mesi dalla predetta
data, apposite procedure per la copertura di 960
posti vacanti presso le commissioni tributarie. I
concorsi sono riservati ai soggetti appartenenti
alle categorie di cui all'articolo 4, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 545, in servizio, che non prestino già
servizio presso le predette commissioni.
La disposizione in esame
integra la previsione dell’art. 39 stabilendo che ai
fini del periodo precedente, si intendono in
servizio i magistrati non collocati a riposo al
momento dell'indizione dei concorsi.
Articolo 2, comma 35-sexies
(Modifica della disciplina in materia di
mediazione)
L’articolo 2, comma 35-sexies,
interviene sulla c.d. mediaconciliazione
disciplinata dal decreto legislativo n. 28 del 2010
per sanzionare la parte che, senza giustificato
motivo, si rifiuta di partecipare al tentativo di
conciliazione.
Attualmente, l’articolo 8,
comma 5, del decreto legislativo prevede che dalla
mancata partecipazione senza giustificato motivo al
procedimento di mediazione il giudice possa desumere
argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
Tale disposizione del codice di
rito stabilisce che il giudice debba valutare le
prove secondo il suo prudente apprezzamento, potendo
desumere argomenti di prova dalle risposte che le
parti gli danno in sede di interrogatorio non
formale, dal loro rifiuto ingiustificato a
consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in
generale, dal contegno delle parti stesse nel
processo.
Con la disposizione in commento
all’art. 8, comma 5, è aggiunto un ulteriore periodo
in base al quale il giudice deve condannare la parte
costituita che non ha partecipato al procedimento di
mediazione senza giustificato motivo, al
versamento all'entrata del bilancio dello Stato
di una somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto per il giudizio.
Articolo 2, comma 35-septies
(Giustizia tributaria)
Il comma 35-septies
dell'articolo 2, inserito nel corso dell’esame
del provvedimento al Senato, modifica la
disciplina delle incompatibilità con la
carica di componente delle commissioni
tributarie.
In particolare, la lettera
a) specifica che l’incompatibilità del
personale dipendente, nonché dei soggetti iscritti
in ruoli ed albi che consentono l’assistenza tecnica
innanzi alle commissioni tributarie, opera se i
predetti soggetti svolgono attività di consulenza,
assistenza o di rappresentanza nei confronti di
contribuenti e/o di enti impositori o preposti alla
riscossione di tributi.
La lettera b)
stabilisce che non possono essere componenti di
commissioni tributarie i coniugi, i conviventi o
i parenti fino al secondo grado -
in luogo del terzo grado previsto dal testo vigente
- di coloro che, iscritti in albi professionali,
esercitano le predette attività di consulenza,
assistenza e rappresentanza tributaria.
Nel dettaglio, la disposizione
novella l’articolo 39, comma 2, lettera c),
punti 4) e 5) del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98
che, nel complesso, ha introdotto disposizioni volte
a rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici
tributari e a incrementare la presenza nelle
Commissioni tributarie regionali di giudici
selezionati tra i magistrati ordinari,
amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli
Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo, nonché
a modificare alcune disposizioni relative al
Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
In tale prospettiva, il comma 2
dell'articolo 39 ha recato modifiche al decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, che disciplina
gli organi di giurisdizione tributaria e, in
particolare, la lettera c) del comma 2 ha
modificato la disciplina delle incompatibilità
con la carica di componente delle commissioni
tributarie, contenuta nell'articolo 8 del D.Lgs. n.
545/1992.
Incompatibilità di soggetti iscritti ad albi e
ordini professionali
La lettera a) del
comma 35-septies in commento
modifica il comma 2, lettera c), punto 4)
dell’articolo 39.
Il richiamato punto 4)
ha inserito all’articolo 8, comma 1 del D. Lgs.
545/1992 una lettera m-bis), ai sensi della
quale sono incompatibili con la carica di componente
delle commissioni tributarie i soggetti iscritti in
albi professionali, elenchi e ruoli, nonché il
personale dipendente, individuati dall’articolo 12
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 sul
processo tributario; si tratta in sostanza dei
soggetti – oltre ai dipendenti - iscritti in albi e
ruoli che consentono l'esercizio della
rappresentanza davanti alle Commissioni tributarie.
Ai sensi dell’articolo 12, comma
2 del D: Lgs. 546/2992, sono abilitati
all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni
tributarie, se iscritti nei relativi albi
professionali, gli avvocati, i dottori
commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali,
nonché i consulenti del lavoro purché non dipendenti
dall’amministrazione pubblica; per specifiche
materie che richiedono competenze di tipo tecnico,
se iscritti nei relativi albi professionali, sono
abilitati altresì gli ingegneri, gli architetti, i
geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli
agrotecnici e i periti agrari, gli spedizionieri
doganali per le materie concernenti i tributi
amministrati dall'Agenzia delle dogane. Sono
altresì, se iscritti in appositi elenchi, i soggetti
iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli
di periti ed esperti tenuti dalle camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura per
la subcategoria tributi, in possesso di diploma di
laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o
equipollenti o di diploma di ragioniere
limitatamente alle materie concernenti alcuni
tributi; per alcune cause sono anche abilitati i
dipendenti delle associazioni delle categorie
rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia
e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese
in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza
o in economia e commercio o equipollenti o di
diploma di ragioneria e della relativa abilitazione
professionale. Infine sono inoltre abilitati
all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni
tributarie i funzionari delle associazioni di
categoria iscritti in appositi albi..
Per effetto delle modifiche
recate dalla disposizione in commento,
l’incompatibilità del personale dipendente
e dei soggetti iscritti nei richiamati
ruoli ed albi che abilitano alla rappresentanza
innanzi alle Commissioni tributarie (di cui alla
lettera m-bis)) opera ove essi
esercitino, anche in forma non individuale,
attività - individuate all’articolo 8, comma 1,
lettera i) - di consulenza tributaria,
di detenzione di scritture contabili e redazione di
bilanci, ovvero attività di consulenza,
assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi
titolo e anche nelle controversie di carattere
tributario, di contribuenti singoli o associazioni
di contribuenti, di società di riscossione dei
tributi o di altri enti impositori.
In sostanza, la disposizione in
esame ancora l’incompatibilità non solo alla sola
iscrizione formale all’albo, ma anche all’esercizio
effettivo di attività di consulenza, assistenza e
rappresentanza nei confronti dei contribuenti o di
enti coinvolti nella gestione dei tributi; tale
disciplina viene così allineata alle cause di
incompatibilità legate alla parentela, di cui
all’articolo 8, comma 1-bis del D. Lgs.
545/1992 (cfr. paragrafo successivo).
Incompatibilità legata a rapporti familiari
La lettera b) del
comma 35-septies modifica il comma 2,
lettera c), punto 5) dell’articolo 39.
Il richiamato punto 5) ha
inserito il comma 1-bis all’articolo 8 del
citato D. Lgs. 545/1992, prevedendo che non
possono essere componenti di commissione tributaria
(provinciale o regionale) i coniugi, i conviventi o
i parenti fino al terzo grado o gli affini in primo
grado di coloro che sono iscritti in albi
professionali ed esercitano - anche in forma non
individuale - attività di assistenza, consulenza e
rappresentanza nei confronti di contribuenti ed enti
(individuate nella citata lettera i) del
comma 1) nella regione e nelle province confinanti
con la predetta regione dove ha sede la commissione
tributaria provinciale, ovvero nella regione dove ha
sede la commissione tributaria regionale o nelle
regioni con essa confinanti. All’accertamento della
sussistenza delle cause di incompatibilità provvede
il Consiglio di Presidenza.
Con le modifiche apportate
dalle norme in esame, si stabilisce che non possono
essere componenti di commissione tributaria i
coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo
grado - in luogo del terzo grado previsto dal
testo vigente - di coloro che, iscritti in albi
professionali, esercitano le attività di consulenza,
assistenza e rappresentanza tributaria.
Articolo 2, commi 36-vicies
semel
(Reati in materia di imposte sui redditi e IVA)
L’articolo 2, comma
36-vicies semel, novella il decreto legislativo
10 marzo 2000, n. 74,
concernente la disciplina dei reati in materia di
imposte sui redditi e IVA.
Di seguito si illustrano in
primo luogo le modifiche volte, in generale, ad
eliminare disposizioni di favore o ad abbassare la
soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta
l'applicazione delle sanzioni penali. In questa
direzione vanno le seguenti novelle:
§
all'articolo 2 (dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti) viene
soppressa la disposizione che attualmente riduce
l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni
anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'ammontare
degli elementi passivi fittizi è inferiore a
154.937,07 euro (lettera a);
§
all'articolo 3 (dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifici) viene
ridotta la soglia di imposta evasa che fa scattare
la sanzione penale da 77.468,53 euro a 30.000 euro
e, analogamente, la soglia relativa all'ammontare
complessivo degli elementi attivi sottratti
all'imposizione da 1.549.370,70 euro a 1.000.000 di
euro (lettere b) e c);
§
all'articolo 4 (dichiarazione
infedele) le suddette soglie vengono ridotte
rispettivamente da 103.291,38 euro a 50.000 euro e
da 2.065.827,60 euro a 2.000.000 di euro (lettere
d) ed e);
§
all'articolo 5 (omessa
dichiarazione) la soglia di imposta evasa che fa
scattare la sanzione penale è ridotta da 77.468,53
euro a 30.000 euro (lettera f);
§
all'articolo 8 (emissione di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti)
viene soppressa la disposizione che riduce l'entità
della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un
anno e 6 mesi a 6 anni) se l'importo non rispondente
al vero indicato nelle fatture o nei documenti è
inferiore a euro 154.937,07 (lettera g).
Ulteriori novelle al decreto
legislativo n. 74 del 2000 riguardano le circostanze
del reato, il procedimento applicabile e le pene
accessorie.
In particolare, con la
lettera h) è aggiunto un comma all’articolo 12 (pene
accessorie) del decreto legislativo. Tale
disposizione è volta ad escludere
l’applicazione dell’istituto della sospensione
condizionale della pena (di cui all’art. 163
c.p.) qualora nella commissione di uno dei delitti
previsti dagli articoli da 2 a 10-quater
del d.lgs. n. 74 del 2000, l'imposta evasa (o
non versata) sia superiore a 3 milioni di euro.
Peraltro, il successivo periodo della disposizione
in commento – inserito in sede di maxiemendamento
dal Governo – aggiunge che per i delitti previsti
dagli articoli da 2 a 10 del d.lgs n. 74 del 2000 (dunque
in parte per le medesime fattispecie), affinché
non si applichi la sospensione condizionale della
pena occorre la contemporanea presenza di due
requisiti:
-
imposta evasa superiore a 3 milioni di euro;
-
imposta evasa superiore al 30% del volume
d’affari.
In primo luogo si osserva
che la disposizione appare nella sua formulazione
contraddittoria in quanto per alcuni delitti
(fattispecie degli articoli da 2 a 10 del decreto
legislativo) il primo periodo afferma
l’inapplicabilità della sospensione condizionale
della pena in caso di evasione d’imposta superiore a
3 milioni mentre il secondo periodo aggiunge
l’ulteriore requisito del superamento del 30% del
volume d’affari. Per le residue fattispecie
(articoli 10-bis, 10-ter, 10-quater) è “sufficiente”
l’evasione di 3 milioni di euro per rendere
inapplicabile il beneficio della sospensione
condizionale.
In secondo luogo sembra che
la medesima disposizione sia ispirata ad un
orientamento di segno inverso rispetto alle restanti
novelle al decreto legislativo n. 74/2000, tutte in
generale volte ad abbassare la soglia di punibilità
dell’evasione fiscale: infatti, la previsione
congiunta delle due condizioni contenuta nel secondo
periodo sembrerebbe mitigare la posizione dei
soggetti evasori che hanno un grande volume di
affari. Essi, infatti, potranno avvalersi della
sospensione condizionale della pena, pur sottraendo
all’erario somme anche notevolmente superiori ai 3
milioni di euro, in conseguenza della previsione del
tetto del 30% del volume di affari.
Le lettere i) ed m)
intervengono sull’articolo 13 (circostanza
attenuante e pagamento del debito tributario)
prevedendo:
-
la riduzione sino ad un terzo (anziché sino
alla metà) delle pene stabilite per i delitti
previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado, i debiti tributari relativi ai fatti
costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti
mediante pagamento (lett. i);
-
l’applicabilità del c.d. patteggiamento per i
reati previsti dal decreto legislativo solo se
ricorrono le circostanze attenuanti (dell’aver
estinto il debito prima del dibattimento e dell’aver
pagato anche le sanzioni amministrative previste per
la violazione delle norme tributarie).
La lettera l) novella
l'articolo 17 (interruzione della prescrizione)
elevando di un terzo i termini di prescrizione
per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del
decreto legislativo n. 74/2000.
Infine, con disposizione di
chiusura, la norma specifica che le modifiche
apportate dal comma 36-vicies semel si applicano
ai fatti successivi all'entrata in vigore della
legge di conversione del decreto-legge.
Articolo 3, comma 5
(Professioni)
La norma prevede che, fatto
salvo l’esame di Stato prescritto per l'abilitazione
all'esercizio professionale dal quinto comma
dell'articolo 33 della Costituzione per l’accesso
alle professioni regolamentate,
gli ordinamenti professionali devono garantire
che l’esercizio dell’attività risponda senza
eccezioni ai principi di libera concorrenza,
alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il
territorio nazionale, nonché alla differenziazione e
pluralità di offerta che garantisca l’effettiva
possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della
più ampia informazione relativamente ai servizi
offerti.
La disposizione stabilisce
quindi che gli ordinamenti professionali dovranno
essere riformati entro 12 mesi dalla data di
entrata in vigore del decreto-legge per recepire i
principi elencati nelle successive lettere da a) a
g) del medesimo comma 5.
Al riguardo si rammenta che
attualmente la regolamentazione degli ordini
professionali esistenti è contenuta,
prevalentemente, in atti normativi aventi rango
legislativo.
Poiché la formulazione della disposizione non è tale
da attuare un processo di delegificazione ai sensi
dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del
1988 (e ciò a prescindere dall'ammissibilità di una
simile soluzione nella materia qui considerata), ma
rinvia a futuri interventi riformatori («Gli
ordinamenti professionali dovranno essere
riformati...»), sembra doversi ritenere che, in
assenza di tali interventi, l’assetto normativo
vigente resti immutato.
La normativa in esame appare
quindi volta essenzialmente a fissare le linee
guida che dovranno informare la futura
attività del legislatore statale e regionale, ai
quali spetterà la concreta realizzazione sul piano
legislativo degli interventi riformatori delineati
dal presente comma.
Resta comunque fermo che le
previsioni del comma in esame, e in particolare
quelle del primo periodo, potranno fin da subito
integrare il quadro normativo di riferimento dell'attività
amministrativa di competenza degli ordini
professionali, limitatamente agli spazi a questa
rimessi.
Per quanto concerne poi il
termine di dodici mesi, coerentemente con i
rilievi testé svolti e con la lettera della
previsione in esame, sembra doversi concludere per
il suo carattere ordinatorio.
Passando ai principi contenuti
nelle già citate lettere da a) a g),
la lettera a) prescrive che la riforma
degli ordinamenti professionali dovrà
assicurare che l'accesso alla professione sia libero
e che il suo esercizio sia fondato e ordinato
sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio,
intellettuale e tecnica, del professionista. La
limitazione, in forza di una disposizione di legge,
del numero di persone titolate ad esercitare una
certa professione in tutto il territorio dello Stato
o in una certa area geografica, potrà essere
consentita soltanto se motivata da ragioni di
interesse pubblico e non dovrà produrre una
discriminazione diretta o indiretta basata sulla
nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in
forma societaria, sulla sede legale della società
professionale.
La lettera b)
prevede che gli ordinamenti professionali riformati
debbano prevedere l'obbligo per il
professionista di seguire percorsi di
formazione continua permanente predisposti
sulla base di appositi regolamenti emanati dai
consigli nazionali, fermo restando quanto previsto
dalla normativa vigente in materia di educazione
continua in medicina (ECM). La violazione
dell’obbligo di formazione continua costituirà un
illecito disciplinare e come tale sarà sanzionato
sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento
professionale che dovrà integrare tale previsione.
La lettera c)
stabilisce quindi che la disciplina del
tirocinio per l’accesso alla professione
debba conformarsi a criteri che garantiscano
l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il
suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare
il miglior esercizio della professione. Al
tirocinante dovrà essere corrisposto un equo
compenso di natura indennitaria, commisurato al suo
concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al
mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà
essere complessivamente superiore a tre anni e potrà
essere svolto, in presenza di una apposita
convenzione quadro stipulata fra i Consigli
Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università
e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il
conseguimento della laurea di primo livello o della
laurea magistrale o specialistica. Per le
professioni sanitarie, ai fini della disciplina
dell'attività di tirocinio, resta peraltro
confermata la normativa vigente.
La lettera d)
prevede che il compenso spettante al
professionista debba essere pattuito per
iscritto all’atto del conferimento dell’incarico
professionale prendendo come riferimento le tariffe
professionali. Sarà peraltro ammessa la
pattuizione dei compensi anche in deroga alle
tariffe.
Il professionista resta comunque tenuto a rendere
noto al cliente il livello della complessità
dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili
circa gli oneri ipotizzabili dal momento del
conferimento alla conclusione del medesimo. In caso
di mancata determinazione consensuale del compenso,
quando il committente è un ente pubblico, in caso di
liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei
casi in cui la prestazione professionale è resa
nell’interesse dei terzi si applicheranno le tariffe
professionali stabilite con decreto dal Ministro
della Giustizia.
In merito si evidenzia che
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato
ha inviato il 26 agosto scorso una segnalazione al
Governo e alle Camere in vista dei lavori
parlamentari per la conversione del decreto legge n.
138, che prende in considerazione anche la
disposizione in commento sulle professioni. Secondo
l'Antitrust, le disposizioni contenute
nell'art. 3, comma 5 del decreto «appaiono
senz'altro apprezzabili laddove prevedono una
riforma degli ordini professionali in senso
pro-competitivo». Criticità della norma sono,
tuttavia, segnalate dall'Antitrust su specifici
profili; in particolare, secondo l’Autorità
costituisce un passo indietro, rispetto alla norma
vigente in base alla quale le tariffe professionali
non sono obbligatorie, la previsione che rende le
tariffe professionali parametro legale di
riferimento per la determinazione del compenso del
professionista. Per l'Autorità si tratta di una
norma contraddittoria e contraria alla
liberalizzazione del mercato dei servizi
professionali.
La lettera e)
dispone che, a tutela del cliente, il
professionista sarà tenuto a stipulare idonea
assicurazione per i rischi derivanti
dall’esercizio dell’attività professionale. Il
professionista dovrà rendere noti al cliente, al
momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi
della polizza stipulata per la responsabilità
professionale e il relativo massimale. Le condizioni
generali delle polizze assicurative potranno essere
negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai
Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei
professionisti.
La lettera f)
stabilisce che gli ordinamenti professionali
dovranno prevedere l’istituzione a livello
territoriale di organi (terzi),
diversi da quelli aventi funzioni amministrative,
ai quali saranno specificamente affidate
l’istruzione e la decisione delle questioni
disciplinari e di un organo nazionale di
disciplina.
Viene inoltre prevista
l'incompatibilità della carica di consigliere
dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale
con quella di membro dei consigli di disciplina
nazionali e territoriali. Per le professioni
sanitarie resta confermata la normativa vigente.
In merito, nella citata
segnalazione, l’Autorità garante della concorrenza
ha affermato che secondo quanto emerge dal decreto,
in assenza di indicazione contraria, i consigli di
disciplina dovrebbero essere composti esclusivamente
da professionisti appartenenti all’ordine; «tale
circostanza sembra depotenziare di molto il
carattere innovativo del nuovo organo disciplinare,
che continuerebbe a difettare dei requisiti di
necessaria terzietà. Per tale ragione, appare
opportuno integrare la composizione dei consigli di
disciplina, come avviene in altri Paesi, mediante la
partecipazione di soggetti esterni».
La lettera g)
prevede infine che la pubblicità informativa
avente ad oggetto l’attività professionale, le
specializzazioni ed i titoli professionali
posseduti, la struttura dello studio ed i compensi
delle prestazioni, è libera.
Le informazioni fornite dovranno essere trasparenti,
veritiere, corrette e non dovranno essere equivoche,
ingannevoli, o denigratorie.
Articolo 12
(Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro)
L'articolo 12 inserisce nel
codice penale gli articoli 603-bis e 603-ter.
L’art. 603-bis
c.p. introduce nell'ordinamento il delitto di
intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
la cui fattispecie è rappresentata dallo svolgimento di
un'attività organizzata di intermediazione, esercitata
«mediante violenza, minaccia, o intimidazione,
approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei
lavoratori». L'attività può consistere nel reclutamento
della manodopera o nell'organizzazione di attività
lavorativa contraddistinta da sfruttamento. Per il
delitto in esame si prevede la reclusione da 5 a 8
anni, nonché la multa da 1.000 a 2.000
euro per ciascun lavoratore reclutato (primo
comma).
La stessa norma penale individua
(secondo comma) alcune circostanze che
costituiscono "indice di sfruttamento"
mentre il terzo comma identifica alcune
circostanze aggravanti, che
comportano un aumento della pena da un terzo alla metà.
Si tratta:
§
dell’aver reclutato più di tre lavoratori;
§
dell’aver reclutato minori in età non
lavorativa;
§
dell’aver commesso il fatto «esponendo i
lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo,
avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da
svolgere e delle condizioni di lavoro».
L’art. 603-ter c.p.
reca le pene accessorie sia per il nuovo
delitto sia per quello di cui all'art. 600 c.p. (Riduzione
o mantenimento in schiavitù o in servitù), per il
caso in cui quest'ultimo tipo di sfruttamento abbia ad
oggetto prestazioni lavorative.
La disposizione prevede le seguenti
pene accessorie:
§
interdizione dagli uffici direttivi delle
persone giuridiche o delle imprese;
§
divieto di concludere contratti di
appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere,
beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione,
e relativi subcontratti;
§
esclusione per 2 anni da agevolazioni,
finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello
Stato, di altri enti pubblici o dell'Unione europea;
tale esclusione opera per 5 anni quando il fatto è
commesso da soggetto recidivo.
Si rammenta, inoltre, che al nuovo
delitto di cui all'art. 603-bis si applicano
anche le disposizioni di cui al successivo art. 604 del
codice penale. In base ad esso, il reato è punibile
anche qualora il fatto sia commesso all'estero da
cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino
italiano, ovvero dallo straniero in concorso con
cittadino italiano. In quest'ultima ipotesi, lo
straniero è punibile quando si tratti di delitto per il
quale sia prevista la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a cinque anni (come nel caso in
esame) e quando vi sia stata richiesta del Ministro
della giustizia.
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