1. È noto che, in base al combinato
disposto degli artt. 633 e 636 c.p.c. la domanda
monitoria relativa a crediti per prestazioni
professionali deve essere accompagnata dalla parcella
delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione
del ricorrente e corredata dal parere della competente
associazione professionale. Nel caso di specie,
pertanto, stante la mancata produzione di tale
documentazione, il decreto ingiuntivo non avrebbe potuto
essere emesso.
2. Il rilascio della quietanza non
richiede forme particolari, sicché essa può essere
contenuta anche nella fattura che il creditore invii al
proprio debitore in ottemperanza alle norme fiscali e
risultare da qualsiasi, non equivoca attestazione
dell'adempimento dell'obbligazione, come l'annotazione
"pagato" o altra equivalente, apposta sulla fattura, che
riveli sia l'ammontare della somma pagata, sia il titolo
per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale
annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa
proviene, solo in tal modo potendo rivestire l'efficacia
probatoria privilegiata propria della scrittura privata,
a norma dell'art. 2702 c.c.
3. Non si richiede affatto che la
dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura sia
autografa; sicché la stessa può essere costituita, come
nella specie, anche da un timbro dattiloscritto con la
dicitura "pagato". Affinché un documento possa assumere
forza di scrittura privata, infatti, è necessaria
l'autografia della sottoscrizione; mentre non è affatto
richiesta l'autografia del testo, che può anche essere
stampato, dattiloscritto o scritto a penna da terzi.
Cassazione, sez. II, 31 ottobre
2011, n. 22655
(Pres. Oddo – Rel. Matera)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il
3-4-2000 l'A. P.s.a.s. proponeva opposizione avverso il
decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Torre
Annunziata, con il quale, ad istanza del rag. D.D.R., le
era stato intimato il pagamento della somma di lire
2.448.000, oltre interessi legali dal 30-12-1998, per
prestazioni professionali di consulenza fiscale.
Con sentenza depositata il 4-3-2003
il giudice adito rigettava l'opposizione.
Con sentenza depositata il
17-10-2005 il Tribunale di Torre Annunziata rigettava
l'appello proposto dall'opponente avverso la predetta
decisione.
Per la cassazione di tale sentenza
ha proposto ricorso l'A. P.s.a.s., sulla base di quattro
motivi, chiedendo altresì la restituzione della somma
versata in esecuzione della sentenza di primo grado.
Il D.D. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la
ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 633 n.
3, 636 c.p.c e 2697 c.c., nonché la falsa applicazione
dell'art. 634 c.p.c., censura la sentenza impugnata
nella parte in cui ha disatteso il primo motivo di
appello, con cui si contestava la legittimità del
decreto ingiuntivo opposto, emesso per un credito
relativo a prestazioni professionali, nonostante la
mancata produzione della parcella corredata dal parere
dell'Ordine.
Con il secondo motivo la ricorrente
denuncia la violazione degli artt. 2702 e 2708 c.c.,
214, 215, 115, 116 e 345 c.p.c.. Deduce che il Tribunale
ha errato nel non attribuire al timbro "pagato" apposto
sulla fattura rilasciata dal D.D. valore probatorio
dell'avvenuto pagamento. Rileva che la fattura munita
dell'annotazione di pagamento debitamente sottoscritta
dall'opposto non è stata disconosciuta tempestivamente,
avendo il D.D. dedotto solo con la comparsa di
costituzione in appello che "il timbro con la dicitura
pagato era stato apposto successivamente ed
arbitrariamente dalla società debitrice". Deduce,
pertanto, che, dovendo la scrittura privata, ai sensi
dell’art. 215 n. 2 c.p.c., considerarsi come
riconosciuta, l'annotazione di pagamento debitamente
sottoscritta dal D.D. fa piena prova del pagamento della
fattura e, quindi, dell'estinzione del credito vantato
dall'opposto.
Con il terzo motivo l'A. P.s.a.s.
in liquidazione denuncia vizi di motivazione della
sentenza impugnata, sia nella parte in cui ha ritenuto
non provato il pagamento per il fatto che rassegno di
lire 2.000.000 era stato incassato dal D.D. sei mesi
prima dell'emissione della fattura, sia nella parte in
cui ha ravvisato una contraddittorietà tra le tesi
sostenute dall'opponente in relazione al versamento
della ritenuta d'acconto.
Con il quarto motivo, infine, la
ricorrente, dolendosi della violazione degli artt. 2315
e 2266 c.c. e della falsa applicazione dell'art. 214
c.p.c., nonché dell'insufficiente motivazione, censura
la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito
valore di riconoscimento del debito alla dichiarazione
resa da C.G., socio non legale rappresentante della A.
Planet.
2) Il primo motivo è fondato.
È noto che, in base al combinato
disposto degli artt. 633 e 636 c.p.c. la domanda
monitoria relativa a crediti per prestazioni
professionali deve essere accompagnata dalla parcella
delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione
del ricorrente e corredata dal parere della competente
associazione professionale.
Nel caso di specie, pertanto,
stante la mancata produzione di tale documentazione, il
decreto ingiuntivo non avrebbe potuto essere emesso.
Il Tribunale, nel disattendere le
doglianze mosse dall'appellante circa l'illegittimità
dell'emissione del decreto ingiuntivo, ha fatto
implicitamente proprie le argomentazioni svolte dal
giudice di pace, il quale, nel respingere l'opposizione,
aveva ritenuto idonea prova scritta, ai sensi dell'art.
634 c.p.c., la fattura e la copia autentica del registro
IVA. Ma è evidente che la norma da ultimo citata non può
trovare applicazione nella fattispecie in esame,
relativa a un credito per prestazioni professionali,
riferendosi alle diversa ipotesi dei crediti per
somministrazione di merci o di denaro ovvero per
prestazioni di servizi.
A torto, d'altro canto, il giudice
di appello ha ritenuto che la questione posta
dall'appellante doveva considerarsi "superata" dalla
"circostanza che il credito era esistente e
dall'ulteriore assunto dell'appellante secondo il quale
il menzionato credito era stato pagato per tempo". Gli
esposti rilievi, infatti, possono assumere valore solo
al fine della prova della sussistenza del credito nel
giudizio di merito instauratosi a seguito della
opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla A.
P.s.a.s. in liquidazione; ma non valgono a sopperire
alla mancanza di un titolo idoneo per la richiesta e la
concessione del provvedimento monitorio, ai sensi del
menzionato art. 636 c.p.c..
Va osservato, in proposito, che
l'opposizione a decreto ingiuntivo, anche quando è
proposta allo scopo di sostenere l'illegittimità del
ricorso alla procedura monitoria, instaura comunque un
giudizio di merito sul credito vantato e fatto valere
dal ricorrente con la richiesta - che assume veste di
domanda - del decreto di ingiunzione, ed il relativo
giudizio, anche quando il decreto sia revocato sul
presupposto che non poteva essere concesso, si conclude
con una pronuncia di merito sulla dedotta pretesa (Cass.
Sez. 2, 10-9-2009 n. 19560). Il giudice
dell'opposizione, pertanto, è investito del
potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere
con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e
l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente),
ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori
delle condizioni stabilite dalla legge per il
procedimento monitorio, e non può limitarsi ad accertare
e dichiarare la nullità del decreto emesso (Cass. Sez.
3, 12-5-2003 n. 7188; Sez. 2, 4-12-1997 n. 12311). Ciò
non toglie, peraltro, che, anche ove accerti la
sussistenza del credito azionato e accolga la domanda,
il giudice dell'opposizione, nel rilevare l'eventuale
mancanza delle condizioni che legittimavano l'emanazione
del decreto ingiuntivo, deve revocare tale
provvedimento, anche in considerazione dell'incidenza di
tale statuizione sulla regolamentazione delle spese
della fase monitoria, che nell'ipotesi considerata non
possono essere poste a carico dell'opponente.
2) Anche il secondo motivo è
meritevole di accoglimento.
Giova rammentare che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, il rilascio della
quietanza non richiede forme particolari, sicché essa
può essere contenuta anche nella fattura che il
creditore invii al proprio debitore in ottemperanza alle
norme fiscali e risultare da qualsiasi, non equivoca
attestazione dell'adempimento dell'obbligazione, come
l'annotazione "pagato" o altra equivalente, apposta
sulla fattura, che riveli sia l'ammontare della somma
pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è
avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta
dal soggetto da cui essa proviene, solo in tal modo
potendo rivestire l'efficacia probatoria privilegiata
propria della scrittura privata, a norma dell'art. 2702
c.c. (Cass. Sez. 2, 26-5-1993 n. 5919; Cass. Sez. 3,
31-7-2006 n. 17454).
Contrariamente a quanto ritenuto
dal Tribunale, d'altro canto, non si richiede affatto
che la dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura
sia autografa; sicché la stessa può essere costituita,
come nella specie, anche da un timbro dattiloscritto con
la dicitura "pagato". Affinché un documento possa
assumere forza di scrittura privata, infatti, è
necessaria l'autografia della sottoscrizione; mentre non
è affatto richiesta l'autografia del testo, che può
anche essere stampato, dattiloscritto o scritto a penna
da terzi.
Tanto premesso, si osserva che in
motivazione il Tribunale ha dato atto che la firma
apposta dal D.D. nella fattura in questione non è stata
disconosciuta dall'opposto; con la conseguenza che tale
firma, a norma dell'art. 215 n. 2. c.p.c., deve aversi
per riconosciuta.
È noto che il riconoscimento
tacito, ex art. 215 c.p.c., della scrittura privata
prodotta in giudizio, attribuisce a tale scrittura,
secondo il disposto dell'art. 2702 c.c., valore di piena
prova, fino a querela di falso, della provenienza della
dichiarazione dal sottoscrittore. Ne consegue che, in
mancanza di proposizione di querela di falso, il
Tribunale non poteva negare la provenienza dal D.D.
della dichiarazione di avvenuto pagamento risultante dal
timbro "pagato" apposta nella fattura, avendo l'odierno
resistente, con la sottoscrizione, assunto la paternità
dell'intero testo del documento, comprensivo della
predetta annotazione. Una simile assunzione di paternità
non potrebbe di certo essere negata in base al rilievo,
contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui "la
sigla non disconosciuta apposta dall'appellato è
riportata in una parte della fattura deputata solo a
raccogliere la firma e non anche a quietanzare la
fattura". Non è possibile, infatti, scindere il
contenuto di una scrittura privata sottoscritta, al fine
di attribuire efficacia probatoria privilegiata solo ad
una parte di esso.
Il Tribunale, pertanto,
nell'ipotizzare che il timbro "pagato" potrebbe essere
stato apposto successivamente e non in presenza del
D.D., è incorso in una palese violazione di legge, non
avendo tenuto conto dell'efficacia probatoria
privilegiata attribuita dal citato art. 2702 c.c. alla
scrittura privata riconosciuta o da ritenersi legalmente
riconosciuta in base all'art. 215 c.p.c. Ove, infatti,
avesse voluto sostenere che al documento da lui
sottoscritto era stato aggiunto da terzi, abusivamente,
il timbro "pagato", l'odierno resistente avrebbe dovuto
impugnare il documento con querela di falso.
In mancanza, il giudice di merito
non poteva esimersi dal ritenere la sussistenza della
"piena prova" della provenienza della dichiarazione dal
D.D. e, quindi, considerare vero, per prova "legale" -
come tale non soggetta a valutazione discrezionale -,
che il creditore aveva dichiarato, nei confronti della
debitrice, di avere ricevuto l'importo della fattura;
per poi passare a valutare, sul piano sostanziale, gli
effetti derivanti da tale ammissione, di natura
palesemente confessoria.
4) Per le ragioni esposte, in
relazione ai primi due motivi di ricorso, s'impone la
cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altro
giudice del Tribunale di Annunziata, il quale, nel
procedere a nuovo giudizio, dovrà attenersi ai principi
di diritto innanzi enunciati. Il giudice del rinvio
provvederà anche alla regolamentazione delle spese del
presente giudizio di legittimità.
Gli ulteriori motivi di ricorso
restano assorbiti.
5) Nessuna pronuncia va adottata in
ordine alla richiesta del ricorrente di restituzione
della somma versata in esecuzione della sentenza di
primo grado, trattandosi di domanda che, ai sensi
dell'art. 389 c.p.c., va proposta al giudice di rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il
secondo motivo, assorbiti gli altri, cassa in relazione
ai motivi accolti e rinvia per nuovo giudizio ad altro
giudice del Tribunale di Torre Annunziata, anche per le
spese del presente grado. |