2011 (Doc. LVII n. 4)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca la discussione del Documento di economia e finanza
2011.
Avverto che lo schema recante la
ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al
resoconto
stenografico della seduta del 19
aprile 2011.
Ricordo che il procedimento si
svolgerà secondo le modalità previste dall'articolo
118-bis del
Regolamento, in base a quanto
stabilito nel parere della Giunta per il Regolamento del
14 luglio
2010, parere il cui impianto
risulta tuttora compatibile con le nuove procedure
introdotte dalla legge
7 aprile 2011, n. 39, che ha da
ultimo apportato modifiche alla legge di contabilità e
finanza
pubblica n. 196 del 2009.
In particolare, ai sensi del comma
2 dello stesso articolo 118-bis, le risoluzioni riferite
al
Documento di economia e finanza
devono essere presentate nel corso della discussione.
Il tempo complessivo per i relatori
di minoranza, pari a 20 minuti, è stato ripartito per
metà in parti
uguali e per metà in proporzione
alla consistenza dei gruppi di appartenenza, al fine di
consentire a
tutti i relatori di minoranza un
tempo minimo congruo per l'illustrazione delle proprie
posizioni.
Pertanto i tempi a disposizione dei
relatori di minoranza risultano i seguenti: Baretta: 11
minuti;
Ciccanti: 5 minuti; Borghesi: 4
minuti.
(Discussione - Doc. LVII, n. 4)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la
discussione.
Ha facoltà di parlare il
rappresentante del Governo.
LUIGI CASERO, Sottosegretario di
Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il
Governo si riserva di intervenire
al termine della discussione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare
il relatore per la maggioranza, onorevole Toccafondi.
GABRIELE TOCCAFONDI, Relatore per
la maggioranza. Signor Presidente, rappresentante del
Governo, onorevoli colleghi, il
Documento oggi all'esame dell'Aula rappresenta il primo
atto del
nuovo ciclo di programmazione
economica e finanziaria delineato in attuazione del
cosiddetto
semestre europeo dalla legge n. 39
del 2011 di modifica della legge di contabilità e
finanza
pubblica.
A seguito delle modifiche
introdotte dalla disciplina di bilancio, il Documento di
economia e
finanza diviene così il principale
strumento della programmazione economico-finanziaria e
comprende lo schema del Programma
di stabilità e lo schema del Programma nazionale di
riforma. I
contenuti specifici del Documento
sono articolati in tre sezioni.
La prima espone lo schema del
Programma di stabilità che contiene tutti gli elementi e
le
informazioni richieste dai
regolamenti dell'Unione europea con specifico
riferimento agli obiettivi
da conseguire per accelerare la
riduzione del debito pubblico. La seconda parte contiene
una
sezione di dati e informazioni
volte a individuare regole generali sull'evoluzione
della spesa delle
amministrazioni pubbliche in linea
con l'esigenza, evidenziata in sede europea, di
individuare forme
efficaci di controllo
dell'andamento della spesa pubblica.
La terza sezione reca, infine, lo
schema del cosiddetto PNR, ovvero Programma nazionale di
riforma, che costituisce la più
rilevante novità del Documento di economia e finanza. È
questo un
documento strategico che definisce
gli interventi da adottare per il raggiungimento degli
obiettivi
nazionali di crescita,
produttività, occupazione e sostenibilità delineati
nella nuova «Strategia
europea 2020».
In tale ambito sono indicati lo
stato di avanzamento delle riforme avviate, le priorità
del Paese con
le principali riforme da attuare,
gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di
natura
macroeconomica che incidono sulla
competitività, i prevedibili effetti delle riforme
proposte in
termini di crescita dell'economia,
di rafforzamento della competitività del sistema
economico e di
aumento dell'occupazione.
Come si può comprendere, le nuove
regole del semestre europeo sono decisamente modificate.
Il
punto centrale resta sempre il
debito da abbattere, ma i controlli e le azioni per
analizzarlo,
controllarlo o diminuirlo, sono
modificate. La crisi internazionale, che ha colpito
anche l'Europa, ci
ha insegnato che le vecchie regole,
le analisi e le forme di controllo adottate, non sono
state di aiuto
per comprendere cosa stava
accadendo, soprattutto ad alcuni Paesi europei.
Cambiano le regole, quindi,
diventano più stringenti, ma il semestre europeo non
deve risolversi in
un mero adeguamento procedurale, ma
incidere anche sui contenuti del dibattito politico,
favorendo
l'adozione di quelle decisioni,
talvolta non facili, ma alle quali è legato il futuro
del Paese.
Nessuna regola potrà mai essere
imposta totalmente. Le riforme devono essere condivise e
deve
essere compresa l'utilità
soprattutto per le generazioni future, perché quello che
la crisi ci ha
insegnato è che occorrono riforme
strutturali per affrontare i problemi e, in particolare,
la riduzione
del debito pubblico nazionale.
Assume al riguardo particolare rilevanza il Programma
nazionale di
riforma quale strumento attuativo
della nuova strategia europea.
Attraverso il PNR l'Unione europea
intende sollecitare, promuovere e facilitare
l'attuazione di
determinati interventi nei singoli
Stati membri, senza peraltro sostituirsi in alcun modo
ai Governi e
ai Parlamenti nazionali. È bene,
innanzitutto, sottolineare come gli obiettivi della
strategia europea
coincidano pienamente con le
priorità nazionali in materia di politica economica. Ciò
vale, in
particolare, per le riforme
strutturali volte ad accrescere la competitività e la
produzione del sistema
Italia.
Il Programma nazionale di riforma
rappresenta, quindi, un'importante occasione per avviare
una
discussione pubblica a partire
dalle sedi parlamentari, ma con l'obiettivo di
coinvolgere le forze
economiche e sociali e
sensibilizzare i cittadini sulle riforme necessarie a
promuovere la crescita
economica nella misura necessaria
ad assicurare la stabilità dei conti pubblici.
Il coinvolgimento dell'opinione
pubblica appare necessaria al fine di superare quelle
resistenze che,
va riconosciuto, hanno sino ad oggi
ostacolato l'approvazione di una serie di riforme di
carattere
strutturale di cui pure il Paese ha
estremamente bisogno.
L'Italia inoltre ha tutto
l'interesse a sollecitare l'Unione europea a procedere
nella direzione
suddetta. L'Italia ha bisogno di
riforme strutturali, ma è anche interessata a che gli
altri Paesi
membri facciano la propria parte
per trarne i relativi benefici. Tornando al Documento di
economia
e finanza, segnalo in primo luogo
che la prima sezione del Documento dà conto
dell'andamento
dell'economia mondiale, che
nell'ultimo scorcio del 2010 ha registrato un
rallentamento della
crescita; nel 2011 dovrebbe invece
riscontrarsi una crescita economica globale del 4 per
cento ed
un'espansione del commercio
mondiale pari al 7,1 per cento. Per quanto riguarda
l'economia
italiana, il Documento registra gli
effetti delle incertezze che caratterizzano le
prospettive
economiche mondiali, determinate
dal difficile contesto internazionale e dall'esaurirsi
delle
politiche di stimolo fiscale e
monetario che hanno caratterizzato il trascorso biennio.
In questo
contesto, rivedendo in senso
prudenziale le stime contenute nella Decisione di
finanza pubblica per
gli anni 2011-2013, il Documento
prevede una crescita del PIL dell'1,1 per cento per il
2011,
dell'1,3 per cento per il 2012,
dell'1,5 per cento per il 2013 e per il 2014 è prevista
una crescita
dell'1,6 per cento.
Per quanto concerne i risultati del
2010, il Documento evidenzia come l'economia italiana
sia
cresciuta dell'1,3 per cento, ad un
tasso analogo a quello registrato da altri Paesi
europei,
leggermente superiore a quanto
stimato nella Decisione di finanza pubblica presentata a
settembre
2010. In particolare, nel 2012,
come richiesto dalla Commissione europea per la chiusura
della
procedura per il disavanzo
eccessivo aperta contro l'Italia nel 2009, il saldo
strutturale scenderà
sotto la soglia del 3 per cento,
attestandosi intorno al 2,2 per cento. Per quanto
riguarda il debito
pubblico, il Documento prevede che
nell'anno in corso il rapporto tra debito e PIL passi al
120 per
cento per poi iniziare un
progressivo calo, arrivando nel 2014 ad una previsione
debito, PIL pari al
112,8 per cento.
Nel loro complesso, le indicazioni
contenute nel Documento in ordine alle previsioni di
finanza
pubblica confermano l'opportunità
degli orientamenti assunti in questi anni dal Governo,
che ha
portato avanti con coerenza una
politica volta ad assicurare la stabilità e la solidità
dei bilanci
pubblici, che costituisce
presupposto imprescindibile per una crescita duratura ed
equa. Nel nostro
Paese fra debito e crescita si
confonde spesso la causa con l'effetto. C'è l'idea che
non cresciamo e
quindi non ci sono avanzi per
diminuire il debito. Forse la questione sta esattamente
all'opposto:
abbiamo un debito che non ci
consente di crescere. Quindi mettere i conti in ordine è
coerente
affinché la crescita sia reale e
duratura, altrimenti il rischio è quello di crescere ma
solo per pagare
più interessi sul debito pubblico.
Venendo al Programma nazionale di
riforma contenuto nel Documento, ricordo che in vista
dell'avvio del semestre europeo del
gennaio 2011, l'Italia ha già presentato lo scorso
autunno, come
stabilito per ciascuno Stato membro
dalla Commissione europea per la fase transitoria, un
progetto
preliminare di Programma nazionale
di riforma, in merito al quale la Commissione bilancio
si è
espressa con una risoluzione votata
all'unanimità. Tale risoluzione indicava alcune
questioni
ritenute essenziali, ovvero quella
meridionale, quella fiscale, quella nucleare e quella
legale, per
favorire la crescita senza
incrementare il disavanzo e nel rispetto dei vincoli di
riduzione del debito
pubblico. Sono riforme, quelle
contenute nel Programma nazionale di riforma, che
consentono la
crescita. Crescita rappresenta la
parola d'ordine di ogni intervento sul tema economico
che riguarda
il nostro Paese, ma occorre anche
dire che la parola crescita deve necessariamente avere
bisogno di
risorse.
Il bilancio pubblico può costituire
la base per giusti interventi pubblici riferiti alla
crescita solo nei
limiti in cui l'economia reale crea
un'effettiva disponibilità di risorse. I dati economici
e finanziari
del nostro Paese, soprattutto negli
ultimi anni, ci dicono che la situazione economica non
consente
l'espansione degli interventi
pubblici, ma che è sempre più urgente abbattere il
debito pubblico, vera
e propria zavorra per il Paese e la
sua economia. Per decenni abbiamo speso più delle nostre
possibilità, con effetti negativi
che stiamo pagando tuttora.
La ricchezza, prima di essere
distribuita, va creata. La redistribuzione di ciò che
non c'è, ci fa
sicuramente sentire più uguali, ma
nel senso di più poveri, non creando per questo le
maggiori
eguaglianze che il nostro Paese
vuole raggiungere. Conclusivamente, ritengo che il
Documento al
nostro esame - pur essendo il primo
redatto nella vigenza delle nuove regole nazionali ed
europee -
abbia ben interpretato lo spirito
del semestre europeo e consentirà all'Italia di
presentarsi con stime
e riforme credibili, destinate ad
essere implementate nei prossimi anni, ma che potranno
sicuramente essere oggetto di
positiva valutazione da parte dell'istituzione europea e
degli Stati
membri.
Come emerso anche nel corso delle
audizioni svoltesi in Commissione, le previsioni
contenute nel
Documento di economia e finanza
sono state stilate secondo criteri estremamente
prudenziali,
garantendo in tal modo la
credibilità del nostro Paese nei contesti europei e nei
mercati
internazionali. Le problematiche
individuate nel Documento e le riforme indicate per
farvi fronte
sono il frutto di un'analisi che
largamente coincide con i documenti approvati
unanimemente dalla
Commissione bilancio in questi
mesi. Mi auguro che lo spirito di collaborazione possa
proseguire
perché è opinione di tutti che
l'Italia abbia assoluto bisogno di riforme strutturali e
che le riforme si
fanno insieme (Applausi dei
deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord
Padania).
Signor Presidente, chiedo che la
Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al
resoconto della
seduta odierna del testo integrale
del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Toccafondi,
la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri
costantemente seguiti. Ha facoltà
di parlare il relatore di minoranza, onorevole Baretta.
PIER PAOLO BARETTA, Relatore di
minoranza. Signor Presidente, la discussione di oggi
avrebbe meritato una ben maggiore
attenzione da parte della Camera dei deputati e
dell'opinione
pubblica. Le scelte che stiamo per
compiere potranno segnare le prospettive economiche e
sociali
del nostro Paese alla luce della
nuova governance europea oltre l'attuale negativa
congiuntura. Il
punto di partenza deve essere
l'affermarsi di una cultura economica che prenda
coscienza del fatto
che misure di stabilizzazione
necessarie e coraggiose non raggiungeranno l'obiettivo
inderogabile
del risanamento della finanza
pubblica senza una robusta crescita economica che
favorisca
condizioni generali di benessere
materiale, di progresso civile, di equità sociale e di
riequilibrio
territoriale.
È l'assenza di questa prospettiva
la critica principale che rivolgiamo al Documento di
economia e
finanza, che peraltro non poteva
che essere costruito così, essendo dall'inizio della
legislatura - sono
passati ormai tre anni ed un
bilancio si impone - che il Governo traccheggia tra un
risanamento
incompiuto ed crescita non
perseguita. Si tratta di un buco strategico derivato dal
confronto tra la
durezza della situazione economica
e sociale che la crisi ha esasperato e, da un lato,
l'illusione ottica
del «tutto va bene» dispensata
dalla propaganda del Premier e, dall'altro, l'evidente e
rassegnato
pessimismo del Ministro Tremonti
sulla possibilità dell'Europa, e ancor più dell'Italia,
di competere
nel nuovo scenario globale.
L'esito è un imprevisto quanto
tardivo realismo. Il programma di stabilità rivede al
ribasso le
valutazioni contenute nel
precedente Documento di finanza pubblica. Si mantiene
per tutto il
periodo ampiamente al di sotto
della crescita del 2 per cento prevista allora. Come
rilevato anche
dalla Corte dei conti, il debito
pubblico è pari al 120 per cento del PIL nel 2011 e
scende al 119 per
cento nel 2012. L'indebitamento è
al 3,9 per cento nel 2011 e al 2,7 per cento nel 2012.
La pressione
fiscale è francamente eccessiva, il
42,6 per cento, e si aggiunge un'ulteriore forte caduta
degli
investimenti pubblici, 28 miliardi
rispetto ai 32 del 2010. In questo quadro, il Governo
ineffabilmente prevede di rinviare
al biennio 2013-2014 ovvero, sia detto neanche tanto per
inciso,
alla prossima legislatura, l'onere
di una massiccia manovra di circa 2 o 3 punti di PIL,
pari a 20,3
miliardi di euro nel 2013 e 40
miliardi nel 2014.
Si tratta di un aggiustamento che
si profila di gran lunga superiore a quello compiuto per
rispettare i
parametri di Maastricht e per poter
partecipare fin dall'inizio alla moneta unica europea,
mentre per
il prossimo biennio 2011-2012 ci si
affida all'andamento spontaneo dell'economia e della
finanza,
non essendo previsti stimoli alla
crescita, nuove misure strutturali di riforma,
interventi di
contenimento del disavanzo né
azioni di riqualificazione della spesa. Il Governo
prevede però,
senza fornire indicazioni precise,
tagli alla spesa dall'1 al 2 per cento l'anno. Nel
complesso, tra il
2010 e il 2014 la spesa primaria
corrente si ridurrebbe, in termini reali, di quasi il 7
per cento. C'è
da chiedersi se sarà possibile
raggiungere questi obiettivi e se non bisognerà
prevedere un negoziato
con la Commissione europea per una
diversa modulazione degli obiettivi. Se dunque la
variabile
principale ai fini della stabilità
finanziaria è la crescita, il Programma nazionale di
riforma appare lo
specchio dei limiti e
dell'inefficacia della politica del Governo. Il PNR
infatti solo in parte fa
programmi o disegna riforme future,
piuttosto ripropone azioni già intraprese attribuendogli
meriti
che non abbiamo visto. Per il
resto, solo obiettivi modestissimi che non recuperano il
gap con
l'Europa anzi, come ha rilevato
l'ISTAT, con queste scelte nel 2020 diventeremo il
fanalino di coda
della Comunità.
Non intendo, signor Presidente,
entrare più di tanto nel merito dei punti del Documento,
rinviando
alla lettura della relazione
scritta consegnata e alla risoluzione che abbiamo
presentato e sulla quale
chiediamo il voto delle Camere, ma
voglio esprimermi brevemente accennando alcuni titoli,
in
primo luogo il fisco. Alla politica
fiscale viene dedicato uno spazio ampio ma vuoto,
l'ennesima
promessa di una riforma si sgonfia,
di fronte all'assenza di scelte concrete, al peso del
debito
pubblico. Abbiamo già notato
l'eccesso di carico fiscale e bisogna ben passare dalle
parole ai fatti.
La priorità va data all'impresa e
al lavoro, soprattutto rispetto alla rendita,
recuperando i contenuti
della mozione a prima firma
Bersani. che la Camera ha approvato.
Servirebbe invece avere anche un
moderno sistema di ammortizzatori sociali di tutela
universali, di
cui godere indipendentemente dal
settore, dalla dimensione di impresa e dalla tipologia
contrattuale.
Del tutto inaccettabile è l'assenza
di un piano concreto di contrasto alla povertà. Il DEF
insomma
richiama esplicitamente anche il
legame fra infrastrutture e sviluppo, ma prevede un
risparmio di
circa 15 miliardi di euro nel 2014,
quando è proprio l'Europa a raccomandare di perseguire
il
risanamento dei conti pubblici
senza penalizzare gli investimenti nelle infrastrutture.
L'energia è
uno dei punti in cui meglio è
rappresentata l'assenza di una strategia compiuta. Solo
pochi mesi fa
nel precedente Programma nazionale
di riforma il Governo affidava ogni prospettiva di
crescita alla
sola energia nucleare. Dopo il
disastro giapponese saggiamente ha annullato anche gli
studi e non
sarà facile, checché ne pensi
Berlusconi, riprendere il tema in tempi brevi.
Sennonché, mentre
rinunciava al nucleare, il Governo
tagliava gli incentivi alle rinnovabili, oggi dunque non
c'è un
piano energetico.
Per quanto riguarda la
competitività, il Programma nazionale di riforma la
affronta indirettamente
solo nella sezione lavoro,
attraverso l'obiettivo di rafforzare il legame fra
salari reali e produttività,
questione importante ma non
esaustiva. Innovazione tecnologica ed impiantistica,
politiche
commerciali sostenute dal Governo,
credito propulsivo e politiche territoriali
costituiscono
altrettanti fattori di sviluppo ed
è necessario che la politica industriale torni ad essere
una delle
componenti della più generale
strategia di politica economica dell'Italia. A fronte di
queste
ambizioni, appare estremamente
deludente in materia di ricerca e innovazione
l'obiettivo fissato dal
PNR per il 2020.
Il PNR afferma che la volontà di
modernizzare la scuola e l'università, ma ciò contrasta
nettamente
con le riduzioni di risorse
effettuate. È clamoroso il fatto che gli obiettivi di
crescita su questi
argomenti sono, al 2020, gli ultimi
in Europa. Nessuno specifico progetto per il settore
primario,
mentre non è più rinviabile
l'individuazione di misure strategiche per
l'agroalimentare. Anche
l'obiettivo della riduzione dei
divari regionali è in sé condivisibile, tuttavia
l'analisi non è
convincente perché la retorica
delle due economie con andamenti differenti non
considera che il
problema della crescita italiana
riguarda sia il Nord che il Sud.
È pur vero, però, che va data da
subito al Mezzogiorno una priorità che oggi non è
prevista. Il
Documento di economia e finanza
profila anche l'ennesima riforma della pubblica
amministrazione,
certamente strategica, soprattutto
se il Governo non si limitasse ad annunciarla, ma la
realizzasse
davvero. Come abbiamo già detto, a
tre anni dall'inizio della legislatura è tempo di trarre
bilanci,
anziché annunciare sempre nuovi ed
altri interventi. Ad esempio, le misure per la
semplificazione
degli adempimenti amministrativi
non sono state realizzate. Si pensi al trasferimento
sulla rete
Internet dello sportello unico per
le imprese o alle fantomatiche «zone a burocrazia zero»,
mentre
per le imprese, come ha ricordato
Confindustria, la semplificazione degli adempimenti
amministrativi è essenziale.
Infine, fondamentale per la
competitività è anche la riforma del processo civile.
Signor Presidente,
questo è solo un elenco,
necessariamente incompleto, ma sufficiente a dimostrare,
in definitiva,
come l'impulso espansivo del
programma di riforme fin qui attuato sia, per stessa
ammissione del
Documento di economia e finanza,
molto modesto, non sufficiente a condurre la crescita in
prossimità di quel 2 per cento
necessario a conciliare l'obiettivo di ridurre
l'indebitamento e il debito
pubblico.
Per questi motivi il nostro parere
sulla manovra economica è negativo e abbiamo ritenuto
necessario
presentare la nostra risoluzione.
Ciò che è necessario, dunque, è un cambio di strategia.
Per
contribuirvi, il Partito
Democratico ha elaborato un proprio Programma nazionale
di riforma, che,
nel pieno rispetto delle regole,
raggiunga gli obiettivi di equità e di efficienza nel
quadro di una
politica economica europea per il
sostegno alla domanda interna. Non bisogna rassegnarsi
al declino
annunciato: le difficoltà possono
essere affrontate. L'Italia è tuttora uno dei grandi
Paesi del mondo,
con risorse naturali, artistiche,
produttive e logistiche che le permettono di ambire ad
un ruolo da
protagonista nel mutato e complesso
panorama globale (Applausi dei deputati del gruppo
Partito
Democratico).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare
il relatore di minoranza, onorevole Ciccanti.
AMEDEO CICCANTI, Relatore di
minoranza. Signor Presidente, signor sottosegretario,
onorevoli
colleghi, questo Documento di
economia e finanza è una novità che si inserisce in quel
pacchetto di
riforme che va sotto il nome di
Patto per l'euro, approvato dal Consiglio europeo per un
maggior
controllo sulla sostenibilità dei
saldi di bilancio e il debito dei Paesi membri, al fine
di minimizzare
i rischi di nuove crisi
finanziarie.
Si inizia il 2011 con una procedura
di controllo preventivo detta «semestre europeo», dove
sono
indicati due riferimenti
importanti: il Programma di stabilità e il Piano
nazionale di riforma, di cui
stiamo discutendo oggi. Il
Programma di stabilità ha due obiettivi principali
nell'indicare la strategia
di riequilibrio dei conti pubblici.
Il primo è la correzione del disavanzo: nel 2010 è sceso
del 4,6 per
cento del PIL, ma nel triennio
2011-2014 deve scendere al pareggio sostanziale, ossia
deve scendere
di 4,6 punti. Tale obiettivo viene
perseguito in due fasi: nel biennio 2011-2012 attraverso
le misure
inerziali definite negli anni
precedenti, da ultimo con la manovra estiva del
decreto-legge n. 78 del
2010, con una previsione di
crescita del PIL dell'1 per cento, la metà della media
europea, il più
basso dell'Eurozona; nel biennio
2013-2014, con una manovra strutturale aggiuntiva di ben
40
miliardi, pari a 2 punti di PIL.
Per l'intero arco di tempo non sono
indicati gli effetti depressivi dei tagli di spese
lineari, ossia
come incideranno sulla riduzione
dei consumi interni, con determinazione di una bassa
crescita. Il
secondo obiettivo di riequilibrio
contabile è quello del rientro del debito pubblico, come
è stato
detto. Il Patto per l'euro prevede
l'indicizzazione della formula del Trattato di
Maastricht, laddove si
parla di rientro ad un ritmo
adeguato. Tale ritmo, dal 2015, sarà pesato come un
ventesimo del
debito eccedente il 60 per cento
per ogni anno, in un arco di tempo di dieci anni.
Tradotto in euro,
significa che dal 2015 l'Italia
dovrà fare manovre da 3-4 punti di PIL per ogni anno,
ossia 30-40
miliardi l'anno. Se non adempie, il
nostro Paese sarà sanzionato con multe che variano da 4
a 7
miliardi di euro l'anno. Vi sono
due azioni da compiere immediatamente con questo
Documento di
economia e finanza: una è
predisporre ulteriori misure di contenimento del
disavanzo, agendo sulla
spesa strutturale primaria,
migliorando così il saldo primario.
La seconda è migliorare la crescita
per migliorare non solo i fondamentali della ricchezza
nazionale,
ma anche per migliorare il rapporto
con il disavanzo e il debito. In questo Documento di
economia e
finanza non si fa nessuna delle due
azioni.
Secondo la Corte dei conti, non
quindi l'opposizione, la riduzione del disavanzo si
ottiene con un
alto livello di pressione fiscale,
nel 2010 addirittura del 42,6 per cento, e una forte
caduta degli
investimenti rispetto al livello
minimo del 2010, dovuto soprattutto al blocco delle
spese in conto
capitale che nelle amministrazioni
pubbliche sono scese di ben il 18 per cento. Quindi, non
una
riduzione del disavanzo di tipo
strutturale, ma temporanea e congiunturale. Lo dimostra
l'aumento
del debito pubblico cresciuto al
119 per cento nel 2010 e si prevede il 120 per cento nel
2011.
Arriviamo agli appuntamenti europei
non solo impreparati, ma completamente fuori linea. Due
sono
le considerazioni. Una è che questo
Governo non è capace di riformare la spesa pubblica
secondo
criteri selettivi e ci si affida
alla ragioneria anziché alla politica. La seconda è che
sono
probabilmente dei furbi perché non
si fanno scelte impopolari verso la base elettorale che
li ha
eletti, che li sostiene,
preoccupandosi più dei voti che dell'Italia, rinviando
così quella cura da
cavallo a dopo le elezioni del
2013. In tutti e due i casi si dimostra di non avere una
cultura di
Governo e di pensare solo alle
fortune personali.
Il Documento di economia e finanza,
oltre a focalizzare gli squilibri di bilancio, si
preoccupa della
crescita dei Paesi europei secondo
la strategia di Lisbona 2020. Tale strategia è
verificata attraverso
un Programma nazionale di riforma
di cui, ovviamente, si deve misurare l'impatto economico
e
finanziario nel Documento di
economia e finanza.
PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la
prego di concludere.
AMEDEO CICCANTI, Relatore di
minoranza. Niente di tutto questo viene fatto.
Dice la Corte dei conti, non
l'opposizione, a pagina 10 dell'audizione del 20 aprile
scorso: «il piano
nazionale per le riforme appare uno
specchio dei limiti e delle lentezze che si frappongono
ad una
effettiva e duratura ripresa delle
politiche di sviluppo».
La Confindustria però è andata
oltre. Di fronte a questo scenario, dove tutti corrono e
noi
camminiamo, la Confindustria ha
messo due dita negli occhi del Governo.
PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la
prego di concludere.
AMEDEO CICCANTI, Relatore di
minoranza. Vado a terminare, signor Presidente, mi dia
un
minuto soltanto per concludere.
PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, i
tempi questa mattina sono particolarmente stretti,
quindi
concluda.
AMEDEO CICCANTI, Relatore di
minoranza. Concludo, signor Presidente.
È la Confindustria stessa a dirvi
che vi è in un silenzio sulla riforma del sistema
giudiziario,
un'inconsistenza degli interventi
in materia di infrastrutture e trasporti e esprime,
sostanzialmente,
un giudizio negativo in
prospettiva. Si va avanti guardando indietro. Questo vi
dice la
Confindustria, non certo
l'opposizione. Perciò è stata un'occasione mancata.
Signor Presidente, chiedo che la
Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al
resoconto della
seduta odierna del testo integrale
del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la
Presidenza lo consente, sulla base dei criteri
costantemente
seguiti.
Ha facoltà di parlare il relatore
di minoranza, onorevole Borghesi, per quattro minuti.
ANTONIO BORGHESI, Relatore di
minoranza. Signor Presidente, il gruppo Italia dei
Valori
giudica questo Documento carente,
non sufficiente, poco trasparente, poco chiaro e, per
certi versi,
anche «misterioso».
Questo lo vediamo quando passiamo
ad esaminare il Programma nazionale di riforma che
dovrebbe
contenere le intenzioni del
Governo. Si parla di interventi per favorire l'energia,
ma dopo il «trucco»
del referendum sul nucleare si
dovrebbe scrivere molto di più di quanto è stato
scritto.
Questo è un Governo che, in questi
tre anni, sul piano delle ristrutturazioni
dell'edilizia, di cui parla
come elemento per muovere
l'economia, è in realtà andato al contrario, perché ha
ridotto da dieci a
cinque anni il tempo di detrazione
degli interventi infrastrutturali fatti nelle abitazioni
per il
risparmio energetico. Ha tentato di
togliere il 55 per cento degli interventi per il
risparmio
dell'energia e non vi è riuscito
solo perché l'opposizione ha protestato fortemente. Dice
che vuole
lavorare sulle infrastrutture, ma
dopo dieci anni... dieci anni di legge obiettivo solo il
20 per cento
dei lotti è stato completato e il
55 per cento delle opere contenute nella legge obiettivo
non è stato
mai neppure iniziato. La riforma
fiscale, dice che faranno la riforma fiscale. È
l'ennesimo annuncio,
l'hanno già fatto nel 1994, nel
2003, lo rifanno oggi e non lo hanno mai assolutamente
portato in
fondo. Per cui è un oggetto
misterioso. Non vi è scritto dove vanno a prendere i
soldi per farla e vi è
una pressione fiscale che, invece,
viene data addirittura in aumento rispetto a quella
attuale.
È chiaro ed evidente che il
documento è carente: la Banca d'Italia dice che ci
vogliono 35 miliardi
di euro per rispettare il progetto
e il raggiungimento dell'obiettivo; la Corte dei conti
parla di 40
miliardi; Tremonti ha continuamente
negato che ci fosse bisogno di una manovra aggiuntiva,
salvo
finalmente riconoscerla, poche
decine di giorni fa, dicendo però che è una manovra più
bassa e che
si farà dopo le elezioni.
E già si parla di «manovra lacrime
e sangue». Non c'è dubbio che se la farà Tremonti sarà
una
«manovra lacrime e sangue», perché
a pagare saranno sempre i soliti. L'Italia dei Valori,
all'interno
di questo documento, prevede invece
una manovra senza lacrime, ma con sangue, il sangue di
coloro che non hanno mai pagato le
tasse in questi anni, con un contributo di solidarietà
nazionale
da parte di quelli che hanno
portato soldi all'estero e poi li hanno reimportati
senza pagare, una
manovra per prevedere altre ipotesi
di questo tipo (ad esempio, noi pensiamo all'intervento
sulle
rendite speculative, per una
tassazione diversa da quella attuale). Ma, naturalmente,
non
dimentichiamo che vi sono altre
strade, perché non siano lacrime per i normali
cittadini: lo
smobilizzo di un patrimonio
pubblico di 700 miliardi di euro, la cessione dei
crediti rappresentati da
300 miliardi di cartelle
esattoriali non pagate (300 miliardi di euro!)...
PRESIDENTE. La prego di concludere,
onorevole Borghesi.
ANTONIO BORGHESI, Relatore di
minoranza. ...per non dimenticare - e concludo, signor
Presidente - interventi per i costi
e gli sprechi della politica, a partire dall'abolizione
delle province -
che noi continuiamo a suggerire -,
dal blocco delle auto blu, dall'abolizione dei 25 mila
posti di
amministratori e delle 7 mila
società a partecipazione degli enti locali.
Sono tutti interventi che si
possono realizzare e che non rappresenterebbero lacrime
per i cittadini,
forse un po' di sangue in più per
chi non ha mai pagato le tasse (Applausi dei deputati
del gruppo
Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Sono così conclusi gli
interventi dei relatori.
È iscritto a parlare l'onorevole
Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente,
mi rivolgo ai colleghi e in particolare al
sottosegretario
Casero, rilevando che sarebbe stata
importante la presenza stamani del Ministro
dell'economia e
delle finanze.
Viene, infatti, da fare una
riflessione immediata, guardando il Documento di
economia e finanza
2011. Ma, davvero, onorevole
relatore Toccafondi, questo è un documento di
programmazione
economico-finanziaria? Lei ne ha
illustrato i pregi. Io penso che si faccia una grande
fatica a
coglierli. Se ci si impegna un po'
a confrontare questo PNR con quelli degli altri Paesi,
non si può
non avere un moto di vergogna. Si
continua a rappresentare un quadro ottimistico della
situazione
italiana e del suo futuro, ma la
realtà è molto diversa ed è caratterizzata, purtroppo,
da eccezionale
gravità.
Per rientrare nei vincoli europei -
ne ha fatto cenno prima il relatore di minoranza
Ciccanti - si
dovrebbero realizzare manovre di
riduzione del debito, pari a circa 40 miliardi di euro
all'anno per
venti anni, entro il 2014 si deve
predisporre una manovra di pari importo per ridurre il
deficit e
realizzare il pareggio di bilancio
e tutto ciò mentre la crescita è stagnante, aumenta la
disoccupazione, specialmente quella
giovanile, assieme al divario fra nord e sud.
Il Governo, invece di chiamare ad
una comune assunzione di responsabilità e lanciare un
forte piano
di riforme per sostenere la
crescita, sceglie di galleggiare e rinvia ogni
intervento di riduzione del
debito al 2014 - cioè a chi verrà
dopo di noi - evitando di fare una «operazione verità»
con i
cittadini elettori. E lo fa - e
questo è un'aggravante - con spocchia e con superbia,
tipiche di un
provincialismo senza respiro, come
abbiamo visto in questi giorni e anche con riferimento
ai meriti
rivendicati con riguardo
all'eventuale candidatura di Draghi alla guida della
BCE. Magari andasse
così! Ma non credo che questo sia
il frutto del prestigio del Governo italiano.
Tutto ciò avviene con l'aggravante
di un'assenza di visione del futuro del Paese, che
appare smarrito
e senza una direttrice di crescita:
il PNR è un elenco ripetitivo di misure generiche, prive
di
organicità e priorità, senza
indicazione delle specifiche misure indispensabili per
rimettere in moto
un Paese bloccato.
Avremmo invece bisogno di aumentare
la nostra crescita più degli altri Paesi, sia perché da
molti
anni noi cresciamo meno, sia perché
solo crescendo è possibile reggere la disciplina
finanziaria
senza che il Paese sprofondi in un
ulteriore differenziale negativo rispetto agli altri.
Andrebbe
ripresa con forza la filosofia
della strategia Europa 2020, perché essa va radicata in
profondità nel
Paese per accelerare le riforme
strutturali necessarie. Senza la coscienza di un grande
periodo
riformatore si resta bloccati nel
calcolo che ciascun gruppo e ciascuna corporazione sono
indotti a
fare nel breve periodo. Non si vede
la passione per discutere di queste cose con il rigore
necessario
e invece si continua a sostenere
una comunicazione fuorviante accanto a misure che
portano a
figuracce come nel caso
Lactalis-Parmalat. Voi continuate, sottosegretario
Casero - mi rivolgo a lei,
e mi dispiace, ma è lei che è
presente quindi devo rivolgermi a lei -, a ripetere come
un mantra delle
considerazioni che sono del tutto
inveritiere. Non è vero che siamo stati i migliori in
Europa, anzi,
andiamo incontro ad una manovra
annunciata ma sottotraccia che sarà deprimente per
l'economia e
ad una previsione di crescita
assolutamente inadeguata. Non è vero che siamo meglio
degli altri,
siamo il fanalino di coda. Non è
vero che la spesa pubblica sia stata posta sotto
controllo, perché i
tagli lineari non sono stati
selettivi e così hanno tutelato la spesa scarsamente
qualificata o
improduttiva. Questa è la realtà.
PRESIDENTE. La prego di concludere,
onorevole Tabacci.
BRUNO TABACCI. I tagli lineari
finiscono per rendere esplicita la difesa della scarsa
qualità della
spesa pubblica italiana. Da ultimo,
non è vero che la lotta all'evasione ha dato buoni
risultati, anzi, il
sommerso irregolare, informale,
illegale e talvolta malavitoso è cresciuto e con esso le
disuguaglianze dei cittadini
rispetto al fisco. Per queste ragioni, Alleanza per
l'Italia non può che
riconfermarvi un voto negativo
rispetto alle vostre scelte di politica economica che
stanno portando
il Paese in una direzione sbagliata
(Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Alleanza per
l'Italia e
Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.
MAINO MARCHI. Signor Presidente, il
DEF 2011 è innovativo solo formalmente: recepisce i
contenuti previsti dalla revisione
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, a seguito
dell'introduzione
del semestre europeo, ma emerge una
sostanziale continuità con la linea di politica
economica che
ha caratterizzato i primi anni di
questa legislatura, con l'idea di fondo che l'intervento
sulla finanza
pubblica, per tenerla sotto
controllo, è la condizione per la ripresa della crescita
e permette di per sé
la crescita in quanto il sistema
produttivo italiano non frenato dalla finanza pubblica è
in grado di
cogliere le opportunità della
ripresa. Questo assunto ha dimostrato la sua fragilità e
alla lunga porta
l'Italia in una condizione sempre
più difficile. Il Partito Democratico ha sempre
sostenuto che le
manovre dovevano, invece,
contemporaneamente contenere misure per la crescita e
misure per il
controllo della finanza pubblica,
essendo il rapporto debito/PIL, come quello deficit/PIL,
caratterizzato da due elementi: al
numeratore il dato della finanza pubblica e al
denominatore il dato
del PIL. Se non si agisce su
entrambi e se il denominatore non cresce adeguatamente,
anche in
presenza di forti misure sulla
finanza pubblica, è più difficile migliorare il rapporto
complessivo. Il
DEF 2011, continuando questa
politica, che non cambia, non cambia un'impostazione
sbagliata.
Non ci sono state misure per la
crescita, né politiche industriali e fiscali adeguate e
il risultato è che
nel decennio 2001-2010 l'Italia
risulta 169a per la crescita su 170 Paesi, davanti solo
ad Haiti.
Durante la crisi siamo calati più
di altri e i dati sul 2008-2009 sono ulteriormente
peggiorati con le
ultime revisioni ISTAT. La ripresa
è più lenta che in altri Paesi europei e più lenta delle
previsioni
del Governo anche per il 2010.
Guardiamo i dati del PIL: la vecchia serie ISTAT ci dava
una
riduzione del PIL dell'1,3 per
cento nel 2008 e del 5 per cento nel 2009; la nuova
serie conferma il
dato del 2008 ma accentua la
riduzione del 2009, ricalcolandola al 5,2 per cento. Non
è una
questione di virgole: quando è
uscita la nuova serie dei dati ISTAT con un maggiore
incremento del
previsto del PIL 2010 sul 2009 in
percentuale, il Governo si affrettava a propagandare che
era un
segno di maggiore ripresa, ma non è
così. Con il ricalcolo della base 2009, nel 2010 non
siamo
cresciuti un po' di più del
previsto, ma un po' meno.
La conferma ce la dà il DEF, nella
seconda sezione c'è anche il dato sul PIL nominale.
Stime DFP
ottobre 2010: 1.554 miliardi,
risultato 1.548 (sei miliardi in meno). Non sono cifre
enormi, ma se
non si può dire che è molto peggio,
certamente non si può dire che è meglio. Veniamo alle
previsioni sull'andamento del PIL
2011-2012-2013. Sono tutte più basse di quelle di
ottobre della
Decisione di finanza pubblica, e il
debito pubblico per tutti i tre anni è più alto nel DEF
rispetto alle
previsioni della DFP di ottobre, e
poi va miracolosamente al 112,8 per cento nel 2014, cioè
nella
prossima legislatura. C'è qui
l'evidenziazione di come sia determinante la crescita
per la riduzione
del rapporto tra debito e PIL. Con
una crescita economica più bassa ci vuole più tempo per
ridurre il
debito pubblico. Le previsioni di
crescita sono prudenziali, ma soprattutto inadeguate, e
sono la
conseguenza di mancanza di
politiche. Con il PNR nella stima prudenziale si prevede
che l'insieme
delle politiche provochi un aumento
medio del PIL di solo lo 0,2 per cento annuo.
Siamo di fronte ad una proposta che
registra le cose già fatte, ha obiettivi che non portano
a ridurre
il gap con la media europea su
aspetti strategici, non ha proposte nuove, produce un
impatto
debolissimo sulla crescita, cioè un
PNR vuoto, che non c'è. Il Partito Democratico ha
presentato una
proposta di PNR che produce un
aumento del PIL nominale nelle stime prudenziali di
0,5-0,6 l'anno
a partire dal 2012. Bisogna
crescere intorno al 2 per cento annuo, come sostengono
Banca d'Italia e
Corte dei conti, ma ci vogliono
investimenti e politiche adeguate, ad esempio
sull'occupazione
femminile, attraverso servizi alle
famiglie e incentivi per le assunzioni, aspetto quasi
assente nelle
proposte del Governo. La crescita è
un aspetto essenziale per l'economia italiana ma
riguarda anche
l'Europa, e in questo senso il PD
nella sua proposta di PNR propone sul versante europeo
quattro
linee di iniziative: la
costituzione di un'Agenzia europea per il debito; un
piano europeo di
investimenti per l'occupazione,
l'ambiente e l'innovazione; uno standard retributivo
europeo per
coinvolgere i Paesi in surplus nel
processo di aggiustamento delle bilance commerciali; una
più
equilibrata distribuzione del
reddito da lavoro.
È evidente che si può essere
credibili nell'avanzare politiche per la crescita su
scala europea se si
fanno nel proprio Paese. Con questi
livelli di crescita è ben arduo fare il risanamento e il
rientro del
debito. Non a caso il Governo
sposta sostanzialmente gli obiettivi alla fine del
periodo preso in
considerazione, e le manovre si
concentrano nel 2013-2014. Per il 2011-2012 c'è la
conferma delle
misure già adottate, mentre sul
2013-2014 la manovra correttiva accumulata sarebbe pari
a 2,3 punti
di PIL, circa 39 miliardi, di cui
quasi la metà nel 2013. Con i bassi livelli di crescita
previsti la
manovra è praticamente tutta sulla
finanza pubblica, con riduzione delle spese correnti sul
PIL, di
2,3 punti dal 2010 al 2014, e di
0,9 punti per gli investimenti. Manovre depressive che
producono
l'indebolimento del sistema Paese,
in particolare con l'ulteriore calo degli investimenti
in un Paese
debole sul piano infrastrutturale e
con conseguenze pesanti sul sistema produttivo.
Il Partito Democratico ha
presentato una sua proposta di rientro dal debito in cui
vi è si una
diluizione e una stabilizzazione
del debito nei primi tre anni e poi una riduzione più
accelerata, ma
in presenza di una politica
economica che investa da subito sulla crescita e la
ripresa, e non con
annunci a cui non segue nulla.
Emblematiche da questo punto di vista sono le politiche
energetiche
ed ambientali del Governo. Rispetto
agli obiettivi 20-20-20 non c'è quasi nulla di nuovo
sulle
riduzioni delle emissioni;
sull'efficienza energetica si conferma il piano
elaborato dal Governo
Prodi, in particolare le detrazioni
fiscali del 55 per cento per la riqualificazione
energetica degli
edifici (salvo che ogni anno le
opposizioni devono lottare per rifinanziare questa
misura nella legge
finanziaria di stabilità); sulle
fonti rinnovabili si rimanda al piano inviato alla
Commissione
europea, intanto però si sono
assunti provvedimenti che hanno bloccato il settore e
mettono 100
mila posti di lavoro a rischio; il
nuovo decreto è arrivato più tardi di quanto concordato
con il
Parlamento e ha già ricevuto
critiche e richieste di cambi radicali da Regioni e
associazioni
imprenditoriali del settore.
Tutto ciò è ancora più grave dopo
la vicenda del nucleare. Avete puntato tutto sul
nucleare per tre
anni. Dopo il Giappone avete detto,
prima che non cambia niente, poi moratoria di un anno, e
poi
nel PNR si dice di non procedere
per il momento all'attuazione del programma nucleare
fino a che
le iniziative già avviate a livello
di Unione europea non forniranno elementi in grado di
dare piena
garanzia sotto il profilo della
sicurezza.
Poi intervenite al Senato
modificando un decreto-legge, con l'abrogazione di tutte
le norme sul
nucleare, per evitare il
referendum, vi prendete un anno per adottare una
strategia energetica
nazionale e vi tenete aperte tutte
le strade. E due giorni fa il Presidente del Consiglio
ha affermato
che il nucleare è la fonte
energetica più sicura. Sarà solo un'altra perdita di
tempo, senza investire su
fonti rinnovabili ed efficienza
energetica. Il Partito Democratico ha indicato, nella
sua proposta di
politica industriale, cosa fare
sulla questione energetica: investire sull'efficienza
energetica,
promuovere lo sviluppo di energia
da fonti rinnovabili con l'obiettivo di puntare ad
un'industria
nazionale del settore. Un'ultima
considerazione: con il DEF il Governo non dà indicazioni
su come
intende dare attuazione
all'emanando decreto legislativo sulle entrate delle
Regioni in attuazione
della legge sul federalismo
fiscale, tema di cui si parla ampiamente, ma non si dice
nulla su una
questione che riguarda già il 2012.
In base al parere della Commissione parlamentare per
l'attuazione del federalismo
fiscale e delle Commissioni bilancio, al comma 3
dell'articolo 26 si
stabilisce di non tener conto, dal
2012, dei tagli del decreto-legge n. 78 del 2010. Certo,
compatibilmente con gli obiettivi
di finanza pubblica, con un tavolo con le regioni che
può
modificare le proposte se i vincoli
di finanza pubblica non consentono, in tutto o in parte,
di
eliminare i tagli. Tuttavia, a quel
tavolo le regioni hanno il punto di forza del comma 5
per cui circa
la rideterminazione
dell'addizionale IRPEF e la soppressione dei
trasferimenti statali si deve fare
riferimento alle risorse spettanti
alle regioni nel 2010. Il Governo dica cosa intende fare
su questo e
sull'impegno assunto in Commissione
parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale di
rivedere il decreto legislativo sul
federalismo fiscale.
Insomma, è un DEF che si richiama
al Patto di stabilità e crescita europeo, ma, poi, si
dimentica la
parola crescita, non ha politiche
industriali, balbetta su quelle energetiche, fa finta di
dimenticarsi
dei contenuti dei provvedimenti sul
federalismo fiscale e, alla fine, rischia, ma è una
certezza, che
gli obiettivi sulla riduzione del
rapporto debito/PIL non si realizzino perché tutti
basati su manovre
depressive sull'economia (Applausi
dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.
GIULIANO CAZZOLA. Signor
Presidente, il Documento di economia e finanza non ha
solo
cambiato nome, ma ha una nuova
sostanza. Siamo, infatti, onorevoli colleghi, a prendere
atto di un
cambiamento rilevante della
politica europea che trova riferimento coerente, non
solo formale, ma
sostanziale, nel DEF. La fase nuova
che si apre, a meno di un mese di distanza dalle
decisioni del
Consiglio europeo, si basa su un
coordinamento più stretto delle politiche economiche per
la
competitività e la convergenza.
Ancora una volta è la politica economica, per come si
esprime
nell'impostazione dei conti
pubblici, a guidare anche i processi politici di
integrazione istituzionale
dell'Unione europea. È questo,
onorevole Tabacci, l'afflato riformatore del Documento
di economia
e finanza. Ad incidere sugli
sviluppi delle stesse istituzioni sono le scelte di
politica finanziaria e di
bilancio che il Consiglio europeo
ha compiuto, le quali contano molto di più delle carte
dei diritti e
della riorganizzazione degli
ordinamenti politici.
In sostanza, l'Europa può restare
un «nano» dal punto di vista politico purché vadano
avanti i
processi di integrazione economica
derivanti dal mercato comune, che deve aprirsi ai
servizi, e dalla
moneta unica, che presto sarà
estesa ad altri Paesi. Sono convinto che in questa
prospettiva, quella,
cioè, di una sistematica e sempre
più intensa devoluzione di potere dagli Stati nazione ad
una
comune e sempre più politica entità
europea, stia anche la risposta più credibile e
sostanziale alla
crisi. Tanto che il «cuore» del
DEF, a mio avviso, è concentrato in poche pagine delle
tante di cui si
compone il volume. Poche pagine che
sono poste all'inizio del volume medesimo e nelle quali
vengono indicate le idee forza
della nuova Europa e i compiti che ne derivano per
l'Italia. Un tempo
si diceva che i programmi sono
bandiere piantate nella testa della gente e, quindi, non
hanno
bisogno di molte parole, non
richiedono molte affermazioni, molte frasi, ma poche
idee, semplici e
precise. Il DEF non è reticente e
traccia, con grande trasparenza, il perimetro
dell'azione di Governo
nei prossimi anni assumendo, senza
infingimenti e riserve mentali, i vincoli europei.
Mi sia consentito di leggere una
frase chiave del Documento: «Non vi sono più spazi per
ambiguità,
per incertezze: la politica di
rigore fiscale non è temporanea, non è conseguenza
imposta da una
congiuntura economica negativa, non
è "imposta dall'Europa", ma è invece la politica
necessaria e
senza alternative per gli anni a
venire». È da questa affermazione che conseguono come
tanti
corollari gli indirizzi centrali
della politica del Governo, anzi, oserei dire, con
un'espressione un po'
démodé, le variabili indipendenti
della politica del Governo, che ricordo brevemente che
costituiscono la vera differenza
con le opposizioni, come ha ammesso con grande onestà
intellettuale pochi minuti fa anche
l'onorevole Marchi.
Prima variabile indipendente: non
sono possibili sviluppo economico ed equilibrio politico
democratico senza stabilità e
solidità della finanza pubblica. Seconda: l'equilibrio
si realizza tanto
dal lato della finanza pubblica,
quanto da quello della finanza privata. Terza variabile:
l'unico
messaggio responsabile
nell'interesse del Paese è che non esistono presupposti
per una crescita
duratura ed equa senza stabilità
del bilancio pubblico. Quarta: la crescita non si fa più
con i deficit
pubblici. Quinta: di qui l'impegno
a raggiungere, entro il 2014, un livello prossimo al
pareggio di
bilancio, da cui possa ripartire un
sistematico incremento dell'avanzo primario, allo scopo
di
diminuire il debito pubblico, il
parametro, onorevoli colleghi, che ha sostituito nella
disciplina
europea il deficit, che veniva
preso a riferimento all'inizio del decennio.
È in questo quadro che si innestano
i capisaldi del Piano Nazionale di Riforma, con le sue
priorità
ricordate nella relazione del
collega Toccafondi. Il Governo e la maggioranza saranno
in grado di
rispettare questi impegni nei due
anni residui di vita della legislatura. È una sicurezza
che ci deriva
da quanto abbiamo fatto sul terreno
dell'emergenza e delle riforme nei tre anni che abbiamo
alle
spalle e credo che sia giusto dare
conto delle cose fatte, quando le cose fatte sono state
importanti,
quando le cose fatte hanno risolto
gravi problemi di questo Paese, non solo sul terreno
dell'emergenza, ma anche su quello
delle riforme.
Mi siano consentite, signor
Presidente e signor sottosegretario, due ultime
considerazioni. La prima
riguarda la struttura del mercato
del lavoro. Noi siamo attenti al dramma della
disoccupazione
giovanile e alle sue motivazioni di
carattere strutturale e di lungo periodo che chiamano in
causa i
percorsi formativi, i servizi per
l'impiego, le tante distorsioni del mercato del lavoro.
Siamo
altrettanto consapevoli del fatto
che sui giovani gravano tutte le esigenze di
flessibilità necessarie al
sistema. Sulle giovani generazioni,
che pure dal 2000 al 2007 avevano trovato accesso al
lavoro
grazie alle nuove leggi di quegli
anni (la legge Treu del 1997 e la successiva legge
Biagi), è
intervenuta pesantemente la crisi.
Sono problemi questi che solo la crescita economica
potrà
risolvere adeguatamente, senza dare
l'illusione che bastino leggi più o meno illuminate,
come
spesso sembra ritenere
l'opposizione.
Respingiamo però la
rappresentazione di un mercato del lavoro devastato
dalla precarietà. La
grande maggioranza dei lavoratori e
delle lavoratrici, se dipendenti, ha un contratto a
tempo
indeterminato. Il lavoro a tempo
determinato riguarda il 7,6 per cento degli uomini e
l'11,9 per
cento delle donne. I co.co.pro.
sono l'1 per cento degli uomini occupati e l'1,9 per
cento delle donne.
I prestatori occasionali sono lo
0,3 per cento degli uomini e lo 0,5 per cento delle
donne. Mi sia
consentita un'ultima considerazione
un po' «fuori sacco» e termino questo intervento senza
che lei,
signor Presidente, abbia avuto modo
di richiamarmi al rispetto del tempo. È iscritto
all'ordine del
giorno delle prossime settimane il
decreto-legge che è stato definito «antiscalate».
Non so come la pensi il mio gruppo,
ma mi auguro che il Governo lo ritiri o che vada a
scadenza
senza rimpianti (Applausi dei
deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO SIMONETTI. Signor
Presidente, è la prima volta che il Parlamento discute
in questi
termini di bilancio, proprio
perché, attraverso la nuova normativa derivante dalla
legge n. 196 del
2009, alla luce dell'introduzione
del semestre europeo, ci siamo adeguati a questo nuovo
metodo
europeo.
Il Documento proposto dal Governo
al Parlamento sarà sottoposto al vaglio della
Commissione
europea che ne verificherà la bontà
revisionale, finalizzata alla riduzione del deficit e
all'incremento
del PIL. Chi ha proposte
alternative alla nostra, le presenti all'Europa,
allegando non solo le
migliaia di parole che
costantemente si sentono in quest'Aula, ma anche conti,
numeri e cifre, così
vedremo se supererà il vaglio del
controllo europeo.
Noi ci muoviamo all'interno di
un'economia europea che ci mette in competizione con
realtà che, a
differenza dell'Italia, hanno
potuto utilizzare e utilizzano l'indebitamento pubblico
per finanziare la
crescita, cosa che per noi è
diventata impossibile. Vorrei fare alcuni esempi.
La Germania ha avuto una grande
crescita, ma è stata oggetto anche di molte procedure
d'infrazione
- più di 90 - per aiuti di Stato.
Di più: ieri, EUROSTAT ha certificato l'ammontare del
debito
pubblico della Germania. Esso ha
sorpassato il nostro, diventando così noi quarti e loro
terzi nella
scala del debito pubblico mondiale,
con più di 2 mila miliardi di euro (2.080 miliardi per
la
precisione), derivanti soprattutto
dalle spese che, nel 2010, sono state fatte dalla
Germania,
aumentando in un solo anno il
debito pubblico di 319-320 miliardi di euro, portandolo
dallo storico
del 73,5 per cento del PIL all'83,2
per cento nel 2010.
Così la Francia. La crescita della
Francia è dell'1,6 per cento, ma con un deficit del 7
per cento e, tra
l'altro, hanno anche il nucleare.
In Inghilterra, la crescita è dell'1,3 per cento, come
la nostra, ma con
un deficit del 10,6 per cento.
L'Olanda ha una crescita dell'1,7 per cento, con un
deficit del 5,8 per
cento. In Italia, la crescita è
dell'1,3 per cento, come dicevo prima, come
l'Inghilterra, ma con un
deficit minore rispetto a tutti
questi Stati europei, perché si attesta al 4,6 per
cento; inoltre, ricordo
che non abbiamo il nucleare e che
abbiamo, quindi, una grande spesa energetica da
sostenere.
Ricordo a tutti che il debito, per
definizione, è crescita rubata al futuro e che noi oggi
viviamo nel
futuro delle generazioni politiche
passate degli anni Ottanta che ci hanno rubato il nostro
presente.
Non voglio, quindi, riprendere nel
mio intervento le previsioni future, che sono già state
descritte
dal relatore per la maggioranza, e
le proposte operative del Programma Nazionale di Riforma
che
sono tese al rilancio economico del
sistema e che saranno evidenziate anche da altri, ma
voglio
evidenziare tutto ciò che è già
stato fatto per riuscire a fare queste previsioni, che
porteranno,
quindi, al pareggio di bilancio nel
2014. Infatti, se oggi possiamo fare tali previsioni e
tenere sotto
controllo i conti, è grazie a tutta
l'attività che questa maggioranza e la Lega Nord hanno
attuato in
questi tre anni di Governo.
Ricordo, quindi, le tematiche
legate al lavoro, alle pensioni e il completamento della
riforma
pensionistica attuato con il
decreto-legge n. 78 del 2010; l'accordo fra Governo,
Confindustria e
sindacati sulla definizione di
nuove regole di contratti salariali; l'ampliamento della
contrattazione
decentrata, la detassazione e la
decontribuzione dei salari; la deducibilità del 10 per
cento
dell'IRAP, il piano giovani, il
collegato lavoro e il riordino degli incentivi;
l'apprendistato, gli
ammortizzatori sociali, la nuova
disciplina dei licenziamenti e la lotta al lavoro
irregolare; il Piano
triennale per il lavoro e il
Programma Italia 2020 per l'inclusione delle donne nel
mondo del lavoro;
il finanziamento della cassa
integrazione in deroga, i buoni per il lavoro
occasionale ed accessorio.
Ricordo poi, ovviamente, le riforme
istituzionali e l'attuazione del federalismo fiscale.
Tutti questi punti sono i
cosiddetti colli di bottiglia individuati, nel semestre
europeo, dalla
normativa europea, a cui l'Italia
ha già dato risposte.
Per il contenimento della spesa
pubblica, ricordo il rafforzamento della governance
della sanità
nell'Accordo Stato-regioni del 3
dicembre 2009, la riforma della legge di bilancio, il
decreto-legge
n. 78 del 2010 e la ricognizione
del patrimonio immobiliare della pubblica
amministrazione. Per
quanto riguarda il mercato e la
concorrenza, ricordo l'istituzione dell'Agenzia per la
cooperazione
fra i regolatori nazionali
dell'energia, l'attuazione della cosiddetta direttiva
servizi volta alla
semplificazione, la riduzione degli
oneri amministrativi, l'applicazione del regime fiscale
estero per
le imprese dell'Unione europea, le
zone a «burocrazia zero», l'introduzione della «Scia»;
la riforma
dei servizi pubblici locali, la
riforma della pubblica amminist razione, la maggiore
flessibilità delle
procedure di aggiudicazione degli
appalti e il Piano casa, che verrà ulteriormente
ripreso.
Ricordo ancora l'innovazione e le
imprese, tutte le misure in materia di organizzazione
scolastica, il
credito di imposta alle aziende...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ROBERTO SIMONETTI. Vi sono anche
misure per le infrastrutture, ce n'è un elenco infinito
proprio nel Documento depositato,
da pagina 400 in poi. Ci sono una trentina di pagine di
elenchi.
Con il semestre europeo vi è una
devoluzione di potere verso l'alto tesa a creare una
politica
economica di area vasta,
continentale, ecco perché c'è la necessità di
controbilanciare questa
devoluzione verso l'alto attraverso
una maggiore penetrazione dei poteri nei territori che
solo grazie
al federalismo fiscale ed a quello
istituzionale si potrà fare (Applausi dei deputati del
gruppo Lega
Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Pezzotta. Ne ha facoltà per dieci minuti.
SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente,
credo che oggi vi sia una grande questione nel Paese che
è al centro di tutte le
preoccupazioni degli italiani, delle famiglie, dei
giovani: la preoccupazione
della crescita economica e
soprattutto di una crescita che sia in grado di generare
occupazione.
Un recente sondaggio realizzato dal
CISE, il centro studi elettorali della LUISS, conferma
questa
affermazione. Nella classifica dei
problemi più urgenti dei cittadini rilevati c'è il tema
dell'economia, ma in particolare il
tema dell'occupazione; in secondo ordine, a grande
distanza, ci
sono tutti quei temi che agitano il
dibattito politico: dalla giustizia, all'immigrazione,
alle stesse
riforme istituzionali. Gli italiani
cioè chiedono più crescita e più lavoro, questo è il
tema che
abbiamo.
Sono partito da questa osservazione
per dire che, dopo tante dichiarazioni fatte dal
Governo, dal
Presidente del Consiglio in
quest'Aula, dei vari Ministri di tanto in tanto, mi
sarei atteso un
Documento economico e finanziario
improntato ad una diversa filosofia rispetto a quella
che invece
traspare e vediamo.
Io credo che siamo, ancora una
volta, all'interno della stessa passiva politica
economica che in
questi tre anni di legislatura ha
segnato l'azione del Governo. Siamo infatti ad un tasso
di
disoccupazione altissimo - la
disoccupazione dei giovani è al 30 per cento - e non è
sempre colpa di
chi c'è stato prima perché, dopo
tre anni di Governo, le responsabilità sono di coloro
che hanno
governato in questo periodo.
Mi sembra che si sia vissuta la
situazione di crisi, di indebolimento del tessuto
produttivo,
passivamente, cioè lasciando che le
cose andassero per loro conto, mentre invece una
politica
attenta e seria avrebbe dovuto
approfittare della crisi per affrontare le questioni che
venivano
emergendo, cosa che non è stata
fatta. La crisi è stata sostanzialmente subita e
soprattutto si è
cercato un po' di tamponare, ma
questo, se guardo al futuro, non servirà a molto.
Si doveva anche spingere in avanti
nei rapporti con l'Europa: il Programma Nazionale di
Riforma
non mi sembra un granché, c'è una
ripetizione di cose dette e cose fatte e non ha in sé
quell'elemento innovativo e di
capacità di coagulo che doveva mettere in campo in
questo
momento.
Potevo anche capire che nei primi
momenti della crisi economica predominasse un po' di
prudenza,
la circospezione, ma la scossa
promessa qui dov'è? Continuiamo a promettere e alla fine
a non
mantenere. Non è arrivata alcuna
scossa, mi sarei atteso un progetto, una proposta,
un'attenzione
orientata a rilanciare l'Italia.
Non ho visto l'afflato riformista a
cui faceva riferimento l'onorevole Cazzola, forse, se me
lo
spiegherà, un giorno, sarei felice
di comprenderlo. Nel Documento di economia e finanza non
esiste
un vero progetto orientato alla
crescita, esso è un rimando a provvedimenti assunti nel
recente
passato.
Mi rendo conto, perché non siamo
sprovveduti e perché abbiamo bene a mente i problemi di
questo
Paese, che la questione del debito
pubblico e delle regole che ci siamo dati in Europa
rendono il
margine di manovra abbastanza
ristretto, ma proprio questo doveva far mettere in campo
un po' più
di coraggio, un po' più di audacia
e, perché no, un po' più di creatività.
La stabilità finanziaria è
sicuramente necessaria ed utilissima per la crescita, ma
il raggiungimento
della stabilità finanziaria lo si
può ottenere in modi diversi. Ottenere una stabilità
finanziaria,
comprimendo e non tentando nello
stesso tempo di allargare, finisce per ripiegare su se
stessa
l'insieme delle condizioni della
crescita, ed è quello che stiamo sperimentando da tempo,
ci stiamo
cioè adagiando.
Il Governo avrebbe dovuto produrre
uno sforzo maggiore di risanamento - e uno sforzo
avrebbe
comportato un vero ridisegno dei
meccanismi di spesa e un serio intervento sulle
liberalizzazioni,
che non c'è -, prosegue invece la
strada dei tagli orizzontali, che sono un errore da
diversi punti di
vista. Sono un errore sul terreno
della politica economica, poiché non opera scelte di
qualificazione
e di obiettivizzazione della spesa.
In pratica, ci troviamo di fronte alla rinuncia
dell'azione politica,
che è sempre capacità di scelta, di
decisione e di orientamento. Sono inoltre negativi sul
piano
sociale, perché i tagli orizzontali
colpiscono di più chi ha meno e, in pratica, diventano
accentuatori
delle disuguaglianze che la crisi
economica ha già generato.
La crisi delle disuguaglianze mina
il tessuto connettivo della nostra società, genera
rancore sociale,
disaffezione e mette in tensione il
tessuto democratico, ma se noi continuiamo con questi
tagli,
senza selezionare, senza
individuare degli obiettivi precisi e senza renderli
compatibili con un
disegno, finiremo per accentuare
gli elementi di disagio sociale che attraversano la
nostra società.
Andavano affrontati, a nostro
parere, i problemi delle province, degli istituti
provinciali, dei costi
degli enti locali, il numero dei
comuni e i costi delle varie istituzioni. Lì si poteva
intervenire per
reperire quelle risorse necessarie
per generare gli elementi di stabilità. Andava
introdotto un sistema
di valutazione di efficacia e
dell'efficienza della spesa, che non abbiamo visto, che
molte volte è
fonte del fenomeno della corruzione
che, come ci ha detto la Corte dei conti, costa alla
collettività
oltre 60 miliardi di euro, ma anche
qui non abbiamo visto nulla.
Spazi per recuperare risorse,
dunque, ve ne sono, e continuare a pensare di
risparmiare sui servizi,
su strumenti essenziali come quelli
della scuola, della ricerca, dell'innovazione, o sulle
pensioni e
sul lavoro, sicuramente non ci
porta molto lontano. Sono convinto che al nostro Paese
serva una
fase di rigore, una fase di rigore
sul terreno economico, ma il rigore ha valore se vale
per tutti e se si
coniuga con la salvaguardia di
criteri di uguaglianza, di giustizia e di valorizzazione
del merito. Si è
preferito, invece, una sorta di
rassegnazione al presente rispetto ad una proposta per
il futuro, ma
così il futuro rischia di essere
pericoloso, soprattutto per i ceti più deboli di questo
Paese.
Condivido le preoccupazioni delle
imprese, che sono molte ed espresse in modo chiaro.
Quello che
serviva a questo Paese erano cose
essenziali: serviva un progetto sulla fiscalità di
vantaggio, la
detassazione degli utili
reinvestiti, un rilancio delle liberalizzazioni,
politiche sociali centrate sulla
riduzione fiscale per le famiglie -
che non vi sono ancora - e un progetto di contrasto alla
povertà.
Servivano investimenti per la
ricerca pubblica e privata, un piano straordinario per i
giovani e per
l'occupazione giovanile, la rimessa
in campo delle infrastrutture e una politica energetica
degna di
questo nome. Queste cose le abbiamo
cercate nel Documento in esame, non le abbiamo trovate e
per questo motivo voteremo contro
(Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per
il Terzo
Polo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà per cinque minuti.
ANDREA LULLI. Signor Presidente,
come è stato detto dal relatore per la maggioranza,
onorevole
Toccafondi, e anche da altri
interventi che ho sentito dai banchi della Popolo della
Libertà, siamo in
presenza di un atto importante che
modifica la politica economica dell'Unione europea e i
criteri di
riferimento con i quali attuare non
solo le politiche di bilancio, ma anche le politiche di
sviluppo.
Non a caso il Partito Democratico
ha presentato il suo Programma Nazionale di Riforma per
dare un
contributo concreto al confronto.
Qui, però, vorrei innanzitutto far rilevare una cosa -
non me ne
voglia il sottosegretario Casero -,
ossia che l'assenza del Ministro Tremonti a questo
dibattito
parlamentare non fa onore e non
rende merito alla centralità del tema che siamo chiamati
qui a
discutere.
Non è un fatto formale, ma
sostanziale, anche perché sento parlare di rigore e
l'onorevole Cazzola
ha detto giustamente che la
politica del rigore fiscale non è solo imposta dalla
contingenza, ma è la
risposta necessaria per affrontare
i temi della crisi. L'onorevole Simonetti ci ha spiegato
che il
debito è rubare il futuro ai
giovani. Mi verrebbe facile dire all'onorevole
Simonetti, e a tutti i
colleghi della Lega Nord, che sono
alleati con quelli che hanno guidato negli anni Ottanta
l'assalto
alla diligenza, ma lasciamo
perdere.
Caro onorevole Cazzola, benvenuto!
E benvenuto anche al Ministro Tremonti. Vorrei ricordare
che
nei primi cinque anni del suo
Dicastero all'economia, salvo una breve parentesi, ha
dato un impulso
consistente all'aumento della spesa
corrente e all'indebitamento netto di questo Paese, in
contrasto
con le politiche che i Governi di
centrosinistra che invece, con tutti i loro problemi,
hanno sempre
mantenuto un rigore fiscale. Basta
guardare le serie storiche dei saldi; esse recano dei
numeri e
quindi su di essi si può fare poca
polemica.
Benvenuto, però peccato che la
politica di rigore fiscale non possa essere realizzata
con i tassi di
crescita che sono previsti dal
Programma Nazionale di Riforma e da qualche furbizia -
mi si
consenta - che viene adottata. Si
dice che il rientro dal debito avverrà nel 2014, ossia
nella prossima
legislatura. Come si realizza
questo rientro dal debito? Come si realizza questa
politica di rigore
fiscale?
Se l'economia italiana non torna a
crescere almeno del 2 per cento del prodotto interno
lordo, è
chiaro che si presenta una
situazione nella quale a pagare saranno i giovani, i
ceti deboli e quelle
realtà di piccola impresa che sono
state penalizzate nel corso di questi anni.
All'onorevole
Simonetti, che ha fatto l'elenco di
tutti gli interventi, vorrei dire di andare a parlare
con gli artigiani
e i piccoli imprenditori per vedere
se sono contenti e di andare a parlare con i lavoratori
per vedere
se sono contenti dei loro salari.
Si accorgerà che le cose stanno in
altro modo e che tutti i meccanismi di semplificazione
che sono
stati inseriti, in realtà, hanno
complicato la vita agli artigiani e alle imprese.
Complicato, altro che
Ministro per la semplificazione!
Poi naturalmente si arriva al punto
che mi premeva mettere in evidenza, ce ne sarebbero
tanti.
Certo, non abbiamo sentore della
legge annuale per la concorrenza, andiamo a vedere
quanto
pagano le imprese per i servizi
professionali!
PRESIDENTE. La prego di concludere,
onorevole Lulli.
ANDREA LULLI. Concludo, signor
Presidente. L'energia è il grande buco nero del
Programma
Nazionale di Riforma presentato dal
Governo, che peraltro legava la scelta nucleare e la
crescita del
prodotto interno lordo e qui si è
fatto il «teatrino». Il nucleare non c'è più salvo poi
fare, come
sempre, «teatro» in una conferenza
stampa che certo non rende onore al nostro Paese a
livello
internazionale. Ma se questo è
vero, si è addirittura prodotto un danno perché con il
decreto-legge
sulle energie rinnovabili si è
colpito uno dei pochi settori, quello delle energie
rinnovabili, che
aveva agito in controtendenza
rispetto alla crisi, dando un colpo a chi ha effettuato
e ha
programmato investimenti e ha
creato occupazione. E non mi venite a dire che gli oneri
erano
insopportabili, perché anche su
questo va fatta un'operazione verità. Se si parla degli
oneri sulle
bollette, allora cominciamo a
mettere in campo gli oneri che sulle bollette vengono
pagati per le
fonti assimilate, che non sono
certamente l'innovazione e il futuro.
Sull'energia manca qualsiasi piano
di efficienza, qualsiasi piano di risparmio energetico,
manca una
strategia e ciò mette questo Paese
all'ultimo posto, senza bussola! Poi si fanno le scelte
sulle reti del
gas e anche qui la cosa che ho
sentito dire ieri dal sottosegretario per lo sviluppo
economico in
Commissione attività produttive è
allarmante, perché egli dice che sì, forse si potrebbe
auspicare la
separazione proprietaria, però non
siamo intenzionati a farlo per legge. Non siete
intenzionati a farlo
per legge perché volete trasferire
il potere del Parlamento in qualche consiglio di
amministrazione,
che sia dell'Eni o che sia della
Cassa depositi e prestiti? È così che si intende la
politica industriale
ed energetica di questo Paese? È
così che si predica la trasparenza? O forse è anche per
questo, per
il modo in cui si interpretano
questi temi, che l'unica delle poche classifiche che ci
ha visto scalare
posizioni in avanti nel nostro
Paese a livello internazionale è quella dell'indice di
corruzione! Così
non si può andare avanti ed è per
questo motivo che noi voteremo contro (Applausi dei
deputati del
gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor
Presidente, parlando di conti pubblici, di crescita che
riguarda il
sistema industriale del nostro
Paese, che riguarda la nostra economia, non possiamo in
questa fase
esimerci dal ricordare quando nel
2007, durante il Governo di centrosinistra, trattando
per esempio
del caso Parmalat in materia di
OPA, quest'Aula discusse la direttiva OPA e quindi come
l'Italia ha
recepito questa direttiva. Se
allora avessimo preso le iniziative, se a quel tempo
avessimo accettato
gli emendamenti della Lega, oggi il
nostro Paese non sarebbe in questa situazione e non
saremmo
sotto lo scacco di Paesi esteri che
vengono a fare shopping in Italia.
Dobbiamo dire questo per onore di
cronaca e anche, crediamo, per onestà intellettuale. La
Lega a
suo tempo - purtroppo eravamo anche
da soli - vide giusto e oggi non saremmo in questa
situazione,
con un'Europa che lascia fare ai
francesi le leggi di difesa dell'economia nazionale che
meglio crede
- ricordiamo la legge del 2005 che
la Commissione europea ha inizialmente contestato e poi
non ha
fatto più nulla - mentre oggi, alle
prime leggi che fa il Paese italiano, subito ci vengono
chiesti
chiarimenti. È chiaro che questa
Europa non ci piace. È un'Europa che decide di andare a
bombardare la Libia tutti insieme
appassionatamente e amichevolmente e poi, quando è il
momento
di fare anche gli interessi di
Paesi diversi, in questo caso tutelare l'Italia, non ci
aiuta ed ha uno
strabismo nel vedere le leggi di
tutela dei diversi Paesi. Siamo rispettosi invece
dell'Europa quando
c'è in gioco l'interesse nazionale,
quando c'è in gioco anche l'interesse della stessa
Europa, e lo
abbiamo fatto con una stabilità di
conti pubblici che non ha paragoni rispetto alla
criticità del nostro
Paese.
Noi sappiamo che abbiamo un debito
pubblico pesante. È il terzo debito pubblico al mondo,
ma non
siamo la terza economia al mondo.
Eppure, in questa fase siamo riusciti ad avere una
credibilità
internazionale nei mercati
finanziari che non ha paragoni. Tutto ciò perché questo
Governo ha
voluto mantenere la barra dritta
sulla stabilità dei conti pubblici.
Se, quando abbiamo fatto le altre
leggi finanziarie, avessimo ascoltato i colleghi del
centrosinistra
che volevano finanziare la crescita
creando deficit e facendo il deficit spending oggi non
saremmo
probabilmente in questa situazione
che ci vede - lo ripeto - rispettati sui mercati
internazionali. Noi
crediamo che dobbiamo guardare ai
numeri perché l'Italia è caratterizzata da un clima di
pessimismo. Si dice l'Italia non
cresce, che è un Paese fermo, che non ha sviluppo, che
messa così
male non è mai stata, ma noi
dobbiamo andare a guardare i numeri partendo dalle
caratteristiche del
nostro sistema economico.
L'Italia è un Paese duale: noi
abbiamo una parte del Paese che cresce più (il
centronord e,
soprattutto, il nord) di tutte le
altre aree europee e c'è una parte del Paese che non
cresce. Questa è
una questione cronica dell'Italia.
Quindi, quando guardiamo i dati del nostro prodotto
interno lordo
dobbiamo sempre caratterizzare
questa specificità del nostro Paese. L'Italia è un Paese
che ha
un'economia duale e, quindi, quando
guardiamo il prodotto interno lordo dobbiamo capire che
c'è
una parte di Paese che cresce e una
parte di Paese che non cresce. Dobbiamo per forza far la
media.
Ma, se guardiamo i dati del 2010
partendo da questa caratterizzazione nel nostro Paese,
noi non
vediamo tutto questo pessimismo. Il
prodotto interno lordo è cresciuto dell'1,3 per cento.
La Francia
- si diceva che dobbiamo guardare
agli altri Paesi - è cresciuta dell'1,6 per cento.
L'area euro, come
media, è cresciuta dell'1,7 per
cento.
È chiaro che se andiamo a fare il
confronto con la Germania che è sempre stata la
locomotiva
dell'Europa questo è un altro
discorso. Tuttavia, in termini di crescita del prodotto
interno lordo,
sapendo che abbiamo un'economia
duale, noi crediamo che il Paese sia messo non così male
come
viene descritto. Per quanto
riguarda il rapporto deficit-PIL, se avessimo ascoltato
la sinistra, noi
oggi avremmo finanziato la crescita
(che poi non ci sarebbe stata) facendo deficit. Invece,
noi
abbiamo tenuto fermi i conti
pubblici e nel 2010 abbiamo il 4,6 per cento contro
un'aerea euro che è
del 6,3 per cento. Per quanto
riguarda la disoccupazione, siamo all'8,4 per cento, con
un'area euro
che è oltre il 10. La Francia è al
9,6 per cento, la Spagna al 20,1.
È chiaro che la pressione fiscale è
un rapporto: se al denominatore hai un prodotto interno
lordo che
non cresce, è molto difficile
riuscire a diminuire la pressione fiscale, che però ha
avuto i picchi
massimi quando ha governato il
centrosinistra. L'economia cresceva dell'1,5 per cento
eppure la
pressione fiscale ha avuto i picchi
massimi quando ha governato il centrosinistra.
Siamo stati un Governo che ha fatto
la lotta all'evasione meglio di altri. Su questo devo
dire che,
come Lega Nord Padania, siamo un
po' preoccupati perché ci arrivano segnali di malumore
dalle
piccole e medie imprese per il
lavoro, anche assiduo, che stanno facendo l'Agenzia
delle entrate ed
Equitalia. Dobbiamo stare attenti
perché il Governo deve prendere in considerazione questi
segnali
che arrivano.
C'è un aspetto che ci preoccupa: un
intervento come la guerra in Libia costa 700 milioni e
ci
chiediamo dove andiamo a trovare i
soldi. Infatti, con le leggi finanziarie di qualche
miliardo di
euro che abbiamo fatto non è facile
andare trovare i soldi, che sono tanti, perché abbiamo
deciso di
andare a bombardare quattro
disperati. Questo è un problema e non vorremmo che si
decidesse di
aumentare il prezzo della benzina
per finanziare l'interventismo italiano. Questa è una
questione che
ci preoccupa, però il Governo ha
fatto bene nella tenuta dei conti pubblici e nei numeri
macroeconomici generali e, quindi,
avrà la nostra fiducia (Applausi dei deputati del gruppo
Lega
Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare
l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.
ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor
Presidente, questo è un Documento importante, come il
nostro relatore di minoranza,
l'onorevole Barletta, ha già ben descritto all'inizio di
questa seduta.
Voglio sottolineare solo due
questioni che mi interessano e che riguardano la
Commissione affari
sociali nella quale abbiamo svolto
un rapidissimo dibattito su questo tema, anche se
ritengo che
avrebbe meritato un'attenzione più
ampia. Le due questioni che voglio sottolineare
riguardano uno
dei grandi obiettivi mancati, in
particolare dal PNR.
Sappiamo che uno degli obiettivi
della «Strategia Europa 2020» è la riduzione della
povertà in
Europa, 20 milioni di persone che
si intende togliere dalla condizione di povertà, ciò
significa che
per l'Italia l'obiettivo si traduce
in due milioni di poveri in meno. Questo Documento
avrebbe il
dovere di indicare le politiche che
possono consentire il raggiungimento di questo
obiettivo, ma se
guardiamo alle politiche elencate -
cioè nessuna - temo che questo obiettivo non solo non
verrà
raggiunto ma si aggraverà e come
altri colleghi hanno già detto, se l'Italia si appresta
a ricoprire
l'ultimo posto tra i Paesi europei
in tutti gli obiettivi di crescita avremo purtroppo il
primato
dell'aumento della povertà. Zero
politiche per contrastare la povertà, si fa riferimento
ad un unico
intervento, cioè alla «miracolosa»
social card che il Ministro Tremonti ha avviato un paio
di anni fa
ma che nel corso di quest'anno
presenta un finanziamento pari a zero e che si finanzia
solamente
attraverso interventi economici di
natura sporadica, casuali e che non provengono comunque
dal
bilancio dello Stato, ma da
sanzioni riscosse per le violazioni a normative europee.
Come si può impostare una politica
di contrasto alla povertà senza misure strutturali di
finanziamento di queste politiche?
Ovviamente non si affronta. Questo è un obiettivo
mancato, una
grave lacuna del PNR e del DEF nel
suo complesso.
Voglio sottolineare un secondo
punto, sempre nell'ambito delle politiche sociali e
sanitarie che
vengono trattate dal DEF. In questo
Documento si fa semplicemente una ricognizione dei tagli
fatti
negli ultimi due anni ma non si
indica nessuna volontà e non c'è nessun cenno di
cambiamento di
linea, anzi si fa capire che si
riconfermeranno questi tagli. Per rimuovere quelle
politiche di tagli
così gravosi per le politiche
sociali e le politiche sanitarie occorre pattuire e
contrattare con le
Regioni un nuovo patto per la
salute e soprattutto occorre rivedere i livelli
essenziali di assistenza
che nella sanità, ricordo, sono
fermi al 2001. Non si fa nessun riferimento a questa
necessità, da
dieci anni sono fermi, sappiamo che
questi livelli essenziali sono carenti oramai. Il
Ministro Turco
aveva già fatto un egregio lavoro
preparatorio predisponendo un importante provvedimento
per
modificare quel decreto del 2001
che è stato cestinato da questo Governo. Faccio solo
notare che
all'interno dei nuovi livelli
essenziali che erano stati individuati c'era un
intervento importante per le
cure palliative, visto che stanno
tanto a cuore - sembra solo a parole - di questo Governo
quando si
parla di testamento biologico. Non
si fa un passo avanti su questo piano, anzi si fanno
passi
indietro. Anche nel campo
dell'analgesia, per esempio per il parto indolore, non
si muove nulla anzi
ripeto si fanno passi indietro
perché si introducono nuovi balzelli, nuovi ticket. È
notizia di queste
settimane l'aumento dei ticket, o
meglio, dei nuovi ticket per tutti i cittadini malati
che acquistano i
farmaci generici, e dal primo di
giugno troveremo tutti la sorpresa dei nuovi ticket
sulle prestazioni
diagnostiche perché mancano alle
Regioni i finanziamenti sulla soppressione dei ticket
che sono
pari a circa 500 milioni di euro,
più i 600 milioni di euro sui generici.
Capite che questo è un ulteriore
taglio di oltre un miliardo di euro, che si somma ai due
miliardi di
euro del sociale: tre miliardi di
euro sottratti al settore socio-sanitario significano
meno diritti.
Ricordo che, invece, uno degli
obiettivi fissato dall'Agenda Europa 2020 è quello di
investire sulla
coesione sociale, e un elemento
importante di quest'ultima, indubbiamente, sono le
politiche sociali
e assistenziali, che creano
uguaglianza. Voglio sottolineare solo per un secondo la
pericolosità
dell'annuncio, uno dei tanti
annunci di questo Governo, della modifica dell'articolo
118 della
Costituzione, articolo modificato,
lo voglio ricordare, con il nuovo Titolo V della
Costituzione,
confermato con il referendum da
parte di tutti i cittadini, come sappiamo, dopo
l'approvazione
avvenuta alle Camere.
Il Governo annuncia che vuole
cambiare il quarto comma dell'articolo 118 della
Costituzione, che
riguarda il principio di
sussidiarietà. Il Governo intende, sostanzialmente,
rovesciare la logica
prevista oggi dalla Costituzione,
cioè che le politiche pubbliche debbano vedere pubblico
e privato
interessati anche alla gestione dei
servizi, ma, ovviamente, sotto la guida pubblica. Certo,
le
politiche pubbliche, con il quarto
comma prefigurato da questo provvedimento, spariscono,
perché
il pubblico entrerà in campo solo
laddove il privato non troverà la convenienza e
l'utilità di
intervenire. Questo è coerente con
i diffusi annunci di introduzione dei voucher, dalla
scuola
all'assistenza, alla sanità.
Insomma, si prefigura una nuova stagione in cui la
Repubblica italiana
sarà fondata sui voucher, alla
faccia dei diritti di uguaglianza sanciti dalla
Costituzione (Applausi
dei deputati del gruppo Partito
Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà, per dieci minuti.
RENATO CAMBURSANO. Signor
Presidente, un collega del Partito Democratico prima
giustamente richiamava la nostra
attenzione sull'assenza, così clamorosa, del Ministro
dell'economia e delle finanze in un
dibattito che dovrebbe riguardare l'intero Paese, oltre
che questo
Parlamento. Credo che vi sia una
spiegazione: basta, ovviamente, riprendere i giornali di
ieri o di
questa mattina e si ha il perché
dell'assenza del Ministro dell'economia e delle finanze.
Basta
leggere, per esempio, un giornale,
che mi pare che si chiami la Padania, dove viene detto
(parole
citate tra virgolette, riferite al
segretario del partito della Lega Nord): «Berlusconi ha
fatto fare a
Tremonti e Maroni una figura da
cioccolatai. Ecco perché è bene che i cioccolatai stiano
alla larga
dal Parlamento». Spiegata, quindi,
l'assenza del Ministro dell'economia e delle finanze.
D'altra
parte, sempre la Padania ieri
titolava: «Berlusconi si inginocchia a Parigi». Questa è
la fotografia.
Avete fatto bene, cari amici della
Lega Nord, a fotografare così la situazione, perché voi,
presidente
Giorgetti, fate parte e siete forza
trainante di un Governo e di una maggioranza che si
inginocchiano
ai leader di altri Paesi, anziché
fare politica economica, politica industriale e politica
sociale per il
nostro Paese.
Poi si afferma, come abbiamo
sentito dire da un altro collega della Lega Nord, che,
se avessimo
ascoltato quel partito a fronte di
emendamenti che aveva presentato a proposito della legge
sull'OPA, probabilmente non saremmo
in queste condizioni. Intanto, lo dica ai suoi cugini,
cioè ai
suoi parenti stretti che sono nella
maggioranza con lui. Tradotto, lezioni di nazionalismo
da loro
non intendiamo prenderle, anche
perché noi siamo per una convinta politica europea da
sempre; non
da oggi e, soprattutto, non
soltanto quando ci conviene, come invece fate voi, salvo
poi sparare
bordate ad alzo zero proprio contro
l'Europa. Così come non accettiamo, ovviamente, dal
presidente
della provincia di Biella, il
collega Simonetti, visto che sono piemontese anch'io,
lezioni di
europeismo, soprattutto laddove si
invocano conti a posto e poi - lui lo sa, mi spiace che
sia assente
- non si riescono a quadrare i
bilanci della propria provincia, grazie ai tagli che il
suo Ministro
dell'economia e delle finanze ha
fatto proprio nei confronti degli enti e delle autonomie
locali.
A proposito di conti pubblici, ho
sentito ripetere la litania che, grazie a questo Governo
e a questa
maggioranza, i conti pubblici
italiani sono in ordine. Vi invito a leggere, ma
sicuramente lo avrete
fatto, un articolo su La Stampa, di
Torino, a firma di Bill Emmott che è stato fino a un
paio di anni
fa direttore di un noto giornale
che si chiama Co...(dai banchi del gruppo Popolo della
Libertà si
leva una voce: Comunist!)... ecco,
perfetto, lo volevo lasciar dire a voi. Non è Comunist,
ma The
Economist! Quindi, il fatto che vi
sia una qualche assonanza - ci siete cascati, ci siete
cascati - con il
richiamo ad un antico partito
evidentemente vi mette subito in fibrillazione. Sta di
fatto che Bill
Emmott ha scritto delle cose
esattamente diverse, credo che abbia una qualche
competenza visto
che ha diretto per tanti anni un
giornale economico del livello di quello che ho appena
citato.
Veniamo al Documento di economia e
finanza e al Piano nazionale di riforma. Avrete letto
sicuramente tanti commenti anche
voi nei giorni scorsi. È una manovra senza coraggio, lo
ha scritto
sul quotidiano Il Sole 24 Ore
Roberto Perotti, è una cornice del nulla, è una litania,
anzi, una
giaculatoria. Allora, replico al
collega del gruppo Popolo della Libertà, Cazzola, che
diceva prima
di me che un Documento come quello
di economia e finanza dovrebbe essere circostanziato,
dovrebbe essere contenuto nelle
parole, avere poche idee, ma chiare. Esattamente il
contrario di
quello che stiamo esaminando. Di
parole ve ne sono tante, pagine su pagine, centinaia di
pagine,
idee poche e quelle poche,
sicuramente, non sono precise. Ecco, questa è la
certificazione, se per
caso ve ne fosse bisogno, del
fallimento delle politiche economiche e di sviluppo di
questo Paese.
Ieri, nella replica in Commissione
bilancio il sottosegretario Casero ricordava che, fino a
qualche
tempo, fa l'attenzione maggiore da
parte della Commissione europea, ma anche dei singoli
Paesi,
era rivolta più verso il rapporto
tra deficit e disavanzo rispetto al prodotto interno
lordo, mentre
negli ultimi tempi l'attenzione
maggiore è rivolta invece al debito. Peccato -
sottosegretario Casero,
non si faccia distrarre - che non
sia così, gliel'ho detto ieri e glielo ripeto anche
oggi, perché il
Trattato di Maastricht stabiliva
che il rapporto tra deficit e PIL non superasse il 3 per
cento, oggi,
invece, con i nuovi accordi e con
il meccanismo europeo di stabilità, viene stabilito che
di qui al
2014 si raggiunga il pareggio di
bilancio, cioè non vi siano più disavanzi annuali. Poi,
però, ha
aggiunto anche un'altra cosa - lei
lo sa bene sottosegretario, lo ricordi anche al suo
Ministro che
forse spesso e volentieri se ne
dimentica - riguardo al rapporto tra debito e PIL.
Ancora, un collega della Lega Nord
ricordava, tra le righe, che siamo stati, attenzione,
più bravi
della Germania perché la Germania
ci ha superati in negativo, essendo il secondo o terzo
Paese nel
mondo, il primo in Europa, per la
cifra assoluta raggiunta nel debito pubblico. Si è
dimenticato,
però, di dire che il rapporto tra
il debito pubblico tedesco e il prodotto interno lordo
tedesco è
dell'80 per cento, mentre il
rapporto tra debito pubblico italiano e prodotto interno
lordo italiano è
del 120 per cento! Quindi, quando
dite le cose, ditele tutte, non solo una parte perché
questa è
disonestà intellettuale.
Seconda considerazione. Cifra
assoluta. Bene, il Ministro Tremonti ci ha sempre
raccontato la
favoletta. È chiaro che il rapporto
tra debito e prodotto interno lordo è aumentato in
proporzione,
perché è diminuito il PIL, causa la
crisi internazionale. Vero. Peccato, però, che sarebbe
ancora
meglio aggiungere, onestà
intellettuale vorrebbe che si aggiungesse anche che
questo potrebbe
andare bene se la cifra assoluta
del debito fosse rimasta ferma; scendendo il PIL il
rapporto
aumentava.
Ma non è così, perché in tre anni,
signori della Lega Nord e del Popolo della Libertà, il
debito
pubblico è aumentato di oltre 240
miliardi e in una situazione assolutamente favorevole,
almeno dal
punto di vista del costo del denaro
e del tasso di interesse, mai così basso. Quindi, non si
può
addebitare l'aumento del debito al
costo del servizio del debito, come viene comunemente
chiamato.
Noi siamo in un nuovo contesto,
peccato però che il nuovo Programma nazionale di riforma
che
viene presentato al nostro esame
sia esattamente la fotocopia di quello che non aveva
raggiunto
l'Aula, ma semplicemente si era
attestato in Commissione, e che era stato presentato nel
mese di
novembre e discusso nel mese di
dicembre.
Ebbene, cosa dicono invece gli
aggiornamenti di quel Piano nazionale di riforma o
meglio di quella
bozza di Piano nazionale di
riforma? In primo luogo, gli obiettivi che il Governo ci
propone con il
piano nazionale 2011, se raggiunti,
metteranno l'Italia all'ultimo posto in quasi tutti gli
ambiti della
strategia Europa 2020. Allora
andiamo a esaminarli, visto che vi siete lavati davvero
la bocca
dicendo: stiamo andando bene, va
tutto bene, Madama la Marchesa!
Il primo obiettivo riguarda il
tasso di occupazione. L'obiettivo comunitario stabilisce
il 75 per cento.
Sapete qual è l'obiettivo per
l'Italia? Il 67,69 per cento, siamo i penultimi, dopo di
noi c'è solo
Malta. Il secondo obiettivo
riguarda la spesa in ricerca e sviluppo. L'Unione
europea punta al 3 per
cento. Noi all'1,53 per cento e,
ancora una volta, dopo di noi solo Malta e Cipro. Per
quanto
riguarda l'energia, gli obiettivi
sono tre (i famosi 20-20-20). Nel primo caso, la
riduzione delle
emissioni, ci attestiamo per
ridurre le emissioni al 13 per cento, nel secondo caso
di portare le
rinnovabili al 17 per cento e,
quindi, ben al di sotto di quanto prescrive l'Europa.
Vi è un'ultima considerazione che è
quella che fa tremare davvero il sangue nelle vene: se
noi
vogliamo essere competitivi ci sono
solo due fronti utili per raggiungere quell'obiettivo:
la
formazione e l'istruzione e la
ricerca e l'innovazione. Non c'è altro nel nostro Paese,
visto che non
abbiamo materie prime.
Sull'istruzione l'Europa vuole ridurre la percentuale di
quanti lasciano
prematuramente la scuola al 10 per
cento. L'Italia ha l'obiettivo molto più modesto di
tutti, tranne
ancora una volta Malta, e si
attesta al 15,16 per cento. Se poi dovessimo parlare dei
laureati,
l'Europa mira al 40 per cento e
l'Italia ha l'obiettivo più basso di tutti.
PRESIDENTE. La prego di concludere,
onorevole Cambursano.
RENATO CAMBURSANO. Sulla ricerca e
sull'innovazione siamo gli ultimi in Europa. Allora,
dove vogliamo andare? Cosa ci
proponete con questo Documento di economia e finanza e
con
questo Programma nazionale di
riforme, che non esistono? È il fallimento del Paese, la
crescita non
ci sarà e i saldi di finanza non
saranno rispettati. Questo è quello che ci consegnerete
e ne siete
talmente convinti anche voi e il
vostro Ministro dell'economia e delle finanze, che
pensate bene di
aggiustare i conti non in questa
legislatura, ma, guarda caso, nel 2013-2014. Cioè
significa: chi
verrà ci penserà (Applausi dei
deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Calgaro. Ne ha facoltà, per dieci minuti.
MARCO CALGARO. Signor Presidente,
nel 2010 l'indebitamento netto delle amministrazioni
pubbliche è sceso al 4,6 per cento
del PIL, grazie a una forte contrazione della spesa in
conto
capitale e ad un attento controllo
della spesa corrente. Per il 2011-2012 il Documento
conferma
recenti stime e prevede che nel
2012 l'indebitamento netto torni sotto il 3 per cento
del PIL. Inoltre,
nel 2013-2014 si profila un deciso
aggiustamento, con la finalità di arrivare al pareggio
di bilancio
nel 2014.
Le misure correttive necessarie che
sono previste in 2,3 punti percentuali del PIL, saranno
tutte
concentrate sulla spesa. Anche il
rapporto tra debito pubblico e PIL si ridurrebbe a
partire dal 2012
e raggiungerebbe il 112,8 per cento
nel 2014. Questo è un programma molto ambizioso e
implica
una contrazione della spesa
considerevole e prolungata nel tempo. Terrei a
sottolineare che lo
sforzo richiesto per arrivare a
ottenere questi risultati è di gran lunga superiore a
quello compiuto
per rispettare i parametri di
Maastricht ed entrare nella moneta unica europea. Allora
la correzione
dei conti era poco sopra i quattro
punti di PIL in quattro anni, oggi il traguardo è il
miramento di 5,3
punti di PIL in quattro anni.
Vorrei anche far notare che il contesto in cui viene
richiesto questo
sforzo è quello di un Europa e di
un'Italia investite dalle conseguenze delle crisi
finanziaria globale,
con un livello di pressione
fiscale, pari al 42,6 per cento nel 2010, che è uno dei
più elevati in
Europa, con una elevatissima
evasione fiscale, il che imporrà di concentrare il
risanamento agendo
quasi esclusivamente sulla spesa
primaria, con uno sforzo straordinario.
L'impegno alla riduzione della
spesa pubblica che è assunto nel DEF è un impegno
dichiarato ma,
come da più parti è stato fatto
ripetutamente notare, latita ad oggi una precisa
definizione degli
interventi. Bisognerebbe essere in
grado di ottenere consistenti recuperi di efficienza,
definire con
attenzione le priorità
nell'allocazione delle risorse, intervenire in modo
selettivo e non con tagli
lineari sui diversi capitoli di
spesa. Il rischio molto elevato, in assenza di queste
scelte precise, è
quello che i tagli di spesa
finiscano per essere sostanzialmente fittizi e
caratterizzati dal mero rinvio
di spese necessarie e da forme
occulte di debito pubblico, senza considerare che al
taglio della spesa
è previsto contribuire in modo
rilevante il taglio massiccio agli investimenti
pubblici, 27 miliardi
nel 2012 rispetto ai 38 miliardi
nel 2009. Questa diminuzione non potrà non avere effetti
di lungo
periodo sulla infrastrutturazione
del Paese, un essenziale fattore di competitività. Per
brevità di
tempo non mi soffermo ulteriormente
sull'analisi ma è chiaro che il condivisibile e titanico
sforzo di
tenere in ordine i conti pubblici
in tanto manca di chiarezza e precisione sulla
definizione dei tagli e,
qualora questi avessero le
caratteristiche di linearità cui ci abituati il ministro
Tremonti, finirebbero
per sortire effetti depressivi
sull'economia, impedendo la ripresa della crescita da
una parte e dei
consumi interni dall'altra,
mantenendoci nello stato di stagnazione in cui siamo
precipitati da tempo.
Il PNR evidenzia un eccessivo
ottimismo circa l'impatto delle misure già assunte che
al momento
non sembrano abbiano raggiunto i
risultati attesi e un estrema genericità e vaghezza nel
definire i
reali contenuti delle ulteriori
iniziative che non assumono quasi mai i caratteri
immediatamente
operativi che sono previsti dalle
nuove procedure europee. Probabilmente proprio da questo
deriva
il limitato impatto sulla crescita,
pari allo 0,4 per cento che viene attribuito alle misure
prospettate
Un tale impatto sarebbe con tutta
evidenza inadeguato a garantire la ripresa
dell'occupazione e un
indispensabile, per quanto
graduale, riassorbimento del debito.
La prima priorità indicata dal
Governo è la riforma fiscale, che dovrebbe privilegiare
lavoro e
imprese, stimolando consumi e
investimenti, con un graduale e parziale spostamento
della pressione
fiscale dai redditi personali e di
imprese alle cose e ai beni, rivedendo e riformando la
tassazione sui
redditi di natura finanziaria e
tutelando il risparmio previdenziale. Di questa riforma
fiscale al
momento non vi è traccia, anzi, a
fronte di una pressione fiscale tra le più alte in
Europa è elevato il
rischio che l'introduzione del
federalismo determini un aumento della pressione fiscale
stessa. Avete
promesso per anni un fisco a misura
di famiglia, essenziale per ridare fiato a questa
cellula
fondamentale della società, che
negli ultimi anni è stata la vera camera di
compensazione degli
squilibri evidenziatisi a livello
occupazionale, giovanile, reddituale, di invecchiamento
della
popolazione e invece nulla,
continuate a parlare dei problemi demografici del Paese,
della necessità
di far riprendere consumi interni,
del favor familiae, ma nessun provvedimento concreto ha
visto la
luce negli ultimi anni.
Un'altra priorità da voi indicata è
l'attuazione del federalismo e anche su questo punto da
voi
ritenuto fondamentale per il futuro
del Paese non potendo dilungarmi, mi limito ad
evidenziare che i
meccanismi individuati per il
coordinamento delle politiche di bilancio sono
assolutamente
inadeguati a realizzare l'autonomia
di entrata e di spesa e sono destinati a riaprire ogni
anno, al
momento del coordinamento dinamico
della finanza pubblica mediante il varo della legge di
stabilità, una contrattazione sul
valore della spesa e sulle quote di compartecipazione.
In questo
modo la responsabilizzazione degli
amministratori regionali e locali, che dovrebbe
rappresentare
l'aspetto qualificante della legge,
rischia di essere completamente vanificato. In ogni
caso, in
assenza della definizione di
elementi essenziali come i sistemi perequativi e i
fabbisogni, si può ben
dire che la riforma è lontana
dall'essere delineata nei suoi effetti e al momento
attuale l'unica
ricaduta prevedibile è quella di un
aumento della pressione fiscale complessiva.
Anche la dotazione di
infrastrutture e reti, declamata come priorità, è nei
fatti frustrata sia
dall'eterna indecisione sulle
priorità di intervento, sia dal fatto che le politiche
di contenimento della
spesa per investimenti causano con
tutta evidenza una sottodotazione delle risorse relative
ai
programmi CIPE, e una importante
caduta degli investimenti degli enti locali. In materia
di welfare
è totalmente evidente come sia
miope ed inefficace la prospettiva di limitarsi alla
sola manutenzione
dei regimi previdenziali e
sanitari. Il contenimento degli sprechi e la
riqualificazione della spesa
mostreranno ben presto la corda
rispetto alle inesorabili conseguenze
dell'invecchiamento della
popolazione, e rendono
indispensabile fin d'ora la prospettazione di nuove
modalità di
finanziamento della sanità prima
che si evidenzi una ulteriore emergenza assoluta nei
conti pubblici.
È altrettanto evidente come la
sempre più precaria condizione delle finanze comunali
renderà ben
presto evidente l'emergenza sociale
costituita dal disagio e dalla povertà. Anche in questo
caso non
si vede traccia di un piano
nazionale contro la povertà. Per quanto riguarda la
ricerca, l'innovazione
e il capitale umano, siamo
nuovamente di fronte alla declamazione della volontà di
favorire
l'efficienza e il merito, ed alla
pratica concreta dei tagli lineari, con ricadute
evidenti e negative
sulla qualità della scuola primaria
e secondaria, con il mancato finanziamento dei capitoli
più
qualificanti della vostra riforma
dell'università, e con una percentuale di PIL stanziato
per la ricerca
e l'innovazione tra i più bassi dei
Paesi occidentali. Infatti l'Italia stanzia a questo
fine l'1,53 per
cento del PIL a fronte di un
obiettivo UE del 3 per cento.
La politica verso i settori
produttivi pare caratterizzata in questa fase unicamente
dall'attenzione alle
nuove dinamiche contrattuali, e
vorrei evidenziare come, stante l'attuale fase di
ristrettezze
economiche e di necessaria
contrazione della spesa, sia indispensabile e urgente da
parte del
Governo compiere scelte settoriali
chiare di investimento e di incentivazione, scelte a
tutt'oggi
mancanti. Vorrei anche evidenziare
come continui a latitare una proposta chiara di riforma
degli
ammortizzatori sociali,
indispensabile per porre mano all'enorme squilibrio
attuale tra lavoratori
garantiti (anche eccessivamente) e
lavoratori la cui vita è caratterizzata dall'assoluta
precarietà di
lavoro e quindi di vita.
Garantire sicurezza nei periodi non
lavorativi ai giovani è uno dei principali nodi da
sciogliere se si
vuole immettere fiducia nella
società, fiducia che è alla base anche della ripresa dei
consumi e dello
sviluppo. Naturalmente non può
mancare nel programma un accenno all'implementazione
delle
politiche di concorrenza e di
liberalizzazione, in particolare nel settore dei servizi
e delle professioni
che certamente nel nostro Paese
sono ancora caratterizzati da un eccesso di vincoli e da
rendite di
posizione che si traducono in
maggiori costi per cittadini e imprese. Ma anche qui,
dopo tanto
parlare, non si passa mai ad una
chiara e condivisa individuazione di provvedimenti
precisi e di
servizi pubblici e aziende da
liberalizzare e privatizzare. Senza mai dimenticare che
ciò che
veramente manca in Italia, e non si
vede all'orizzonte, è la capacità di valutazione e
regolazione
efficace dei servizi di pubblica
utilità prestati dal pubblico e dal privato.
Le politiche per il Mezzogiorno
rappresentano giustamente la seconda priorità del DEF ed
è ormai
chiaro a tutti noi come la
questione meridionale sia una questione nazionale, che
come tale richiede
una regia nazionale. Mi limito ad
osservare come il problema principale in questo caso non
sia
quello del reperimento di risorse,
spesso non spese o impegnate malissimo. Le priorità per
il
Mezzogiorno sono due: il ritorno
alla legalità e alla fiducia nello Stato, e la capacità
di avere bilanci
regionali credibili che consentano
una valutazione in tempo reale dell'andamento della
spesa e
dell'impiego delle risorse. In un
campo come quello della sanità, che rappresenta circa
l'80 per cento
medio del bilancio di una regione,
entrambi questi assunti non sono veri. Il reale
effettivo utilizzo
delle procedure sostitutive
previste dall'articolo 120 della Costituzione è alla
base dell'efficacia di
politiche che affrontino la
questione meridionale con qualche speranza di soluzione.
Faccio solo un accenno alla
riduzione dei costi della politica, per rilevare come
uno dei punti più
rilevanti del vostro programma
elettorale fosse l'abolizione delle province. Non solo
non le avete
abolite, ma neanche siete riusciti
a procedere ad un progetto d'accorpamento. Veniamo al
programma energetico, fino a ieri
imperniato sul nucleare e oggi vuoto di ogni reale
determinazione, sia per le recenti
dichiarazioni del Premier, sia per la totale assenza di
una reale
incentivazione allo sviluppo di
settori specifici delle rinnovabili. Anche la riforma
del processo
civile è tra le priorità, e ne
condividiamo la centralità, ma ad oggi le uniche misure
realmente
perseguite sulla giustizia sono
quelle a tutti fin troppo note. In conclusione, noi
riconosciamo che il
programma di risanamento
dell'economia previsto nel DEF è molto ambizioso e si
pone obiettivi
all'altezza di quanto richiesto
dall'agenda europea, ma dovendo basarsi essenzialmente
sui tagli alla
spesa e - per quanto a noi noto
oggi - essendo basato sui soliti tagli lineari, finirà
per penalizzare
inevitabilmente la crescita e lo
sviluppo e non ci farà uscire dall'attuale stato di
stagnazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARCO CALGARO. Anche il PNR -
concludo - individua effettivamente i principali nodi di
natura strutturale del ritardo
della nostra economia, ma si caratterizza ad oggi per
essere un vero e
proprio libro dei sogni e non un
programma realizzabile entro la fine della legislatura.
Insomma, il vostro DEF stenta a
delineare con precisione le modalità con cui conciliare
un rapido
riequilibrio dei conti pubblici con
azioni volte a rilanciare il nostro sistema produttivo,
far ripartire
la crescita e sostenere i consumi
interni. Per questo, annunciamo il nostro voto contrario
(Applausi
dei deputati del gruppo Unione di
Centro per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Bitonci. Ne ha facoltà.
MASSIMO BITONCI. Signor Presidente,
l'importanza del Documento di economia e finanza che,
oggi, qui, discutiamo deriva dal
fatto di essere, in virtù della recente modifica della
legge di
contabilità e finanza pubblica, lo
strumento cardine, all'interno del semestre europeo,
della
programmazione economica e
finanziaria del Paese. Tematiche queste ribadite con
forza anche dal
Consiglio europeo del 24 e del 25
marzo scorso il quale ha fissato, tra le sue priorità,
un più stretto
coordinamento delle politiche
economiche dei Paesi membri al fine di migliorare la
competitività, la
crescita e la convergenza tra Stati
membri così da recepire, nella legislazione nazionale,
le regole
del bilancio dell'Unione europea
fissate dal Patto di stabilità e di crescita. I
risultati emersi
dall'analisi del Documento,
articolato in tre distinte sezioni (Programma di
stabilità, Analisi e
tendenze della finanza pubblica,
Programma nazionale di riforma), sono promettenti dal
momento
che il deficit, coerente con le
stime di settembre, è risultato inferiore all'obiettivo
precedente e la
spesa primaria corrente è in
diminuzione. Non solo, ma il rientro del disavanzo al di
sotto del 3 per
cento, previsto per il 2012, e
l'obiettivo di pareggio del bilancio per il 2014, sono
impegni
fondamentali in grado di
determinare un abbassamento del peso del debito
consentendo di
ottemperare alle regole europee. In
questi termini, il contenimento della spesa, fondato su
analisi
precise e dettagliate, rappresenta
un passaggio importante, anzi obbligatorio, per il
nostro Paese, in
quanto permetterà di evidenziare i
punti, d'ombra delle amministrazioni che disperdono i
soldi
pubblici.
In un Paese moderno e federale,
dove le risorse devono essere massimizzate per garantire
un
miglior servizio al cittadino, lo
sperpero di denaro pubblico diventa più difficile da
attuare. In una
recente analisi svolta dal Centro
Studi Sintesi sui comuni «spreconi» e la capacità
fiscale, è emerso
che sono al sud i comuni con il
bilancio in rosso. Abbiamo, per esempio, comuni come
Napoli,
Catania, Palermo, Cosenza, Oristano
e Salerno che hanno un imponibile IRPEF su media
nazionale
molto basso; Napoli, ad esempio,
solo il 64 per cento, con, di contro, una spesa corrente
pro capite
su media nazionale superiore al 129
per cento. Così anche Catania con il 64 per cento come
imponibile IRPEF su media nazionale
e il 116 per cento come spesa corrente su media
nazionale.
Questo ricalca un po' anche il
deficit pubblico, soprattutto per quanto riguarda la
sanità. Infatti, le
regioni che hanno provocato un
grande deficit sanitario negli scorsi anni sono sempre
le stesse, dal
2007 ad oggi, ossia la Sicilia, il
Lazio, la Calabria e la Campania. Così come vi è anche
lo spreco
per i fondi FAS europei; sono state
messe a disposizione, dal 2007 al 2013, risorse
comunitarie per
ben 44 miliardi e di questi ne sono
stati spesi solamente 3,6. Non è vero, quindi, che i
soldi non ci
sono, cari colleghi del sud, ma è
vero che non sapete amministrare, non sapete dare
servizi ai
cittadini ed è giunta l'ora di
pagare in proprio. Sapete che con il federalismo
fiscale, con la legge
delega n. 42 del 2009, gli
amministratori pagheranno in proprio per questi
disavanzi creati nei
comuni, nelle province e nelle
regioni.
È, altresì, evidente, tuttavia,
come la politica di contenimento della spesa e di
abbattimento del
debito, creata da decenni di mala
amministrazione, deve essere accompagnata, nel suo iter,
anche da
una lungimirante ed attenta
politica di crescita tale da aumentare la competitività
dell'impresa,
l'occupazione e la produttività.
Non a caso crediamo che l'implementazione dei piani
strategici
industriali e la revisione della
pressione fiscale rappresentino, in questo senso, dei
successivi step
lungo i quali dovrà muoversi il
cammino del nostro Governo per i futuri mesi.
La revisione della pressione
fiscale passa inderogabilmente dal contrasto
all'evasione fiscale, in
quanto finalizzata non solo a
debellare per sempre lo squilibrio esistente tra chi
paga e chi evade,
ma anche al contempo ad aprire la
possibilità di ridurre le aliquote fiscali. Ciò
evidenzia per
l'ennesima volta un grande e
innovativo cambiamento che sta riguardando il nostro
Paese, dalla
governance europea alla riforma
federalista, e che denota un avvicinamento al cittadino,
contemporaneamente ad una
partecipazione alla formulazione delle strategie della
politica europea
che non ha precedenti. E se è vero,
come è vero, che una vera Unione si vede soprattutto nei
momenti di difficoltà, il desiderio
che accompagna questo nostro voto favorevole al
Documento di
economia e finanza è che la
compartecipazione alle politiche e alle strategie
comunitarie che
Bruxelles ci ha chiesto e alle
quali noi abbiamo risposto prontamente non si limiti
alle politiche di
bilancio, piani di rientro o
sistemi di controllo (Applausi dei deputati del gruppo
Lega Nord
Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Mario Pepe (PD). Ne ha facoltà, per due
minuti.
MARIO PEPE (PD). Due minuti: signor
Presidente, la ringrazio per la concessione benevola.
PRESIDENTE. Non sono io a
concedere, sono i gruppi parlamentari, non c'entro.
MARIO PEPE (PD). Signor Presidente,
era solo una considerazione sulla brevità, ma sarò
sintetico.
Signor Presidente, lei dice che
stiamo discutendo il Documento di economia e finanza
(DEF); io
ritengo che sia ancora un acronimo
semantico, perché se vediamo la dualità che compone
questo
Documento, il Programma nazionale
di riforma e il Programma di stabilità, vediamo
dialetticamente
una connessione e non poteva essere
diversamente. Tuttavia, signor Presidente, voglio dire
con
molta franchezza che io ho letto ed
ho approfondito il tema e ritengo che siamo andati oltre
le
previsioni che avevamo recuperato
nei cosiddetti Documenti di programmazione economica e
finanziaria. Non un passo avanti,
un passo indietro. Pertanto io adopero questa
definizione, è un
adattamento continuo di
consolidamenti finanziari il DEF, per cui noi dovremmo
verificarlo
soprattutto nel decreto di
sviluppo, che sarà l'attuazione di questo documento
programmatico.
Vorrei affidare a lei e al Governo
due argomenti, affrontare seriamente il tema del
regionalismo,
superando il mito che il
Mezzogiorno dilapida le risorse in maniera capricciosa e
irrazionalistica
(c'è un Mezzogiorno diverso, che
vuole lavorare), potenziare quindi il regionalismo,
recuperando
anche le dinamiche del Patto di
stabilità e affrontando seriamente un progetto chiaro,
finalizzato a
rilanciare il Mezzogiorno d'Italia.
Ritengo di aver utilizzato in
maniera intelligente i due minuti, per cui dirò il mio
«no» profondo al
DEF del Governo (Applausi dei
deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà, per sei minuti.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente,
rimando alle considerazioni di carattere generale che ha
fatto l'onorevole Baretta nel suo
intervento per concentrarmi, considerati anche i limiti
di tempo, su
un aspetto specifico che riguarda
il fisco e la riforma fiscale. Il Ministro dell'economia
Tremonti
parla ormai da tempo di una grande
riforma fiscale e il problema io credo che sia proprio
il tempo, il
problema è costituito dai tempi
dell'attuazione della grande riforma fiscale. Perché
faccio questa
sottolineatura, signor Presidente e
onorevoli colleghi? Faccio questa sottolineatura perché
a mio
avviso il tempo non è una variabile
indipendente, l'attesa non è neutra.
Faccio questa affermazione e voglio
suffragarla da alcuni flash molto brevi. Il primo è
questo: in
una recente inchiesta che ha fatto
Il Sole 24ore l'11 marzo scorso noi vediamo che il 92,6
per cento
del gettito IRPEF proviene da
redditi da lavoro dipendente e redditi da pensione. Non
solo: se
vediamo le entrate fiscali nel 2010
sempre relative all'IRPEF, così come ci viene detto dal
bollettino
delle entrate del dipartimento
delle finanze, queste sono aumentate del 4,4 per cento
essenzialmente
a causa degli effetti positivi
relativi ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego e
ai relativi arretrati
corrisposti nel 2009.
Qual è il problema? Il problema è
che, così come recita l'articolo 53 della Costituzione,
il nostro
sistema tributario dovrebbe essere
informato a criteri di progressività. Uso il
condizionale, perché
da questi dati possiamo renderci
conto come il concetto di progressività riguardi, ormai,
solo una
parte dei contribuenti e non la
totalità dei contribuenti stessi.
La seconda considerazione riguarda
l'evasione fiscale: anche in questo caso, procedo per
flash.
Ormai, sia la Banca d'Italia che
l'ISTAT ci dicono, da tempo, che il reddito che sfugge
all'imposizione fiscale si aggira
intorno ai 300-320 miliardi di euro. Una quantità enorme
di denaro
che toglie alle casse dello Stato,
annualmente, circa 100 miliardi di euro. Per dare alcune
cifre di
grandezza dico soltanto che
l'ultima manovra finanziaria approvata dal Parlamento -
quella
approvata nel luglio scorso -
cifrava 25 miliardi di euro e per di più era spalmata su
due anni. Qui
stiamo parlando di minori entrate
per 100 miliardi di euro.
Non solo. Nonostante gli sforzi
dell'Agenzia delle entrate e della guardia di finanza,
che hanno
prodotto un lavoro che ha
consentito di recuperare circa 10 miliardi di euro alle
casse dello Stato,
non un euro di questi 10 miliardi è
andato per la riduzione delle imposte, ma tutto è andato
per la
copertura di spese correnti.
Ultimo flash e mi avvio a
concludere. L'imposizione fiscale sulle imprese, nel
nostro Paese, supera
ormai ampiamente il 50 per cento,
attestandosi intorno al 52-53 per cento.
Perché ho fatto questi tre esempi e
ho voluto lanciare questi tre flash? Perché, a mio
avviso, da
queste brevissime considerazioni
che non possiamo sviluppare a causa del tempo limitato
della
discussione, emergono due elementi,
sui quali credo dovremmo riflettere tutti assieme: vi è
sicuramente un tema di equità e vi
è sicuramente un eccessivo carico fiscale sul lavoro e
sulle
imprese.
Pertanto, vorrei concludere questo
mio brevissimo intervento con una semplice
considerazione.
Signor Presidente, in genere, il
tema dell'equità dovrebbe informare ogni atto del
Governo e del
Parlamento. Ma io dico di più: in
momenti di crisi come l'attuale, il tema dell'equità
dovrebbe essere
il minimo comune denominatore di
ogni provvedimento del Governo e del Parlamento.
Inoltre, il
fisco, certamente non da solo, può
rappresentare una leva straordinaria per lo sviluppo.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ALBERTO FLUVI. Pertanto, la
proposta che abbiamo avanzato e che avanzo al Governo ed
al
Parlamento - e concludo, signor
Presidente - è la seguente: siamo convinti che sia
possibile, anche a
parità di gettito e, quindi,
facendosi carico delle difficoltà di finanza pubblica,
spostare il carico
fiscale dal lavoro alla rendita. È
questa una delle proposte contenute nella risoluzione di
minoranza
che voteremo più tardi (Applausi
dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. L'onorevole Buonfiglio,
iscritto a parlare non è in Aula.
È iscritto a parlare l'onorevole
Vannucci. Ne ha facoltà, per otto minuti.
MASSIMO VANNUCCI. Signor
Presidente, il Partito Democratico ha salutato molto
favorevolmente le decisioni
europee, il nuovo contesto che si è creato,
l'integrazione politicafederale
e il superamento del mercato unico.
Il Documento di economia e finanza è appunto questo.
Tenere insieme Programma di
stabilità e Programma nazionale di riforma vuol dire, di
fatto, tenere
insieme rigore e crescita. Vi è una
consapevolezza che politiche di rigore e di bilanci
pubblici in
ordine siano necessarie alla
crescita.
Bene, allora, analizziamo la
proposta che ha avanzato il Governo da questi due punti
di vista: rigore
e crescita. Per quanto riguarda il
rigore, le previsioni del Governo sono quelle di un
azzeramento del
nostro deficit di bilancio nel
2014. Ricordo, soprattutto all'onorevole Fugatti che ha
parlato di
questo, che noi abbiamo chiuso il
2010 con un deficit di bilancio del 4,6 per cento, cioè
in questo
Paese si sono spesi oltre 70
miliardi in più di quelli che si incassano.
L'onorevole Fugatti ha detto che,
se avessimo seguito i voleri della sinistra, avremmo
operato in
deficit. Vorrei fargli notare che
semplicemente lui ha raddoppiato il deficit perché,
quando ha
iniziato a governare in questo
Paese, il deficit era al 2,7 per cento del PIL, poi ha
superato il 5 per
cento e ora è al 4,6 per cento
(Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Ma c'è un'altra cosa: si prevede
per il 2011 di chiudere con un deficit al 3,9 per cento,
nel 2012 al
2,7 per cento e nel 2013 all'1,5
per cento del PIL. Quindi, dal 2012 al 2014 dovremmo
azzerare un
deficit di 70 miliardi di euro,
senza considerare il fatto che in questi mesi abbiamo
fatto scelte che
hanno rinviato le spese, non le
hanno tagliate: mi riferisco al turn over, agli scatti e
via dicendo.
Nessuno ancora, signor Presidente,
ha stimato gli effetti di questi rinvii. Registro che la
pubblica
amministrazione deve, al sistema
delle imprese, oltre 60 miliardi. La tecnica è quindi
quella di
rinviare per far tornare i conti,
ma poi queste spese torneranno e quindi azzerare entro
il 2014
settanta miliardi di deficit ed in
più recuperare quanto è stato rinviato, noi lo riteniamo
condivisibile, ma difficilmente
praticabile se non si comincia subito.
Dov'è la furbata signor Presidente?
La furbata è che nel Documento di economia e finanza si
rinvia
tutto al 2013 e al 2014 perché ci
saranno le elezioni. Questa è l'etica di questa
maggioranza e di
questo Governo: non aver mai voluto
affrontare seriamente i problemi.
I colleghi hanno fatto alcuni
parallelismi con i nostri partner europei, con la
Germania e con la
Francia, con riferimento alle
difficoltà nei deficit di bilancio. Vorrei dire
all'onorevole Simonetti:
vogliamo dirci, una volta per
tutte, che i deficit di bilancio in aumento degli altri
Paesi sono dovuti
ai salvataggi bancari che noi non
abbiamo dovuto affrontare grazie ad una buona legge
bancaria -
quella dell'onorevole Amato - e
alla guida della Banca d'Italia che avete sempre
criticato per
provincialismo? Il Ministro
Tremonti si è sempre distinto in questo e, malgrado ciò,
in tre anni di
vostro Governo registriamo 220
miliardi di debito pubblico in più e una decrescita, in
due anni, di
oltre dieci punti senza poter
prevedere sensibili risalite. Questo è per quanto
riguarda il rigore.
Per quanto riguarda invece la
crescita e il Programma nazionale di riforma, non so
dove l'onorevole
Cazzola veda questo «afflato
riformatore» di cui ha parlato, io vedo anche qui delle
furbizie.
Signor Presidente, lei conosce
meglio di me i tempi e i modi della legislazione e nel
Documento di
economia e finanza ci si propone di
modificare ben quattro articoli della Carta
costituzionale. In
primo luogo, l'articolo 81, quello
sulla contabilità e potremmo essere d'accordo anche se
abbiamo
già una norma costituzionale,
appunto l'articolo 81 (abbiamo già una norma che
recepisce
automaticamente i Trattati
europei), poi l'articolo 41, quello sulle imprese,
l'articolo 97 sulla
pubblica amministrazione e
l'articolo 118, a proposito della sussidiarietà, diciamo
così, oltre alla
pletora di proposte di riforme
costituzionali che sono state avanzate in questi giorni.
Io le considero
francamente dei diversivi: un
Governo al terzo anno di legislatura si propone di
cambiare questi assi
portanti della Carta
costituzionale.
Un Governo in queste condizioni di
maggioranza si propone di fare una manovra sulla Carta
costituzionale di questa portata:
ciò vuol dire parlare d'altro, perché non è vero che la
nostra Carta
impedisce più concorrenza, più
mercato e più semplificazione, e vuol dire non
affrontare i problemi.
L'afflato riformatore di cui
parlava l'onorevole Cazzola e che è scritto nelle carte,
cosa determinerà
nella crescita? Dal 2011 al 2014 lo
0,4 per cento all'anno, quindi già voi dite che questo
piano di
riforme non produrrà ricchezza e
non produrrà crescita. Quali sono i limiti più grandi e
più marcati?
La griglia di Europa 2020 prevede 8
target che ci dicono che per la ricerca e lo sviluppo
dobbiamo
impegnare il 3 per cento del nostro
prodotto; noi impegniamo l'1,5 per cento e non lo
realizzeremo
mai.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MASSIMO VANNUCCI. Concludo, signor
Presidente. Nella stessa direzione va il target di
riduzione degli abbandoni
scolastici: noi scriviamo che il nostro obiettivo è del
16 per cento, mentre
quello di Francia e Germania è del
10 per cento. Potrei parlare di infrastrutture: di
fronte a necessità
dell'allegato di 220 miliardi di
euro, noi ne destiniamo 8, o potrei dire, come ultima
cosa, prima di
concludere, che l'ISTAT, che è
stata audita, parla di un preoccupante aumento delle
importazioni
derivante dalla riduzione della
capacità di presidio del mercato interno da parte delle
nostre
imprese: importiamo beni che
potremmo produrre, perché non si fa politica industriale
e perché per
lunghi mesi il Ministro è stato
assente.
L'obiettivo, quindi, Presidente,
non è raggiunto: non vi è rigore e non vi è crescita,
perché non si è
mai visto nessuno onorare i debiti
senza lavorare di più, senza crescere. È questa, ancora
una volta,
un'occasione persa, perché manca il
coraggio, perché siete bloccati, perché avete una
maggioranza
che non è in grado di affrontare
questi problemi ma, soprattutto, non siete in grado di
dare un
obiettivo al Paese, uno scopo, una
meta, un'ambizione. Dovete prenderne atto (Applausi dei
deputati
del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà, per due minuti.
FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente,
nel corso del 2010 l'economia mondiale ha fatto
registrare un tasso di crescita del
PIL del 4,8 per cento, grazie anche ad un incremento di
12 punti
percentuali del commercio mondiale,
dopo il consistente calo del 2009.
I provvedimenti che il Governo
assume devono tener conto della proiezione
internazionale
dell'Italia, per tornare a
crescere, per tornare ad essere un Paese competitivo e
in questo mi sembra
strategico sottolineare il ruolo
storicamente svolto dalle comunità italiane nel mondo
sino ad oggi e
il possibile ruolo che, in
prospettiva, esse potranno avere in un contesto
globalizzato e competitivo,
dove altri Paesi - questo dobbiamo
vederlo a fondo - vedono le proprie comunità come vere e
proprie teste di ponte per
allargare la propria influenza e volgere a proprio
vantaggio il libero
commercio. La Germania in questo
insegna tante cose.
Credo che per aumentare la
competitività del nostro Sistema Paese bisogna tenere in
debito conto le
nostre comunità italiana
all'estero: milioni di cittadini italiani e 60 milioni
di origine italiana, dove
ritroviamo il portato della cultura
italiana, che contribuisce al successo del made in Italy
nel mondo.
Sappiamo bene che il successo del
made in Italy, e quindi anche di una parte consistente
della
nostra crescita economica, è legato
alla capacità di valorizzare in termini di rete la
ricchezza
costituita dalle nostre comunità
all'estero e con il metabrand italiano nel mondo, quale
incarnazione
dell'immagine del vivere italiano
nella percezione dei cittadini stranieri.
È allora necessario riqualificare
gli sforzi indirizzati alla formazione del Sistema
Italia con le sue
caratteristiche culturali,
linguistiche e imprenditive, ma per fare ciò è
necessaria un'inversione di
tendenza, questo è il dato centrale
che vorrei sottolineare rispetto ai tagli continui
perpetrati ai danni
del Ministero degli affari esteri e
delle politiche per gli italiani nel mondo.
Se le nostre imprese riescono ad
intercettare nuove aree e segmenti dei mercati
internazionali, da un
lato il merito è sicuramente della
capacità imprenditoriale, dall'altro però, esse
manifestano una
maggiore difficoltà di penetrazione
commerciale rispetto ad altri Paesi europei, nostri
competitor
più diretti.
Possono dunque essere propizie e
fondamentali le nostre strutture all'estero, oltre che i
singoli
cittadini italiani nel mondo,
espressione di un'Italia più ampia, anche oltre i
confini nazionali, che
manifesta grande attaccamento
all'Italia, come dimostrano anche le iniziative per i
festeggiamenti
del centocinquantesimo anniversario
dell'Unità.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FRANCO NARDUCCI. Mentre molti Paesi
- concludo, signor Presidente - sia europei che di nuova
proiezione sullo scenario
internazionale investono nella ridefinizione di nuove
strategie di smart
power noi facciamo i conti con la
chiusura delle nostre rappresentanze consolari
all'estero e dei
nostri istituti di cultura.
Il tutto avviene mentre è iniziata
una nuova battaglia per la presenza culturale nello
scenario
globalizzato, una battaglia che il
nostro Paese non può perdere. Sarebbe un grave peccato
ed un
irreparabile errore di politica
economica.
Signor Presidente, chiedo che la
Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al
resoconto della
seduta odierna del testo integrale
del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo
Partito
Democratico).
PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la
Presidenza lo consente, sulla base dei criteri
costantemente
seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole
Zamparutti. Ne ha facoltà per tre minuti.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor
Presidente, il documento oggi all'esame dell'Aula
evidenzia, se guardo agli
stanziamenti sul dissesto idrogeologico, il livello di
dissesto ideologico in
cui versa la maggioranza,
nonostante una mozione approvata sostanzialmente
all'unanimità più di
un anno fa da quest'Aula che
impegnava il Governo ad un piano nazionale straordinario
anche in
termini di investimenti per la
messa in sicurezza del Paese.
Ad oggi vediamo che anche
quell'esiguo miliardo di euro stanziato a questo fine
nella legge
finanziaria per il 2010 è tuttora
un fantasma nel bilancio del Ministero dell'ambiente,
come lo stesso
Ministro ha dovuto recentemente
ammettere, lamentandosi che, mentre ne aspettava
l'effettiva
disponibilità in termini di
competenza e di cassa, se lo è visto decurtare dal
cosiddetto decreto
milleproroghe.
Questa prassi di un costante
disattendere gli obblighi di legge e gli obblighi
istituzionali che
persegue il Governo causa dei danni
al nostro Paese. È un comportamento che riscontriamo
anche
nella destinazione delle risorse
costituite in quel fondo generato dai risparmi ottenuti
con
l'allungamento dell'età
pensionabile delle donne nella pubblica amministrazione
che finora sono
stati devoluti a fini diversi da
quelli previsti dalla legge.
In particolare, con una mozione a
prima firma Marco Beltrandi, ma che ha trovato un
sostegno
assolutamente bipartisan di molte
colleghe di quest'Aula, chiediamo - e mi auguro che il
Governo
voglia recepirla - che queste
risorse siano effettivamente destinate ad azioni
concrete di
conciliazione tra vita familiare e
vita lavorativa delle donne.
Questo modo di procedere, per cui
si disattendono gli obblighi di legge e gli obblighi
istituzionali, è
grave anche in termini di ricadute
economiche e finanziarie. Ritorno, ad esempio, sul
dissesto
idrogeologico e guardo agli oltre
100 miliardi che sono stati spesi in Italia negli ultimi
decenni per
iniziative compiute in emergenza,
quando ne basterebbero 45 per mettere in sicurezza il
territorio.
È un modo di procedere davvero
assurdo e grave, così come anche le previsioni sul
cosiddetto
«piano casa»: più che il rilancio
ne sanciscono, a mio avviso, il totale fallimento,
proponendosi
come surrogato di un decreto che
doveva essere adottato entro 60 giorni dall'intesa
Stato-regioni
dell'aprile 2009 e che non ha mai
visto la luce, con le leggi regionali che stanno
arrivando a
scadenza ed il settore edilizio in
sofferenza.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Anche su
questo le proposte radicali di un grande piano per la
rottamazione edilizia post-bellica
e priva di qualità sono state assolutamente disattese,
per non
parlare del settore dell'energia,
cruciale settore tuttora privo di una definizione di una
strategia
energetica nazionale, con
l'indecoroso comportamento sul nucleare e
l'inadeguatezza che state
esprimendo anche sulle rinnovabili,
che non sono solo quelle elettriche, ma anche quelle
termiche e
con la scarsa considerazione del
settore dell'efficienza energetica.
Noi, e concludo, prendiamo atto di
una decurtazione di oltre il 60 per cento delle risorse
destinate al
Ministero dell'ambiente, segno
evidente di un'incapacità di fare delle politiche
ambientali una leva
per il rilancio e la ripresa
economica del nostro Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà per otto minuti.
FRANCESCO BOCCIA. Signor
Presidente, otto minuti per sintetizzare al Governo i
punti che
fanno di questo Documento
l'ennesima occasione mancata. Speravamo in Commissione -
il
sottosegretario Casero ha seguito i
lavori dall'inizio alla fine - che in qualche modo il
Governo
potesse cambiare posizione su
alcuni aspetti che hanno caratterizzato, a nostro
avviso, un
Documento che è inaccettabile - per
questo voteremo contro - e che rappresenta la sintesi
del
fallimento politico di questa
maggioranza.
Come abbiamo già fatto presente in
Commissione, arriviamo ad approvare e ad allineare con
questo
Documento i modelli di
programmazione economico e finanziaria a quelli degli
altri Paesi europei e
lo facciamo, riallineando i
Documenti di programmazione economica ad aprile, così
come avevamo
auspicato non più di un anno fa,
quando questo stesso Governo, questo stesso Ministro
dell'economia e delle finanze,
avevano costretto il Parlamento (anche in
quell'occasione abbiamo
votato contro) a modificare le
modalità con cui si definiscono le priorità economiche
del Paese. Non
a caso un anno fa, nonostante il
Partito Democratico avesse messo in guardia il Governo
dalla
necessità di allineare i nostri
Documenti di programmazione economico e finanziaria a
quelli degli
altri Paesi, il Governo ci aveva
detto che non era più necessario il nostro vecchio DPEF
che
approvavamo a giugno, ma che era
necessario definire questi modelli a partire dalle
previsioni che
si fanno da settembre in poi. È
passato un anno, torniamo indietro e ci ritroviamo il
Ministro
dell'economia e delle finanze che
smentisce se stesso.
Ma il tema di fondo non è quando si
fa un Documento di programmazione economico e
finanziaria
e quanto attendibile sia ma sono
soprattutto le scelte politiche contenute in questo
Documento che
non ci convincono; oltretutto, - lo
facciamo presente ai colleghi di maggioranza alla
vigilia di un
momento delicato come quello che
stiamo vivendo - all'interno di questo Documento non ci
sono
scelte, ancora una volta il
Ministro Tremonti di fatto fa diventare scelte i vincoli
di bilancio
comunitario. Tali vincoli ci sono,
ci sono sempre stati, purtroppo ci sono dalla metà degli
anni
Novanta, e per la condizione
generale del nostro Paese ci saranno. Non è ammissibile
che dentro
questo Documento si rivedano al
ribasso le valutazioni del DFP approvato solo a
settembre del
2010 e ricordo a noi tutti che, nel
documento della Decisione di finanza pubblica approvato
a
settembre 2010, il PIL era stimato
all'1,3 per cento nel 2011, e in questo documento invece
all'1,1
per cento, e nel DEF, che avrà il
nostro voto contrario, ogni anno, come stimato dal
Ministro
dell'economia e delle finanze, è
sotto abbondantemente alla media comunitaria. Nel 2012
il PIL è
stimato all'1,3 per cento, nel 2013
all'1,5 per cento, nel 2014 all'1,6 per cento.
Ricordo a noi stessi che nello
stesso periodo la Germania ha una media di crescita del
2,4 per cento
e i tendenziali che arrivano da
tutti gli altri Paesi comunitari fanno sì che tutti
siano almeno sopra il
2 per cento. Non riusciamo a capire
con questo quadro come si faccia a parlare di ripresa
economica
nel nostro Paese. Non riusciamo a
capire come mai con questo contesto si possa ancora
ignorare
quanto sia necessario anteporre la
crescita ad una stabilità che certamente ha un valore ma
non può
essere certamente l'unica ragione
di vita della politica economica di un Paese.
Ricordo al Parlamento che la
«crescita» era la parola d'ordine di chi oggi è
maggioranza quando era
all'opposizione nel biennio della
scorsa legislatura 2006-2008. In quel biennio la
crescita ci fu ed è
stata la crescita più alta
dell'ultimo decennio. Oggi stiamo combattendo con una
crescita inferiore
all'1 per cento. Ogni volta che ci
sono correzioni sono peggiorative e il risultato
evidente di tutto
quello che abbiamo subito in questi
tre anni è che c'è una schizofrenia tra il pensiero del
Ministro
dell'economia, le azioni e i
documenti di programmazione economica.
Così ci ritroviamo in Parlamento un
Documento che, in realtà, ci annuncia che le
esportazioni nel
periodo 2011-2013 caleranno, che
aumenteranno le importazioni nette dello 0,5 per cento,
che il
debito pubblico continuerà a
peggiorare e - lo ribadisco e lo ricordo ai colleghi
della Lega Nord
Padania, che forse vedono un altro
film: vi consiglierei di non fare l'errore del Ministro
Gelmini che
si ritrova in contesti ufficiali a
difendere documenti che non conosce e temo che ciò stia
accadendo
anche a molti colleghi di
maggioranza - nel 2011, alla luce del Documento che
stiamo approvando,
la previsione del rapporto
debito-PIL è del 120 per cento e del 119,4 per cento nel
2013.
L'indebitamento netto, che solo nel
Documento di settembre era stimato al 2,2 per cento, nel
DEF
che vi accingete ad approvare è
stimato al 2,7 per cento.
Se questo è il contesto nel quale
ci troviamo capirete che l'effetto devastante dei tagli
di cui al
decreto-legge n. 78 del 2010 (che è
un po' quello che in qualche modo ci vincola tutti a
rivedere le
stime anche in sede di attuazione
del federalismo fiscale) fa salire l'aumento dei tagli
complessivamente di altri 8
miliardi di euro nel 2013. Questo lo dite nel Documento
che state
sottoponendo al voto dell'Aula.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la
prego di concludere.
FRANCESCO BOCCIA. In questo
contesto non capiamo come - e mi avvio a concludere,
signor
Presidente - si possa pensare che
il nostro Paese possa reggere 66,4 miliardi di euro di
manovra dal
2010 (l'anno che abbiamo alle
spalle) fino al 2014 compreso, in un contesto nel quale
- e concludo -
la spese in conto capitale (quella
per gli investimenti) diminuisce di 8 miliardi e, più in
generale, nel
Documento non c'è traccia di
risposte reali sulle politiche che riguardano davvero il
rilancio del
Paese. Dalla scuola all'università
e all'industria nel nostro Documento noi chiediamo di
recuperare i
progetti di politica industriale e
di Industria 2015. Il fallimento che avete prodotto con
l'energia
nucleare e con i vostri passi
indietro sul nucleare (che noi abbiamo sempre
contestato, ma per voi
era l'unica ragione di vita di
politica industriale) confermano il fallimento su tutta
linea della
politica industriale e della
politica di sviluppo del nostro Paese (Applausi dei
deputati del gruppo
Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare
l'onorevole Buonfiglio. Ne ha facoltà per cinque minuti.
ANTONIO BUONFIGLIO. Signor
Presidente, onorevoli colleghi, il Documento in esame
viene
posto all'attenzione delle Camere
dopo che qualche giorno fa - anche in quel caso peraltro
a
brevissima distanza dalla scadenza
indicata dalla legge - la Camera ha approvato la
modifica alla
legge di contabilità e finanza
pubblica a seguito delle nuove regole di governance
adottate
dall'Unione europea.
Siamo consapevoli che quel
provvedimento si è reso necessario per consentire
all'Italia di
armonizzare e allineare il sistema
nazionale alle decisioni di bilancio nell'ambito del
cosiddetto
semestre europeo. Per questo,
riteniamo ancora una volta necessaria l'approvazione
anche di questo
Documento, ma non possiamo però
esimerci da alcune critiche nel merito sul Documento in
esame.
Infatti, abbiamo esaminato i
documenti economici approvati dal Consiglio dei
ministri: il
Programma di stabilità, che delinea
gli andamenti pluriennali della finanza pubblica
italiana fino al
2014, e il Programma nazionale di
riforma, nel quale sono indicate le politiche che il
Governo
intende adottare per sostenere la
crescita economica del Paese.
In particolare il Programma di
stabilità indica il raggiungimento nel 2014 del pareggio
sostanziale
del bilancio e di una prima
consistente riduzione del rapporto debito-PIL. È del
tutto evidente che
tali traguardi richiederanno da qui
al 2014 una manovra aggiuntiva di riduzione del
fabbisogno di
un ulteriore 2,5 per cento. Sono
obiettivi condivisibili come tutti quelli che conducono
al
risanamento, ma sono anche
obiettivi ambiziosi che richiederanno sacrifici e azioni
concrete da
intraprendere. Per comprenderci, si
tratta di uno sforzo di gran lunga maggiore a quello
compiuto
qualche anno fa per rientrare nei
parametri di Maastricht e per poter partecipare
dall'inizio alla
moneta unica europea.
La prima nostra osservazione è
questa: il Governo sta rinviando di fatto nel tempo la
correzione
richiesta dagli accordi in sede
europea, sta scaricando sulla prossima legislatura gran
parte
dell'onere del risanamento.
L'Italia si è presentata a questo appuntamento in
condizioni
particolarmente difficili, per uno
stock di debito in rapporto al PIL pari al doppio di
quanto previsto,
per una crescita reale di medio
periodo che si colloca attorno all'1 per cento, per un
divario tra il
nord e il sud del Paese che si è
accentuato in misura assai rilevante.
Peraltro, alla diminuzione
necessaria della spesa contribuirà in misura importante
un taglio agli
investimenti pubblici che
passeranno dai 38 miliardi di euro del 2009 ai 27
miliardi di euro nel
2012, con una naturale
ripercussione sull'infrastrutturazione del Paese e
dunque sulla sua
competitività, soprattutto nelle
aree dove questo deficit ha già raggiunto dimensioni
elevate.
Perciò rileviamo con preoccupazione
come nel Programma nazionale di riforma non siano
previsti
interventi destinati a dar luogo a
una crescita più rigorosa dell'economia. Il Programma
infatti
propone una serie di misure
disorganiche tra loro, alcune sono semplici piani, altre
titoli vuoti, altre
ancora sono già in vigore. Si
proclama un rafforzamento della concorrenza ma non si
indicano
strade concrete, efficaci ed
incisive.
Il Programma è solo una generica
enumerazione di misure senza priorità, particolarmente
carente è
la trattazione del Mezzogiorno.
Totalmente dimenticate le liberalizzazioni. Ci sono poi
misure che
prevedono un iter lunghissimo di
approvazione, per fare qualche esempio se è
assolutamente
condivisibile la volontà di
includere il processo civile, certo le misure adottate
sino ad oggi per
deflazionare il contenzioso - come
ad esempio l'introduzione della media conciliazione -
più che
contrastare l'abuso del processo
impongono ai cittadini una spesa superiore, una difesa
non tecnica e
una risoluzione non giuridica delle
controversie che al di fuori dei giudizi di legittimità
costituzionale a cui il
provvedimento è oggi sottoposto non sembrano poter
produrre gli effetti
sperati in termini di deflazione e
soprattutto di certezza del diritto.
Da tali considerazioni non si
discostano neppure gli strumenti conciliativi introdotti
con il collegato
lavoro e, per restare in tale
ambito, in tema di ammortizzatori sociali manca ancora
quella riforma
che faccia uscire dalla logica
emergenziale e assistenziale avuta in questi anni e che
li renda
effettivamente conciliabili con
politiche attive del lavoro, realizzando quel secondo
tempo della
legge Biagi senza il quale si
assiste solo a una istituzionalizzazione della
precarietà.
In tema di scuola e università, al
di là delle linee di indirizzo non sono sufficientemente
definiti i
percorsi attuativi, le azioni
chiare e concrete che permettono di raggiungere gli
obiettivi proposti.
Sempre per tornare al tema
accennato prima del divario tra il sud e il resto del
Paese, al di là dei
titoli contenuti nel Programma
mancano in concreto le misure rivolte alla rimodulazione
e
all'accelerazione dei programmi
comunitari e per di più le azioni concretamente
intraprese nelle
more di approvazione di questo
Programma vanno assolutamente in senso opposto. Potrei
citare il
caso dell'agricoltura e della pesca
dove mentre questo Governo da un lato scriveva questo
Programma di accentramento e
rimodulazione, dall'altro alcuni dei suoi componenti
davano sfogo a
una dispersione delle risorse in
mille rivoli, perdendole e disperdendole in assurde
politiche
territoriali e privando lo Stato
della possibilità di intervenire strategicamente in
futuro.
È necessario che il Governo tratti
da subito con la Commissione europea la possibilità di
accentrare
e riorientare in senso
infrastrutturale le risorse che rimangono nella zona
obiettivo convergenza,
così come andrebbe trattata
concretamente, al di là dei titoli, la possibilità di
una fiscalità
differenziata. Certo, per fare
questo l'Italia deve ripartire dalla consapevolezza
della sua posizione
di Paese fondatore dell'Unione
europea, dovrebbe definitivamente abbandonare ogni
ondivago
atteggiamento rispetto alle
politiche di integrazione europea, senza vagheggiare
minacce di
secessione. Più in generale, manca
- e questo chiediamo al Governo - la certezza della
corrispondenza nella legge di
stabilità delle risorse necessarie e sufficienti al
raggiungimento dello
scopo.
Non si capisce, dati gli obiettivi
generali, da dove si prenderanno i soldi necessari per
attuarli. Per
questo, nei prossimi passaggi
sarebbe auspicabile, come chiediamo dall'inizio, un
maggior
coinvolgimento del Parlamento, a
meno che non crediamo che debbano rimanere semplici
enunciati
o titoli. Sarebbe, peraltro, un
ottimo incipit per abbandonare la logica dei tagli
lineari, decidendo
concretamente da dove prendere le
risorse aggiuntive e quali settori premiare.
Cioè che colpisce di più, infatti,
è la mancanza di un'analisi di relazione fra l'andamento
del
fabbisogno pubblico e il reddito
nazionale. Sappiamo che questa contraddizione,
probabilmente,
non sarà rilevata dalle autorità
europee e che, in qualunque momento si manifesti un
allontanamento
dagli obiettivi proposti, tali
autorità potranno indicare misure restrittive di finanza
pubblica, ma
questo è il limite che continua a
permanere nel nuovo patto europeo, che non assume come
priorità
la questione della crescita né
attribuisce carattere strategico e vincolante
all'attuazione dell'Agenda
2009.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ANTONIO BUONFIGLIO. Vogliamo,
dunque, denunciare l'inerzia del Governo rispetto ai
problemi della crescita, al di là
del continuo favoleggiare di una riforma fiscale, che
ormai è solo
un'araba fenice. Perciò, assieme
alle misure di stimolo della concorrenza e alla
flessibilità del
mercato del lavoro contenute nel
Programma nazionale di riforma, è necessario prevedere
precise
misure a sostegno della crescita.
Con gli altri parlamentari del
nuovo Polo abbiamo indicato tre proposte strategiche:
una legge di
incentivazione fiscale degli
investimenti produttivi, un'assegnazione straordinaria
di risorse a
sostegno della ricerca pubblica e
privata e una destinazione aggiuntiva di risorse alla
spesa per
investimenti, falcidiata nel corso
degli ultimi anni, con una particolare attenzione al
capitolo delle
infrastrutture nel Mezzogiorno.
Tutto ciò anche attraverso il
reperimento di risorse necessarie con un piano
straordinario di vendita
e valorizzazione del patrimonio
dello Stato, delle regioni e degli enti locali.
Ricordiamocelo,
soprattutto in tempi di federalismo
demaniale (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e
Libertà
per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri
iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la
discussione.
(Risoluzioni - Doc. LVII n. 4)
PRESIDENTE. Avverto che sono state
presentate le risoluzioni Beltrandi ed altri n. 6-00077,
Donadi ed altri n. 6-00078,
Galletti, Della Vedova, Tabacci, Lo Monte, La Malfa ed
altri n. 6-
00079, Cicchitto, Reguzzoni e
Sardelli n. 6-00080 e Franceschini ed altri n. 6-00081,
che sono in
distribuzione (Vedi l'allegato A -
Risoluzioni).
(Repliche dei relatori e del
Governo - Doc. LVII n. 4)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare
il relatore di minoranza, onorevole Baretta.
PIER PAOLO BARETTA, Relatore di
minoranza. Signor Presidente, intervengo semplicemente
per ringraziare il sottosegretario
Casero dell'attenzione che ha avuto, ma anche per
denunciare la
completa assenza del Ministro
Tremonti in un dibattito che meritava fosse presente,
per dare dignità
a questa discussione, che ha un suo
significato e un suo peso.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare
il relatore di minoranza, onorevole Ciccanti. Prendo
atto che
è assente.
Ha facoltà di replicare il relatore
di minoranza, onorevole Borghesi.
ANTONIO BORGHESI, Relatore di
minoranza. Signor Presidente, intervengo solo per
ribadire,
anche dopo la discussione, che per
il gruppo dell'Italia dei Valori siamo in presenza di un
Documento carente, insufficiente,
poco chiaro, poco trasparente, misterioso e che non
affronta
minimamente i temi della manovra da
40 miliardi di euro che si dovrà fare per raggiungere
effettivamente l'obiettivo del
pareggio di bilancio.
Sarà una manovra del Ministro
Tremonti, «lacrime e sangue». Noi ne proponiamo una,
nella nostra
risoluzione, che prevede poche
lacrime e un po' di sangue da parte di chi non ha mai
pagato le tasse.
PRESIDENTE. Prendo atto che il
relatore per la maggioranza, onorevole Toccafondi,
rinunzia alla
replica.
Ha facoltà di replicare il
rappresentante del Governo. Peraltro, poiché a norma
dell'articolo 118-bis,
comma 2, del Regolamento, verrà
posta in votazione per prima la risoluzione accettata
dal Governo,
invito il rappresentante del
Governo a dichiarare anche quale risoluzione intenda
accettare.
LUIGI CASERO, Sottosegretario di
Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente,
svolgerò
una breve replica a un dibattito
lungo che vi è stato ieri in Commissione e oggi in Aula,
che, come
si è detto, richiederebbe forse più
attenzione e più presenza, perché è un dibattito che
riguarda il
futuro, anche economico, del Paese.
È necessario, però, per iniziare la replica, partire da
alcuni dati
di fatto, che sono stati presi in
considerazione.
Per prima cosa si è detto che
questo Documento di economia e finanza presenta dei dati
reali, dei
dati veri sull'evoluzione del
Paese, e che, mettendo molto l'attenzione sugli
interventi di
salvaguardia dei conti, pone poca
attenzione, anzi, non affronta assolutamente gli
elementi legati
alla crescita.
Ritengo che questo non sia vero, ma
che vi sia la necessità di valutare, innanzitutto, la
situazione
complessiva che esiste a livello
mondiale. Spesso facciamo dei riferimenti temporali a
tre, cinque,
dieci anni fa, ma dobbiamo capire
quello che sta avvenendo negli ultimi sei mesi. La
situazione sta
complessivamente cambiando. Quando
confrontiamo il nostro Paese con gli altri Paesi europei
dobbiamo cominciare a farlo
valutando la situazione del nostro Paese in chiave
mondiale,
considerando ciò che sta avvenendo
tra l'Europa e gli altri grandi Paesi europei.
Visto che, sicuramente, due, tre o
cinque anni fa non si poneva questo problema, nessuno ha
posto
in evidenza che nel 2016, ossia fra
cinque anni, la Cina supererà gli Stati Uniti come
potenza
economica e diventerà la prima
potenza economica mondiale. L'Europa non è né la Cina né
gli Stati
Uniti e non partecipa a questa
cosiddetta battaglia per diventare la prima potenza
economica
mondiale. Si stanno affacciando
altri colossi economici, come l'India e il Brasile.
Dobbiamo
lavorare assolutamente in chiave
europea per potere partecipare a questa competizione,
altrimenti la
sconfitta sarà non solo
dell'Italia, ma di tutti i Paesi europei. Questa è la
vera partita della crescita
che giochiamo nei prossimi anni.
Una partita da giocare, assolutamente, a livello
europeo, cercando
di definire regole e modi di
comportamento in Europa per fare sì che tutto il
continente possa
competere e crescere con gli altri
Paesi, pur partendo da una serie di posizioni di
debolezza.
Sicuramente in questo momento i
fondamentali di crescita per l'Europa non sono positivi
nei
confronti degli altri colossi
mondiali.
In Europa il primo tema che si pone
è quello relativo alla difficoltà e alla necessità di
ridurre il
debito. Sapete che vi sono Paesi
europei in grande crisi, Paesi a noi vicini come la
Grecia, il
Portogallo e la Spagna. Il fatto
che il nostro Paese non appartenga a questa lista, pur
avendo corso il
rischio, nel passato, di arrivare a
situazioni di crisi finanziaria, è sicuramente un dato
positivo che
secondo noi è stato poco
evidenziato.
Le politiche di stabilizzazione del
debito attuate negli anni precedenti che devono,
assolutamente,
avere la priorità negli anni
successivi, sono le politiche fondamentali che
caratterizzano il
Documento di economia e finanza in
esame, che ci vengono richieste in sede europea e che
devono
essere portate avanti. Penso che su
queste politiche debba esservi una condivisione generale
e che la
politica economica sia la necessità
prioritaria che il nostro Paese deve giocare nei
prossimi mesi.
Nello stesso tempo, si deve cercare
di attuare una politica europea che non solo focalizzi
l'attenzione sul debito pubblico,
che sappiamo essere un elemento di difficoltà, ma anche
su altri
elementi di crisi del debito.
Ricordiamo le azioni svolte a proposito della necessità
di considerare
l'indebitamento di famiglie e di
banche; gli ultimi fatti hanno dimostrato quanto un
default bancario
possa essere pericolosissimo per la
situazione finanziaria complessiva dell'Europa. Abbiamo
sollevato anche il problema - e
questo è un tema che dovrà essere discusso -
dell'indebitamento che
può nascere dalla dismissione di
centrali nucleari di primo livello. Secondo noi questi
sono altri
temi che devono essere affrontati
in sede europea per guardare complessivamente le
potenzialità sul
debito di un Paese.
Esiste la necessità, però, in
questo caso, anche di porre l'attenzione sui numeri che
vengono presi in
considerazione. Ho sentito citare
molti numeri che spesso pongono il nostro Paese in
posizioni
molto più basse di quelle reali.
Qualcuno è arrivato a dire che il nostro Paese è situato
solo prima di
Malta e sotto tutti gli altri Paesi
europei. Sui numeri dobbiamo porre molta attenzione.
Penso che
dovremmo cercare di confrontarci
con gli altri Paesi europei e di migliorare il rapporto
con i
principali tra questi.
Ho anche detto che per anni abbiamo
considerato il rapporto tra deficit e PIL come obiettivo
prioritario della politica
economica e finanziaria del nostro Paese quando questo
rapporto ci poneva
come ultimo Paese all'interno
dell'Europa.
Ho anche detto che negli ultimi
mesi non sento più parlare di rapporto deficit-PIL in un
momento in
cui il rapporto ci pone al secondo
posto in Europa e non più ultimi come nel passato. Ho
detto poi
che l'uso dei numeri - e non che
non si debba considerare il rapporto - spesso viene
usato in modo
difforme per penalizzare posizioni
di forza nel nostro Paese stesso. Il rapporto
deficit-PIL, quando
la Francia e l'Inghilterra si
aggirano su numeri intorno al 10 per cento e il nostro
Paese alla metà,
non viene più considerato nel
dibattito politico di questo Paese. Perché? Perché
esiste, in una
situazione, come dicevo, complessa
di rapporti con gli altri Paesi, la necessità di
esaltare i punti di
forza del nostro Paese e di cercare
di controbattere i punti di debolezza. Questo Documento
di
riforme cerca di far questo e cerca
quindi di partire dalla stabilità economica e la
necessità di
garantire la stabilità finanziaria
per intervenire su alcuni elementi di crisi. Sono stati
individuati
alcuni aspetti e ho sentito che c'è
stato un grande dibattito su questo. Vorrei fare solo
alcune
considerazioni su questi elementi.
Ritengo che siano i punti su cui si debba investire. Il
Governo ha
parlato di necessità di attuare il
processo federale, di intervento nella pubblica
amministrazione, di
intervento di sviluppo nel sud per
eliminare questo sviluppo duale, di utilizzo del turismo
come
elemento di rilancio del nostro
Paese stesso, di investire finalmente in ricerca e
sviluppo e destinare
i fondi di ricerca e sviluppo, di
attuare un piano infrastrutturale completo. Si è parlato
poi di
incominciare ad attuare la riforma
fiscale, sapendo che devono essere salvaguardati i
numeri
complessivi - quindi non è un
problema fiscale che non può essere affrontato a deficit
- sapendo che
esiste la necessità di una forte
semplificazione nei confronti delle imprese e dei
cittadini che pagano
le tasse e sapendo che c'è la
necessità di modificare il rapporto tra imposte dirette
e indirette - il
Paese ha recepito questo messaggio
- e sapendo che c'è la necessità di destinare a
riduzioni fiscali
più specifiche, ad esempio alla
ricerca e, sviluppo e innovazione o secondo il merito,
fondi che in
questi giorni e in questi anni sono
stati distribuiti a pioggia alle imprese e non hanno
dato un grande
effetto benefico.
Ritengo che il Governo debba
proseguire a lavorare e il Parlamento possa discutere su
questi temi.
Questi sono i temi che ci potranno
permettere di diminuire il gap che ci divide dai più
forti Paesi
europei che sono la Francia, la
Germania e non sono altri Paesi che sono stati citati in
questo
dibattito. Ritengo che su questa
strada il Governo possa e debba continuare, per i
benefici di tutti
(Applausi dei deputati del gruppo
Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Il Governo dovrebbe
dire qual è la risoluzione che accetta.
LUIGI CASERO, Sottosegretario di
Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il
Governo, a fronte delle
considerazioni svolte, accetta la risoluzione a prima
firma Cicchitto n. 6-
00080.
PRESIDENTE. Ricordo che, in caso di
approvazione della risoluzione accettata dal Governo,
risulteranno precluse le altre
risoluzioni presentate.
(Dichiarazioni di voto - Doc. LVII,
n. 4)
PRESIDENTE. Passiamo alle
dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per
dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha
facoltà, per sei minuti.
GIORGIO LA MALFA. Signor
Presidente, non può non essere osservato preliminarmente
che il
primo atto di politica economica
successivo alla ridefinizione della governance dei
sistemi di
governo europeo avviene
nell'assenza del Governo.
Infatti, con tutto il rispetto per
il sottosegretario Casero, il fatto che il Ministro
dell'economia e delle
finanze, il Presidente del
Consiglio e il Ministro dello sviluppo economico siano
assenti dal
dibattito con cui l'Italia entra
nella nuova impostazione di politica economica fa
veramente una
certa impressione. Lo stesso tono
con cui il sottosegretario risponde alle osservazioni
degli
intervenuti dell'opposizione e
della maggioranza è un tono dimesso.
Ora, si può cercare di affrontare
in modo dimesso il problema della situazione economica
del
Paese? Il Ministro sa, come noi, e
avrebbe il dovere di dirlo con chiarezza al Parlamento,
che le
nuove regole europee che sono state
decise negli scorsi mesi hanno e avranno degli effetti
devastanti, allo stato delle cose,
sull'economia italiana, onorevoli colleghi.
E infatti, se non vi sarà crescita,
se il vincolo europeo sul debito pubblico che è stato
introdotto e
che prevede che ogni anno i Paesi
che hanno un debito superiore al 60 per cento riducano
la
differenza di un ventesimo - il che
vuol dire il 3 per cento l'anno per l'Italia, che ha il
doppio del
debito pubblico in rapporto al PIL
rispetto al limite previsto - non verrà attenuato da una
forte
crescita del reddito nazionale,
l'Italia sarà costretta ad una lunga, lunghissima serie
di anni con
politiche economiche
insopportabili, onorevoli colleghi. Allora, il tema di
questa riunione è il
seguente: nella politica economica
del Governo c'è qualcosa che consenta all'Italia e al
Parlamento,
di sperare che la crescita riparta?
La risposta, onorevoli colleghi, è nello stesso
Documento, il
cosiddetto Programma nazionale di
riforma, dove il Governo stima l'effetto che avranno le
proprie
misure - sono 87 le misure elencate
- in uno 0,4 per cento di incremento della capacità di
crescita
l'anno, cioè nulla. L'Italia,
onorevole Casero, signor Ministro dell'economia, signor
Presidente del
Consiglio, onorevoli colleghi della
maggioranza, affronta le nuove regole europee con le
mani
alzate.
Diamo atto a Tremonti di aver fatto
dei tentativi: egli ha fatto un primo tentativo di dare
all'Europa
la responsabilità della crescita
con le proposte, a suo tempo, del presidente della
Camera dei Lord
sui bond europei, e la risposta, se
volete miope dell'Europa, è stata «no», ciascun Paese
deve fare lo
sforzo di crescita con le proprie
forze, ci risponde l'Europa. Egli ha insistito, dicendo
che nel calcolo
del debito bisogna considerare non
solo il debito pubblico, ma anche il debito privato, che
è una
ragionevole considerazione, ne
diamo atto al ministro Tremonti: la risposta dell'Europa
è stata «no»,
l'unico parametro è il debito
pubblico che deve essere ridotto di un ventesimo ogni
anno.
Quindi, i tentativi ci sono stati
ma i risultati sono zero, ma domandatevi, signori della
maggioranza,
se questo non è anche parte della
mancanza di credito internazionale di cui gode questo
Governo e
di cui ci ha dato prova l'altro
giorno un esperto americano, Luttwak, parlando in una
trasmissione
televisiva e dicendo che non c'è un
uomo politico, uomo di Governo del mondo occidentale,
che si
voglia mischiare con i problemi
dell'Italia. Questa è la condizione di isolamento nella
quale si trova
l'Italia di fronte ai suoi
problemi! Dato atto del fatto che Tremonti ha tentato,
qual è allora la realtà?
Siamo soli, con la necessità di
cominciare a ridurre il debito pubblico del 3 per cento
l'anno, il che
equivale a una riduzione di decine
di miliardi di euro ogni anno. Ebbene, cosa fanno questi
Documenti che voi ci portate,
onorevole Casero? Rinviano, perché la manovra comincerà
a mordere
dal 2013 al 2014, cioè nella
prossima legislatura, senza dire come, perché fino al
2012 avete detto
con quali leggi e in quali settori
tagliate, ma nella prossima legislatura?
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la
prego di concludere.
GIORGIO LA MALFA. Aggiungo e
denuncio questa promessa di riforma fiscale che avrei
sostenuto se fosse stata fatta
ieri, ma che si presenta come una promessa elettorale
che il Governo
intende fare nel 2013, prima delle
elezioni. Voi intendete lasciare un'eredità spaventosa
al Paese,
come avete fatto con l'ICI, se
volete saperlo. Questo è il quadro, signor Presidente
del Consiglio,
signor Ministro Tremonti, e lo
chiedo anche ai colleghi della Lega che sono attenti ai
problemi dello
sviluppo: ma voi quando volete
impostare una politica economica? Dobbiamo aspettare le
prossime
elezioni?
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa,
deve concludere.
GIORGIO LA MALFA. Benissimo,
aspetteremo le prossime elezioni, faremo un Governo
diverso
che possa dare una speranza al
Paese, ma questi sono anni persi, che peseranno
sull'economia
italiana (Applausi dei deputati dei
gruppi Partito Democratico e Futuro e Libertà per il
Terzo
Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Commercio. Ne ha
facoltà, per nove minuti.
ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO.
Signor Presidente, colleghi, questo dovrebbe essere
il dibattito di politica economica
più importante dell'anno (o fra i dibattiti di politica
economica più
importanti dell'anno), il momento
nel quale dovrebbero essere esposte le valutazioni del
Governo su
tutte le tematiche di politica
economica, sulla previsioni di crescita del Paese, sulle
previsioni di
entrata, sulle principali
previsioni riguardanti le spese, la loro riduzione e la
loro riqualificazione,
quello nel quale dovrebbero essere
esposte le proposte per ridurre gli squilibri tra le
diverse aree del
Paese e illustrati i meccanismi
individuati per ottemperare alle richieste dell'Unione
europea
(riduzione del debito, del rapporto
deficit PIL e di quello debito pubblico PIL).
La nostra impressione è invece che
a questo dibattito si arrivi quasi con una
superficialità, e
certamente con disinteresse, come
se dovesse essere sbrigata una fastidiosa formalità. I
Documenti
che esaminiamo mancano dello
spirito e della tensione necessaria per affrontare la
grave
congiuntura economica che il nostro
Paese affronta. Le parti riguardanti il sud, ancorché
ridottissime, trasmettono la
sensazione di essere state inserite per colpa di un
noioso e ripetitivo
obbligo al quale però nessuno dà
credito. La questione meridionale è diventata ormai una
promessa
obbligata da esaurire in poche
righe in ogni Documento, per poi puntualmente
dimenticarlo, una
questione prioritaria a parole e
secondaria nei comportamenti. Così anche nel Programma
di
stabilità: poche righe di generici
impegni e il gioco è fatto. Chi sa che fine ha fatto il
piano per il sud
annunciato ormai da oltre due anni
e che da quasi sei mesi si promette che partirà il mese
venturo?
Mese venturo che sembra non
arrivare mai. Ancora non si conosce quali siano i
provvedimenti
contenuti nel suddetto piano.
La verità è che il Mezzogiorno
viene considerato come un peso e non come
un'opportunità, eppure
l'opportunità sarebbe
straordinaria, quel peso potrebbe diventare un traino
per l'intera economia
nazionale se solo vi si
scommettesse: un insieme di energie e di risorse al
centro del Mediterraneo,
crocevia geografico, naturale e
storico degli interessi, degli scambi economici e
culturali tra
l'Europa, l'Africa e l'Asia, che va
valorizzato e sul quale occorre investire in idee e
disponibilità
finanziarie. Ma purtroppo la
politica economica di questo Governo non sa parlare agli
italiani, non
sa trasmettere loro gli obiettivi
per i quali vale la pena affrontare sacrifici; obiettivi
che non possono
essere solo di risanamento, ma
devono essere anche obiettivi di sviluppo e di crescita,
senza i quali
il risanamento si trasforma in
recessione e crollo della domanda.
Il nostro Paese, se davvero vuole
essere pienamente competitivo in Europa e nel mondo, non
può
più trovarsi con un terzo del
proprio territorio e della propria popolazione in uno
stato di sviluppo
inadeguato, con una disoccupazione
che è tre volte maggiore rispetto al resto d'Italia, e
con il lavoro
irregolare che coinvolge oltre un
quinto degli occupati: è una condizione di estrema
debolezza non
solo per il Mezzogiorno, ma per
tutta l'Italia. Affinché le potenzialità del Mezzogiorno
diventino
condizioni reali, è necessario che
si attuino delle reali politiche di sviluppo, e diventa
pertanto
urgente che il Governo italiano
avvii rapidamente azioni volte a: 1) rimuovere il gap
infrastrutturale; 2) dotare le
regioni meridionali di un solido sistema creditizio; 3)
promuovere la
fiscalità di vantaggio; 4) erogare
i Fondi FAS spettanti al Mezzogiorno, restituendo le
cifre fino ad
oggi stornate per interventi di
diversa natura.
Se queste scelte venissero attuate
allora le parole di questi anni assumerebbero
credibilità, in caso
contrario rimarranno solo parole,
come quelle scritte nei Documenti di politica economica
che ci
apprestiamo a votare, e sui quali
il voto del Movimento per le autonomie non può che
continuare ad
essere un voto negativo (Applausi
dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le
Autonomie-
Alleati per il Sud).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Lanzillotta. Ne ha
facoltà.
LINDA LANZILLOTTA. Signor
Presidente, colleghi, il Ministro dell'economia e delle
finanze da
mesi, e ancora nelle ultime
settimane, ha continuato a negare la gravità della
situazione economica e
a spandere ottimismo e
rassicurazioni. Oggi, però, è la durezza dei numeri del
Documento di
economia e finanza che, con una
sorta di scissione e sdoppiamento della personalità, lo
stesso
Ministro dell'economia e delle
finanze ha presentato al Parlamento, a non lasciar più
adito a dubbi.
Sono numeri crudi che ci dicono
che, per rientrare nei vincoli del nuovo Patto europeo,
quello, cioè,
che Tremonti ci aveva detto che
avrebbe molto giovato all'Italia e in cui noi, sempre a
suo parere,
avevamo realizzato un grande
successo, l'Italia dovrà realizzare una riduzione del
debito di circa 40
miliardi di euro l'anno per
vent'anni e, in aggiunta a questo, entro il 2014 dovrà
attuare una manovra
dello stesso importo per ridurre il
deficit e raggiungere il pareggio di bilancio. Ma il
Documento di
economia e finanza afferma anche
che questa titanica operazione - 80 miliardi, ad essere
ottimisti -
dovrà essere effettuata con una
crescita stagnante, una disoccupazione in aumento e
un'ulteriore
crescita del divario nord-sud. Di
fronte alla drammatica e pressoché certa prospettiva di
una
recessione, che ci condannerebbe ad
un inarrestabile declino, il Governo, invece di dire la
verità al
Paese, di chiamarlo ad una comune
assunzione di responsabilità e lanciare un forte piano
di riforme
per sostenere la crescita e tentare
di invertire la marcia, irresponsabilmente e
colpevolmente, per
puro opportunismo politico, rinvia
tutto al 2014, cioè a dopo le elezioni politiche,
lasciando a chi
verrà dopo il compito immane di
affrontare una situazione forse irreparabilmente
compromessa.
No, signor Ministro, no, signor
Tremonti, non è così che si comporta uno statista di
livello europeo
quale lei ama essere considerato.
Uno statista parla al suo Paese con il linguaggio della
verità e della
responsabilità, indica la
prospettiva, la missione che il nostro Paese può ancora
svolgere nel mondo
globalizzato, le opportunità che
possono venire dai rapidi e radicali mutamenti in atto
nella sponda
sud del Mediterraneo e il ruolo
protagonista che questo nuovo scenario può far giocare
all'Italia
rispetto all'Europa. Uno statista
disegna il percorso delle riforme che possono rendere
concreta
questa prospettiva. Invece, niente
di tutto questo perché il Documento di economia e
finanza e il
Programma nazionale di riforma,
nonostante i ripetuti annunci di scossa all'economia,
tutti
regolarmente caduti nel
dimenticatoio, ripropongono oggi il rassegnato
immobilismo che ha
caratterizzato la politica
economica e di bilancio in questi tre anni,
l'immobilismo nella spesa
pubblica dove i tagli lineari hanno
rappresentato la rinuncia a tagliare gli sprechi ed a
investire nei
settori della crescita come hanno
fatto Paesi come la Germania e la Francia che, non a
caso,
nonostante la crisi finanziaria,
oggi hanno ripreso a crescere, e l'immobilismo nelle
riforme per la
competitività: liberalizzazione dei
servizi, mercato del lavoro, burocrazia, innovazione
tecnologica,
riforme per rendere efficiente e
competitivo il nostro sistema produttivo, che è l'unico
modo, l'unica
via, in un'economia aperta di
mercato, per difendere le nostre imprese dalla conquista
straniera che,
certo, non può essere contrastata
da un impossibile, quanto velleitario ritorno al passato
dell'intervento pubblico in
economia, come l'umiliante esito della vicenda Parmalat
si è incaricato di
dimostrare.
Per questa ragione, Alleanza per
l'Italia e il nuovo Terzo Polo danno un giudizio
fortemente critico
del Documento di economia e finanza
e della linea di politica economica e con la nostra
risoluzione
proponiamo una linea alternativa.
Proponiamo di avviare subito una radicale revisione
della spesa
perché, se è vero che la crescita
non si fa in deficit, allora bisogna avere il coraggio
di eliminare la
spesa pubblica cattiva o inutile,
quella che finanzia la politica ed alimenta la
corruzione, per liberare
risorse da destinare innanzitutto
ad un piano per i giovani, i giovani che sono, oggi, la
vera
emergenza nazionale, i giovani
disoccupati, i giovani precari, i giovani in fuga dal
nostro Paese ogni
volta che possono, giovani che
stanno perdendo la speranza nel futuro. Ma la nostra
proposta ha un
punto debole, lo riconosciamo,
perché, per essere attuata, richiede una guida forte ed
autorevole,
richiede un consenso largo nel
Paese, richiede una mobilitazione delle migliori energie
e queste
sono condizioni che voi, signori
del Governo, oggi non siete in grado di realizzare in
Italia. Il vostro
Governo non è all'altezza dei
problemi che il Paese deve affrontare e, per questo, è
urgente,
urgentissimo, che l'Italia volti
pagina per avviare un vero piano di riforme e guardare
di nuovo con
qualche speranza al proprio futuro
(Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per
l'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Cambursano. Ne ha
facoltà, per dieci minuti.
RENATO CAMBURSANO. Signor
Presidente, dico subito, per evitare equivoci, che
naturalmente
il gruppo dell'Italia dei Valori
dirà «no» sia al Documento di economia e finanza 2011
sia a maggior
ragione al Programma nazionale di
riforma, che non prevede alcuna riforma o quelle che
prevede
altro non sono che la fotografia
dell'esistente, dove ci collochiamo agli ultimi posti in
graduatoria.
Non me ne voglia il sottosegretario
Casero, mi rendo conto che si è sentito in difficoltà
nell'elencare
esattamente cosa dice l'Europa
rispetto al nostro Paese su una serie di parametri.
Il collega Borghesi ha illustrato,
nei pochi minuti a sua disposizione - ma chi fosse
interessato la
nostra risoluzione lo prevede in
dettaglio - un Programma nazionale di riforma,
alternativo a questo
nulla che voi ci presentate. Il
sottoscritto, nell'ambito della discussione generale, ha
tentato - ma ho
parlato a sordi - di dimostrare
quanto questo Documento di economia e finanza
sostanzialmente
dica due cose; la prima è che i
conti pubblici non sono in ordine e a certificarlo sono
autorità
competenti in materia, che ci
scrivono e ci dicono: «Fate attenzione, che state
raccontando delle
storielle non credibili a livello
internazionale». La seconda è soprattutto che la
crescita non è il
vostro obiettivo, non è a portata
di mano perché voi non ci credete.
Il Programma nazionale di riforma
certifica una cosa sola: il fallimento delle vostre
politiche al
plurale: della vostra politica
economica, della vostra politica fiscale, della vostra
politica industriale.
Rispetto a quest'ultima, credo sia
meglio usare non il termine «fallimento», ma inesistenza
totale di
una politica industriale in questo
Paese. D'altra parte non poteva che essere così, visto
che prima
c'era un Ministro che si occupava
di come andare a giustificare la proprietà di un
immobile che non
aveva comprato, poi vi è stata una
lunga vacanza rappresentata dal Presidente del
Consiglio, che si è
occupato unicamente delle sue
televisioni e adesso abbiamo il Ministro dello sviluppo
che continua
ad occuparsi delle televisioni del
Presidente del Consiglio e non già di come vanno le cose
nella
politica industriale di questo
Paese, salvo poi piangere sul latte versato, nel senso
letterale anche del
termine, di quello che sta
avvenendo.
Signori, se questa è la fotografia
- e a farla non sono io - allora interroghiamoci dove
siano le
responsabilità. La responsabilità è
evidente: negli ultimi dieci anni le cose sono andate
peggiorando
e non solo a causa della crisi, che
peraltro è arrivata solo negli ultimi tre anni (si vede
che voi
portate proprio male), ma
soprattutto della vostra non politica, se negli ultimi
dieci anni avete - si fa
per dire - governato per 8 anni.
Quindi se c'è una coalizione responsabile di questo
fallimento quella
siete voi e guarda caso il
Presidente del Consiglio e il Ministro dell'economia e
delle finanze sono
sempre quelli.
L'ultima è sempre l'Italia rispetto
a qualsiasi parametro si prenda in considerazione.
Prendiamone
uno per esempio: sulla ricerca e lo
sviluppo vi è uno studio fatto dal World Economic Forum
fatto
su 138 Paesi presi in esame che
classifica l'Italia al cinquantunesimo posto in termini
di ricerca,
sviluppo e di investimento per la
ricerca e lo sviluppo. Volete sapere a quanto eravamo
nel 2006 in
questa graduatoria? Al
trentottesimo posto. Quindi, anziché recuperare
posizioni continuiamo a
perderle grazie a voi e questo il
Paese deve saperlo. Sulle politiche energetiche avete
puntato tutto
sul nucleare, poi è capitato quello
che è capitato in Giappone e avete fatto finta di fare
un'inversione
ad «U», facendolo credere, ma gli
italiani finalmente si stanno svegliando e a
certificarlo è l'ultimo
sondaggio a proposito del «no» al
nucleare, che dice che tre su quattro degli italiani,
cioè il 75 per
cento degli italiani, dice «no» al
nucleare.
Quindi, caro - si fa per dire -
Presidente del Consiglio, non prenda in giro gli
italiani, andiamo a fare
questo benedetto referendum, diamo
la parola al popolo, al quale voi vi ispirate sempre, e
il popolo
saprà esattamente cosa fare: dire
di «no» al nucleare, dire di «sì» al referendum e
mandarvi a casa.
Per quanto concerne la politica
fiscale - è davanti agli occhi di tutti -, voi
annunciate l'ennesima
riforma, come quella del 2003 che
non avete fatto, ma in compenso, l'evasione fiscale sta
crescendo
a dismisura: nel 2009 è aumentata
di 29 miliardi di euro, nel 2010, di 47 miliardi di
euro, quindi è
quasi raddoppiata. È stato detto,
stamani, da un collega, che il totale dell'evasione
raggiunge 140
miliardi di euro, e a pagare sono
sempre gli stessi. In compenso, la corruzione cresce e
ha raggiunto
anche questa - voi e i vostri
«tirapiedi» (così si definiscono) lo sapete, siete degli
esperti - 60
miliardi di euro.
Concludo, signor Presidente,
leggendo semplicemente ciò che hanno scritto illustri
economisti su
giornali economici, non sui vostri
quotidiani: «È una manovra senza coraggio», Il Sole 24
Ore. «È
una cornice del nulla», Corriere
della Sera. «È una litania, anzi, una giaculatoria», la
Repubblica.
Questa è la fotografia di ciò su
cui siamo chiamati a pronunciarci: evidentemente, il
nostro non
potrà che essere un voto contrario
(Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
In conclusione, permettetemi di
leggere ciò che è stato detto da elettori della Lega
Nord, che è
riportato su la Padania, e che
viene ribadito anche nella trasmissione televisiva
diretta Che aria
tira: «Siamo succubi di Sarkozy
(...)». «(...) Il nano ci prende per i fondelli» -
parole testuali -
«dicendo che non si tratta di
un'OPA ostile (...)», si riferisce a Parmalat, lei lo
sa. E ancora: «(...) La
verità è che il nano sventola
l'italianità solo quando occorre salvaguardare la
ghenga» - sic! - «di
affaristi e sta diventando sempre
più impresentabile dentro e fuori dai nostri confini».
Andatevene a
casa, fate un grande servizio al
Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei
Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Della Vedova. Ne
ha
facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor
Presidente, voglio ringraziare il sottosegretario
Casero,
che spero venga lasciato libero di
ascoltare, e sottolineare, però, come è già stato fatto
ad esempio
dall'onorevole La Malfa, la
situazione grottesca in cui ci siamo trovati in questa
discussione.
Abbiamo assistito, nelle settimane
scorse, ad un plenum nell'Aula e nei banchi del Governo
sui temi
della giustizia. Assistiamo oggi,
in questa discussione - chi sa di comunicazione, sa che
la
cosiddetta agenda setting viene
utilizzata dal Governo e dal Presidente del Consiglio,
innanzitutto, e
dalla maggioranza per dettare le
priorità politiche al Paese - ad un dibattito
sconfortante, senza la
presenza del Ministro dell'economia
e delle finanze e senza, soprattutto, la presenza del
Presidente
del Consiglio.
Non vorrei fare considerazioni
troppo facili, ma in quale Paese europeo la discussione
sul
Documento economico e finanziario
avviene senza che il Parlamento ascolti le parole del
Presidente
del Consiglio? In quale Parlamento
europeo e in quale Governo europeo si presenta il
Documento
economico e finanziario, nella
prospettiva del semestre europeo, senza avere la
preoccupazione,
onorevole Casero, di avere un
Ministro per le politiche europee? Qual è la credibilità
di questo
Governo, che aspetta - come tutti
noi aspettiamo - che si concludano le operazioni
prodromiche al
rimpasto? Ci auguriamo che vengano
realizzate in tempi rapidi, ma abbiamo visto gli
incagli: siamo
senza il Ministro per le politiche
europee. Questo la dice di lunga sulle questioni che ci
interessano.
Ringrazio il collega Buonfiglio per
aver fatto una disamina puntuale del DEF e dei suoi
problemi.
Svolgo alcune considerazioni per
quanto riguarda il denominatore, onorevole Casero, voi
scrivete:
nel 2011, tasso di crescita
dell'1,1 per cento, crescita media del prossimo triennio
1,5 per cento. Lei
ci ha detto che non è vero che non
c'è attenzione per la crescita, ma qui c'è un allarme
sulla crescita.
I dati omologhi dicono che la
Germania quest'anno cresce del 2,5 per cento, che in
Spagna, dopo
che noi ci siamo riempiti la bocca
sul boom spagnolo, nel 2012 è prevista una crescita del
2,5 per
cento. Noi siamo fermi al palo. La
crisi riconsegna un Paese fermo al palo della crescita.
È colpa
vostra? No, ma è responsabilità di
chi ha steso questo Documento di economia e finanza non
prevedere, nemmeno prevedere,
riforme all'altezza dell'ambizione minima, cioè che il
nostro Paese
cresca nella media dei principali
Paesi europei. Non ci sono le riforme, onorevole Casero,
capisco il
suo sforzo ma non ce n'è traccia.
Non c'è traccia del programma elettorale del 2008 in
questo
Documento, non c'è traccia delle
liberalizzazioni. Noi come maggioranza abbiamo ottenuto
- noi
c'eravamo e ne siamo perfino stati
protagonisti - la legge annuale sulla concorrenza. Siamo
rimasti
sei mesi senza Ministro dello
sviluppo economico, come siamo rimasti cinque mesi senza
il
Viceministro per il commercio
internazionale nel pieno della crisi economica. La legge
annuale
sulla concorrenza aspetta. Vogliamo
rifare l'articolo 41 della Costituzione perché bisogna
rilanciare,
togliere i lacci e i lacciuoli?
Cominciamo anziché fare gli annunci. Cominciamo con la
legge
annuale sulla concorrenza,
onorevole Casero, se vogliamo cominciare a crescere.
Inoltre - è stato
sottolineato dall'onorevole La
Malfa - è prevista una correzione molto pesante, quella
che era già
stata indicata anche dalla Banca
d'Italia di 35-40 miliardi. Ma è serio prevedere che la
correzione
avvenga nella prossima legislatura?
È serio mettere nero su bianco il nostro impegno al
deficit zero
nel 2014 e mettere altrettanto nero
su bianco che gli sforzi si faranno nel 2013 e nel 2014?
Per me
non è serio. Il problema c'è o non
c'è, se c'è bisogna affrontarlo prima e non dopo.
L'emergenza
debito va affrontata subito, non
può essere rinviata, visto che è la preoccupazione
principale. Poi per
quanto riguarda le tasse, voi
mettete nero su bianco che le tasse per gli italiani
aumenteranno.
Mettete nero su bianco che nel 2012
la pressione fiscale aumenterà ulteriormente. I numeri
mostrano che mentre noi ascoltiamo
il preannuncio della riforma fiscale i dati di realtà
sono quelli
di una pressione fiscale che
aumenta dal 42,4 al 42,6 per cento. È solo lo 0,2 per
cento, ma è la
direzione che conta: le tasse in
Italia aumentano e stanno per aumentare anche per l'anno
prossimo.
Lo sappiano gli elettori, anche
quelli che si recheranno a votare per le amministrative.
Altro che
meno tasse. Tremonti ha fatto un
eccellente lavoro nel controllare il debito, ma il
problema non è
Tremonti. Tremonti ha fatto il suo
mestiere, fa il Ministro del tesoro, delle finanze e del
bilancio,
non può essere il Ministro a
dettare le priorità di politica economica. È il Governo,
è il Presidente
del Consiglio che oggi non c'è che
deve stabilire dove si taglia e dove si investe, non il
Ministro
dell'economia e delle finanze, non
è il mestiere suo, non può essere colpa di Tremonti. È
colpa del
Governo che manca, del Presidente
del Consiglio che non ci dà le indicazioni su quale
debbano
essere le strategie di sviluppo
economico del Paese. Fate passi indietro sulle
liberalizzazioni, dalle
parafarmacie, ai taxi, al decreto
Ronchi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici
locali. Schiena
dritta: non è la privatizzazione
dell'acqua, ma il Governo deve difendere questa sua
riforma. È una
delle poche e migliori cose che
sono state fatte in termini di liberalizzazioni e quindi
sarebbe bene
difenderla. Su Parmalat, perché
queste sono le cose concrete, i giornali di centrodestra
dicono:
fermiamo i francesi, che ovviamente
sono arrivati perché hanno messo soldi veri e per
fortuna non è
andata in porto la cordata della
Cassa depositi e prestiti.
Non vogliamo una nuova IRI,
vogliamo un Paese in cui arrivino gli investimenti
esteri, non
vogliamo impedire gli investimenti
esteri nel nostro Paese. Vogliamo investimenti di
qualità e
vogliamo che le imprese italiane
investano in Italia così come fanno, magari, le imprese
straniere,
scegliendo «fior da fiore». Stiamo
facendo un federalismo fiscale che porterà più tasse al
sud e più
spesa pubblica al nord.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo,
signor Presidente. Onorevole Casero, non era questo
il centrodestra per cui noi abbiamo
cominciato a lavorare. La politica economica che questo
Documento di economia e finanza ci
consegna non è la politica economica liberalizzatrice
della
rivoluzione liberale
dell'abolizione delle province contenuta nel programma
elettorale che ci ha
visto insieme nel 2008. Noi lì
ancora stiamo: un centrodestra liberale, un centrodestra
responsabile;
voi, francamente, non capisco più
dove stiate andando in termini di politica economica e
di politica
fiscale se non verso un continuo,
inesorabile aumento della pressione fiscale.
Anche per questo, signor
Presidente, noi non potremo che votare contro la
risoluzione che sostiene
questo Documento di economia e
finanza, augurandoci, a partire della legge annuale
sulla
concorrenza, che si cominci davvero
a discutere di liberalizzazioni e di crescita, e non
della crescita
dell'1,1 o dell'1,5 per cento che
voi segnalate sperando, questa volta, di avere azzeccato
le previsioni
(Applausi dei deputati del gruppo
Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Cesario. Ne ha
facoltà.
BRUNO CESARIO. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, con la recente modifica alla legge
di
contabilità e finanza pubblica,
adottata con la legge 7 aprile 2011 n. 39, il Parlamento
ha inteso dare
riscontro all'introduzione del
cosiddetto semestre europeo, volto a favorire un più
intenso
coordinamento ex ante delle
politiche economiche e di bilancio degli Stati membri
dell'Unione
europea ed una più stretta
sorveglianza in campo fiscale e macroeconomico, nonché
la revisione dei
contenuti e dei tempi di
presentazione dell'aggiornamento del programma di
stabilità e del
programma nazionale di riforma.
Con la richiamata legge n. 39 del
2011, sostenuta da tutte le forze politiche presenti in
Parlamento,
sono state pertanto apportate
talune modifiche alla legge di contabilità e finanza
pubblica volte, in
via generale, ad assicurare la
coerenza della programmazione finanziaria delle
amministrazioni
pubbliche con le procedure e i
criteri stabiliti in sede europea. A tal fine sono stati
rivisitati il ciclo,
la denominazione e il contenuto dei
principali strumenti della programmazione
economicofinanziaria,
nonché introdotte alcune
disposizioni volte a rafforzare la disciplina fiscale,
in linea con
le indicazioni formulate dalle
istituzioni comunitarie ai fini della riduzione del
deficit e del debito.
Sono state, invece, confermate le
rilevanti innovazioni già introdotte con la riforma del
2009, quali
il metodo della programmazione
almeno triennale delle risorse delle politiche e degli
obiettivi, la
ripartizione degli obiettivi di
finanza pubblica per i diversi sottosettori del conto
della pubblica
amministrazione e l'indicazione di
previsione a politiche invariate per i principali
aggregati del
conto economico della pubblica
amministrazione.
In tal quadro il Governo ha
presentato, quindi, il primo Documento di economia e
finanza, che
contiene gli schemi
dell'aggiornamento del programma di stabilità e del
programma nazionale di
riforma da presentare in Europa
entro il 30 aprile. Questi fondamentali atti saranno
quindi sottoposti
al vaglio delle istituzioni europee
e dei nostri partner dell'Unione. La lettura di questi
documenti ci
rassicura sul fatto che l'Italia si
presenta all'appuntamento europeo puntuale e con le
carte in regola
grazie alla politica di rigore e di
stabilità attuata in questi anni difficili dal Governo,
senza, mi
spiace dirlo, poter contare sul
sostegno delle opposizioni, che pure avrebbero dovuto
dimostrare, in
un momento così critico per il
Paese, maggiore senso di responsabilità.
È proprio per questo senso di
responsabilità nazionale che abbiamo deciso di sostenere
convintamente il Governo Berlusconi
nella sua azione di risanamento e di rilancio del Paese.
In
questo momento di crisi globale
crediamo che l'Italia abbia bisogno di una guida forte e
stabile, che
solo Berlusconi può garantire con
l'apporto delle forze che sostengono il Governo: il PdL,
la Lega e
Iniziativa Responsabile, che è la
vera terza gamba della maggioranza.
In questa situazione crediamo che
l'azione svolta dal Ministro dell'economia e delle
finanze Giulio
Tremonti sia indispensabile e
fondamentale per garantire la credibilità dell'Italia
nelle sedi
internazionali ed europee. Per la
sua serietà e costanza nel perseguire convintamente le
politiche di
rigore il nostro Ministro
dell'economia è stimato e rispettato in Europa. Le sue
proposte, come
quelle sul debito privato e sugli
euro-bond, malgrado lo scetticismo e la derisione delle
sinistre,
sono oggi acquisite nel dibattito
europeo.
La necessità di perseguire nella
politica di rigore la convinzione che non vi possa
essere crescita
senza stabilità finanziaria si
spinge anche ad annunciare un convinto sostegno alle
ipotesi di riforme
costituzionali annunciate nel
Programma nazionale di riforma volte ad inserire nella
Carta
fondamentale il rispetto dei
vincoli di bilancio ed il principio del pareggio.
Mi corre, quindi, l'obbligo di
replicare a quanti continuano a dipingere la situazione
dell'Italia come
quella di un Paese sull'orlo del
dissesto finanziario. Innanzitutto, credo che questi
colleghi, pur
autorevoli, dovrebbero evitare di
danneggiare l'immagine del Paese, creando allarmismi
ingiustificati dalle cifre
ufficiali e che non trovano riscontro nemmeno nei severi
giudizi delle
istituzioni europee ed
internazionali.
Penso, in primo luogo, al rapporto
tra deficit e prodotto interno lordo. Secondo i dati
Eurostat del
2010 - non parliamo quindi di
previsioni, ma di fatti -, tale rapporto in Italia si è
attestato al 4,6 per
cento, mentre in Francia ha
raggiunto il 7 per cento e nel Regno Unito la cifra
record del 10,4 per
cento. A fronte di questi livelli
di deficit, decisamente più elevati di quello italiano,
i due Paesi
richiamati hanno fatto registrare
livelli di crescita del PIL nel 2010 non molto superiori
a quelli
dell'Italia.
Non si può negare che una parte
della crescita di questi Paesi sia dovuta alla politica
di deficit
spending che hanno perseguito per
fronteggiare la crisi. L'alto livello di debito pubblico
italiano non
ha consentito anche al nostro Paese
di perseguire una tale politica, che ha perseverato
nella linea del
rigore di bilancio.
I dati richiamati dimostrano però
che i fondamentali del Paese, anche con riferimento alla
crescita,
sono sostanzialmente buoni e che
l'economia è vitale. A fronte di tale quadro, il
documento al
nostro esame prevede il
raggiungimento del sostanziale pareggio di bilancio per
il 2014, in linea con
gli impegni europei e con un
consistente livello di avanzo primario e di una
progressiva riduzione
del debito pubblico.
Tali obiettivi, fino a qualche
tempo fa considerati troppo ambiziosi, sono resi
possibili dalla politica
perseguita in questi anni e dalle
manovre adottate, da ultimo, con il decreto-legge n. 78
del 2010. Il
raggiungimento dei richiamati
obiettivi sarà possibile senza aumentare il peso della
pressione
fiscale, essenzialmente attraverso
un'ulteriore riduzione della spesa improduttiva con una
manovra
correttiva per il biennio 2013-2014
dello 0,8 per cento annuo in termini strutturali
rispetto al PIL.
Come spesso ha ricordato il
Ministro Tremonti, l'economia del Paese è fortemente
duale, con una
macroarea che conta oltre 35
milioni di abitanti, il centro-nord, che ha indicatori
economici migliori
della Germania e il sud che non
cresce affatto e un tasso di occupazione molto basso.
Molti studi
autorevoli hanno ricondotto la
debolezza della struttura economica del nostro Paese
proprio alla sua
configurazione duale.
Ma se diffusa è la convinzione che
il nostro Paese sia contraddistinto da due velocità, è
anche certo
che questo non deve divenire
ragione di divisione, ma monito ad affrontare la sfida
della
progressiva riduzione del
differenziale economico tra il nord e il sud del Paese.
A fronte di una tale
situazione, le statistiche volte a
rappresentare unitariamente il Paese rischiano quindi
essere poco
significative, perché una media,
mediana, non tiene conto di tale forte divergenza.
Il Governo deve dire, anche con il
convinto sostegno della Lega, che è ben consapevole
della
necessità di far crescere e
camminare autonomamente il Sud per completare il
percorso federalista.
Ha inserito nel documento al nostro
esame un capitolo appositamente dedicato al Mezzogiorno
ed
ha adottato un importante piano per
il Sud, fortemente voluto dal Ministro dell'economia e
delle
finanze e dal Governo intero fra le
priorità definite nel Programma nazionale di riforma.
Tra le proposte contenute nel
Documento che ci apprestiamo ad approvare vi sono il
pieno e reale
utilizzo dei Fondi europei, ma
senza commettere l'errore più volte fatto in passato di
utilizzare tali
risorse senza una vera regia
nazionale volta ad ottimizzare le economie di scala del
nostro Paese. In
altri termini, la questione
meridionale deve smettere di essere un problema e
divenire una concreta
opportunità di rilancio del nostro
Paese.
Una seconda direttrice di
intervento è rappresentata dallo sviluppo delle
infrastrutture per integrare
sempre più il Meridione nelle
direttrici importanti del nostro Paese e dell'Europa.
Infine, per
incentivare le iniziative
economiche e rilanciare il tessuto produttivo del
Mezzogiorno emerge con
chiarezza la volontà di introdurre
una fiscalità di vantaggio e per attrarre nuovi
investimenti si
sottolinea l'esigenza di prevedere
zone a «burocrazia zero». Le iniziative sopra ricordate
si
inseriscono nel percorso già
delineato dal Governo con l'approvazione nel novembre
2010 del
ricordato Piano del sud. Tra le
iniziative previste dal suddetto Piano meritano di
essere ricordate - e
nel Documento vi sono precisi
riferimenti - la costituzione del Programma Jeremie per
il
Mezzogiorno e la Banca del
Mezzogiorno.
In questo quadro va anche inserita
la problematica relativa all'anatocismo bancario che il
nostro
gruppo ha più volte sollevato e
crediamo che sia giusta l'idea di trasferire parte del
carico fiscale
dalle persone alle cose, come ama
dire il Ministro Tremonti, e riteniamo allo stesso tempo
necessario proseguire nella lotta
all'evasione fiscale che ha fatto registrare in questi
anni dati
assolutamente positivi per liberare
quelle risorse necessarie ad alleggerire il carico
fiscale
complessivo. Per tutte le
richiamate le ragioni, preannunzio il voto favorevole di
Iniziativa
Responsabile sulla risoluzione di
maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa
Responsabile).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha
facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor
Presidente, onorevoli colleghi, per responsabilità del
Governo il
Parlamento italiano dedica al primo
vero appuntamento di politica economica europea una
discussione di mezza giornata,
oltretutto, permettetemi di dire, in un clima surreale.
Io non so quanti
di voi hanno notato che, a
discussione ormai conclusa, proprio in questi minuti, la
segreteria di
Presidenza ci sta consegnando
l'ultimo allegato al Documento che dobbiamo votare fra
qualche
minuto. E non è un allegato di poco
conto, lo dico soprattutto ai parlamentari del sud,
perché si
tratta degli interventi per le aree
sottoutilizzate. Ciò vuol dire che noi a tutt'oggi, dopo
il dibattito
che abbiamo fatto in Commissione,
abbiamo tenuto questa mattina in Aula un dibattito di
poche ore
senza avere neanche la
documentazione completa, oltretutto causando un
precedente istituzionale -
questo lo faccio presente al
Presidente - di tutto rilievo perché è chiaro che quel
Documento non
avrà mai alcuna attenzione da parte
delle Commissioni competenti.
Ma la discussione di questa mattina
è ancora più surreale se facciamo un confronto con ciò
che è
capitato alcune settimane fa in
questo Parlamento. Quando è stato il momento di
discutere il
problema di Berlusconi, del
processo breve abbiamo avuto l'Aula piena, ma
soprattutto abbiamo
avuto pieni i banchi del Governo.
Il Governo, dal Ministro dell'economia e delle finanze
al Ministro
dello sviluppo economico e tutti i
ministri sono stati costantemente presenti in Aula.
Addirittura, vi
ricordo, è stato sconvocato un
Consiglio dei ministri per permettere ai Ministri
parlamentari di
essere in Aula. Ebbene, nelle
quattro ore di dibattito di questa mattina abbiamo avuto
in Aula solo il
sottosegretario Casero, che
ringraziamo per esserci stato, non ce la possiamo
prendere con lui, ma
degli altri Ministri competenti non
abbiamo visto traccia.
Penso che questo provvedimento
meriti molto di più dell'attenzione che il Governo e la
maggioranza gli stanno dando. Ma
capisco perché, se fossi nelle vostre condizioni e
dovessi parlare
al Paese dei problemi economici,
probabilmente avrei il vostro stesso atteggiamento visto
che in
questi tre anni per l'economia è
stato fatto poco e quel poco che abbiamo fatto è stato
fatto male e lo
dimostra lo stato delle famiglie e
delle imprese italiane (Applausi dei deputati dei gruppi
Unione di
Centro per il Terzo Polo, Partito
Democratico e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
Ma non pensate che non facendo il
dibattito in questa sede la situazione reale del Paese
cambi.
La situazione reale è quella
fotografata ormai da tutti i dati e tale resta.
Ma veniamo al contenuto del
provvedimento: l'Italia si presenta all'appuntamento
europeo in
condizioni particolarmente
difficili essenzialmente per tre ragioni: un debito
pubblico pari al doppio
di quanto concesso dalle regole
europee, una crescita che si colloca all'1 per cento
(ovvero la metà
degli altri Paesi europei) e un
divario tra nord e sud che è sempre più crescente. Che
cosa si deduce
leggendo questi tre dati insieme?
Il risultato è univoco. Lo hanno detto osservatori
economici, lo ha
ammesso implicitamente anche il
Ministro Tremonti ed è scritto nel Documento che andiamo
ad
approvare oggi: da qui al 2014 per
rimanere in Europa e rispettare i parametri europei
abbiamo
bisogno di fare una manovra di
35-40 miliardi.
Quindi, avevamo due modi di fare
questa manovra: la prima era affrontare seriamente il
problema
dicendo oggi quale riforme fare per
poter permettere al Paese di riprendere quella crescita
indispensabile per far fronte al
debito pubblico crescente; la seconda, che è quella che
ha intrapreso
il Governo, era fare finta di
nulla. Ancora una volta facciamo finta di nulla e
rimandiamo il
problema, guarda caso, proprio al
2013, cioè dopo le prossime elezioni politiche.
Penso che questo sia un grave
errore, una strada pericolosa per il Paese. Voi avete
elencato 85
riforme in maniera confusa e
generica. Elencare 85 riforme è come non elencarne
nessuna. Noi
avremmo preferito avere 5 o 10
riforme elencate dettagliatamente nei tempi e nei modi e
negli
effetti e discutere su questo. Ciò
sarebbe stato utile al Paese, non altro.
Parlate di riforma fiscale. Io
sento dire da più parti, dal Governo e dalla
maggioranza, che la
panacea di tutti i mali sarà questa
riforma fiscale. Vi avviso di una cosa, colleghi:
purtroppo la
riforma fiscale l'avete già fatta
con i decreti attuativi del federalismo fiscale. Sapete
che cosa
comporta la riforma fiscale che voi
avete approvato? Comporta che dal prossimo anno una
famiglia
con un reddito medio, grazie allo
sblocco delle addizionali IRPEF, pagherà mille euro in
più di
tasse, non in meno come voi state
dicendo. Non solo: i comuni, che sono stati messi a
piedi dai tagli
lineari del Governo, dovranno
introdurre una tassa di scopo, che di fatto è una
patrimoniale
mascherata, e l'imposta di
soggiorno.
Tutto questo davanti ad una
situazione attuale, già da quest'anno, che vede le
tariffe dei servizi in
molte città crescere di oltre il 20
per cento. Sapete che cosa vuol dire in termini reali?
Significa che
una famiglia che pagava un asilo
nido 200 euro al mese da quest'anno ne paga 240 e per 10
mesi
sono 400 euro in più, e la stessa
cosa vale per l'assistenza domiciliare e per il
biglietto dell'autobus o
per la tassa dei rifiuti.
Quindi, signori, vi sembra una
politica fiscale corretta che può servire al Paese per
crescere o vi
sembra una politica fiscale,
invece, regressiva? Noi denunciamo questo, il fatto che
la pressione
fiscale in questo Paese era
intollerabile e oggi è più intollerabile di un anno fa.
Ecco perché noi vi
chiediamo delle riforme chiare e
subito. Vi chiediamo una totale e radicale revisione
della spesa
pubblica, una vera e propria
spending review che implichi una riduzione drastica
delle spese
improduttive. Vi chiediamo una
riforma dello Stato.
Voi state girando intorno al
problema, che non è quello del contenimento dei costi:
il problema è
che questo Stato costa troppo, non
ce lo possiamo più permettere! Quindi, bisogna ridurre
il numero
dei parlamentari, abolire le
province e le comunità montane, riorganizzare i comuni
in maniera più
funzionale. Ci vuole una riforma
vera dei servizi pubblici locali, che rompa i monopoli
delle piccole
«IRI» di proprietà dei comuni che
sono sempre più luoghi di passaggio per politici e
sempre meno
aziende efficienti. Ci vuole una
fiscalità di vantaggio per il sud, perché il divario tra
le varie zone
del Paese in questi anni è
cresciuto. Voi avete fatto il contrario.
Con il provvedimento sulla sanità
regionale avete fatto in modo che le regioni del sud
dovranno
avere un'IRAP cinque volte
superiore a quella delle regioni del nord. Avete fatto
la «fiscalità di
svantaggio» non la fiscalità di
vantaggio. Vi chiediamo immediate misure per le
famiglie, in tutti i
nostri programmi elettorali avevamo
il quoziente familiare, vi diciamo già oggi di partire
con il
quoziente familiare, iniziamo a
introdurlo anche in maniera parziale ma incominciamo,
perché le
famiglie hanno bisogno di ossigeno
per arrivare alla fine del mese.
C'è bisogno di un intervento a
sostegno della patrimonializzazione delle imprese, ha
ragione
l'onorevole Della Vedova, il
problema della Parmalat nasce dal fatto che le imprese
italiane sono
troppo piccole per competere in
Europa e finché le aziende italiane saranno troppo
piccole non
potranno difendere l'italianità dei
propri marchi. È chiaro che se vogliamo difenderla non
dobbiamo
posticipare l'assemblea per
l'approvazione del bilancio di sei mesi, con questo non
facciamo niente,
facciamo propaganda elettorale. Il
finale era già scritto, la Parmalat diventerà francese.
Dobbiamo fare in modo che le
imprese italiane reinvestano i propri utili nelle
imprese stesse
permettendogli di diventare grandi.
Una forza mirata al contrasto della povertà che sta
investendo
centri sociali che precedentemente
ne erano al riparo. L'onorevole Pezzotta ce lo ricorda
una volta e
questo è uno dei punti fondamentali
che questo Programma nazionale di riforme dovrebbe
tenere in
considerazione.
Insomma, in tre anni di legislatura
questo Governo ha tirato a campare, tanti spot e pochi
fatti
concreti, tanto fumo e niente
arrosto. La differenza rispetto a tre anni fa però è
una: ora non vi crede
davvero più nessuno (Applausi dei
deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Montagnoli. Ne ha
facoltà.
ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor
Presidente, signor sottosegretario, come già accennato
dai miei colleghi Simonetti,
Bitonci e Fugatti, questo Documento rappresenta il primo
atto del
nuovo ciclo di programmazione
economico e finanziaria che deriva dalla legge 7 aprile
2011, n. 39,
di modifica della legge di
contabilità e finanza pubblica al fine di tenere conto
dell'introduzione del
semestre europeo con l'obiettivo
della sostenibilità della finanza pubblica, della
stabilità finanziaria
e della crescita economica in linea
con l'impostazione della nuova governance europea.
Innanzitutto siamo tutti convinti
che il primo impegno a cui tutti noi dobbiamo puntare è
la tenuta
dei conti pubblici e la previsione
di un abbassamento del rapporto deficit/PIL, la
riduzione del
debito pubblico è un impegno
inderogabile. Ho sentito i colleghi nei vari interventi
e senza ombra
di dubbio dobbiamo considerare la
crisi internazionale e la situazione del nostro Paese
che oggi ha il
primo debito pubblico in Europa, il
terzo dubito pubblico al mondo e questo per
responsabilità di
gestioni del passato che hanno
devastato la nostra finanza pubblica. In questa
situazione il Governo
in tre anni ha messo al riparo i
conti pubblici, ha garantito i privati, cosa che non è
avvenuta in
Grecia, in Spagna, in Portogallo,
in Irlanda; si tratta di un merito di questo Governo che
ha garantito
la solidità e ha garantito tutti i
nostri cittadini, visto che il popolo italiano è un
popolo di
risparmiatori; quello che non hanno
fatto gli altri. Il Fondo di 500 miliardi messo a
disposizione
della Comunità europea per questi
Paesi non è ad oggi servito per l'Italia e se non
prendiamo atto di
questa situazione economica saremmo
falsi davanti ai nostri cittadini perché questi sono i
numeri
schiaccianti e le enormi
problematiche del nostro Paese. Le iniziative che fino
ad oggi il Governo
ha messo in piedi a partire dal
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 hanno già dato
effetti positivi
sui conti pubblici, sulla riduzione
della spesa. Un'unica valutazione che mi sento di fare
nella
considerazione dei tagli è che non
devono avvenire in maniera lineare ma puntare sempre di
più agli
sprechi. Questo è un invito che
faccio al Ministro Tremonti su una valutazione oggettiva
dei tagli
alla spesa pubblica.
Il Programma nazionale di riforma è
il fulcro del DEF e sintetizza le azioni di riforma
strutturale
avviate e in fase di definizione
per il raggiungimento degli obiettivi fissati
dall'agenda della
«Strategia Europa 2020».
I punti inseriti vanno dal
federalismo fiscale, alla riforma fiscale, al sostegno
delle nostre imprese,
soprattutto quelle medio-piccole,
che rappresentano il 95 per cento del totale delle
imprese, alla
sfida nell'ambito energetico, che
noi crediamo debba essere sempre più rivolta alle fonti
rinnovabili,
all'innovazione dell'istruzione,
alla riforma del mercato del lavoro, allo sviluppo delle
aree deboli
del Paese, perché siamo convinti
che debba assolutamente avvenire lo sviluppo del sud,
che deve
essere fatto tenendo conto della
legalità e della responsabilità soprattutto degli
amministratori, ad un
forte rilancio delle opere
pubbliche, ad una revisione delle norme del Patto di
stabilità, che deve
assolutamente tenere conto degli
enti virtuosi.
Queste sono le nostre sfide
inserite in questo Documento e su cui il Parlamento si
dovrebbe
impegnare. Invece, ahimè,
l'opposizione ci tiene qui settimane e settimane a
discutere di beghe
personali e non degli interessi
importanti del Paese, a cui i cittadini ci chiedono di
dare risposta.
Questi sono punti importanti e
riforme che questa maggioranza e questo Governo vogliono
portare
avanti. Siamo qui per cambiare il
Paese, non per fare polemiche, cari colleghi
dell'opposizione.
Ma per noi la riforma più
importante, di svolta, inserita nel Documento di
economia e finanza, è
quella federale, su cui il Governo
sta camminando spedito. Vari decreti sono stati già
fatti. È una
svolta che noi definiamo epocale,
perché renderà più efficienti gli enti locali e
responsabilizzerà gli
amministratori. In questi anni
abbiamo assistito a tantissimi sprechi e inefficienze,
che non sono più
accettabili. Una gestione diversa
della finanza pubblica, che deve sempre più passare dal
centro alla
periferia, darà una grande mano
alla riduzione della spesa pubblica.
Finalmente le cattive gestioni dei
comuni, soprattutto in una parte del Paese, non
ricadranno più
sulla testa di tutti i cittadini. I
debiti e i buchi di Roma, Napoli, di Vendola e compagni,
non
peseranno più sul Paese e quelle
risorse serviranno per lo sviluppo e la crescita di
tutto il Paese, al
nord ma soprattutto al sud. È
evidente, ed è un tema inserito nel Documento, che è
ormai
obbligatoria una riforma fiscale,
che il Governo ha annunciato nel prossimo mese di
maggio, che,
attraverso una riduzione della
spesa, ma soprattutto il proseguimento della lotta
all'evasione fiscale,
deve mirare ad una riduzione delle
tasse e al rilancio della crescita.
Cari colleghi, non è più
accettabile che vi siano zone del Paese con tassi di
evasione del 50-60 per
cento. Non è più assolutamente
accettabile! Il fatto che nei decreti attuativi del
federalismo fiscale
venga previsto che anche gli enti
locali abbiano una loro quota di partecipazione è
sicuramente un
aspetto fondamentale, a cui noi
teniamo tanto.
Noi, come Lega, saremo molto
attenti, nell'elenco di queste riforme, allo sviluppo
delle politiche
sull'energia, alla modifica
nell'ambito del lavoro e dell'istruzione, alle varie
liberalizzazioni che
verranno messe in atto con la
logica esclusiva e prioritaria del miglior servizio al
cittadino. Ci va
bene la riforma dei servizi
pubblici locali, ma per abbattere i carrozzoni, che
sappiamo dove sono
collocati.
Quando sento parlare il collega
dell'UdC di eliminare queste gestioni e le province nel
territorio
vedo che i politici più
«cadregari», nel vero senso della parola, sono proprio
quelli dell'UdC
(Applausi dei deputati del gruppo
Lega Nord Padania), contrari ad ogni modifica e a ogni
riforma
del Paese, che hanno avuto il
coraggio di votare contro il federalismo, ovvero la
riforma che salverà
tutto il Paese, tutta l'Italia.
Signor sottosegretario, condividiamo la linea di
stabilità di questi anni,
che - riferite in questo Documento
- punta a raggiungere entro il 2014 un livello vicino al
pareggio
di bilancio, a conseguire livelli
crescenti di avanzo primario, alla diminuzione del
rapporto tra
debito pubblico e PIL, attualmente
al 120 per cento e previsto al 114 per cento nel 2014.
Crediamo che lo sforzo debba essere
fatto insieme a tutte le forze economiche e sociali,
agli enti
locali, che servirà per
incrementare la produttività, la competitività e la
crescita e che debba essere,
sopratutto in questo momento
economico, assolutamente prioritario.
Chiediamo coraggio al Governo: i
cittadini ci chiedono di cambiare questo Paese. Abbiamo
bisogno, oltre alla tenuta dei
conti pubblici, di rilanciare i consumi e di rimettere
in moto
l'economia; all'interno dell'Unione
europea il nostro Paese deve assolutamente essere una
guida.
Pertanto, dichiaro che il gruppo
Lega Nord Padania voterà a favore della risoluzione di
maggioranza Cicchitto, Reguzzoni e
Sardelli n. 6-00080 (Applausi dei deputati del gruppo
Lega
Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha
facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente,
onorevoli colleghi, sul Documento di economia e finanza
che
stiamo esaminando la prima
osservazione che vorrei fare è che il nuovo sentiero
comunitario, in
tema di governance economica,
trasferisce anche in Italia una maggiore consapevolezza
dell'esigenza di superare l'ottica
di una strategia dei due tempi, il primo dei quali
diretto a mettere a
posto i conti pubblici ed il
secondo, solo successivamente, a perseguire l'obiettivo
di una maggiore
crescita. Modestamente, il gruppo
del Partito Democratico potrebbe ricordare di avere
detto questo
sin dall'inizio.
Senza alcuno spirito polemico in
questo senso, ci sembra che trovino esplicita conferma
le linee
programmatiche che avevano
informato, sin dall'inizio della precedente legislatura,
l'azione del
compianto Ministro dell'economia
Tommaso Padoa-Schioppa. Credo che onestà intellettuale
voglia
che questo si riconosca. Crescita,
risanamento ed equità erano gli elementi che
costituivano il
trittico sottoposto all'attenzione
del Parlamento. Di questo trittico mi sembra che si
possa dire che
solo il tema del risanamento sia
stato preso in considerazione e perseguito, mentre gli
altri due
elementi sono stati assolutamente
abbandonati.
Eravamo convinti, lo siamo sempre
stati, che i temi dello sviluppo e della crescita
fossero la chiave
di volta del riscatto del nostro
Paese. Per evocare un'immagine di un collega, mi sembra
il collega
Cazzola, intervenuto prima in sede
di discussione, il tema della crescita, dico io, è come
la bandiera
piantata nella testa della gente.
Noi lo abbiamo sempre saputo, ci era chiaro, ci è sempre
stato
chiaro, anche perché l'abbattimento
dell'ingente debito pubblico non può che passare da una
ricostituzione dell'avanzo
primario, cioè a dire da un rilancio della crescita a
favorire la quale,
evidentemente, concorrono in modo
intrecciato, anche, ma non solo, le politiche volte a
ridurre la
spesa non con i proclami, né senza
un'opportuna selezione, come si continua a fare con la
volgare
logica dei tagli lineari che sono
reiterati e anche con lo strumento dell'incremento delle
entrate di
cui, peraltro, non si parla nei
testi dei documenti che sono stati presentati.
Questi offrono un quadro
conoscitivo certamente interessante, ma fissano
obiettivi che definirei
assolutamente generici e, tutto
sommato, modesti, in particolare sul tema richiamato
della crescita, e
indicano mezzi che non sono affatto
rassicuranti per il conseguimento dei risultati attesi
che, se
anche si realizzassero, tra dieci
anni registreranno, in assenza di modificazioni, divari
piuttosto
consistenti rispetto ai target
europei.
Più nello specifico, dal quadro
programmatico emerge che con una manovra significativa,
robusta,
prevista per due anni, nel 2014
dovremmo raggiungere il pareggio di bilancio, un avanzo
primario
di cinque punti, una spesa per
interessi di cinque punti e mezzo, un debito sceso al
112,8 per cento,
ossia sette punti in meno rispetto
al dato del 2010. La manovra per ottenere questi
risultati verrebbe
varata l'anno prossimo,
riguarderebbe i due anni seguenti e sarebbe di quasi 40
miliardi di euro, per
l'esattezza di 39 miliardi di euro,
corrispondenti a 2,5 punti di PIL. La pressione fiscale,
però,
rimane a livelli altissimi, siamo
sul tetto dell'Himalaya. Vi ricordate quando, in
campagna elettorale,
rimproverate il fatto che noi
avevamo una pressione fiscale alta? Avete portato e
continuate a tenere
la pressione fiscale sul tetto
dell'Himalaya, al 42,6 per cento nel 2010.
In considerazione di questo fatto,
evidentemente, ad essere «manovrata» non può che essere
la
spesa totale primaria destinata a
ridursi di oltre quattro punti di PIL nel triennio
2011-2014, quasi
due punti all'anno in termini
reali.
Alla riduzione della spesa come si
arriverà? Si arriverà inevitabilmente attraverso un
taglio degli
investimenti pubblici, che peraltro
determina effetti distorsivi proprio sulla crescita del
PIL, poiché
le infrastrutture costituiscono un
importante fattore di competitività. Su questo punto si
è soffermata
anche la Corte dei conti in sede di
audizione e lo ha definito «l'indicatore più
significativo del
divario tra enunciazioni
programmatiche e realizzazioni» come a significare «la
distanza tra il dire e
il fare». Sempre la Corte dei conti
ha annotato che nello stesso Programma nazionale di
riforma la
dotazione del piano di
infrastrutture strategiche - che è allegata alla
Decisione di finanza pubblica
2011-2013 - è pari a 233 miliardi
di euro, di cui 113 miliardi per opere di intervento
primario fino al
2013.
Ebbene, la Corte dei conti sostiene
che, di questo ampio ammontare, le risorse assegnate a
partire
dal 2008 sui progetti di legge
obiettivo sono tuttora pari appena a 8,3 miliardi di
euro, non ancora
distribuibili sulle singole
annualità. Si tratta di 8 miliardi e io potrei dire 8
miserabili miliardi
rispetto ai 113 che erano stati
individuati come prioritari fino al 2013 sul complessivo
dei 233
miliardi.
Citando sempre la Corte dei conti
come fonte autorevole, «Il Programma nazionale di
riforma
appare uno specchio dei limiti,
degli ostacoli e delle lentezze che si frappongono ad
una effettiva e
duratura ripresa delle politiche di
sviluppo in Italia». Ora, se andiamo a vedere gli
effetti di queste
riforme, che dovrebbero favorire
appunto la crescita, noi troviamo che l'effetto cumulato
è stimato
essere pari a 1,8 punti di maggiore
crescita del PIL nel 2015, salendo a 3,6 punti nel 2030.
Nei
valori medi annui il massimo
incremento addizionale viene raggiunto nel 2015 (0,4
punti) - ovvero
nulla, come ha detto l'onorevole La
Malfa - per diminuire a 0,12 punti nel 2030.
Le riforme, che voi annunciate,
sono riforme che producono dunque effetti nel
lunghissimo periodo
e con intensità decrescente nel
tempo. Il quadro complessivo, come si può notare, appare
non
esaltante: stime di impulso sul PIL
non ponderate con la valutazione degli effetti della
manovra
pesantissima che è stata
annunciata; sguardo rivolto prevalentemente
all'indietro; penuria di
investimenti pubblici;
insufficiente coinvolgimento dell'opinione pubblica e
conseguente carenza di
un clima favorevole all'adozione di
un più intenso processo di riforme economiche.
Vi sono poi ulteriori indicatori di
riforme, che sono annunciati nei titoli. Mi soffermo
solo
brevemente sulla riforma fiscale,
che dovrebbe essere, come si dice, un ammodernamento del
nostro
sistema fiscale. Noi suggeriamo sin
d'ora di dare piena attuazione alla riforma fiscale,
secondo le
linee della mozione del Partito
Democratico a prima firma Bersani, già approvata il 22
dicembre
scorso dalla Camera, che
consentirebbe di ottenere una maggiore efficienza,
coerenza ed equità del
sistema e la promozione del lavoro,
dell'impresa e dell'investimento produttivo.
Consideriamo i punti sul Meridione.
Voi parlate di regia nazionale. «Regia» vuol dire
coordinare e
stimolare, non sostituire. In
attesa di vedere il programma concreto, raccomandiamo
questo.
Per quanto riguarda la ricerca e lo
sviluppo, nel 2020 la nostra distanza rispetto
all'Europa
aumenterà, perché sarà pari
all'1,53 per cento del PIL, rispetto al 3 per cento,
mentre oggi la
distanza è solo di 0,8 punti.
PRESIDENTE. La prego di concludere,
onorevole Duilio.
LINO DUILIO. Vado a concludere,
perché il mio tempo sta finendo. Volendo tracciare una
sintesi
conclusiva, noi siamo molto
perplessi su questi vostri documenti, perché siamo molto
lontani
dall'elaborazione di quella
bandiera piantata nella testa della gente, di cui ha
parlato qualche
collega. Questo DEF non convince,
non appassiona e rappresenta un'occasione persa, come ha
sostenuto l'ex Commissario
dell'Unione europea, professore Mario Monti, in sede di
audizione. È
un'occasione persa sia nel merito
che nel metodo, per misure che sono eterogenee, poco
coerenti,
slegate da una visione di insieme.
Noi vi suggeriamo di prendere in considerazione il
Programma
nazionale di riforma alternativo,
che è stato elaborato dal Partito Democratico rispetto
alle regole
europee.
PRESIDENTE. Deve concludere,
onorevole Duilio.
LINO DUILIO. In conclusione, signor
Presidente, onorevoli colleghi, guardando a questo
decennio
perduto - se escludiamo i venti
mesi di nostro Governo - noi potremmo snocciolare cifre
a voi non
favorevoli, ricordare promesse non
mantenute, rileggere programmi e riproporre letture che
intendevano combattere paure ed
alimentare speranze.
Il bilancio non sarebbe di certo a
voi favorevole e porterebbe alla conclusione, spiace
dirlo, che per
il nostro Paese voi rappresentate
la nostra malattia non la nostra terapia. Anche per
questo, oltre che
per i contenuti dei documenti che
ci avete presentato, abbiamo prodotto una risoluzione di
minoranza che va contro alla vostra
risoluzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito
Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto l'onorevole Milanese. Ne ha
facoltà.
MARCO MARIO MILANESE. Signor
Presidente, il Documento di economia e finanza 2011 che
ci
apprestiamo a votare rappresenta la
puntuale fotografia della nostra politica economica
nazionale in
conformità degli accordi e degli
impegni assunti in Europa. Si inserisce nelle azioni
concordate
dunque in sede europea e, in
particolare, nel Consiglio europeo che si è svolto a
Bruxelles lo scorso
marzo e dove è stato approvato il
Patto per l'Euro; un coordinamento dunque più stretto
delle
politiche economiche per la
competitività e la convergenza.
Il Patto è in sostanza un trattato
nel trattato, destinato a modificare radicalmente la
struttura
costituzionale europea. Il semestre
europeo è il luogo comune per cominciare ad organizzare,
all'interno di un unico processo
politico, indirizzi ed impegni comuni e coordinati, ed è
in questa
logica che l'Italia si è impegnata
in parallelo e in sincronia con gli altri Paesi
dell'Unione europea a
confermare e a sviluppare la
propria politica di bilancio ed economica, nonché a
confermare e a
articolare tanto la documentazione
politica nazionale quanto il processo politico in
Parlamento e
con le parti sociali, a partire
proprio dal Documento di economia e finanza 2011.
Secondo gli accordi il Documento è
composto di tre parti: Programma di stabilità, Analisi e
le
tendenze della finanza pubblica ed
infine Programma nazionale di riforma. Dunque la
stabilità e la
solidità della finanza pubblica
sono essenziali tanto nel tempo presente quanto nel
tempo a venire.
Non sono possibili sviluppo
economico ed equilibrio politico e democratico senza
stabilità e solidità
della finanza pubblica. Tale
equilibrio si realizza tanto dal lato della finanza
pubblica quanto da
quello della finanza privata. È
stato per questo riconosciuto in Europa il principio
secondo cui
l'equilibrio finanziario non è dato
solo dalla finanza pubblica ma anche dalla finanza
privata, come
il risparmio delle famiglie e la
solidità delle banche. Da qui la posizione privilegiata
del nostro
Paese; di qui il messaggio
responsabile per il Paese è che non esistono i
presupposti per una crescita
duratura ed equa senza stabilità
del bilancio pubblico.
La crescita quindi non si può fare
con i deficit pubblici. È questa l'impostazione della
politica
italiana di finanza pubblica
iniziata fin dal 2008 e ancora oggi proseguita. Su
questa logica è
impostato il Programma di
stabilità. Fondamentale, inoltre, il duplice impegno
italiano di introdurre
nella Costituzione il vincolo della
disciplina di bilancio, nonché di raggiungere entro il
2014 un
livello prossimo al pareggio di
bilancio con riduzione anche del debito pubblico. Per
perseguire tali
obiettivi bisogna attivare
ulteriori motori di sviluppo che non rientrano nel
perimetro della spesa
pubblica in deficit. Fondamentale
dunque diventa il Programma nazionale di riforma.
Il Governo e questa maggioranza
molto hanno già fatto. Basti ricordare le tre grandi
riforme: quella
delle pensioni, approvata come una
delle migliori in Europa, la scuola e le università, il
federalismo
fiscale. Ancora molto comunque
resta da fare. La riforma fiscale ed assistenziale che
si dovrà
fondare su quattro principi
fondamentali: progressività, neutralità, solidarietà e
semplicità. La
questione meridionale posta come
questione nazionale. Questo Governo e questa maggioranza
hanno la voglia e la forza di
superare il gap, la divisione che esiste nel nostro
Paese tra nord e sud.
Il nord senza il sud non cresce: è
arrivato finalmente il momento di evitare che ci siano
tanti falsi
paladini del sud che non vogliono
che il sud riesca a camminare da solo senza
assistenzialismo e
senza cattiva politica.
Per questo bisogna incentivare ed
utilizzare al massimo e al meglio i fondi europei, con
un'attenta
regia nazionale ma senza
mortificare i territori e gli enti locali con le tante
peculiarità diverse,
comunque, da regione a regione.
Arrivare finalmente a una fiscalità di vantaggio, a
infrastrutture di
collegamento, alle zone cosiddette
a «burocrazia zero».
Per ciò che concerne il lavoro è
previsto lo statuto del lavoro, testo unico contenente
il riordino e la
semplificazione della materia.
Fondamentale in questo caso è il contratto di
apprendistato come
contratto di ingresso dei giovani
nel mercato del lavoro. È previsto l'intervento nel
settore delle
opere pubbliche, dell'edilizia
privata, della ricerca e sviluppo, dell'agricoltura, del
processo civile e
del turismo. Queste sono alcune
delle priorità nell'economia politica di un piano che
chiaramente
trova la sua estensione ed ampiezza
su più anni. In definitiva, è stato ed è fondamentale
aver
stabilizzato i conti pubblici. La
politica del rigore che è stata intrapresa dal Governo e
da questa
maggioranza è stata ed è
fondamentale. A questa politica segue la politica dello
sviluppo, senza mai
prescindere però da essa. Senza la
prima non può esserci la seconda.
L'Italia ha detto: mai più lo
sviluppo in deficit; mai più spendere con i soldi degli
altri; mai più
spendere con i soldi degli
italiani, ma soprattutto mai più spendere facendo debiti
e ipotecando il
futuro dei nostri giovani: qualcuno
in questa Aula ha pensato e lo ha fatto. Di certo questo
qualcuno
non siede tra i banchi di questa
maggioranza. Abbiamo diviso questo quadrante (rigore e
sviluppo)
in due fasi. Dobbiamo concludere la
prima fase per passare alla seconda. Il Governo e la
maggioranza hanno i fondamentali -
e lo hanno ampiamente dimostrato - per fare il rigore e
per fare
lo sviluppo. Questa maggioranza è
solida per dare un futuro al nostro Paese. Per questo il
Popolo
della libertà darà voto favorevole
alla risoluzione di maggioranza (Applausi dei deputati
del gruppo
Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
per dichiarazione di voto, a titolo personale,
l'onorevole
Beltrandi. Ne ha facoltà, per un
minuto.
MARCO BELTRANDI. Signor Presidente,
vorrei esprimere il dispiacere per il fatto che la
maggioranza e il Governo abbiano
perso l'occasione per sostenere una risoluzione a mia
prima
firma, sottoscritta poi anche da
colleghi di tanti gruppi politici, per far sì che i
fondi che si sono
ottenuti dal risparmio procurato
dall'allungamento dell'età pensionabile delle donne
nella pubblica
amministrazione fossero usati per
la non autosufficienza e per misure di conciliazione tra
attività
lavorativa e vita familiare, a
vantaggio delle donne.
Questo era previsto dalla legge.
Questo fondo è stato depauperato delle proprie risorse e
sarebbe
stato invece necessario
reintegrarlo. Quindi, in questa occasione, nel segnalare
appunto un
rammarico, dico anche che porteremo
avanti questa battaglia (Applausi di deputati del gruppo
Partito Democratico).
PRESIDENTE. Sono così concluse le
dichiarazioni di voto.
(Votazione - Doc. LVII, n. 4)
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale
mediante
procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale,
mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione
Cicchitto,
Reguzzoni, e Sardelli n. 6-00080,
accetta dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Nannicini, onorevole
Scilipoti, onorevole Della Vedova, onorevole Mondello,
onorevole
Causi, onorevole Cesa... Dichiaro
chiusa la votazione.Comunico il risultato della
votazione:
Presenti 547
Votanti 546
Astenuti 1
Maggioranza 274
Hanno votato sì 283
Hanno votato no 263.
(La Camera approva - Vedi
votazioni).
Sono così precluse tutte le altre
risoluzioni presentate.
Secondo le intese intercorse, la
trattazione dei restanti argomenti con votazione si
intende rinviata
ad altra seduta. Dopo le
comunicazioni del calendario dei lavori per il mese di
maggio, e dopo
alcuni interventi sull'ordine dei
lavori, si procederà pertanto allo svolgimento di
interpellanze
urgenti. |