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Ordinamento giuridico

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Ordinamento giuridico 

L’ordinamento giuridico italiano è retto dalla Costituzione della Repubblica Italiana, emanata nel 1948. E’ una costituzione rigida, cioè non modificabile da leggi ordinarie; può essere modificata od integrata solo attraverso un procedimento speciale, particolarmente complesso, previsto dalla stessa Costituzione (art. 138).

La rigidità è garantita da un controllo di conformità alla Costituzione delle leggi e degli atti aventi forza di legge, affidato in via esclusiva ad un organo costituzionale speciale, la Corte costituzionale.

Alcuni punti sono assolutamente immodificabili; così la forma repubblicana, la quale non può essere oggetto di revisione costituzionale; ma generalmente si ritengono immodificabili anche tutti quei punti che rappresentano elementi essenziali del regime costituito (per es. principi di libertà e di uguaglianza, regime parlamentare, principio di rigidità della Costituzione, la giustizia costituzionale). 

La Costituzione contiene i principi generali assunti a valori essenziali della vita dello Stato; detta i principi cui deve conformarsi la produzione legislativa del Parlamento, delle Regioni e di ogni altra istituzione pubblica cha ha il potere di emanare decreti e regolamenti aventi valore generale o particolare; traccia le linee fondamentali della politica estera e delle relazioni con l’ordinamento dell’Unione Europea.

 

1. Le Fonti del diritto privato italiano

Le fonti del diritto privato italiano sono: le leggi, i regolamenti, (le norme corporative: ma l’ordinamento corporativo fascista è stato soppresso nel 1943), le consuetudini o gli usi (artt. 1- 8 disp. prel.).

Tali fonti si dispongono secondo una c.d. scala gerarchica, in base alla forza giuridica delle fonti e dei precetti che ne derivano.

1.1. Fonti primarie

Prescindendo dalle leggi costituzionali, le fonti di produzione normativa primaria sono:

a.            le leggi ordinarie dello Stato (art. 1 disp. prel.); il valore preminente della legge nell’ordinamento giuridico statale è rappresentato dal fatto che una norma posta da una legge può essere abrogata o modificata solo da una nuova legge, mentre una legge ordinaria può modificare o abrogare qualunque norma dell’ordinamento, con esclusione delle norme aventi valore costituzionale, le quali possono essere abrogate o modificate solo da leggi costituzionali.

b.            le leggi c.d. delegate, cioè emanate dal Governo, su preventiva delegazione delle Camere.

c.            i decreti-legge, emanati in casi speciali dal Governo e che devono essere presentati il giorno stesso alle camere per la conversione in legge; se non sono convertiti entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione perdono efficacia retroattivamente, ma le Camere possono regolare con legge i rapporti sorti per effetto dei decreti non convertiti.

d.            gli Statuti delle Regioni ordinarie approvati con legge della Repubblica e le leggi approvate dai Consigli regionali (leggi regionali) e dai Consigli provinciali di Trento e Bolzano (leggi provinciali).

Gli Statuti e le leggi regionali (e provinciali) incontrano limiti di materia e di territorio previsti dagli artt. 123 e 117 della Costituzione; per le Regioni ad autonomia speciale, limiti alla potestà legislativa sono contenuti negli Statuti approvati con legge costituzionale.

Nell’ambito delle fonti primarie, le leggi delegate (decreti legislativi) e le leggi regionali vanno classificate come subprimarie, in quanto i decreti legislativi incontrano limiti nei principi e criteri direttivi fissati nella legge delega, mentre le leggi regionali e provinciali sono tenute ad uniformarsi ai principi informatori della legislazione statale nelle singole materie di competenza “non esclusiva”.

Tenuto conto del carattere di subprimarietà, l’esorbitanza dai limiti di azione assegnati a tali fonti normative vale a configurare un vizio di legittimità costituzionale.

Le principali leggi di diritti privato italiano sono i “codici”, i quali sono anch’essi leggi e non hanno una portata maggiore della singola legge, anche se assumono particolare importanza per la maggiore estensione e la maggiore organicità del contenuto. I codici italiani che attengono alla materia del diritto privato sono il codice civile e il codice della navigazione, quest’ultimo nella sola parte che ha natura privatistica.

1.2. Fonti secondarie

a.            Sono fonti secondarie con forza di legge tutti i regolamenti (o singole disposizioni di essi) che contengono precetti di carattere generale e astratto, i quali siano ammessi ad innovare norme preesistenti, senza che i precetti da essi introdotti possano a propria volta essere innovati se non mediante altre norme aventi forza di legge.

Si suole parlare in tal caso di provvedimenti normativi “liberi” i quali sono adottati da autorità amministrative: per es. i provvedimenti governativi, interministeriali, ministeriali o prefettizi con i quali vengono fissati autoritativamente prezzi e tariffe di merci e servizi, i regolamenti comunali e i piani regolatori con i quali vengono introdotte norme sulle costruzioni in deroga alla disciplina prevista dal codice civile.

2.            Sono fonti secondarie senza forza di legge i regolamenti di esecuzione (i quali hanno il compito di dare concreta e specifica attuazione ai principi fissati dalle leggi) e gli altri provvedimenti amministrativi normativi, posti da autorità amministrative statali (centrali o locali) o da enti pubblici minori (Comuni e Province), che non hanno capacità di derogare alle norme aventi forza di legge.

La validità e quindi la obbligatorietà di tali atti è condizionata dalla loro conformità a tutte le fonti (primarie e secondarie) provviste di forza di legge.

1.3. L’uso o la consuetudine

L’uso ammesso dall’ordinamento si distingue in uso secundum legem e uso praeter legem, a seconda della funzione cui assolve.

L’uso secundum legem assolve ad una funzione di integrazione del contenuto della norma scritta (legge o regolamento), la quale in parte è in bianco. Si ha quindi un caso di ricezione dell’uso da parte della legge; ma in tal caso l’uso acquista forza eguale a quella della norma che lo richiama e quindi, in contrasto apparente con la gerarchia delle fonti, stabilita dall’art. 1 delle disp. prel., diviene fonte di primo o di secondo grado.

L’uso praeter legem assolve alla funzione di colmare le lacune del diritto oggettivo scritto ed opera indipendentemente dalla esistenza di richiami legislativi di carattere particolare.

In tal caso l’uso costituisce una fonte parallela e, in certo modo, equivalente alla legge, nel senso che le norme prodotte non possono subire alcuna incidenza da parte di altre fonti secondarie che non siano atti aventi forza di legge.

1.4. L’equità

L’equità è fonte di diritto soltanto in casi eccezionali, cioè là dove, non esistendo norme prestabilite, si prevede che il giudice possa fare ricorso all’equità, per trovare il principio da applicare.

Non è invece fonte di diritto quando l’equità viene utilizzata come criterio di interpretazione, al fine di temperare la rigidità della norma scritta.

1.5. I principi generali dell’ordinamento

Parte della dottrina include tra le fonti non scritte i “principi generali dell’ordinamento”, richiamati dall’art. 12 delle disp. prel. per la soluzione di una controversia che non può essere decisa in via di interpretazione analogica o estensiva.

Al contrario, è stato osservato che i principi non scritti (siano essi principi informatori della materia o principi generali dell’ordinamento) non costituiscono fonti (autonome) di produzione di norme, ma sono essi stessi norma, perché si desumono da uno o più atti normativi i quali rivelano l’esistenza del principio.

1.6. La giurisprudenza

La giurisprudenza non crea norme giuridiche perché si muove entro le grandi linee fissate dal legislatore.

Le “regole” poste dalla giurisprudenza riguardano il caso concreto; sono regole fragili, che possono essere modificate in ogni momento, in occasione dell’esame di una nuova fattispecie.

La giurisprudenza non è cioè legata alle norme dalla stessa poste, né può invocarle per giustificare la decisione che adotterà. Un diverso orientamento della giurisprudenza è sempre possibile, non trovando applicazione la regola del precedente.

 

Con la recente riforma (d.lgs. 2006, n. 40) che ha riguardato il procedimento davanti alla Corte di Cassazione è stato previsto che - se la sezione semplice della Corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite - con ordinanza motivata rimette a queste ultime la decisione del ricorso. Ma si tratta di un intervento diretto a promuovere e ad assicurare la funzione di nomofilachia della S.C., ferma restando la possibilità che venga adottato un nuovo e diverso orientamento giurisprudenziale.

1.7. Le circolari

Non sono fonte di norme giuridiche le circolari, le quali consistono in istruzioni date da una autorità amministrativa superiore ad un’autorità amministrativa inferiore e presuppongono quindi un vincolo gerarchico tra le due autorità.

2. Il potere legislativo del Parlamento

La Costituzione affida al Parlamento - costituito dal Senato e dalla Camera dei deputati - il compito di formare le leggi, fonti primarie dell’ordinamento dello Stato.

La legge dello Stato si forma per effetto dell’approvazione delle due Camere, su un testo conforme; è promulgata dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione; dopo la promulgazione è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ed è inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti. Il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato alle Camere, può chiedere una nuova deliberazione, ma se la legge è nuovamente approvata dalle Camere, la stessa deve essere promulgata.

In particolari casi la funzione legislativa viene delegata al Governo, autorizzato ad emanare decreti legislativi, previa determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo determinato e per oggetti che siano definiti (mediante la legge di delegazione).

Se i decreti legislativi esorbitano dai limiti dei poteri delegati, può essere sollevata la questione di incostituzionalità.

3. La potestà legislativa e regolamentare delle Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane

Le venti Regioni italiane esercitano la potestà legislativa nelle materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato, secondo le previsioni dell’art. 117 Cost., nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Nelle materie di loro competenza, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione di accordi internazionali e degli atti della Unione Europea, nel rispetto delle norme stabilite da legge dello Stato che disciplina anche il potere di sostituzione in caso di inadempienza.

Particolarmente ampia è la potestà legislativa delle Regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta).

I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

4. Efficacia temporale delle norme giuridiche

Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi (leggi, regolamenti) è richiesta:

a.            la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale;

b.            il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla pubblicazione all’entrata in vigore della norma. Ove non sia diversamente disposto, il provvedimento entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione. Trascorso il periodo della vacatio, la legge o il regolamento diventano obbligatori, anche se di fatto chi li deve osservare non ne abbia avuto o potuto avere conoscenza.

La norma giuridica perde efficacia per abrogazione, espressa o tacita (per incompatibilità con la nuova disciplina o perché il legislatore ha nuovamente regolato l’intera materia).

5. Procedure di adeguamento del diritto nazionale al diritto internazionale

L’adeguamento del diritto nazionale al diritto internazionale si realizza o attraverso l’applicazione automatica della norma internazionale, come nel caso delle norme consuetudinarie, in virtù dell’art. 10 Cost., o attraverso il procedimento ordinario che prevede l’emanazione di una norma di recepimento della norma internazionale.

Il rango assunto dalle norme internazionali è quello della norma che ne consente l’immissione. Quindi, nel primo caso, anche le norme consuetudinarie acquistano rango costituzionale. Nel secondo caso, il trattato internazionale si pone in una posizione di equiordinazione con le norme interne; tuttavia, si ritiene generalmente che la specialità intrinseca della norma internazionale comporta la necessità di privilegiale soluzioni interpretative nel senso il più possibile conforme alla norma internazionale.

6. Il diritto comunitario e la sua preminenza rispetto alle norme interne

I regolamenti sono atti comunitari di immediata applicazione nell’ordinamento nazionale; ma si ritengono dotati di efficacia diretta tutte quelle norme comunitarie idonee ad incidere nella sfera giuridica dei soggetti interessati.

Le direttive necessitano di un atto di recepimento da parte degli organi nazionali. Tuttavia, ove siano complete ed autosufficienti, anche le direttive sono caratterizzate da un’efficacia diretta (sia pure solo) in senso verticale; il che significa che le disposizioni di una direttiva non attuata possono essere fatte valere nei confronti dello Stato inadempiente (in senso verticale), ma non già nei confronti di altri soggetti privati (in senso orizzontale).

Le decisioni sono atti dotati di efficacia vincolante nei confronti dei destinatari espressamente designati o precisamente identificabili (gli Stati membri o le persone fisiche o giuridiche).

Raccomandazioni e pareri sono sforniti di efficacia vincolante.

Il rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale si risolve nella preminenza sistematica del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, attraverso lo strumento della disapplicazione delle norme interne (precedenti e successive) che si pongano in contrasto con la norma comunitaria dotata di efficacia diretta.

Dopo un lungo processo evolutivo, la Corte costituzionale ha riconosciuto nella disapplicazione delle norme interne il criterio per risolvere contrasti con norme comunitarie incompatibili, negando la necessità di un controllo incidentale di costituzionalità sulle norme interne incompatibili, salvo che non siano espressione della volontà di ripudiare il Trattato.

 

L’insindacabilità delle norme comunitarie trova altresì un limite invalicabile nei principi fondamentali della Costituzione, ma in tal caso il controllo avrà ad oggetto non la norma comunitaria, ma la legge interna di adesione al Trattato, in ossequio al principio di separazione tra gli ordinamenti seguito dalla Corte costituzionale.

La Corte costituzionale ha altresì riconosciuto la possibilità di dedurre il contrasto tra norme interne regionali e norme comunitarie attraverso un ricorso principale.

La recente costituzionalizzazione del vincolo comunitario (mediante la modifica dell’art. 117 Cost.) non ha comunque inciso sul meccanismo della disapplicazione delle norme interne incompatibili, rendendo chiara la tendenza irreversibile a trasformare l’ordinamento nazionale in un ordinamento parziale di un ordinamento (comunitario) unitario.

7. Gerarchia delle fonti e conflitti in sede di applicazione

Le norme della costituzione prevalgono su tutte le altre in quanto enunciano principi base per la vita della collettività e l’organizzazione dello Stato.

Seguono le fonti primarie e secondarie, nonché gli usi, secondo la gerarchia sopra esposta.

La norma giuridica è irretroattiva, si applica cioè solo per l’avvenire, salvo che la retroattività risulti dallo stesso provvedimento normativo. Il conflitto tra leggi successive viene risolto in base al principio che la legge successiva deroga a quella precedentemente in vigore (lex posterior derogat prior).

La gerarchia delle fonti comporta che le fonti primarie si trovano in una posizione di preminenza rispetto alle fonti secondarie e ovviamente a quelle ulteriori.

Il conflitto tra atti aventi forza di legge e Costituzione è denunciabile alla Corte Costituzionale mediante rimessione della questione da parte del giudice adito che la ritenga non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione; a differenza dell’abrogazione, la dichiarazione di incostituzionalità della norma denunciata le toglie efficacia fin dall’origine, salvo i rapporti già definiti con sentenza passata in giudicato.

Nel caso di conflitto tra una legge dello Stato e un atto normativo della Regione, per invasione dei rispettivi ambiti di attribuzioni, si realizza una violazione dei limiti esterni posti dalla Costituzione all’esercizio di potestà pubbliche, con la conseguente possibilità di sollevare conflitto di attribuzioni rimesso alla Corte costituzionale.   

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