Avv. Paolo Nesta


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Diritto del Lavoro

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Diritto del Lavoro

Ci sono dei casi in cui è vietato licenziare un lavoratore?

Sì, è vietato il recesso del datore di lavoro in caso di matrimonio della lavoratrice, dal giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio, ed in questo periodo sono nulle anche le dimissioni della lavoratrice, salvo siano personalmente confermate davanti la Direzione Provinciale del lavoro.

Il divieto di licenziamento opera inoltre dall'inizio della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Analogamente è nullo il licenziamento del lavoratore causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo di paternità e quello dei lavoratori che abbiano chiesto o fruito del congedo parentale.

Vige inoltre il divieto di licenziamento in caso di infortunio o malattia professionale per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi.

In caso di malattia generica il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un periodo variabile in relazione all'anzianità di servizio e alla categoria di appartenenza.

Analogo divieto di licenziamento sussiste poi per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, dei candidati e dei membri di commissione interna per un anno dalla cessazione dell'incarico, nonché per i lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni.

In ultimo è vietato il licenziamento dei lavoratori che partecipano ad azioni di sciopero.

Quali tipologie di licenziamento esistono?

Il licenziamento nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato può essere intimato solo per giusta causa o giustificato motivo (soggettivo ed oggettivo).

Posso essere licenziato oralmente?

No, il recesso orale (privo dei requisiti di forma di cui all'art. 2 L. 604/66 come modificato dalla L. 108/90) è inefficace e, pertanto, il rapporto di lavoro prosegue di diritto, con obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni per il periodo dal giorno del licenziamento fino all'effettiva riammissione del dipendente nel suo posto di lavoro.

Esiste un termine per impugnare un licenziamento?

Il lavoratore che desidera impugnare un licenziamento deve farlo entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso.

È possibile instaurare un procedimento giudiziario senza esperire la procedura di conciliazione?

No, l'esperimento preventivo delle procedure di conciliazione è obbligatorio, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se il ricorso viene proposto in difetto del tentativo il giudice deve sospendere il processo e fissare un termine non superiore a 60 giorni entro cui le parti devono proporre la richiesta del tentativo di conciliazione.

Se viene accertata l’illegittimità del recesso il giudice cosa potrà dichiarare?

A seguito dell'impugnazione del licenziamento il giudice potrà dichiarare

·         L'inefficacia del licenziamento, intimato senza forma scritta, senza indicazione dei motivi ed, in generale, senza le formalità di cui all'art. 2 L. 604/66;

·         La nullità del licenziamento allorché esso sia stato discriminatorio e cioè determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, oppure perché intimato in periodo di divieto per le lavoratrici -madri;

·         L'annullamento del licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo.

Si parla di tutela obbligatoria e tutela reale. Cosa si intende?

La tutela reale è prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dall'art. 1 della L. 108/90. Il giudice con la sentenza che annulla il licenziamento ne dichiara l'inefficacia, ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Inoltre è tenuto a condannare il datore di lavoro ad un risarcimento del danno patito dal dipendente, liquidando un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione.

La tutela obbligatoria è prevista dall'art. 8 della L. 604/66, come modificato dall'art. 2 della L. 108/90 e si applica al datore di lavoro che ha un numero di dipendenti non superiore a 15.

Con la sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, non ricorrendo giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è condannato a riassumere il lavoratore entro tre giorni, oppure a risarcire il danno da questi patito versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

È valido un licenziamento determinato da motivi discriminatori?

No. L'art. 3 della L. 108/90 sancisce l'invalidità del recesso determinato per motivi discriminatori.

È discriminatorio il licenziamento determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, nonché da ragioni razziali, di lingua o di sesso. La sanzione prevista è la nullità.

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