Contratti
Qual è la definizione
con cui la legge connota il contratto?
Secondo la definizione fornita dall'art. 1321 c.c.
"il contratto è l'accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto
giuridico patrimoniale".
In base a tale assunto il contratto, pur rimanendo
nell'alveo dei negozi giuridici, si differenzia sia dal
testamento che dal matrimonio in quanto non potrà mai
essere unilaterale (viene, infatti, rappresentato come
l'accordo tra due o più parti) e non potrà mai
prescindere dal proprio contenuto patrimoniale (proprio
per la mancanza di tale requisito i negozi bilaterali di
diritto familiare non possono essere inquadrati nella
categoria dei contratti).
Rispettando i limiti imposti dall'art. 1322 c.c., le
parti che si accingono a stipulare un contratto possono
determinare in modo libero ed autonomo il contenuto
dello stesso.
Secondo il dettato normativo previsto dall'art. 1325
c.c. il contratto deve presentare i seguenti elementi
essenziali:
1) l'accordo delle parti;
2) la causa (ovvero la ragione/scopo socio economico
del contratto);
3) l'oggetto (ovvero il contenuto che in base
all'art. 1346 c.c. deve essere possibile, lecito,
determinato o determinabile);
4) la forma, quando è richiesta per la validità
dell'atto.
Per quanto riguarda gli effetti del contratto è
importante evidenziare che lo stesso, una volta
perfezionatosi, assume tra le parti forza di legge (art.
1372 c.c.). Il contratto, infatti, vincola le parti al
rispetto di quanto dallo esso previsto ma anche alle
conseguenze che ne derivano secondo la legge od in
mancanza secondo gli usi e l'equità (artt. 1372 e 1374
c.c.).
In quale momento si
intende concluso un contratto?
Statuire in quale momento è stato concluso un
contratto non comporta particolari difficoltà qualora il
consenso delle parti si sia manifestato nello stesso
luogo e nello stesso tempo.
Assai meno agevole è determinare quando si è concluso
un contratto intercorso tra persone lontane che sono in
contatto per tramite di mezzi di comunicazione quali la
posta, il telefono e, più di recente, anche per via
telematica.
In tutti i casi menzionati è opportuno soffermarsi
sia sulla fase iniziale che su quella finale dell'iter
che progressivamente conduce alla formazione del
contratto. Tali fasi sono connotate da due distinte
dichiarazioni di volontà unilaterali: la proposta e
l'accettazione. L'accordo tra le parti si configura solo
qualora alla proposta segua, nel termine stabilito,
l'accettazione. Solo in tale momento ed in tal guisa le
rispettive volontà delle parti si fondono in un'unica
volontà contrattuale. A tale scopo è necessario che
l'accettazione non contenga delle variazioni o delle
modifiche rispetto alle condizioni indicate dal
proponente: la dichiarazione di volontà di colui che
accetta deve essere conforme alla dichiarazione di
volontà di colui che effettua la proposta. Ma quando le
volontà delle parti si trasformano in unica volontà
contrattuale? A tale proposito la legge, con intento
chiarificatore, ha stabilito che una dichiarazione si
intende conosciuta dal destinatario nel momento in cui
risulta essere giunta nella casa o nell'azienda di
quest'ultimo. Pertanto, applicando tale regola alla
presente fattispecie, per provare che un contratto si è
regolarmente perfezionato è sufficiente che la
dichiarazione di accettazione sia recapitata presso
l'indirizzo di colui che ha effettuato la proposta (art.
1385 c.c.).
Il contratto
preliminare, dopo la stipulazione del contratto
definitivo, ha ancora validità?
Innanzitutto il preliminare è quel contratto con cui
le parti si obbligano a stipulare, in un secondo tempo,
un contratto definitivo.
Nel contratto preliminare le parti devono aver già
determinato il contenuto essenziale del futuro contratto
definitivo. Infatti, salve modifiche od integrazioni
disposte consensualmente dalle parti, la stipulazione
del contratto definitivo non deve richiedere alcuna
discussione circa i punti essenziali.
Una volta che le parti abbiano perfezionato il
contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica
fonte dei diritti e degli obblighi negoziali. Il
contratto preliminare, infatti, viene superato dalla
stipulazione del definitivo, la cui disciplina può anche
non conformarsi a quella contenuta nel preliminare
(Cass. Civ. n. 10210/4).
Ho sottoscritto un
contratto di locazione due anni or sono. A causa di un
mio trasferimento lavorativo, vorrei recedere
anticipatamente. Il locatore mi ha detto che è
d’accordo. A questo punto abbiamo sottoscritto un
accordo stabilendo che dal mese successivo a quello
dell’avvenuta stipulazione non avrei più dovuto pagare
il canone di locazione. Tale scrittura ha valore?
L'art. 1372 c.c. oltre a stabilire che il contratto
ha forza di legge tra le parti, afferma che lo stesso
"non può essere sciolto che per mutuo consenso o per
cause ammesse dalla legge".
Il caso prospettato rientra nella disciplina
codificata dal legislatore nel predetto articolo. Le
parti consensualmente hanno deciso di interrompere
anticipatamente l'efficacia vincolante del contratto di
locazione.
La fattispecie configura un caso di ritrattazione
bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo
negozio uguale e contrario a quello da risolvere.
In questi casi, così come normalmente avviene per
ogni contratto, l'efficacia della risoluzione per mutuo
consenso decorre ex nunc (ovvero dal momento in
cui è stato stipulato il negozio solutorio).
Ciò comporta che l'efficacia del negozio di
risoluzione per mutuo dissenso non può decorrere da un
momento successivo alla sua stipulazione. Secondo la
Corte di Cassazione, infatti, posticipare la decorrenza
dell'efficacia del negozio solutorio comporterebbe l'ultrattività
dell'efficacia del precedente contratto (Sent. n.
12476/98).
Il proprietario mi ha
inviato una raccomandata a/r con cui mi ha negato il
rinnovo della locazione alla prima scadenza. Può farlo?
Che valore ha la comunicazione che mi ha spedito?
Il locatore non può farlo.
Ai sensi dell'art. 29 della Legge n. 392/1978, il
diniego di rinnovazione della locazione è nullo se
riferito alla prima scadenza.
Bisogna però dire che tale diniego, anche non
motivato, ben può convertirsi nella forma e nella
sostanza, in una disdetta (cd. semplice o a regime
libero) valida per la seconda scadenza contrattuale,
contenendo la inequivocabile manifestazione di volontà
contraria alla prosecuzione ed alla rinnovazione del
rapporto.
Quanto sopra in virtù dell'art. 1424 cc che prevede
l'istituto della conversione dei contratti nulli e che è
applicabile anche agli atti unilaterali come per esempio
la disdetta di fine locazione.
In tal senso si è pronunciata anche la Cassazione con
sentenza 04/13641.
Sono il legale
rappresentante di una società a responsabilità limitata
e ho alcuni problemi col personale dipendente. E’
obbligatoria l’impugnazione del licenziamento entro 60
gg. dal ricevimento della lettera?
La risposta non può che essere affermativa.
Il licenziamento eventualmente nullo (perché privo
della forma imposta dalla Legge ad substantiam), va
comunque impugnato entro il termine di 60 gg. previsto
dalla Legge n. 604 del 1966. Tale previsione normativa
deroga, infatti, al principio di imprescrittibilità
dell'azione di nullità desumibile dagli artt. 1421 e
1422 cc secondo cui, salvo diverse disposizioni di
Legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi
abbia interesse e l'azione per farla dichiarare non è
soggetta a prescrizione.
Mi trovavo a
passeggiare per il centro cittadino, quando sono stato
contattato da una ragazza che vendeva volumi
enciclopedici. Sul momento mi sembrava un’offerta
vantaggiosa ed ho stipulato un contratto d’acquisto.
Giunto a casa mi sono pentito dell’acquisto. Cosa posso
fare per recedere?
Il legislatore italiano con il D.Lgs. 15.1.1992, n.
50, dando corso ad una direttiva comunitaria, ha
introdotto una disciplina normativa a tutela dei
consumatori che abbiano concluso un contratto in luogo
diverso da quello ove l'operatore commerciale svolge
abitualmente la sua attività. Al fine di sgomberare il
campo da equivoci la legge ha identificato il
consumatore con la persona fisica che abbia stipulato un
contratto che nulla abbia a che fare con la propria
attività professionale.
La tutela del consumatore si sostanzia nell'attribuzione
a suo favore di un diritto di recesso da
esercitarsi nel termine di 7 giorni dalla data di
stipulazione del contratto o dal momento successivo del
ricevimento della merce.
Si evidenzia che questo diritto di recesso è
irrinunciabile ed è nulla ogni pattuizione in senso
contrario.
È obbligo del venditore consegnare la merce o il
servizio entro 30 giorni dalla stipula del contratto.
Il venditore deve, altresì, informare adeguatamente
il consumatore in ordine al diritto di recesso, in
mancanza di idonee delucidazioni in merito il termine
per recedere diventa di 60 giorni.
Il recesso deve essere comunicato mediante lettera
raccomandata con avviso di ricevimento, o anche tramite
telegramma o fax, purché sempre confermati da lettera
raccomandata.
Qualora a seguito della stipulazione del contratto
dovessero insorgere delle controversie civili, il Foro
competente a giudicare è inderogabilmente quello del
Giudice del luogo di residenza del consumatore.
Per i contratti stipulati "a distanza" (nei quali si
annoverano anche quelli conclusi telefonicamente o via
Internet) la normativa in questione è ancora più
favorevole al consumatore: il diritto di recesso può
esercitarsi entro 10 giorni, e, in caso di mancata o
imprecisa informazione, entro 3 mesi dal ricevimento
della merce o del servizio.
Che cosa è un
contratto per adesione?
I contratti per adesione sono ormai all'ordine del
giorno. Basta recarsi in una banca od in una
assicurazione ovvero stipulare un contratto per la
fornitura di acqua o gas per avere un'idea di che cosa è
un contratto per adesione.
Nel contratto per adesione, le
condizioni sono stabilite a priori da una delle parti
(in genere imprenditore o società), e vengono proposte
ad una generalità di possibili contraenti. La parte che
aderisce si limita a manifestare il proprio consenso, in
genere attraverso la sottoscrizione di un modulo o
formulario già predisposto.
I colossi imprenditoriali frequentemente utilizzano i
contratti per adesione al fine di gestire i rapporti
giuridici con l'utenza nel campo dei servizi bancari,
assicurativi, telefonici o di fornitura in generale.
Nei contratti per adesione non sussiste, in genere,
alcuna trattativa, anche se questa non è esclusa dalla
legge.
Qualora le parti aggiungano delle clausole ulteriori,
queste ultime prevalgono su quelle generali Vedi a tale
proposito la dicitura dell'art. 1469-ter c.c.
In considerazione delle modalità con cui viene
stipulato il contratto (assenza di trattative nonché
status di subordinazione del soggetto aderente), le
clausole inserite nelle condizioni generali di contratto
o in moduli o formulari predisposti da uno dei
contraenti s'interpretano, nell'incertezza, a favore
dell'altro (Confronta in merito la norma contenuta
nell'art. 1370 c.c.).
Per motivi
professionali ho stipulato una polizza assicurativa che
mi manlevasse nel caso in cui avessi dovuto affrontare
un processo e sostenere spese legali e peritali.
Purtroppo recentemente sono stato evocato in giudizio in
una causa civile. Ho affidato il patrocinio ad un
avvocato di mia fiducia. Quando ho attivato la polizza,
la società di assicurazione si è rifiutata di pagare le
spese da me sostenute in quanto l’avvocato a cui mi ero
rivolto non esercitava nel Foro ove era stata radicata
la causa. Può l’assicurazione rifiutarsi di rimborsarmi
le spese sostenute per l’attività professionale
esercitata dal mio avvocato?
Nel caso poc'anzi esposto è assai probabile che il
contratto di assicurazione prevedesse l'inserimento di
una clausola vessatoria.
Capita molto spesso, infatti, che le condizioni
generali di un contratto siano redatte dal contraente
economicamente più forte e siano contenute in appositi
formulari che l'altra parte si limita a sottoscrivere.
I casi più assidui ed importanti, per il grande impatto
sociale, sono i contratti stipulati per adesione quali
quelli che si concludono con banche, assicurazioni o
società di telecomunicazioni. In tali frequenti
occasioni l'imprenditore offre i propri servizi a
condizioni prestabilite ed il consumatore, privo del ben
che minimo potere di trattativa, si limita ad aderire
con la sua sottoscrizione.
La disciplina sulle condizioni generali di contratto
predisposte da uno dei contraenti stabilisce che tali
condizioni sono efficaci nei confronti dell'altro, solo
se al momento della conclusione del contratto questi le
ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando
l'ordinaria diligenza (art. 1341 c.c.). In ogni caso,
le clausole vessatorie non hanno effetto, se non
sono specificamente approvate per iscritto.
Vengono definite vessatorie, le clausole che
stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte,
limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal
contratto o di sospenderne l'esecuzione, oppure
sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze,
limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni,
restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi
terzi, proroghe o rinnovazioni tacite del contratto,
clausole compromissorie o deroghe alla competenza
dell'autorità giudiziaria.
Con l'introduzione dell'art. 1469 bis c.c., qualora
il contratto che ha per oggetto la cessione di beni o la
prestazione di servizi sia stato stipulato tra un
professionista ed un consumatore, si ritengono connotate
da vessatorietà le clausole che determinano a carico del
contraente più debole un significativo squilibrio dei
diritti e degli obblighi derivanti dal negozio
giuridico.
Quali sono le
conseguenze giuridiche di un contratto nullo?
La nullità di un contratto comporta
il venir meno di tutti gli effetti da esso prodotti. Il
contratto nullo viene considerato alla stessa stregua di
un contratto mai venuto ad esistenza.
Proprio per le gravi conseguenze che possono
scaturire dalla nullità di un contratto, il legislatore
ha disciplinato in modo tassativo i casi in cui il
contratto può definirsi nullo:
a) quando è contrario a norme imperative;
b) quando non presenta uno dei requisiti indicati
dall'articolo 1325 c.c.: 1) l'accordo delle parti, 2) la
causa, 3) l'oggetto, 4) la forma, se prescritta sotto
pena di nullità;
c) quando la causa è illecita o quando lo sono i motivi,
se le parti si sono determinate a concludere il
contratto esclusivamente per un motivo illecito comune
ad entrambe (art. 1345 c.c.);
d) quando l'oggetto del contratto è impossibile,
illecito, indeterminato o indeterminabile (art. 1346
c.c.);
e) in tutti gli altri casi previsti dalla legge.
La nullità parziale di un contratto o la nullità di
singole clausole importa la nullità dell'intero
contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero
stipulato senza quella parte del suo contenuto (Vedi in
tal senso la norma di cui all'art. 1419 c.c.). La
nullità di singole clausole non importa, però, la
nullità del contratto, quando le clausole nulle sono
sostituite di diritto da norme imperative.
La nullità del negozio giuridico può essere fatta valere
da chiunque vi abbia e può essere rilevata d'ufficio,
anche, dal giudice (art. 1421 c.c.).
L'azione per far dichiarare la nullità non è
soggetta a prescrizione, eccetto i seguenti casi:
- decorso del tempo ed effetti correlati
all'usucapione;
- decorso del tempo ed effetti correlati alla
prescrizione delle azioni di ripetizione.
Nel caso in cui un contratto sia nullo, i contraenti non
possono decidere di convalidarlo, ad eccezione del caso
non sia la legge a disporre diversamente (art. 1423
c.c.).
Secondo quanto disposto
dall'art. 1424 c.c., un contratto nullo può essere
convertito in un contratto diverso, qualora ne contenga
i requisiti di sostanza e di forma e debba ritenersi,
avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, che i
contraenti lo avrebbero concordemente stipulato se
avessero conosciuto la nullità di quello originario.
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