Condominio
In che
modo deve essere approvato un regolamento condominiale?
E in quale modo e misura può limitare i diritti dei
singoli condomini?
Nel nostro ordinamento la disciplina
in tema di regolamento condominiale è dettata dall'art.
1138 c.c., che, in primo luogo, stabilisce come la
formazione di un regolamento sia obbligatoria
ogniqualvolta nell'edificio vi siano più di dieci
condomini. Inoltre la richiamata disposizione, insieme
con la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte
sul punto, assume un particolare interesse, distinguendo
tra regolamento di natura regolamentare e di natura
contrattuale.
Nell'ambito del regolamento condominiale, chiamato a
regolare, tra l'altro, l'uso delle cose comuni e la
ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli
obblighi facenti capo a ciascun condomino, hanno natura
regolamentare e sono modificabili a maggioranza quelle
clausole che coinvolgano interessi impersonali della
collettività dei condomini, mentre hanno natura
contrattuale e sono modificabili soltanto con il
consenso unanime dei condomini quelle clausole che
incidono direttamente sulla sfera soggettiva dei
condomini stessi, ad esempio stabilendo i criteri di
ripartizione delle spese oppure limitando i diritti dei
condomini sulle proprietà esclusive o comuni o
attribuendo ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto
agli altri (in tal senso, Cass. sent. n. 3733/87 e sent.
n. 5626/02).
Quanto alle modalità di formazione del regolamento di
condomino, occorre poi precisare che le clausole aventi
natura contrattuale possono essere legittimamente
approvate e vincolare così tutti i successivi
proprietari delle unità immobiliari inserite nel
medesimo condominio, sia che vengano approvate
all'unanimità in sede assembleare, sia che vengano
unilateralmente predisposte dal costruttore o, comunque,
dall'originario proprietario dell'intero edificio e
successivamente accettate dai singoli acquirenti nei
rispettivi atti di acquisto. E' invece sufficiente la
delibera assembleare adottata, in seconda convocazione,
da una maggioranza pari ad un terzo dei partecipanti al
condominio, che rappresenti almeno un terzo del valore
complessivo dell'edificio, quando le clausole da
modificare abbiano natura regolamentare.A titolo
esemplificativo, una clausola contrattuale è quella che
vieta ai condòmini di adibire l'abitazione di proprietà
a determinate destinazioni diverse (esercizio pubblico,
studio professionale, ecc.) oppure di tenere in casa
cani e gatti; una clausola regolamentare è invece quella
che disciplina gli orari di accensione dell'impianto di
riscaldamento centralizzato.
Mi
interessa acquistare un locale comune situato
all’interno del mio condominio e già adibito a
portineria, prima della soppressione del relativo
servizio comune. Come devo procedere?
A tale riguardo occorre prendere in
considerazione quanto disposto dall'art. 1108 c.c.,
previsto dal legislatore in tema di comunione di diritti
in generale, ma richiamato dal nostro codice civile
anche all'art. 1139 c.c. in materia di condominio.
In base al tenore letterale del citato art. 1108 c.c., è
richiesta una deliberazione della maggioranza dei
partecipanti alla comunione che rappresenti almeno due
terzi del valore complessivo della cosa comune, affinchè
si possano disporre tutte le innovazioni dirette al
miglioramento della cosa o a renderne più comodo o
redditizio il godimento, purché esse non pregiudichino
il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino
una spesa eccessivamente gravosa. La medesima
maggioranza è altresì necessaria perchè possa ritenersi
legittimo il compimento di altri atti eccedenti
l'ordinaria amministrazione, sempre che non risultino
pregiudizievoli all'interesse di alcuno dei
partecipanti.
E' invece espressamente prescritto il consenso di tutti
i partecipanti per gli atti di alienazione o di
costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le
locazioni di durata superiore a nove anni. Tale
principio è stato peraltro recentemente ribadito dalla
Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent.
4258/2006).Le converrà pertanto avvisare, mediante
raccomandata a/r, l'amministratore dello stabile di
inserire nell'ordine del giorno della prossima assemblea
la Sua proposta di acquisto del suddetto locale comune,
affinché venga sottoposta a discussione. Se la Sua
intenzione rimane quella della compravendita, dovrà
essere ottenuto il consenso di tutti gli altri
condomini, se invece, come anticipato, Lei si
accontentasse di prendere in locazione il medesimo fondo
per un periodo inferiore ai nove anni, sarebbe
sufficiente una maggioranza dei partecipanti al
condominio che rappresenti i due terzi del valore
complessivo dell'edificio, espresso in millesimi.
el mio
condominio per anni il ruolo di amministratore è stato
assunto informalmente da uno dei condomini. Recentemente
si è iniziato a parlare della nomina di un
amministratore a tutti gli effetti di legge. Quando tale
nomina è obbligatoria?
L'art. 1129 c.c. prevede che, quando
i condomini sono più di quattro, è necessaria la nomina
di un amministratore. Tale principio è inderogabile,
tanto che, in caso di inerzia dell'assemblea dei
condomini, ciascuno di essi potrà rivolgersi
all'autorità giudiziaria, la quale procederà alla
nomina, su istanza di parte, con provvedimento emesso in
camera di consiglio, ovvero seguendo una procedura agile
e snella.
L'assemblea, invece, se chiamata a
deliberare in ordine alla nomina dell'amministratore,
dovrà rispettare i quorum costitutivi e deliberativi
previsti dall'art. 1136 c.c., secondo e quarto comma,
secondo cui sono valide le deliberazioni approvate con
un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli
intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio da
determinarsi in base alle tabelle millesimali.
L'amministratore dura in carica un
anno, ma può essere revocato in ogni tempo
dall'assemblea, oppure dall'autorità giudiziaria, su
ricorso di un condomino, mediante decreto, nel caso in
cui egli non renda il conto della sua gestione per due
anni, o vi sia fondato sospetto di gravi irregolarità da
parte sua.
La figura dell'amministratore,
peraltro, deve essere considerata come quella di un
mandatario dei compartecipi al condominio, i quali,
dunque, mantengono il potere di agire personalmente a
difesa dei propri diritti, singoli e comuni, e
rispondono solidalmente delle obbligazioni assunte
dall'amministratore a nome e per conto del condominio.
Al
fine di effettuare dei lavori di consolidamento del mio
balcone, posto al primo piano dell’edificio condominiale
in cui abito, sarebbe necessario che la ditta
posizionasse una piattaforma mobile nel giardino
pertinenziale all’appartamento sottostante, su cui
affaccia il terrazzo in questione. Il proprietario del
giardino, da me interpellato, ha però già detto di
essere contrario. Posso costringerlo io a lasciar
entrare gli operai, non avendo essi altra possibilità di
intervento?
La norma di riferimento a tale
riguardo è costituita dall'art. 843 c.c., il quale
disciplina l' obbligo del proprietario di consentire al
vicino l'accesso al fondo al fine di eseguire un' opera
o recuperare un oggetto. A tale riguardo in
giurisprudenza permane tuttora il dubbio sul fatto se l'
obbligo di consentire l'accesso sia limitato alle
ipotesi di impossibilità a transitare altrove o
costituisca un limite della proprietà diretto anche al
contemperamento di interessi contrapposti. La Suprema
Corte, con la Sentenza n. 685 del 16/01/2006, è
intervenuta sul tema, disponendo che, tra le diverse
soluzioni possibili, sia necessario adottare quella che
impone il minor sacrificio anche a favore di colui che
richieda il passaggio, con ciò prediligendo
l'orientamento meno restrittivo nell'applicazione della
norma. Nella specie, era stato concesso il diritto di
accedere alla terrazza comune di un edificio, per
lavori, attraverso l'appartamento sottostante, evitando
di costringere il condominio ad erigere costosi
ponteggi. Il provvedimento riveste particolare rilevanza
pratica, atteso che i contrasti relativi all' accesso al
fondo (soprattutto giardini e lastrici) nel condominio
sono tutt'altro che rari. Tuttavia il vicino, se non
deve trarre alcun utile dall'accesso o dal passaggio
(che debbono essere forniti gratuitamente) non deve
neppure subire alcun pregiudizio patrimoniale e
l'indennizzo deve corrispondere appunto al
ristabilimento della situazione precedente l'accesso. Ma
se questa è la finalità dell'indennizzo essa può essere
utilmente conseguita anche se colui che entra nel fondo
altrui e cagiona un inevitabile danno, ristabilisce con
le necessarie opere la situazione esistente prima del
suo ingresso. In tal caso, qualora il proprietario si
ostini comunque ad impedire l'accesso per la
realizzazione dell'opera necessaria, in una situazione,
come quella da Lei prospettata, in cui, tra l'altro, non
pare possibile alcuna soluzione alternativa, è possibile
promuovere un'azione giudiziaria tesa al riconoscimento
del diritto di accesso assicurato dal richiamato art.
843 c.c.
La
palazzina in cui abito è composta da quattro piani,
l’ultimo dei quali è occupato da due soli appartamenti,
dotati di una terrazza ciascuno, che copre la colonna di
abitazioni sottostante. Un condomino del terzo piano ha
lamentato un’infiltrazione di acqua nel proprio
appartamento dovuta ad un cedimento della guaina
impermeabilizzante della terrazza. Come dovranno essere
ripartite le spese da sostenere per il rifacimento del
manto impermeabilizzante?
Il quesito sollevato impone di
soffermarsi sulla disciplina dettata dal nostro
ordinamento in materia di ripartizione delle spese
inerenti la manutenzione e la conservazione di lastrici
solari e terrazzi a livello, con particolare riferimento
all'art. 1126 c.c.
Tale disposizione prevede
espressamente che, quando l'uso dei lastrici solari o di
una parte di essi non è comune a tutti i condomini,
quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a
contribuire nella misura di un terzo nella spesa delle
riparazioni o ricostruzioni del lastrico stesso, mentre
gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini
dell'edificio o della parte di questo cui il lastrico
serve, in proporzione al valore millesimale in cui si
esprime la proprietà di ciascun condomino.
Una specifica responsabilità del condomino che
usufruisca concretamente del lastrico, avendone diritto,
potrà sussistere esclusivamente nel caso in cui venga
provato che la necessità di provvedere alla riparazione
o alla ricostruzione del suddetto lastrico sia sorta da
un fatto, ovvero da una particolare condotta negligente,
tenuta da tale condomino, il quale sarà allora obbligato
a rispondere in via esclusiva dei danni cagionati ad
altri condomini o a terzi, a norma dell'art. 2043 c.c.
In ogni caso, secondo la costante giurisprudenza della
Suprema Corte, sono a completo carico dell'utente o
proprietario esclusivo del lastrico, senza alcuna
ripartizione tra gli altri condòmini, le spese attinenti
a quelle parti del lastrico del tutto avulse dalla
funzione di copertura (ad esempio le spese relative ai
parapetti, alle ringhiere, ecc., collegate alla
sicurezza del calpestio), mentre tutte le altre spese,
siano esse di natura ordinaria o straordinaria,
attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti
comunque funzione di copertura, vanno sempre suddivise
tra l'utente o proprietario esclusivo del lastrico
solare ed i condomini proprietari degli appartamenti
sottostanti, secondo le proporzioni indicate dal
richiamato art. 1126 c.c. (in tal senso, tra l'altro,
Cass., sent. n. 2726/02). La suddetta norma, inoltre,
nel chiamare a partecipare alla spesa in questione,
nella misura di due terzi, tutti i condomini
dell'edificio o di quella parte di esso cui il lastrico
serve, si riferisce a coloro a cui appartengono le
porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale
del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali,
pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei
condomini ai cui appartamenti il lastrico stesso non sia
sovrapposto (così Cass., sent. n. 7472/01).
Infine, per quanto riguarda l'equiparabilità della
nozione di lastrico solare a quella di terrazza a
livello, si rinvia ancora una volta alla giurisprudenza
della Suprema Corte, secondo cui la terrazza a livello è
destinata a dare un affaccio e ulteriori comodità
all'appartamento cui è collegata e del quale rappresenta
una proiezione verso l'esterno, ma quando assolve anche
la funzione di copertura dell'edificio, può essere
equiparata al lastrico solare e in questo caso si potrà
richiedere al condominio la ripartizione delle spese di
ristrutturazione nella misura stabilita dall'art. 1126
c.c. (così, tra l'altro, Cass., sent. n° 16067 del
21/12/2000). Alla luce di tali principi, pertanto, il
condomino del terzo piano che utilizza in via esclusiva
la terrazza in questione dovrà contribuire alla spesa
complessiva nella misura di un terzo, mentre i restanti
due terzi dovranno essere ripartiti soltanto tra quei
condomini le cui unità immobiliari siano ubicate nella
colonna sottostante la terrazza stessa, della cui
copertura beneficiano. Ne deriva che i condomini
abitanti nell'altra colonna dell'edificio non dovranno
partecipare in alcuna misura a tale esborso.
Mia
madre, che da alcuni mesi è costretta su una sedia a
rotelle, vive al terzo piano in un condominio sprovvisto
di ascensore. Noi familiari stavamo valutando la
possibilità dell’installazione di un servoscala o di
altra struttura analoga. Il condominio può impedirci di
realizzarla?
La normativa di riferimento in tale
materia è la Legge 9 gennaio 1989, n. 13, recante
"Disposizioni per favorire il superamento e
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli
edifici privati".
Tale disciplina, per quanto qui interessa, prevede che
le modifiche alle parti comuni di un edificio
residenziale privato con pluralità di proprietari,
ovvero un Condominio, tendenti al superamento o
all'eliminazione delle barriere architettoniche,
potranno essere adottate, secondo quanto prescrive
l'art. 2 comma 1 della suddetta legge, dall'assemblea
condominiale secondo le modalità previste nell'art. 1136
commi 2 e 3 del Codice Civile, ossia, in prima
convocazione, con un numero di voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del
valore millesimale dell'edificio, e, in seconda
convocazione, con un numero di voti che rappresenti il
terzo dei partecipanti al condominio ed almeno un terzo
del valore dell'edificio.
L'art. 2 comma 2 della citata legge n. 13/89 consente
inoltre, nella ipotesi in cui il Condominio non approvi
la innovazione prospettata o non si pronunzi su di essa
entro tre mesi dalla stessa richiesta di modifica,
effettuata per iscritto, che la persona con disabilità,
ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possa
procedere autonomamente e a proprie spese alla messa in
opera di particolari innovazioni sulle parti comuni o di
uso comune dell'edificio, quali l'installazione di
servoscala, o di altre strutture mobili e facilmente
rimovibili, e la modifica dell'ampiezza delle porte di
accesso.
Di contro le innovazioni, e non le mere modifiche,
eseguibili ai sensi art. 2 comma 2 Legge n. 13/89, cioè
quelle poste in essere dalla persona con disabilità
(ovvero da chi ne esercita la tutela o potestà), a
proprie spese, nell'ipotesi di rifiuto o mancata
risposta da parte del Condominio, possono riguardare
tassativamente soltanto gli interventi specificati nel
comma stesso, quali, a titolo esemplificativo, il
servoscala, la piattaforma mobile, i sistemi di apertura
automatica di porte o cancelli, le carrozzelle
elettriche montascale (ma non l'ascensore). Peraltro, se
l'interessato è proprietario e le innovazioni da
realizzare hanno ad oggetto parti comuni di un edificio
condominiale, è necessario munirsi dell'autorizzazione
del Condominio.
Se quindi l'Assemblea approva la modifica, con le
maggioranze previste, la spesa sarà ripartita, secondo i
criteri stabiliti nel Codice Civile, per quote
millesimali (fermo restando la possibilità di ottenere
il contributo di cui agli articoli 9 e seguenti della
medesima legge dal Comune di residenza).
Se invece l'Assemblea non delibera l'innovazione (o
comunque non si pronuncia entro tre mesi in merito ad
essa), nell'ipotesi in cui le opere siano tra quelle
comprese nell'elencazione formulata nel più volte citato
art. 2 comma 2 e la persona con disabilità (o chi ne
esercita la tutela o potestà) intenda avvalersi del
diritto di farle eseguire ugualmente, le spese saranno a
suo totale carico per l'espressa previsione contenuta
nella medesima disposizione (sempre salvo il contributo
di cui si è detto). Il condominio, pertanto,
limitatamente alle tipologie di intervento sopra
indicate (con esclusione, dunque, dell'impianto
ascensore), non può opporre alcunché, qualora Lei e la
Sua famiglia intendiate sostenere integralmente le spese
che si renderanno necessarie.
Recentemente ho acquistato un appartamento in una
località di villeggiatura in montagna, in cui l’impianto
di riscaldamento è centralizzato. Considerato che io
utilizzo l’immobile solo in maniera saltuaria, ho deciso
di chiedere il distacco della mia proprietà
dall’impianto comune. Come devo procedere nei confronti
del condominio?
A tale riguardo occorre
preliminarmente osservare che l'impianto centrale di
riscaldamento è normalmente progettato, dimensionato e
costruito in funzione dei complessivi volumi interni
dell'edificio, cui deve assicurare un equilibrio termico
di base.
Il passaggio di alcune unità abitative ad un impianto di
riscaldamento autonomo comporta, ovviamente, il distacco
delle diramazioni di tali unità dall'impianto
centralizzato.
Orbene, tale distacco deve ritenersi vietato qualora
incida negativamente sulla destinazione obiettiva della
cosa comune, ovvero determini "uno squilibrio termico
che può essere eliminato solo con un aggravio delle
spese di esercizio e conservazione per i condomini che
continuano a servirsi dell'impianto centralizzato"
(Cass. N. 4023 del 1996).
Il distacco è invece consentito
quando è autorizzato da una norma del regolamento di
condominio o dall'unanimità dei partecipanti alla
comunione oppure quando "il condomino interessato provi
che da questo deriverà un'effettiva proporzionale
riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà
uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento
dell'impianto centrale" (Cass. N. 1597 del 1995).
A titolo esemplificativo, dunque, può dirsi che, se le
spese relative all'uso dell'impianto ammontano a 100 e 4
sono i condomini con uguali quote, il distacco di due
condomini sarà legittimo soltanto qualora le spese di
esercizio si riducano da 100 a 50. Ulteriore requisito
richiesto è che l'impianto non subisca, in conseguenza
del distacco, uno squilibrio che lo danneggi, ovvero è
necessario che questo, costruito per servire 4
appartamenti, ne possa servire un numero inferiore senza
subire alcun pregiudizio.
Anche nell'ipotesi in cui il distacco è consentito,
peraltro, il passaggio all'impianto di riscaldamento
autonomo delle unità abitative interessate deve essere
autorizzato dall'assemblea condominiale con le
maggioranze di cui all'art. 1136, comma 5, c.c. - ovvero
con la maggioranza dei partecipanti al condominio e i
due terzi del valore dell'edificio -, in quanto il
distacco delle derivazioni dall'impianto principale è da
considerarsi "innovazione" ai sensi dell'art. 1120 c.c..
Strettamente connessa a quanto sopra esposto è poi la
problematica relativa al concorso alle spese di
esercizio, manutenzione e conservazione dell'impianto
centralizzato da parte di coloro che abbiano distaccato
il proprio impianto di riscaldamento da quello comune.
L'art. 1118, secondo comma, c.c. prevede che il
condomino non può, rinunziando al proprio diritto sulle
parti comuni dell'edificio, sottrarsi al contributo
nelle spese per la loro conservazione.
Parte della giurisprudenza, applicando estensivamente la
suddetta disposizione legislativa, ha statuito che "il
singolo condomino non può sottrarsi all'obbligo di
concorrere, secondo la ripartizione risultante dalla
tabelle millesimali, alle spese di erogazione del
servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la
propria porzione immobiliare dal relativo impianto senza
che rilevi in contrario la L. 29 maggio 1982, n. 308,
sul contenimento dei consumi energetici" (Cass. N. 4278
del 1994).
Viceversa un orientamento
giurisprudenziale più recente è dell'avviso che
"autorizzato dall'assemblea dei condomini il distacco
delle diramazioni di alcune unità immobiliari
dall'impianto centrale di riscaldamento - sulla base
della valutazione che dal distacco sarebbe derivata
un'effettiva riduzione delle spese di esercizio e, per
contro, non sarebbe stato determinato uno squilibrio in
pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto - e
venuta meno la possibilità che i medesimi locali
fruiscano del riscaldamento, i proprietari di queste
unità abitative non devono ritenersi tenuti a
contribuire alle spese per un servizio che nei confronti
dei loro immobili non viene prestato" (Cass. N. 129 del
1999 e N. 1597 del 1995).
Secondo il mio parere - suffragato da alcune decisioni
della Suprema Corte di Cassazione, v. per es. sentenza
n. 10214 del 20/11/96 - occorre distinguere tra spese
necessarie alla conservazione del bene comune e spese
relative all'uso del bene stesso.
Le prime devono essere sostenute da
tutti i condomini in rapporto al valore della proprietà
individuale; le spese necessarie per l'utilizzazione,
viceversa, sono ripartite in proporzione all'uso e
all'utilità che ciascun condomino può trarne. I
condomini che si distaccano dall'impianto centralizzato
sono, quindi, sempre obbligati per le spese di
conservazione, essendo sempre questi comproprietari
dell'impianto, mentre ben possono essere esonerati dalle
spese di gestione dell'impianto (gasolio, etc.).
Nel momento in cui la Sua decisione
di distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento
diventerà definitiva, Le consiglio dunque di rivolgersi
ad un tecnico abilitato che possa dichiarare in
un'apposita relazione la piena idoneità dell'impianto in
questione a funzionare regolarmente, senza pregiudizio
alcuno per gli altri condomini, anche a seguito del
distacco del Suo appartamento. Dopodiché dovrà informare
l'amministratore della Sua decisione, affinché egli
ponga la questione all'ordine del giorno della prossima
assemblea condominiale, allegando già, ove in suo
possesso, la relazione tecnica suddetta alla lettera di
convocazione degli altri condomini. Ciò non sarà
necessario se una clausola del regolamento condominiale
autorizza già i singoli condomini a procedere al
distacco.
Il
bilancio consuntivo dell’anno 2007, inviato
dall’amministratore condominiale contestualmente alla
lettera di convocazione alla prossima assemblea
ordinaria annuale, comprende voci poco chiare ed indica
degli importi che ritengo spropositati rispetto al
bilancio preventivo già approvato. Posso chiedere
all’amministratore di visionare i singoli documenti
contabili prima dell’assemblea?
La domanda formulata impone di
soffermarsi sul diritto dei condòmini di accedere alla
documentazione condominiale tenuta dall'amministratore,
così come configurato dalla giurisprudenza della
Cassazione, sulla base dell'appiglio testuale fornito
dall'art. 1130, ultimo comma, c.c., secondo cui
l'amministratore, alla fine di ciascun anno, deve
rendere il conto della propria gestione.
A lungo la Suprema Corte ha ritenuto
a tale riguardo che il potere del singolo condomino di
controllare la gestione dell'amministratore e la
documentazione ad essa inerente sussistesse,
normalmente, in sede di rendiconto annuale, nonchè di
approvazione del bilancio da parte dell'assemblea,
mentre, all'infuori di tale sede, il diritto del
condòmino di ottenere dall'amministratore l'esibizione
di determinati documenti contabili può essere
riconosciuto solo ove si deduca e dimostri uno specifico
interesse in tal senso (così Cass. sent. n. 2220/84). In
epoca più recente, invece, i giudici di legittimità
hanno affermato il principio in base al quale ciascun
comproprietario ha la facoltà di richiedere ed ottenere
dall'amministratore del condominio l'esibizione dei
documenti contabili in qualsiasi tempo, e non soltanto
in sede di rendiconto annuale e di approvazione del
bilancio da parte dell'assemblea, e senza l'onere di
specificare le ragioni della richiesta, finalizzata a
prendere visione o estrarre copia dai documenti, purché
l'esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo
all'attività di amministrazione, non sia contraria ai
princìpi di correttezza e non si risolva in un onere
economico per il condominio, dovendo i costi relativi
alle operazioni compiute (copiatura, invio postale,
ecc.) gravare esclusivamente sui condòmini richiedenti
(in tal senso si vedano Cass. sent. n. 8460/98 e n.
15159/01).
Nel caso specifico da Lei
prospettato, peraltro, la Sua richiesta è volta a
consentirle un preciso controllo dell'operato
dell'amministratore al termine della propria gestione
annuale del Condominio, cosicché l'esibizione dei
documenti contabili costituisce sotto ogni profilo un
dovere dell'amministratore, ai sensi del richiamato art.
1130 c.c. Ne deriva che, se Lei vorrà attendere lo
svolgimento dell'assemblea per effettuare tali
controlli, in quella sede l'amministratore dovrà
metterle a disposizione tutte le pezze giustificative
del bilancio inviato a tutti i condomini; qualora,
invece, Lei intenda compiere tale verifica prima della
prossima assemblea, Le suggerisco di recarsi
personalmente presso lo studio dell'amministratore, nel
giorno e nell'ora che lui Le indicherà, così da poter
consultare direttamente i documenti di Suo interesse.
Sono
fortemente interessato all’acquisto di un appartamento
inserito in un condominio in cui è stata recentemente
ripristinata la facciata principale. Qualora l’attuale
proprietario non avesse integralmente versato la propria
quota, l’amministratore potrebbe pretendere da me la
differenza?
Al riguardo, occorre fare riferimento
alla disciplina dettata dal nostro ordinamento in tema
di ripartizione delle spese condominiali, allorché un
condomino trasferisca ad un terzo la proprietà di
un'unità immobiliare inserita nell'edificio
condominiale, ovvero all'art. 63 disp. att. cod. civ.
Tale norma, che costituisce un'applicazione del
principio generale contenuto nell'art. 1104 cod. civ.,
prevede che l'acquirente di un appartamento in
condominio è tenuto a pagare le spese condominiali,
seppure deliberate in assemblea dal suo dante causa, sia
per l'anno di gestione in corso al momento dell'acquisto
sia per l'anno precedente.
Rispetto ai terzi, infatti, il
successore a titolo particolare si pone in una
situazione di diritto-dovere, per cui sono trasferiti in
favore della sua persona tutti i diritti (godimento e
disponibilità della cosa) che i terzi devono rispettare,
ma nel contempo gli sono trasferiti anche tutti gli
oneri e gli obblighi inerenti l'unità immobiliare, ai
quali egli non può sottrarsi. In particolare, quindi, in
base a tale normativa, l'obbligo dell'acquirente di una
unità condominiale sussiste anche relativamente alle
spese approvate da una delibera precedente all'acquisto
del proprio appartamento. In applicazione di tale
principio, la quota parte relativa agli oneri per lavori
di straordinaria manutenzione, pur deliberati prima del
passaggio di proprietà, deve fare carico all'acquirente
(in tal senso, tra le altre pronunce, Pret. Firenze, 26
febbraio 1991; Cass., sent. n. 981, 2 febbraio 1998,
Sez. II). L'art. 63, comma 2, disp. att. cod. civ.,
innanzi illustrato, ha quindi lo scopo di fare sì che
l'acquirente di un'unità immobiliare in condominio abbia
cura, nel compiere l'acquisto, di accertarsi che il
venditore abbia regolarmente pagato i contributi a suo
carico, presumendosi altrimenti che nel prezzo di
acquisto si siano tenuti nel debito conto i contributi
ancora da pagare (così anche Pret. Bologna, 12 marzo
1994).
Ciò non toglie che in ogni caso il
condomino subentrante, che abbia dovuto pagare i debiti
condominiali lasciati dal suo dante causa o comunque
derivanti da spese approvate dal proprio predecessore,
ha diritto di rivalsa nei confronti di quest'ultimo.
Anche la Cassazione, infatti, ha
chiarito che il cosiddetto principio dell'ambulatorietà
passiva, che trova appunto riscontro nell'art. 63, comma
2 disp. att. cod. civ., comporta che l'acquirente di
un'unità immobiliare condominiale possa essere chiamato
a rispondere dei debiti condominiali del suo dante
causa, solidalmente con lui, ma non al suo posto, e
opera nel rapporto fra il condominio ed i soggetti che
si succedono nella proprietà di una singola unità
immobiliare, non anche nel rapporto fra questi ultimi.
In questo secondo rapporto, salvo che non sia
diversamente convenuto tra le parti, è invece operante
il principio generale della personalità delle
obbligazioni condominiali, cosicché se, in virtù della
regola innanzi richiamata, l'acquirente sia stato
chiamato a rispondere delle obbligazioni sorte in epoca
anteriore alla propria partecipazione al condominio, ha
diritto a rivalersi nei confronti del venditore (Cass.
civ., sent. n. 1956, 22 febbraio 2000, Sez. II).
Il preferibile orientamento espresso dalla Suprema Corte
di Cassazione sul punto, peraltro, ritiene che l'obbligo
di ciascun condomino di contribuire alle spese
necessarie per la conservazione delle parti comuni e per
l'esercizio dei servizi condominiali sorga per effetto
della delibera d'assemblea che approvi le spese stesse e
non in seguito alla successiva delibera di ripartizione,
volta solo a rendere liquido un debito preesistente e
che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali,
in base alle quali l'individuazione delle somme
concretamente dovute dai singoli condomini è frutto di
una semplice operazione matematica. Da tale principio la
predetta giurisprudenza fa conseguire che, in caso di
alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento
dei tributi risulti colui che sia proprietario al
momento in cui la spesa viene deliberata (Cass. civ.,
sent. n. 9366, 26 ottobre 1996, Sez. II; Cass. civ.,
sent. n. 10370, 17 luglio 2002, Sez. III).
Ove Lei sia effettivamente
interessato all'acquisto del suddetto appartamento, Le
consiglio pertanto di verificare prima attentamente
presso l'amministratore dello stabile se il venditore
abbia fino ad oggi regolarmente corrisposto le spese
condominiali di propria spettanza, cosicché non
risultino pendenze al momento della vendita. Se così non
dovesse essere, potrebbe pretendere che la posizione
contabile del Suo dante causa venisse regolarizzata
prima del passaggio di consegne, o almeno decurtarsi il
corrispondente importo dal corrispettivo pattuito per
l'acquisto. In questo modo eviterebbe di anticipare nei
confronti del condominio delle somme, che potrebbe poi
rivelarsi molto arduo recuperare successivamente nei
confronti del precedente condomino.
Nel
mio condominio uno dei proprietari dichiara di avere
anticipato di tasca propria talune spese sostenute
nell’interesse del condominio stesso, di cui ora chiede
la restituzione. Egli, in particolare, avrebbe pagato
l’intervento di una ditta specializzata su un impianto
comune, avvertendo di ciò gli altri condomini solo
oralmente. E’ giusto che venga rimborsato?
Una simile fattispecie è
espressamente regolata nel nostro ordinamento dall'art.
1134 c.c., secondo cui il singolo condomino, il quale
abbia sostenuto spese in relazione alle parti comuni
dell'edificio in mancanza di un'autorizzazione
dell'amministratore o dell'assemblea, non ha diritto ad
alcun rimborso, salvo che dimostri che la spesa da lui
affrontata avesse carattere urgente.
La legge, dunque, detta un principio generale in base al
quale nulla deve essere rimborsato al condomino quando
sostiene una spesa senza l'autorizzazione da parte
dell'amministratore o dell'assemblea. Solitamente,
dunque, quand'anche ritenga necessario effettuare una
spesa per lavori di manutenzione ordinaria o
straordinaria, il singolo non può provvedervi senza aver
prima ottenuto il benestare dell'amministratore, a sua
volta legittimato a concederglielo solo dopo che
l'assemblea abbia approvato i lavori e deliberato la
relativa spesa.
Tuttavia, di fronte all'urgenza di
intervenire per evitare maggiori danni alle parti comuni
o anche a quelle di proprietà esclusiva, la legge
autorizza il singolo condomino a fare eseguire il lavoro
e, in deroga al principio generale, a richiedere il
rimborso della spesa da lui sostenuta. Resta il problema
di valutare l'urgenza dell'intervento, presupposto che
deve essere esaminato con una certa elasticità,
soprattutto considerando il particolare momento in cui
la decisione è stata presa.
Deve prevalere la cosiddetta ragione del buon padre di
famiglia, nel senso che va ritenuta urgente la spesa
riguardante un intervento la cui esecuzione non può
essere differita - senza danno o pregiudizio per le cose
comuni o di proprietà esclusiva - al tempo in cui possa
essere compiuto dall'amministratore, previo consenso
dell'assemblea oppure dopo attenta valutazione circa
l'indispensabilità dell'esecuzione da parte
dell'amministratore stesso.
Questo può accadere, per
esempio, durante il fatidico mese di agosto oppure in
occasione di festività, quando, non riuscendo magari a
contattare l'amministratore o non potendo comunque
ottenere un tempestivo intervento di costui, il
condomino si vede obbligato ad assumere una rapida
decisione per evitare che, da un mancato pronto
intervento, possano derivare seri pregiudizi per il
condominio. Basti pensare all'improvvisa rottura di una
tubazione condominiale o ad un allagamento delle parti
comuni a seguito di un nubifragio, casi in cui un
intervento immediato da parte del singolo condomino può
evitare un maggior danno per l'intera collettività
condominiale. Dunque, una volta accertata l'urgenza e la
necessità improrogabile di eseguire un lavoro per
evitare un maggior danno, il condomino, pur senza
incarico da parte dell'amministratore o dell'assemblea,
ha il dovere di procedere senza indugio all'esecuzione
dell'opera occorrente, dopodiché è legittimato a
chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate, che
sia ovviamente in grado di documentare.
Sono
proprietario di un appartamento sito in un Condominio e
il mio inquilino, nonostante i continui richiami miei e
degli altri condomini, continua a commettere infrazioni
al regolamento condominiale. Posso essere considerato
responsabile? Cosa posso fare per andare esente da
responsabilità?
Secondo la costante giurisprudenza
della Suprema Corte di Cassazione, la mera qualità di
locatore crea in capo allo stesso un diritto – dovere di
vigilanza sull’operato del conduttore (Cass., 17 luglio
1973, n. 2093).
Ciò comporta che è preciso onere del
locatore (il padrone di casa, per intenderci) verificare
la corretta osservanza del regolamento condominiale da
parte del conduttore (l’inquilino), posto che le norme
regolamentari sono poste a tutela dei coesistenti
diritti di tutti i condomini (così Cass., 29 agosto
1997, n. 8239).
Pertanto, qualora il locatore abbia
notizia (perché, magari, informato dagli altri condomini
o dall’amministratore), di violazioni del regolamento
condominiale da parte del proprio conduttore, è tenuto a
richiamare il conduttore stesso e a porre in essere
tutte quelle misure e cautele necessarie volte a far
cessare le violazioni predette.
Il locatore potrà andare esente da
responsabilità solo nel caso in cui dimostri di aver
adottato, in relazione alle circostanze, tutte le misure
idonee, alla stregua del criterio generale di diligenza
di cui all’art. 1176 c.c., a far cessare gli abusi,
ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino
alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di
locazione (Cass., 16 maggio 2006, n. 11383).
Nel
mio condominio un condomino, di propria iniziativa e
senza consultare nessuno, ha modificato la canna
fumaria. Siccome siamo sei condomini e non è stato
nominato ancora un amministratore, se volessi agire in
giudizio per far ripristinare la canna fumaria devo
convenire in giudizio tutti i condomini?
Prima di affrontare il problema della
canna fumaria, occorre prima ricordare come, ai sensi
dell’art. 1129 c.c., qualora i condomini siano più di
quattro, è necessaria la nomina di un amministratore;
qualora l’Assemblea non provveda in tal senso, ciascun
condomino può ricorrere all’Autorità Giudiziaria (il
Tribunale), la quale provvederà a nominare un
Amministratore di Condominio.
Per quanto attiene il problema in
esame, essendo la canna fumaria un bene comune, un
singolo condomino non può modificarla o compiere
qualsiasi opera sulla stessa se ciò non è stato
deliberato dall’Assemblea secondo le maggioranze di
legge.
Pertanto, qualora vi sia una
necessità di agire in giudizio (magari perché le
modifiche apportate possono causare gravi danni alla
canna fumaria, limitandone ad esempio il tiraggio) prima
della nomina dell’Amministratore, il singolo condomino
può, diversamente che in passato, convenire in giudizio
solamente il condomino che ha effettuato le opere non
autorizzate.
Infatti, la Corte di Cassazione, con
pronuncia n. 19329 del 7 settembre 2009, modificando il
precedente orientamento, ha stabilito che, nel giudizio
diretto all’eliminazione di opere abusive compiute da
altro condomino sulle parti comuni, non è necessario
procedere all’integrazione del contraddittorio a tutti
gli altri comproprietari condomini.
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