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Comunione

 
Cosa deve intendersi per comunione?

La comunione di diritti su di un determinato bene deve essere intesa come la partecipazione di più persone alla titolarità di un diritto su tale bene. Tale definizione, di carattere generale, può essere riferita sia alla proprietà e ad altri diritti di godimento su cose, sia a diritti di credito. Infatti, come più persone possono congiuntamente acquistare la proprietà di un immobile, a titolo esemplificativo, più persone possono anche congiuntamente diventare cessionarie di un unico credito.

E' naturale peraltro che, ogniqualvolta uno stesso diritto faccia capo ad una pluralità di persone, occorra elaborare una serie di norme volte a regolare le modalità di esercizio del diritto comune ed i rapporti interni tra i contitolari, nonché nei confronti di terzi.

Tali regole, nel nostro ordinamento, sono dettate dagli artt. 1100 e seguenti c. c.

 
Attraverso quali vicende può sorgere una comunione di diritti?

Una comunione di diritti può insorgere a seguito di un atto di autonomia tra privati (es. compravendita di un immobile in favore di più soggetti), di una successione a causa di morte a cui partecipi una pluralità di coeredi (si parla allora di comunione ereditaria) o, ancora, in forza di un provvedimento giurisdizionale che riconosca la titolarità di un diritto in capo a più persone. A seconda della natura della comunione che viene di volta in volta presa in considerazione, possono trovare applicazione norme speciali: ad esempio, qualora la comunione di cui si discuta presenti natura ereditaria, alla cessione delle singole quote si applicherà, anziché la norma generale dettata dall'art. 1103 c.c., la disciplina speciale stabilita dall'art. 732 c.c. in tema di diritto di prelazione ereditaria.

 
Quali norme regolano l’amministrazione della comproprietà?

Occorre fare riferimento, in primo luogo, agli artt. 1104 e 1105 c.c., secondo cui ciascun partecipante deve contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune ed alle spese deliberate dalla maggioranza, fatta salva la facoltà di liberarsene rinunciando al proprio diritto.

Tutti i partecipanti, inoltre, sono legittimati a concorrere alla gestione del bene comune, dovendo deliberare in ordine ad essa dopo essere stati dovutamente informati dell'oggetto della deliberazione stessa. In particolare, per il compimento di atti di ordinaria amministrazione, è necessaria la deliberazione della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle rispettive quote ed idonea a vincolare anche la minoranza dissenziente. Allorché, invece, a norma dell'art. 1108 c.c., si debba decidere in relazione all'adozione di innovazioni della cosa comune, occorre la delibera della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno i due terzi del valore complessivo del bene, purché le innovazioni stesse non pregiudichino il godimento di alcuno dei comproprietari e non comportino una spesa eccessivamente gravosa.

E' invece necessario, ai sensi del secondo comma della disposizione da ultimo citata, il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali su un immobile comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni.

 
Come occorre procedere qualora il singolo comproprietario intenda cedere a terzi la propria quota?

In linea di principio ciascun partecipante alla comunione è libero di disporre della propria quota, cosicché l'acquirente entrerà a far parte della comunione nella medesima posizione già occupata dal proprio dante causa.

Una particolare disciplina, invece, come innanzi accennato, è destinata a trovare applicazione qualora sia un coerede a voler cedere ad un estraneo la propria quota ereditaria o parte di essa. In tal caso, infatti, egli, a norma dell'art. 732 c.c., deve notificare la proposta di acquisto ricevuta, con indicazione del relativo prezzo, agli altri coeredi, i quali, a parità di condizioni, hanno diritto di essere preferiti a terzi, potendo esercitare il c.d. diritto di prelazione entro il termine di due mesi dall'ultima notificazione. Qualora la notifica non venga correttamente effettuata oppure, pur dovendo ancora trascorrere il predetto periodo di sessanta giorni, venga comunque stipulata la vendita in favore di un estraneo alla comunione, i coeredi ingiustamente pregiudicati hanno diritto di riscattare tale quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, a prescindere dall'avvenuta trascrizione dell'acquisto nei pubblici registri immobiliari, fino a quando dura lo stato di comunione ereditaria.

 
Sono impugnabili le delibere assunte per l’amministrazione della comunione? E se sì, come?

Tali delibere sono tutte impugnabili entro trenta giorni dalla loro assunzione dinanzi all'autorità giudiziaria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1107 e 1109 c.c., qualora ne ricorrano i presupposti di legge (mancata comunicazione a tutti i partecipanti dell'oggetto della delibera; delibera gravemente pregiudizievole della cosa comune; innovazioni che pregiudichino il godimento di anche uno dei partecipanti o che importino una spesa eccessivamente gravosa; atti di straordinaria amministrazione contrari all'interesse di anche uno dei partecipanti). Le suddette tipologie di delibere, suscettibili di annullamento, si contrappongono ad altre ipotesi di delibere, da ritenersi nulle, e dunque non soggette al termine di impugnativa di trenta giorni, quando si riscontri una mancanza del quorum deliberativo per un errore di calcolo ovvero perché non siano stati convocati tutti i partecipanti o, ancora, la delibera sia illecita, oppure esuli dai poteri dell'assemblea.

 
Come si scioglie la comunione?

Occorre premettere che ciascun partecipante alla comunione, a norma dell'art. 1111 c.c., ha il diritto di chiedere ed ottenere lo scioglimento della comunione volontaria, e quindi la divisione, sempre che, al momento della costituzione, i comunisti non abbiano stipulato il patto di rimanere in comunione per un dato periodo, che non può comunque eccedere il decennio, e salvo che, anche in tal caso, l'autorità giudiziaria non ordini ugualmente lo scioglimento, in presenza di gravi circostanze.

La divisione, in caso di accordo di tutti i partecipanti alla comunione, viene eseguita con contratto; in caso contrario ciascuno può rivolgersi all'autorità giudiziaria, che darà quindi luogo alla divisione con sentenza. In questa seconda ipotesi, di regola e nei limiti della comoda divisibilità dei beni, la divisione deve essere effettuata in natura. Ove ciò non risulti possibile, si procede alla vendita dell'intero patrimonio in comunione oppure all'assegnazione di uno o più beni ad un singolo partecipante, così da procedere alla ripartizione del ricavato o all'imputazione dei beni assegnati alla quota del singolo condividente ed al relativo conguaglio. 

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