-Dal 1 luglio 2011
l’avviso di accertamento diventa definitivo decorsi 60
giorni dalla notifica dell’atto.
-Mancato invio dell’avviso bonario
-Impugnazione della cartella di pagamento relativa a
violazioni del codice della strada
-Le notificazioni nel processo tributario
-Principio di non contestazione nel
processo tributario
Art. 115 c.p.c.
|
-La responsabilità aggravata nel processo
tributario (ART. 96 C.P.C.)
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Dal 1 luglio 2011 l’avviso di accertamento diventa
definitivo decorsi 60 giorni dalla notifica dell’atto.
Pubblicato in
tributario
Data di pubblicazione
13/05/2011
Manovra 2010 e abolitio della cartella di pagamento.
Circolare n. 22/IR del 7 Marzo 2011 a cura dell’Istituto
di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili.
Il
D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla Legge 30
luglio 2010, n. 122, nel tentativo di rendere più
efficiente l'attività di riscossione attraverso la
semplificazione e la concentrazione delle procedure, ha
riformato il sistema di riscossione delle somme
richieste mediante avviso di accertamento ai fini delle
imposte sui redditi e dell’Iva.
L’art. 29 del decreto in questione ha attribuito
efficacia esecutiva all’avviso di accertamento,
precisando che le nuove regole avranno effetto a partire
dagli avvisi notificati dal 1° luglio 2011 e relativi ai
periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre
2007 e successivi.
L’avviso di accertamento diventa definitivo decorsi 60
giorni dalla notifica dell’atto.
Come espressamente previsto dalla legge, gli avvisi di
accertamento ed i correlati provvedimenti di irrogazione
delle sanzioni “divengono esecutivi all’atto della
notifica”.
Conseguentemente, al fine dell’esecuzione non è più
necessaria la notifica della cartella di pagamento.
L’avviso di accertamento ed il contestuale provvedimento
di irrogazione delle sanzioni dovranno contenere
l’intimazione ad adempiere all’obbligo di versamento
delle somme richieste mediante l’accertamento stesso
entro il termine di presentazione del ricorso (60
giorni).
Inoltre, l’avviso de quo dovrà contenere l’indicazione
delle somme da pagare a titolo provvisorio, nel caso di
proposizione del ricorso, secondo quando previsto
dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973; nonché
l’avvertimento che, decorsi 30 giorni dal termine ultimo
per il pagamento, la riscossione delle somme richieste
verrà affidata ad Equitalia per procedere all’esecuzione
forzata, derogando alle norme in materia di iscrizione a
ruolo.
Con l’abolizione della cartella di pagamento, è variata
la
sequenza procedimentale della riscossione dei tributi,
prima basata sull’iscrizione a ruolo e sulla susseguente
notifica della cartella di pagamento in cui era
incorporato.
In
luogo della vecchia procedura, la riscossione avverrà
pertanto mediante la notifica dell’avviso di
accertamento, l’affidamento del credito all’Agente della
Riscossione, l’eventuale intimazione ad adempiere ed il
pignoramento.
L'espropriazione forzata, in ogni caso, e' avviata, a
pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno
successivo a quello in cui l'accertamento e' divenuto
definitivo.
In
merito si segnala la Circolare n. 22/IR del 7 Marzo 2011
con cui Il Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti ed Esperti Contabili ha fornito dei
chiarimenti in ordine alla riforma del procedimento di
riscossione di imposte dirette ed Iva tramite l’avviso
di accertamento immediatamente esecutivo.
In
particolare, il documento in oggetto sviluppa
principalmente le seguenti tematiche:
l’ambito di applicazione della nuova disciplina;
il versamento delle somme risultanti dall’avviso di
accertamento;
l’efficacia esecutiva dell’avviso di accertamento;
la sospensione dell’esecuzione dell’atto;
la dilazione di pagamento;
l’omessa o irrituale notifica dell’avviso di
accertamento.
1
Estratto dal volume “Come difendersi dalla cartelle di
pagamento” Maggioli
Editore 2011
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Mancato invio dell’avviso bonario |
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non sussiste l’obbligo
di comunicare l’esito della liquidazione, sempre e
comunque, ma solo quando dai controlli automatici
eseguiti emerga un risultato diverso rispetto a quello
indicato nella dichiarazione.
Cassazione civile, sez. trib., 28/10/2010, n. 22035.
L’invio da parte
dell'Amministrazione finanziaria al contribuente del
c.d. "avviso bonario" (ai sensi degli artt. 36 bis
D.p.r. n. 600/73; 54 bis D.p.r. n. 633/72;
art. 6, comma 5, L. 212/2000) prima dell'iscrizione a
ruolo delle imposte dovute in base alle dichiarazioni,
costituisce un adempimento obbligatorio per
l'Amministrazione, nonché adempimento indispensabile, in
considerazione del fatto che rispettando tale procedura
il contribuente è messo in grado di presentare la
documentazione ed esprimere le motivazioni per
contrastare o correggere l'operato dell'ufficio.
In particolare, tale
adempimento consente, da un lato, di prevenire ed,
addirittura, evitare l'iscrizione a ruolo delle imposte
e la conseguente emissione della cartella di pagamento;
dall’altro lato, viene salvaguardato il diritto di
difesa del contribuente che, in caso contrario,
subirebbe un’ingiusta compressione.
Tuttavia, con una
recente sentenza, la Corte di Cassazione (sentenza del
28 ottobre 2010, n. 22035, n. 2010) ha statuito che
“nell’ipotesi in cui, a seguito della liquidazione della
dichiarazione presentata (art. 36 bis), l’Agenzia delle
Entrate riscontri l’omesso versamento delle imposte
dovute sulla base dei dati dichiarati dal contribuente,
è legittima l’iscrizione a ruolo di tali somme non
corrisposte, in assenza della preventiva comunicazione
d’irregolarità, che, in tal caso, non risulta
obbligatoria”.
Nel caso di specie,
l’Agenzia delle Entrate, a seguito dell’attività di
liquidazione delle dichiarazioni presentate dai
contribuenti, non rilevava alcuna incongruenza od errore
di calcolo, ma soltanto l’omissione parziale o totale
dei versamenti dovuti sulla base dei dati dichiarati.
GIURISPRUDENZA COLLEGATA
Cassazione civile, sez. trib. 28/10/2010 n. 22035
(omissis)
FATTO E DIRITTO
Omissis)
3.
(omissis) A riguardo, deve premettersi che nella vicenda
in esame l'oggetto dell'impugnazione da parte del
contribuente è costituito da cartelle esattoriali emesse
a seguito di iscrizione a ruolo di imposta per omessi
versamenti, rilevati a seguito del controllo
automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis,
della dichiarazione dei redditi, presentata dal
contribuente, a titolo di Irpef ed Irap 2000. Ad avviso
della CTR l'Amministrazione sarebbe stata tenuta ad
inviare, prima della notifica delle cartelle apposita
comunicazione di irregolarità in considerazione del
disposto della L. n. 212 del 2000, art. 6, (Statuto del
contribuente).
4)
La tesi della Commissione di appello è infondata. A
riguardo, deve innanzitutto osservarsi che l'art. 36
bis, mirante a disciplinare la liquidazione delle
imposte dovute in base alle dichiarazioni del
contribuente, anche nel testo modificato dal D.Lgs. n.
241 del 1997, art. 13, applicabile alle dichiarazioni
successive all'1.1.1999, e successivamente dal D.Lgs. n.
32 del 2001, art. 1, non prevede affatto l'obbligo, in
capo all'Ufficio, di comunicare l'esito della
liquidazione, sempre e comunque, ma solo quando dai
controlli automatici eseguiti emerga un risultato
diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione.
E comunque, non è prevista in alcun modo la sanzione
della nullità. Nè alcun elemento di segno contrario alla
censura in esame può essere tratto dall'art. 6 dello
Statuto del contribuente giacchè la disposizione citata
trova applicazione solo quando sussistano incertezze su
aspetti rilevanti della dichiarazione. Ciò premesso,
posto che nel caso di specie non si verte in ipotesi di
risultato diverso rispetto a quello indicato nella
dichiarazione, determinato ad es. da errore materiale e
di calcolo ovvero da errore nella determinazione di
detrazioni o di deduzioni; considerato che non sussiste
neppure alcun dubbio e/o incertezza sul contenuto della
dichiarazione, vale a dire sui dati e gli elementi
direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate;
ritenuto che si verte invece in tema di omissione o
comunque di carenza dei versamenti, così come è pacifico
tra le parti; ritenuto che l'obbligo in capo
all'Amministrazione di invitare il contribuente a
fornire chiarimenti o a produrre i documenti riguarda
esclusivamente chiarimenti e documenti necessari ai fini
della liquidazione delle imposte, dei contributi, dei
premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni;
ritenuto in definitiva che il versamento è istituto
della riscossione del tributo mentre la dichiarazione
attiene alla fase dell'accertamento; tutto ciò premesso
e ritenuto, deve concludersi nel senso che le
disposizioni richiamate dalla CTR siano state
erroneamente applicate nella fattispecie de qua, in
considerazione della loro assoluta estraneità alla
stessa. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa
essere deciso in camera di consiglio in quanto
manifestamente fondato";
considerato che il Collegio ha condiviso le
considerazioni contenute nella relazione, ritualmente
comunicata al P.G. e notificata ai difensori; ritenuto
che il ricorso debba essere accolto in quanto
manifestamente fondato, con la conseguente cassazione
della sentenza impugnata; ritenuto che, occorrendo un
rinnovato esame della controversia, la causa debba
essere rinviata ad altra Sezione della CTR Campania che
provvederà anche in ordine al regolamento delle spese
della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata,
con rinvio anche per le spese ad altra sezione della CTR
Campania.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6
luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2010.
COMMENTO
Ciò nonostante, è stato osservato che il mancato invio
dell’avviso bonario non potrà privare il contribuente
della possibilità di usufruire della riduzione delle
sanzioni ad un terzo, prevista, appunto, nell’ipotesi di
versamento, entro 30 giorni, delle somme risultanti
dalla predetta comunicazione. È necessario, pertanto,
che con la cartella di pagamento venga offerta la stessa
agevolazione al contribuente che paghi le somme entro 30
giorni dalla notifica.
E
proprio in questo senso si è pronunciata la Cassazione
con la sentenza n. 17396 del 23 luglio 2010, precisando
che “il contribuente che ha proposto ricorso non aveva
alcun interesse a lamentare una pretesa perdita
dell’opportunità di pagare solo un terzo della sanzione
per effetto della mancata comunicazione, poiché identica
opportunità le è stata offerta in caso di pagamento
entro 30 giorni dalla notifica della cartella; né
risulta compromesso il diritto di difesa, esercitabile
nei soliti termini, quando la previa comunicazione sia
inutile, e comunque non prescritta dalla legge”.
La
Cassazione, tuttavia, non ha precisato a chi compete il
pagamento dell’aggio di riscossione. È chiaro che se vi
fosse, anche nell’ipotesi in commento, l’invio
dell’avviso bonario, non si verificherebbe l’iscrizione
a ruolo: pertanto, l’aggio di riscossione non è dovuto
dal contribuente, rimanendo questo interamente a carico
dell’Amministrazione Finanziaria.
In
questo senso si è già pronunciata la giurisprudenza di
merito, statuendo che “in caso di omesso invio
dell’avviso bonario, con la cartella di pagamento,
comunque, deve essere concessa la riduzione delle
sanzioni, e gli aggi di riscossione non possono essere
richiesti” (Comm. trib. prov. Bari, sez. II, 24 marzo
2010, n. 51/2/10).
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Estratto dal volume “Come difendersi dalla cartelle di
pagamento” Maggioli
Editore 2011
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Impugnazione della cartella di pagamento relativa a
violazioni del codice della strada
Mancato pagamento della cifra indicata sul verbale di
contestazione entro il termine di sessanta giorni dalla
notifica da parte trasgressore (e/o gli obbligati
solidali).
Mancato pagamento delle somme ingiunte con
un'Ordinanza-Ingiunzione di pagamento entro 60 giorni
dalla notifica da parte dell’intestatario.
Emessa dopo
mancata
opposizione avverso il verbale di contestazione
Ricorso dinnanzi al Prefetto (artt. 203, 204 C.d.s.)
Ricorso dinnanzi al giudice di pace (art. 204 bis
C.d.S.)
Entro
60 gg.:
-
dalla consegna (in caso di contestazione immediata;
-
dalla notifica.
PRESCRIZIONE
Il
diritto di credito si prescrive in cinque anni dal
giorno in cui è stata commessa la violazione.
Emessa dopo
oppure
Opposizione avverso la cartella di pagamento non
preceduta dall’ordinanza ingiunzione o dal verbale di
contestazione
Normativa
Autorità
Termine
Art.
23 Legge 689/1981
Giudice di pace del luogo in cui è stata commessa la
violazione
60
gg. dalla notifica
Ricorso con contestuale istanza di sospensione
Il
giudice, concorrendo gravi motivi, dispone la
sospensione con ordinanza inoppugnabile.
ITER
Provvedimento del giudice
Ordinanza di inammissibilità (nel caso di ricorso
depositato oltre i termini).
Decreto (in calce al ricorso)
-
fissazione dell'udienza di comparizione;
-
ordine rivolto all’ente creditore di depositare in
cancelleria, dieci giorni prima della udienza fissata,
copia del rapporto con gli atti relativi
all'accertamento, nonché alla contestazione o
notificazione della violazione.
Notifica del ricorso all’opponente e alla controparte
Ordinanza (appellabile)
di
convalida del provvedimento impugnato (in caso di
mancata costituzione dell’opponente)
+
Condanna alle spese
ISTRUTTORIA
Ammissione dei mezzi di prova (anche d’ufficio)
PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI
il
giudice invita le parti a precisare le conclusioni ed a
procedere nella stessa udienza alla discussione della
causa.
CONCESSIONE TERMINE PER NOTE (eventuale)
se
necessario, il giudice concede alle parti un termine non
superiore a dieci giorni per il deposito di note
difensive e rinvia la causa all'udienza immediatamente
successiva alla scadenza del termine per la discussione
e la pronuncia della sentenza.
PROVVEDIMENTO FINALE
Subito dopo la discussione della causa, il giudice
pronuncia la sentenza mediante lettura del dispositivo
Prima
Udienza
Provvedimenti del giudice
1
Estratto dal volume “Come difendersi dalla cartelle di
pagamento” Maggioli Editore 2011
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Le notificazioni nel processo tributario
Differenza tra la notifica del ricorso nel
giudizio di merito e il ricorso nel giudizio di
legittimità.
|
|
|
Le notificazioni
nel processo tributario, in virtù del rinvio operato
dall’art. 16, comma 2, del D.Lgs. 546/92 sono eseguite
con le modalità di cui agli artt. 137 e ss.
c.p.c., salvo quanto disposto dall’art. 17 del
D.Lgs. 546/1992 circa il luogo in cui la notifica deve
avvenire.
Dunque l’atto
tributario da notificare dovrà essere consegnato
all’ufficiale giudiziario il quale lo recapiterà al
destinatario.
Ma l’art. 16,
comma 3, introduce due ulteriori modalità
di notificazione non previste dal codice di procedura
civile. Si prevede, infatti, che le notificazioni
possono essere eseguite anche direttamente (senza cioè
l’intermediazione di un agente notificatore), a
mezzo del servizio postale,
mediante spedizione dell'atto in plico senza busta
raccomandato con avviso di ricevimento, ovvero, nel caso
in cui destinatario della notifica sia l’ufficio
finanziario o l’ente locale, anche mediante
consegna diretta dell’atto all’impiegato
addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia
opportunamente attestata come conforme all’originale
consegnato.
All’ufficio
impositore e all’ente locale è poi consentito provvedere
alle notificazioni anche servendosi del messo
comunale o del messo autorizzato
dall’amministrazione finanziaria, con l’osservanza delle
disposizioni di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c. (v. art.
16, comma 4, D.Lgs. 546/1992).
Dunque, la
notifica ai sensi dell’art. 137 c.p.c. è solo una delle
tre modalità di effettuazione delle notifiche
previste dall’art. 16 D.Lgs. 546/92.
A tal riguardo, si
ricorda, però, che la notifica del ricorso in Cassazione
in materia tributaria deve essere effettuata
necessariamente tramite ufficiale giudiziario secondo le
disposizioni degli articoli 137 e ss. c.p.c. in virtù
del rinvio contenuto nell’art. 62 D.Lgs. 546/1992. In
tal senso, la Sezione tributaria della Suprema Corte,
con la recentissima sentenza n. 1384 del 21 gennaio
2011, ha nuovamente ribadito che “la possibilità,
concessa al ricorrente ed all'appellante dal d.lgs. 31
dicembre 1992 n. 546, art. 20, 22 e 53, di proporre
ricorso davanti al giudice tributario oltre che mediante
notifica anche con la consegna diretta o con la
spedizione a mezzo posta dal ricorso, costituisce,
quindi, una caratteristica propria del processo
tributario di merito non applicabile al ricorso per
cassazione. Va, pertanto, dichiarata la inammissibilità
del ricorso per cassazione per non essere stato lo
stesso notificato alla controparte secondo le modalità
previste e disciplinate dall'art. 369 c.p.c., ma solo
consegnato a mano direttamente dal ricorrente stesso”.
GIURISPRUDENZA COLLEGATA
La Corte di Cassazione sulla
mancata notifica ex 369 c.p.c. si pronuncia come segue
La Corte dichiara
inammissibile il ricorso; compensa integralmente tra le
parti le spese del giudizio di legittimità.
Corte suprema di cassazione,
sezione tributaria, n. 1384 del 21 gennaio 2011.
omissis
FATTO
La
società GIACI, s.r.l. in liquidazione impugnava innanzi
alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano due
avvisi di accertamento per IRPEG ed ILOR, relativi agli
anni d'imposta 1994 e 1995, nonchè un avviso di
rettifica Iva per l'anno d'imposta 1995;
eccepiva il difetto di motivazione - in quanto
effettuata per relationem al p.v.c. della Guardia di
Finanza, la mancata autorizzazione dell'autorità
giudiziaria, l'inesattezza dei dati riportati. L'ufficio
resisteva.
La
C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso, escludendo
dalla base imponibile l'importo dei ricavi risultante
dai questionari inviati a terzi.
Proponeva appello la società contribuente ribadendo le
deduzioni già svolte in primo grado. L'ufficio
resisteva.
La
Commissione tributaria regionale rigettava l'appello.
Contro quest'ultima sentenza la contribuente propone
ricorso per cassazione articolato in duplice motivo;
l'agenzia controdeduce.
DIRITTO
In
via preliminare va rilevata ex officio e dichiarata la
inammissibilità del ricorso per non essere stato lo
stesso notificato alla controparte secondo le modalità
previste e disciplinate dall'art. 369 c.p.c. codice di
procedura ma solo consegnato a mano direttamente dal
ricorrente stesso. Si legge, infatti, in calce al
ricorso che lo stesso "è stato redatto in duplice
esemplare e l'originale è stato utilizzato per la
notifica all'agenzia, mentre la copia - che la parte
dichiara conforme all'originale (a mente del D.Lgs. n.
546 del 1992, art. 22) verrà depositato, unitamente ai
documenti sopraindicati, nei termini di legge, presso la
cancelleria della Corte di Cassazione con nota di
iscrizione a ruolo".
Tanto rende il ricorso inammissibile in virtù de
principi enucleati dalla giurisprudenza costante di
questa Corte che ha affermato (Cass. n. 12982 dei 2007)
"In tema di contenzioso tributario, la possibilità,
concessa al ricorrente ed all'appellante dal D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, artt. 20, 22 e 53, di proporre il
ricorso anche mediante la consegna diretta o la
spedizione a mezzo posta, non si estende al ricorso per
cassazione, la cui notificazione deve pertanto essere
effettuata esclusivamente nelle forme previste dal
codice di procedura civile, a pena d'inammissibilità,
rilevabile d'ufficio". Ed ancora (Cass. n. 3566 del
2005)". Il ricorso per cassazione avverso sentenze delle
Commissioni Tributarie è disciplinato esclusivamente dal
codice di procedura civile, pertanto non trova
applicazione a tale ricorso la possibilità di notificare
gli atti mediante consegna diretta all'impiegato addetto
all'ufficio tributario" Come già affermato, (Cass. n.
12982 del 2007) "trova applicazione il principio (v.
Cass. sez. V:sentenze 11 ottobre 2006 n. 21726; 12
luglio 2006 n. 15847; 25 febbraio 2005 n. 3569; 16
febbraio 2005 n. 3089; 6 settembre 2004 n. 17955; cfr.,
altresì, 26 settembre 2003 n. 14295 per l'ordinario
ricorso per Cassazione e ribadito per l'impugnazione di
cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, con la
decisione n. 3569 depositata il 22 febbraio 2005)
secondo cui dalla constatazione dell'inesistenza, nella
sedes materiae od altrove, di qualsivoglia disposizione
peculiare sulle modalità di proposizione del ricorso per
Cassazione avverso una sentenza della commissione
tributaria regionale discende che alla proposizione del
ricorso per cassazione debbono ritenersi applicabili
esclusivamente le disposizioni dettate dal codice di
procedura civile per presentare ricorso giurisdizionale
innanzi a questa Corte. Queste ultime, come noto, con
l'art. 369 c.p.c., comma 1, impongono al ricorrente di
depositare il proprio ricorso per cassazione nella
cancelleria "nel termine di giorni venti dall'ultima
notificazione alle parti contro le quali è proposto",
con espressa comminatoria di improcedibilità dell'atto.
Con l'art. 371 c.p.c. (al quale si applica la stessa
previsione normativa di improcedibilità testè
richiamata) dispongono analogamente in tema di ricorso
incidentale, il cui dies a quo, peraltro, è strettamente
ancorato a quello della notifica del ricorso principale
essendo fissato nel ventesimo giorno successivo a quello
in cui è stato notificato il ricorso principale.
Il
tenore letterale delle norme ma, soprattutto, la
drasticità della sanzione processuale (improcedibilità)
comminata per il caso di inosservanza dei termini
impongono (cfr., Cass., 1^, 15 luglio 1980 n. 4536) una
interpretazione delle stesse conforme al rigore
dell'effetto, per cui deve ritenersi ed affermarsi che
la notificazione del ricorso per Cassazione costituisca
un elemento indefettibile di questa impugnazione.
D'altra parte deve ricordarsi che la notificazione di un
determinato atto processuale rappresenta lo strumento
predisposto dal legislatore per trasferire quell'atto
dalla sfera giuridica di un soggetto a quella di un
altro: in particolare, per gli atti destinati al
processo civile formati dalla parte (ad esempio la
citazione di cui all'art. 163 c.p.c.), la notificazione
segna il momento nel quale l'atto comincia a produrre
effetti giuridici per il destinatario; la notificazione
di un atto, infatti, fa sorgere a carico del
destinatario una serie di poteri, diritti, oneri ed
obblighi (sostanziali e/o processuali): in particolare,
con la notifica dell'atto introduttivo di un giudizio
(di primo o di ulteriore grado), sorge a carico del
destinatario l'obbligo di sottostare (pari) alla
decisione del giudice adito. L'attività di
notificazione, per l'interesse pubblico connesso alla
garanzia di raggiungimento delle sue finalità, poi,
quando non altrimenti disposto, deve essere, di norma
(avendo la L. 21 gennaio 1994, n. 53, consentito, in
presenza di particolari condizioni, la notificazione ad
opera del difensore munito di delega), svolta (art. 137
c.p.c.) da un organo pubblico (l'ufficio e giudiziario o
l'aiutante) il quale deve dar conto, con apposita
relazione, del modo in cui egli, seguendo le regole
dettate dal codice di rito civile (o quelle attinenti
contenute in leggi speciali), ha operato la trasmissione
al destinatario di un ben individuato atto processuale.
La complessiva attività costitutiva della notificazione
svolta dall'ufficiale giudiziario su specifica richiesta
della parte interessata, infatti, come risaputo, ha
duplice valenza perchè impone all'ufficiale procedente
a) di certificare la conformità dell'atto consegnato al
notificando all'originale restituito alla parte
richiedente e (b) di descrivere, nell'apposita relazione
(c.d. relata di notifica), tutte le attività svolte per
portare l'atto da notificare nella specifica sfera
indicata dal legislatore, da questo considerata come
idonea a conseguire la (certezza della) "conoscenza
legale" dell'atto da parte del notificando: il passaggio
dell'atto dall'una all'altra sfera soggettiva, per le
conseguenze che la legge vi riconnette, è retto da
precise regole, ritenute idonee a raggiungere la (prova
della) conoscibilità se non della conoscenza effettiva
sia dell'esistenza che del contenuto preciso dell'atto
notificato.
Nell'architettura processual civilistica vigente,
pertanto, la notificazione rappresenta un elemento
costitutivo indefettibile perchè l'atto produca gli
effetti che la legge riconnette alla sua notificazione
alla controparte per cui rettamente si insegna
l'assoluta irrilevanza della prova della conoscenza
dell'atto che il destinatario abbia avuto aliunde: la
notificazione (si dice), in tali ipotesi, non ammette
equipollenti.
La
possibilità, concessa a ricorrente ed all'appellante dal
D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 20, 22 e 53, di
proporre ricorso davanti al giudice tributario oltre che
mediante notifica anche con la consegna diretta o con la
spedizione a mezzo posta dal ricorso, costituisce,
quindi, una caratteristica propria de processo
tributario di merito non è applicabile al ricorso per
Cassazione (Cass., trib., 22 febbraio 2005 n. 3566)".
Dalla evidenziata natura della notificazione discende
una duplice conseguenza: da una parte che la
costituzione in giudizio del Ministero (pur se
intervenuta, come nel caso, nei termini) è priva di
qualsivoglia efficacia sanante; dall'altra che, essendo
il ricorso per cassazione fuori dallo schema legale,
tale quindi da non originare un contraddittorio, non
trova applicazione il disposto dell'art. 384 c.p.c.,
comma 3.
Le
spese di questo giudizio di legittimità vanno compensate
integralmente tra le parti, tenuto conto e rilevato che
l'Avvocatura dello Stato nulla ha eccepito o dedotto in
proposito.
P.Q.M.
La
Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa
integralmente tra le parti le spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011
1
Estratto dal volume “Come applicare la procedura civile
nel contenzioso tributario” Maggioli Editore 2011
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Principio di non contestazione nel processo
tributario |
Art. 115 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 115
comma 1 c.p.c., come modificato dalla legge n. 69/09, “salvi
i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti
o dal pubblico ministero, nonché i fatti non
specificatamente contestati dalla parte costituita”.
Pertanto, la parte che
allega fatti non specificamente contestati viene
esonerata dal relativo onere della prova, in quanto la
non specifica contestazione viene considerata un
comportamento univocamente rilevante ai fini della
determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti
vincolanti per il giudice, posto che in questo caso
l’atteggiamento difensivo delle parti sottrae il fatto
medesimo dall’ambito degli accertamenti richiesti.
L’evidente fine che si
persegue con tale formulazione è quello di imporre al
convenuto (o all’attore in caso di domanda
riconvenzionale) una specifica presa di posizione su
tutti i fatti allegati dall’attore, in quanto, in caso
contrario, il giudice deciderà sulla base di tali fatti.
Dalla lettura della
disposizione in commento emerge che il principio
dell’equiparazione tra mancata contestazione e prova è
limitato ai casi in cui le parti siano costituite, così
escludendo le ipotesi di contumacia ed è applicabile sia
al caso di mancate contestazioni del convenuto che alle
mancate contestazioni dell’attore; infatti, la portata
soggettiva della norma è riferibile ad entrambe le parti
processuali, essendo stato usato l’inciso “parte
costituita” e non “convenuto” oppure “attore”.
Inoltre la contestazione
deve essere specifica e riferita a tutti fatti, sia
principali che secondari.
Anche al processo
tributario si ritiene applicabile l’art. 115 c.p.c. ed
il principio di non contestazione in esso riferito (v.
anche Circolare Agenzia delle Entrate n.17/E del 31
marzo 2010), sia perché, essendo il rito speciale
strutturato sulla falsariga del processo civile, può
anche ad esso riconoscersi natura dispositiva ed è
anch’esso caratterizzato dalla necessità di una difesa
tecnica e da un sistema di preclusioni (benché meno
stringente di quello previsto per il rito civile ed il
rito lavoro), sia perché, a norma dell’art. 1 comma 2
D.Lgs. 546/1992, i giudici tributari applicano le norme
del medesimo decreto, e, per quanto in esse non disposto
e con esse compatibili, le norme del codice di procedura
civile.
In virtù ed in
applicazione della suddetta disposizione, recentemente
la Commissione Tributaria Provinciale di Catania, sez.
4, con la sentenza n.152/4/11 depositata il 4 marzo
2011, in un procedimento contro il Comune di Gravina di
Catania (condannato a €.2.000,00 di spese!) ha
stabilito che: “consolidata giurisprudenza vuole,
pertanto, che il convenuto in giudizio si esprima sui
fatti allegati dal ricorrente a fondamento della propria
domanda e che se non lo fa in maniera specifica,
puntuale e circostanziata il giudice può dedurne
l’ammissione dei fatti costitutivi del diritto azionato.
Principio, questo, di “non contestazione” da sempre
applicato in virtù di un’interpretazione consolidata
della Suprema Corte ogni qualvolta non fosse stata
confutata dalla parte resistente la circostanza
affermata dall’attore e, di recente, introdotto
dall’art. 45 della L. n.69/09”.
GIURISPRUDENZA COLLEGATA
La Commissione Tributaria Provinciale di Catania,
sez. 4, ha condannato a €.2.000,00 di spese
Comune di Gravina di Catania e ha stabilito che:
“consolidata giurisprudenza vuole, pertanto, che il
convenuto in giudizio si esprima sui fatti allegati dal
ricorrente a fondamento della propria domanda e che se
non lo fa in maniera specifica, puntuale e
circostanziata il giudice può dedurne l’ammissione dei
fatti costitutivi del diritto azionato.
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI CATANIA PROVINCIALE
SEZIONE 4
REG.GENERALE N°3273/10
UDIENZA DEL 12/01/2011
SENTENZA N"152/4/11
XXXXXXXXXX nella qualità
di legale rappresentante della società "xxxxxxxxx",
rappresentato e difeso giusta procura a margine, ricorre
contro il Comune di Gravina di Catania avverso 1'avviso
di accertamento ed irrogazione delle sanzioni n.xxx, del
23.11.09, relativo ad ICI anno d'imposta 2006, con cui
1'ente impositore contesta l'ornessa dichiarazione ed
anche 1'omesso versamento dell'ICI per 1'ammontare di
€128.895,18 oltre sanzioni per €38.668,55 ed interessi,
per un complessivo importo di € 179.058,00.
L'Ente ha proceduto
applicando l'imposta su un'area fabbricabile di
proprietà della ricorrente, per un periodo di 11 mesi di
possesso, e calcolata sul valore imponibile di €
20.678.370,00.
Lo stesso Ente con altro
accertamento n. 450367 del 23.11.09, che la ricorrente
ha separatamente opposto, accertava per 1'anno 2005
l'omesso versamento dell'ICI, per un periodo di possesso
di mesi 6, e per un complessivo ammontare di €
148.189,00, calcolando l'imposta sempre sullo stesso
imponibile di € 20.678.370,00.
II valore imponibile su
cui il Comune di Gravina di Catania calcola I'ICI è
desunto dal prezzo pagato alla ricorrente dalla
"xxxxxxxx S.r.l." giusto atto di compravendita del
05.12.2006, con cui la ricorrente a seguito di
specifiche condizioni previste nel contratto
preliminare, cedeva il terreno oggetto dell'imposizione
a condizione che si fosse realizzato un progetto
imprenditoriale convenuto, e questa era una delle
condizioni fondamentali del preliminare.
Nella fattispecie si
verifica che la ricorrente, proprietaria di un
appezzamento di terreno esteso circa mq.90232, stipula
un contratto preliminare con la "xxxxxxxxxxxx S.r.l".
Le parti convengono nel
preliminare la cessione delle quote della società
"XXXX", posseduta in
maggioranza dalla ricorrente, e che è titolare di un
progetto imprenditoriale che ha quale scopo principale
quello della realizzazione del centro commerciale
"XXXXXXXXXXXXX".
La ricorrente si
obbligava a conferire i1 terreno nella società XXXX dopo
essere divenuta titolare delle licenze commerciali del
realizzando centro commerciale, impegnandosi infine a
cedere 1'intero pacchetto della XXXX ad altra
società denominata "xxxxxxxxxxx s.r.l..
I1 prezzo comprensivo del terreno, delle licenze
edilizie, delle licenze commerciali e delle
autorizzazioni amministrative veniva inizialmente
convenuto in € 16.750.000,00 che poi in sede di stipula
dell'atto definitivo,essendosi verificate tutte le
condizioni previste nel preliminare, veniva rimodulato
in € 20.719.120,00.
Il Comune di Gravina in data 04.07.2005 con
deliberazione n. 51 includeva il terreno in parola nel
PRG, in zona D2, e cosi che da terreno agricolo si
trasformava potenzialmente in terreno edificabile.
Successivamente, in data 04.12.2006 lo stesso
Comune di Gravina rilasciava 1'autorizzazione
amministrativa per 1'apertura del centro commerciale.
La dichiarazione ICI veniva presentata per 1'anno
2007 dalla società "xxxxxxxx s.r.l." ormai divenuta
proprietaria dell'area ed in sede di
dichiarazione la società indicava quale valore
dell'area, dal 01.01.2007 1'importo di € 20.678.370,00.
Avendo così la difesa della ricorrente società
chiarito i termini dell'intera vicenda, con 1'attuale
gravame ricorre chiedendo l'annullamento dell'impugnato
avviso di accertamento perchè illegittimo ed infondato.
All'uopo eccepisce 1'inesistenza delta notifica in
violazione e falsa applicazione dell'art.l comma 161
della L. 296/06 art. 149 del c.p.c. Sostiene infatti che
1'accertamento è stato spedito a mezzo raccomandata, in
violazione all'iter previsto dall'art. 149 del cpc che
prevede la notifica a mezzo posta, ma tramite i messi
notificatori. Inoltre contesta che nello stesso plico
sono stati contenuti più avvisi di accertamento.
Eccepisce anche il difetto di motivazione in quanto
il Comune nel determinare il valore imponibile non
indica alcuna area similare, nè opera alcun confronto,
nè allega stima.
Nel merito la difesa sostiene che concretamente il
terreno oggetto dell'imposizione è stato incluso nel PRG
solo nel mese di luglio del 2005, mentre il valore
imponibile che il Comune applica è stato determinato
solamente nel dicembre del 2006, in sede di stipula di
compravendita definitiva.
La
difesa pertanto sostiene che per 1'anno 2005
l'obbligazione tributaria è inesistente, stante che al
1° gennaio 2005 il terreno risultava ancora agricolo e
l'ICI era stata dichiarata e versata in conseguenza.
Continua affermando che per 1'anno 2006 risulta invece
errata, in quanto il terreno, non avendo la società
ancora ottenuto le autorizzazioni ad avviare il Centro
commerciale, non aveva il valore poi determinato nel
dicembre del 2006, ma un minor valore.
A tal
uopo la parte, sciogliendo la riserva di produzione
documentale, produce perizia giurata del 21.12.2010, a
firma dell'Arch. XXXX, da cui risulta che il valore del
terreno, nell'anno 2006, non poteva eccedere la
complessiva somma di € 4.350.000,00.
Il
Comune di Gravina di Catania non risulta costituito.
Il
Collegio esaminato il fascicolo e gli atti prodotti
dalla ricorrente società osserva che il ricorso merita
parziale accoglimento.
Infatti, alla luce della perizia giurata prodotta dalla
società ricorrente, e nel silenzio del Comune di Gravina
di Catania, stante che non ha ritenuto costituirsi in
giudizio, il Collegio ritiene equo assumere quale valore
imponibile da assoggettare, per i1 periodo di mesi 11,
per 1'anno 2006, quello determinato dal perito
incaricato dalla ricorrente, Arch. XXXX, ed ammontante
complessivamente ad € 4.350.000,00.
Al
comma 3, l’art. 23 del D.Lgs. 546/92, che regola la
costituzione in giudizio della parte resistente, recita:
“nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue
difese, prendendo posizione sui motivi dedotti dal
ricorrente e indica le prove di cui intende valersi
proponendo, altresì, le eccezioni processuali e di
merito...” consolidate giurisprudenza vuole, peraltro,
che il convenuto in giudizio si esprima sui fatti
allegati dal ricorrente a fondamento della propria
domanda e che se non lo fa in maniera specifica,
puntuale e circostanziata il giudice può dedurne
l'ammissione dei fatti costituivi del diritto azionato.
Principio, questo, di "non contestazione" da sempre
applicato in virtù di un'interpretazione consolidata
della Suprema Corte ogni qualvolta non fosse stata
confutata dalla parte resistente la circostanza
affermata dall'attore e, di recente, introdotto
dall'art. 45 della Legge n° 69/2009 che nel sostituire
l’art. 115 c.p.c. ha riscritto così il 1 ° comma: "salvi
i casi previsti dalla Legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisone le prove proposte dalle parti
... nonchè i fatti non specificamente contestati dalla
parte costituita".
Considerato che, come già rilevato, il Comune di Gravina
di Catania, non si è costituito in giudizio e
conseguentemente non ha contraddetto alcuna delle
eccezioni poste dalla parte e neppure quindi ha eccepito
la stima tecnica prodotta per ultimo dalla ricorrente,
questo giudice, non può che ritenere la stessa
attendibile.
Le
eccezioni di diritto poste dalla difesa non appaiono
condivisibili stante che comunque la notifica dell'atto
contestato ha prodotto gli effetti voluti e che la
carente motivazione relativa alla determinazione del
valore, sostanzialmente risulta superata dall'avere
questo giudice accolto l'indicazione del valore di stima
determinato dal perito nominato dalla stessa parte
ricorrente.
Le
spese seguono la soccombenza e si determinano in
€2.000,00 a carico del Comune di Gravina di Catania,in
assenza di notula.
P.Q.M.
La
Commissione annulla 1'accertamento impugnato e determina
in € 4.350.000,00 l'imponibile su cui dovrà calcolarsi
I'ICI dovuta per l'anno 2006,maggiorata dei soli
interessi.
Condanna il Comune di Gravina di Catania alle spese di
giudizio,che liquida in € 2.000,00, in assenza di
notula.
Così
deciso in Catania il 12 gennaio 2011.
1
Estratto dal volume “Come applicare la procedura civile
nel contenzioso tributario” Maggioli Editore 2011
++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++
La responsabilità aggravata nel processo tributario
(ART. 96 C.P.C.)
La
soccombenza totale dell’agente, l’aver agito in mala
fede o colpa grave e la condotta che genera pregiudizio
alla controparte.
La
responsabilità aggravata nel processo civile,
espressamente disciplinata dall’art. 96 c.p.c., sanziona
il comportamento definito come illecito processuale che
preclude l’applicabilità sia diretta dell’art. 2043 C.C.
(responsabilità aquiliana), sia un eventuale concorso,
anche alternativo, delle due norme e, quindi, dei due
tipi di responsabilità, in relazione ad un medesimo
fatto processuale.
I
presupposti per l’applicabilità sono tre:
1) la
soccombenza totale dell’agente, non essendo sufficiente
una soccombenza solo parziale da determinare in
relazione all’esito finale del giudizio e non ad una sua
fase anteriore;
2)
l’aver agito con mala fede o colpa grave ossia con la
consapevolezza dell’infondatezza della domanda o
dell’eccezione ovvero del carattere irrituale o
fraudolento dei mezzi operati, oppure nel difetto della
normale diligenza per l’acquisizione di tale
consapevolezza;
3)
l’aver tenuto una condotta tale da aver provocato, quale
conseguenza diretta ed immediata, un pregiudizio alla
controparte.
Tale
fattispecie viene comunemente definita come “lite
temeraria” il cui accertamento è riservato
all’insindacabile valutazione del giudice di merito,
incensurabile in sede di legittimità se correttamente
motivata.
La
dottrina e la giurisprudenza sembrano ormai
pacificamente ammettere l’applicabilità al processo
tributario dell’articolo 96 c.p.c., nonostante qualche
opinione contraria.
In
particolare nel senso della compatibilità dell’istituto
della responsabilità aggravata con il processo
tributario depongono i seguenti elementi:
a) la
generalità del riferimento al regime delle spese nel
processo civile operato nel D.Lgs. 546/1992: nonostante
l’espresso richiamo del solo art. 92 comma 2 c.p.c. si
ritiene applicabile l’intero capo sulla disciplina delle
spese;
b)
l’assenza di una esplicita esclusione e l’inesistenza di
alcuna norma tributaria incompatibile;
c) la
natura consequenziale ed accessoria della pronuncia
sulle spese e sulla responsabilità aggravata,
inquadrabile nell’attribuzione alle Commissioni delle
controversie concernenti <<interessi ed altri
accessori>> (art. 2, 2° comma, D.Lgs. 546/1992);
d) il
consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce
l’applicabilità dell’istituto contro la pubblica
amministrazione, sia nel processo civile, sia in quello
amministrativo, dunque non vi sarebbe motivo valido per
escluderla nel processo tributario.
Pertanto, volendo privilegiare l’applicabilità al rito
tributario dell’istituto della responsabilità per lite
temeraria (in tal senso recentemente Circolare Agenzia
delle Entrate n.17 del 31 marzo 2010), si precisa che
l’istituto in esame, pur richiamandosi ai principi
generali in tema di illecito extracontrattuale, si pone
con carattere di specialità rispetto all’articolo 2043
c.c., di cui va quindi esclusa ogni applicazione in via
concorrente o alternativa.
Esaminando la norma, si è già precisato che la
responsabilità di cui al 1° comma dell’articolo 96
c.p.c. richiede la sussistenza dei seguenti presupposti:
a) la soccombenza totale della parte; b) l’aver agito o
resistito in giudizio con mala fede o con colpa grave;
c) l’aver causato all’altra parte un danno concreto ed
effettivo.
L’elemento soggettivo della mala fede o della colpa
grave è stato in particolare ravvisato: - nell’aver
agito basandosi su presupposti di fatto inesistenti o su
una disposizione già dichiarata incostituzionale o in
contrasto con consolidati orientamenti
giurisprudenziali, senza svolgere alcuna argomentazione
atta a determinare una revisione (C 93/1953); -
nell’aver preteso il pagamento di una somma a titolo di
ritenuta d’acconto, di cui contestualmente si affermava
il versamento (C 97/1082); - nell’aver disconosciuto la
propria sottoscrizione poi dichiarata vera (C 89/163); -
nell’aver proposto mezzi processuali con meri intenti
dilatori (con riferimento alla proposizione del
regolamento preventivo di giurisdizione: C 95/448; C
90/964; C 89/25; C 92/10488; C 91/11029); - nell’aver
impugnato un provvedimento ordinatorio e non decisorio,
oggettivamente e palesemente non impugnabile (C
01/10731; C 00/16); per quanto riguarda
l’amministrazione finanziaria, si è evidenziato come la
relativa responsabilità non possa scaturire
dall’attività di applicazione del tributo anteriore al
giudizio, ma semmai dall’aver ostinatamente continuato
il giudizio, senza revocare la propria pretesa
manifestamente illegittima, oppure nella mancata
esecuzione da parte della P.A. di ordinanze emesse nel
giudizio di ottemperanza.
Anche
il 2° comma dell’articolo 96 c.p.c. concernente
l’esecuzione di provvedimenti latu sensu cautelari o
esecutivi si può ritenere applicabile. In tali casi la
responsabilità aggravata presuppone l’accertata
inesistenza del diritto in base al quale si è agito e il
difetto della ordinaria prudenza.
Si è
ipotizzato, al proposito, il caso di un’azione esecutiva
intrapresa in pendenza di giudizio e non sospesa
dall’amministrazione, nonostante l’evidente fondatezza
del ricorso e la specifica richiesta di sospensione
rivolta alla stessa amministrazione (Bellè, Le spese del
giudizio, in Il Processo tributario 1998, a cura di
Tesauro, 325).
Anche
l’ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. si applica al rito
tributario nella parte in cui dispone che il giudice
d’ufficio e in ogni caso, può sempre condannare la parte
soccombente al pagamento a favore della controparte di
una somma equitativamente determinata.
Si
precisa che la condanna ai sensi dei primi due commi
dell’art. 96 c.p.c., presuppone la prova del danno e la
valutazione equitativa ove il pregiudizio non possa
essere quantificato nel suo preciso ammontare, mentre
l’ultimo comma, prescinde dalla prova del pregiudizio e
dalla colpa grave (“in ogni caso”), presupponendo solo
lo stato di soccombenza. Trattasi di un danno c.d.
“punitivo” che è compatibile con il giudizio tributario.
Recentemente, il Tribunale di Roma, Sezione distaccata
di Ostia, con una clamorosa sentenza del 9 dicembre 2010
ha severamente condannato il concessionario della
riscossione al pagamento della somma di €.25.000 in
favore del contribuente ai sensi dell’art. 96 comma 3
c.p.c. ritenendo che nella specie “non si tratta di un
risarcimento ma di un indennizzo (se si pensa alla parte
a cui favore viene concesso) o una punizione (per aver
appesantito inutilmente il corso della giustizia, se si
ha riguardo allo Stato) di cui viene gravata la parte
che ha agito con imprudenza, colpa o dolo”; inoltre,
afferma che “a differenza delle ipotesi classiche (primo
e secondo comma) il Giudice provvede ad applicare quella
che si presenta né più né meno che come una sanzione
d'ufficio a carico della parte soccombente e non
(necessariamente) su richiesta di parte”.
Sicuramente tale sentenza, ad oggi isolata, potrebbe
rappresentare un precedente di rilievo e ribaltare
l’orientamento giurisprudenziale consolidato che nella
quasi totalità dei casi, anche in caso di soccombenza
dell’Ente impositore e del Concessionario della
Riscossione, dispone la compensazione delle spese
giudiziali. Nella prassi giudiziaria, infatti, permane
la tendenza ad optare per la compensazione delle spese
legali, sebbene l’art. 92 c.p.c., così come modificato
dalla Legge 69/2009, ne abbia ulteriormente ristretto
l’ambito di applicazione
Invero, l’esigenza di un uso più accorto della giustizia
si ravvisa soprattutto nel rapporto tra il Fisco e il
contribuente ed infatti merita di essere severamente
sanzionata la condotta pretestuosa dell’Amministrazione
Finanziaria che resista in giudizio senza approntare una
difesa fondata e ragionevole, disconoscendo
ingiustamente le ragioni del contribuente.
In
quanto depositaria di una funzione pubblica, la condotta
dell’A.F. a maggior ragione deve ispirarsi a criteri di
correttezza, buona fede, lealtà, nonché a doveri di
responsabilità, diligenza e professionalità.
Sulla
base delle superiori considerazioni, il Tribunale di
Roma nella sentenza sopra citata ha condannato la Gerit
Equitalia S.p.A. per la sua condotta senza dubbio
scorretta e sintomatica di inefficienze amministrative
stante che “a. l'illustrazione delle caratteristiche e
finalità astratte dell'ipoteca legale è inutile ed
irrilevante disquisizione teorica; b. la spa Gerit era
parte del procedimento davanti al GDP per l'annullamento
della cartella esattoriale de qua. Nel provvedimento di
fissazione dell'udienza al 6.11.2008 il GDP sospendeva
la esecutorietà del titolo, sicché alla data del
4.11.2009 (comunicazione iscrizione ipoteca) la spa
Gerit sapeva benissimo dell'avvenuta sospensione; c. non
è vero, come si legge nella comparsa del 6.4.2010 della
spa Gerit, che il giudizio di merito sia in corso; al
contrario in data 18.2.2010 la cartella de qua veniva
annullata con sentenza; d. come comprova il fascicolo di
parte spa Gerit, dal quale non risulta alcun documento
depositato, è affermazione priva di riscontro che la
procedura di iscrizione ipotecaria sia stata chiusa;e.
l'affermazione che la cartella esattoriale sia stata a
suo tempo notificata è del tutto irrilevante ed esposta
senza alcuna ragione”.
Pertanto, il giudice di merito, in accoglimento del
ricorso, ha condannato l’Agente per la riscossione alla
refusione delle spese legali e al pagamento della somma
di €.25.000,00 a titolo di indennizzo ai sensi dell’art.
96, comma 3, c.p.c.
GIURISPRUDENZA COLLEGATA
Il
Tribunale di Roma si pronuncia in questi termini
ANNULLA l'ipoteca legale iscritta in data 4.11.2009
(provv. n. …) dalla Spa Equitalia Gerit in persona
del suo legale rappresentante pro tempore sugli immobili
di T. B.;
CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale
rappresentante pro tempore al pagamento delle spese di
causa che liquida in favore di T. B. in complessivi
€.5.000,00 di cui €.800,00 per spese, oltre IVA e CAP;
CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale
rappresentante pro tempore al pagamento in favore di T.
B. ed ai sensi dell'art. 96 III° comma cpc della somma
di €.25.000,00 oltre interessi legali dalla data della
sentenza al saldo. ...]
Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, 9 dicembre
2010 (Pres. Moriconi)
Osserva:
le
domande di T. B. sono del tutto fondate.
In
relazione a cartella esattoriale n. …/000 ammontante ad
€.1.900,00 la spa Gerit Equitalia comunicava a T. B. di
aver iscritto in data 4.11.2009 (provv. n. …) ipoteca
sugli immobili della medesima.
L'iscrizione ipotecaria, gravemente illegittima, è da
annullare (con condanna della spa Gerit Equitalia a
cancellarla a sua cura ed a sue spese) per due ordini di
ragioni:
1. In primo luogo il titolo esecutivo (vale a dire la cartella esattoriale n.
.../000 sottesa alla iscrizione ipotecaria) era stato
sospeso dal Giudice di Pace di Ostia in data 18.7.2008
in contraddittorio con la stessa spa Gerit Equitalia.
2. In secondo luogo è illegittimo iscrivere ipoteca per somme, come in questo
caso, che non superano gli €.8.000.
Se
sul primo punto non vi sono particolari osservazioni da
svolgere: essendo sospeso, nei confronti della stessa
spa Gerit, il titolo esecutivo la successiva iscrizione
da parte sua di ipoteca legale non solo è
manifestamente illegittima, ma costituisce un vero e
proprio abuso di diritto, sanzionabile ai sensi
dell'art.96 cpc.
Quanto al secondo punto secondo consolidata
giurisprudenza della Sezione (cfr. in
http://afolostia.com) esistente e conoscibile ben prima
della conforme pronuncia delle Sezioni Unite Cassazione
civile, SS.UU., sentenza 22.02.2010 n. 4077,
l'iscrizione essendo stata imposta per un credito che
non supera gli €.8.000, è illegittima.
Si
legge nella sentenza Nrg 1262/07 - sentenza del 30/04/09
(voce esecuzione forzata):
L'ipoteca è stata iscritta illegittimamente.
Ed
invero l'importo totale dei crediti è di €.5.300, pari
al doppio dell'importo iscritto a ruolo di €.2.973.
L'art.77 del DPR 602/1973 prevede che decorso
inutilmente il termine di cui all'articolo 50, comma 1,
il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli
immobili del debitore e dei coobbligati per un importo
pari al doppio dell'importo complessivo del credito per
cui si procede.
In
base a tale norma la spa Gerit ritiene di avere agito
correttamente affermando che non esiste, come invece
sostiene la deducente, alcun importo minimo per
iscrivere ipoteca.
L'affermazione, solo apparentemente esatta, non è
condivisa dal Giudice, derivata com'è da una lettura
errata e non consapevole delle norme.
L'art.77 va letto infatti nel contesto unitario della
legge, nella quale esiste anche una diversa e
significativa previsione.
L'art.76 infatti dispone, fra l'altro, che il
concessionario può procedere all'espropriazione
immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui
si procede supera complessivamente ottomila euro.
Dal
suo canto l'art.2808 cc dispone che l'ipoteca
attribuisce al creditore il diritto di espropriare,
anche in confronto del terzo acquirente, i beni
vincolati a garanzia del suo credito e di essere
soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato
dall'espropriazione
Le
norme del DPR 602/1973citato, frutto di disordinati e
torrentizi rimaneggiamenti dell'originario testo, non
sono coordinate e vanno interpretate in modo che abbiano
un significato logico e giuridico accettabile e conforme
ai principi dell'ordinamento.
Non è
possibile ritenere che si sia inteso modificare
implicitamente la struttura del diritto reale di
garanzia che risponde al nome di ipoteca.
Anche
un legislatore non troppo esperto quale l'attuale non lo
avrebbe potuto fare così disinvoltamente. Modificare un
istituto millenario e ben radicato fin dentro l'attuale
sistema giuridico non è cosa che si possa fare o
ritenere fatta per implicito o di straforo.
E
pertanto poiché non ha senso giuridico immaginare
un'ipoteca orbata del diritto di espropriare (e ridotta
a semplice prenotazione reale per una eventuale
espropriazione da altri iniziata e che potrebbe non
intervenire mai !?!) occorre più realisticamente
affermare che l'ipoteca può essere iscritta solo laddove
il credito complessivamente iscritto a ruolo superi gli
ottomila euro.
Una
testuale conferma della esattezza della tesi deriva dal
fatto che la legge usa l'espressione credito per cui si
procede.
Ebbene, ipotizzando un'ipoteca priva del diritto di
espropriare, non si vede proprio come il concessionario
potrebbe procedere. Al contrario dopo aver iscritto
l'ipoteca potrebbe solo stare fermo e sperare che esista
un altro creditore che inizi una procedura immobiliare
sullo stesso immobile ipotecato per partecipare alla
futura distribuzione altrimenti l'ipoteca avrebbe solo
lo scopo di infastidire il debitore, scopo questo che
ripugna attribuire ad un legislatore sano di mente.
Ricostruzione della norma, quella a seguire la tesi
della spa Gerit, assurda quindi ed inaccettabile e
pertanto da respingere.
Ne
deriva l'illegittimità della iscrizione ipotecaria.
Va
pertanto dichiarata la nullità della ipoteca iscritta.
Le
spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in
dispositivo.
La
spa Gerit Equitalia va inoltre condannata ai sensi del
terzo comma dell'art.96 cpc. che prevede che:
Se
risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in
giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su
istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle
spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di
ufficio, nella sentenza.
Il
giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è
stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta
domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale,
oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su
istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento
dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha
agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei
danni è fatta a norma del comma precedente.
In
ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi
dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può
altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a
favore della controparte, di una somma equitativamente
determinata
La
norma del terzo comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69
(GU 95 L 19.6.2009) ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha
cambiato completamente il quadro previgente con alcune
importanti novità:
- in
primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare
l'esistenza di un danno che abbia tutti i connotati
giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo
semplicemente previsto che il giudice condanna la parte
soccombente al pagamento di un somma di denaro ;
- non
si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si
pensa alla parte a cui favore viene concesso) o una
punizione (per aver appesantito inutilmente il corso
della giustizia, se si ha riguardo allo Stato) di cui
viene gravata la parte che ha agito con imprudenza,
colpa o dolo;
-
l'ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità
del giudice che ha come unico parametro di legge
l'equità per il che non si potrà che avere riguardo, da
parte del Giudice, a tutte le circostanze del caso per
tarare in modo adeguato la somma attribuita alla parte
vittoriosa;
- a
differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo
comma) il Giudice provvede ad applicare quella che si
presenta né più né meno che come una sanzione d'ufficio
a carico della parte soccombente e non (necessariamente)
su richiesta di parte;
-
infine, la possibilità di attivazione della norma non è
necessariamente correlata alla sussistenza delle
fattispecie del primo e secondo comma.
Come
rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la
condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia
nelle situazioni di cui ai primi due commi dell'art. 96
e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in
cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due
commi, appaia ragionevole.
Volendo concretizzare il precetto, vengono in mente i
casi in cui la condotta della parte soccombente sia
caratterizzata da colpa semplice (ovvero non grave, che
è l'unica fattispecie di colpa presa in esame dal primo
comma), ovvero laddove una parte abbia agito o resistito
senza la normale prudenza (fattispecie diversa da quelle
previste dal primo e secondo comma).
Poiché non è pensabile che possa essere sanzionata la
semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla
contesa giudiziale, chi scrive opina che debba sempre
esistere qualcosa di più, tale che la condotta
soggettiva in esame risulti caratterizzata da
imprudenza, dolo o colpa (la sussistenza dei quali potrà
essere ravvisata anche applicando i ben noti parametri
della prevedibilità ed evitabilità dell'evento, in
questo caso della soccombenza).
Come
detto, invece, non è necessario che vi sia stato a
carico della parte vittoriosa un danno.
O
meglio non si tratta di una condizione necessaria come
nei casi del primo e del secondo comma dell'articolo in
commento.
Naturalmente laddove risulti un danno (patrimoniale o
non patrimoniale) questo contribuirà insieme a tutte le
altre circostanze alla formazione della valutazione del
Giudice sul punto della responsabilità della parte
condannata, specialmente per quanto riguarda il quantum
della somma da porle a carico.
Nel
caso di specie considerate le circostanze elencate ai
n.ri 1 e 2 non vi è dubbio che la soccombente abbia
agito abusando, in modo clamoroso, del suo diritto di
iscrivere ipoteca legale, con dolo.
Ed
invero essendo stata parte del procedimento nel quale
era stata sospesa l'esecutorietà del titolo, non poteva
non sapere che l'ipoteca che successivamente iscriveva
era del tutto illegittima.
L'ammontare della somma deve essere proporzionato
1.
allo stato soggettivo della spa Gerit Equitalia (e per
essa dei suoi organi operativi), che in questo caso è da
qualificarsi doloso; infatti la convenuta essendo parte
costituita della causa nella quale il Giudice aveva
sospeso l'esecutorietà non poteva non sapere che non
doveva assolutamente, non poteva assolutamente scrivere
ipoteca; l'averlo fatto connota condotta volontariamente
arbitraria;
2.
alla qualità del responsabile, in questo caso
trattandosi di soggetto di notevolissime dimensioni,
necessariamente ben strutturato, come si evince
logicamente dalla necessità di supportare con una
adeguata estesa e competente organizzazione lo
svolgimento delle funzioni che in epigrafe accompagnano
la ragione sociale (.. Agente per la Riscossione della
Provincia di Roma). A tale soggetto sono concessi grandi
poteri (per rimanere ai più noti, ipoteca legale, fermo
di veicoli e natanti..) ai quali, come è giusto, si deve
accompagnare un senso di responsabilità, di prudenza, e
di equilibrio appropriati alla funzione latu sensu
pubblica che l'Agente esplica;
3.
alla importanza della misura cautelare o esecutiva di
cui si discute. Nel caso di specie si tratta di vincolo
assai invasivo e penalizzante per chi lo subisce, sia
dal punto di vista oggettivo (è del tutto inutile
soffermarsi a ricordare gli effetti dell'ipoteca, quelli
diretti e quelli indiretti, sulla commerciabilità del
bene, sulla possibilità di ottenere mutui e
finanziamenti e via dicendo) e sia dal punto di vista
soggettivo, per lo stress, l'agitazione, la
preoccupazione per le gravi conseguenze, la vergogna ed
altri sentimenti che secondo id quod plerumque accidit
invadono chi lo patisce;
4.
alla forza ed al potere economico del responsabile.
Attesa infatti la funzione, sopra esplicitata del nuovo
istituto, non v'ha dubbio che la somma che il Giudice
pone a suo carico debba costituire un efficace
deterrente per la reiterazione di analoghe condotte.
Diversa di conseguenza sarà la somma a valere per un
pensionato sociale rispetto a soggetto dotato di elevati
mezzi economici;
5.
alla condotta processuale della convenuta. La Gerit non
ha manifestato alcuna resipiscenza esponendo argomenti
errati o non pertinenti alla fattispecie:
a.
l'illustrazione delle caratteristiche e finalità
astratte dell'ipoteca legale è inutile ed irrilevante
disquisizione teorica;
b. la
spa Gerit era parte del procedimento davanti al GDP per
l'annullamento della cartella esattoriale de qua. Nel
provvedimento di fissazione dell'udienza al 6.11.2008 il
GDP sospendeva la esecutorietà del titolo, sicché alla
data del 4.11.2009 (comunicazione iscrizione ipoteca) la
spa Gerit sapeva benissimo dell'avvenuta sospensione;
c.
non è vero, come si legge nella comparsa del 6.4.2010
della spa Gerit, che il giudizio di merito sia in corso;
al contrario in data 18.2.2010 la cartella de qua veniva
annullata con sentenza;
d.
come comprova il fascicolo di parte spa Gerit, dal quale
non risulta alcun documento depositato, è affermazione
priva di riscontro che la procedura di iscrizione
ipotecaria sia stata chiusa;
e.
l'affermazione che la cartella esattoriale sia stata a
suo tempo notificata è del tutto irrilevante ed esposta
senza alcuna ragione.
Tutto
ciò considerato e valutato, la somma che si reputa equo
attribuire all'attrice ed a carico della spa Gerit
Equitalia è quella di €.25.000,00.
La
sentenza è per legge esecutiva.-
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda
eccezione e deduzione respinta, così provvede:
ANNULLA l'ipoteca legale iscritta in data 4.11.2009
(provv. n. …) dalla Spa Equitalia Gerit in persona
del suo legale rappresentante pro tempore sugli immobili
di T. B.;
CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale
rappresentante pro tempore al pagamento delle spese di
causa che liquida in favore di T. B. in complessivi
€.5.000,00 di cui €.800,00 per spese, oltre IVA e CAP;
CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale
rappresentante pro tempore al pagamento in favore di T.
B. ed ai sensi dell'art. 96 III° comma cpc della somma
di €.25.000,00 oltre interessi legali dalla data della
sentenza al saldo.
1
Estratto dal volume “Come applicare la procedura civile
nel contenzioso tributario” Maggioli Editore 2011 |