Autore: dr. Massimiliano Molinari
Recentemente, nella prima pagina di un
quotidiano, risaltava la notizia che riassumo nei suoi
tratti salienti: Tizio, dopo aver trovato su un muretto
un telefono cellulare (per il cui furto era stata
presentata denuncia), a chi lo vide appropriarsene,
dichiarava che era sua intenzione recarsi presso le
forze dell’ordine per restituirlo, operazione che
puntualmente non avveniva.
Dopo quindici giorni, questi riaccendeva
l’apparecchio e vi inseriva una propria sim sicché,
individuato dalle forze dell’ordine, alle quali
dichiarava di non aver ancora potuto provvedere alla
consegna dell’oggetto essendovi stato impedito da
impegni di lavoro, veniva rinviato a giudizio per
ricettazione e condannato alla pena di 3 mesi di
reclusione ed euro 160 di multa.
Aveva tale persona veramente violato
l’art. 648 c.p. oppure la sua condotta doveva farsi
ricadere nell’ambito della fattispecie delittuosa ben
più lieve prevista e punita dall’art. 647 c.p.?
Per soddisfare immediatamente la
curiosità del lettore, dirò che concordo pienamente con
il titolo di reato in base al quale Tizio è stato
condannato e ciò per i motivi che esporrò più avanti
quando tratterò dello smarrimento di telefoni cellulari.
Ora che vi ho un po’incuriositi,
comincerò a trattare l’articolo 647 c.p., spero, con la
massima completezza possibile, questo il suo dettato:
“ E’ punito, a querela della persona
offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa
da Euro 30 a Euro 309;
1) chiunque, avendo trovato denaro o
cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare
le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della
proprietà di cose trovate;
2) chiunque, avendo trovato un tesoro,
si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al
proprietario del fondo;
3) chiunque si appropria cose, delle
quali sia venuto in possesso per errore altrui o per
caso fortuito.
Nei casi preveduti dai nn. 1 e 3, se il
colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è
appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni
e della multa fino a Euro 309. ”.
A causa delle modifiche legislative
operate dal decreto legislativo n. 274/2000, sulla
sussistenza di tale delitto è competente a decidere il
Giudice di Pace (art. 4, comma primo, lettera a), mentre
la pena ora prevista per le fattispecie di cui al primo
comma (ex art. 52, comma secondo, lettera a) è quella
della multa da euro 258 ad euro 2582 e per quelle
previste e punite dal secondo comma (ex art. 52, comma
secondo, lettera c), quella della multa da euro 774 ad
euro 2582.
Il tempo di prescrizione del delitto in
esame, ex art. 157 c.p., é di 6 anni sia per quanto
riguarda la violazione del primo comma che del secondo;
è delitto a dolo generico, il tentativo é configurabile,
con procedibilità a querela di parte, attenuanti
compatibili, gli artt. 62, comma 4 e 6, c.p..
Tale fattispecie trova il proprio
momento consumativo quando, alla condotta consistente
nell’ apprensione del bene smarrito, che fa insorgere
nel ritrovatore gli obblighi previsti dal codice civile
agli artt. 927 e seguenti (elemento oggettivo), si
combina l’elemento soggettivo appropriativo ossia la
voluntas rem sibi habendi, che sarà dimostrabile o con
la prova offerta dalla confessione di questa da parte
dell’imputato o attraverso gravi, precisi e concordanti
indizi (ex art. 192 c.p.p.) che verranno desunti da una
condotta, incompatibile con la volontà di restituire.
L'opzione non appropriativa e i regolamenti
comunali
Ciò che deve essere chiaro è che quando troviamo
qualcosa lungo la strada od in altro luogo, sappiamo
sempre e comunque che quella cosa non è nostra e che
possiamo liberamente impossessarcene solo se è stata
derelitta dal suo legittimo proprietario, così come
previsto dall’art. 923 cc. che stabilisce: “Le cose
mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano
con l’occupazione. Tali sono le cose abbandonate e gli
animali che formano oggetto di caccia o di pesca.” Per
cui se la cosa non è una res nullius e la si trattiene
uti dominus, si commette, in ogni caso, un reato.
Nel momento in cui tale cosa, qualunque essa sia, anche
denaro, viene da noi individuata, siamo obbligati ad
operare una scelta:
lasciarla lì dove si trova, senza complicarci la vita
oppure, dopo aver necessariamente raccolto la cosa per
esaminarla,
o riposizionarla nel luogo dove si trovava o, in
alternativa, in uno vicino magari più visibile, al fine
di agevolare la ricerca ed il ritrovamento di questa, da
parte dello smarritore;
oppure trattenerla, per puro spirito civico, lo stretto
tempo necessario, per recarsi a consegnarla alla più
vicina stazione delle forze dell’ordine o presso
l’ufficio oggetti smarriti del comune, affinché si
provveda all’identificazione del proprietario e consegua
la riconsegna;
od infine, compiere quanto al punto precedente, presso
il competente ufficio comunale, per poter ottenere dal
proprietario il premio previsto dall’art. 930 c.c. od in
alternativa, la proprietà della stessa ex art. 929 c.c.,
qualora questi non si presenti per reclamarla entro un
anno dall’ultimo giorno di pubblicazione del
ritrovamento nell’albo pretorio, quindi dopo circa un
anno ed un mese.
Sugli aspetti giuridici ex art. 929 c.c., vale la pena
procedere ad un approfondimento, visti gli ipotetici
risvolti penalistici che potrebbero conseguire a
condotte non rispettose del diritto di colui che diviene
ex novo proprietario delle cose smarrite.
Maturato il periodo di legge, le cose smarrite, che sono
state consegnate all’ufficio oggetti smarriti o, più
correttamente, oggetti rinvenuti, del Comune,
a) hanno tutte un proprietario, ossia il ritrovatore;
b) di cui l’amministrazione conosce perfettamente
l’identità e la residenza;
c) il quale viene, non rare volte, di fatto, costretto
contro la propria volontà, a non esercitare il proprio
diritto (in ragione dei tempi e costi di causa che
conseguirebbero per riottenerne la proprietà agendo
contro il sindaco), a mio avviso a causa di pratiche
giuridicamente poco corrette, da parte di alcuni Comuni,
e vado a spiegarmi.
A norma dell’art. 929 c.c., il diritto di proprietà
viene automaticamente acquisito dal ritrovatore, allo
scadere del periodo indicato (acquisizione per
invenzione sottoposta a condizione sospensiva), se ne
ricorda il chiaro dettato:
“ Trascorso un anno dall’ultimo giorno della
pubblicazione senza che si presenti il proprietario, la
cosa oppure il suo prezzo, se le circostanze ne hanno
richiesto la vendita, appartiene a chi l’ha trovata…” e,
come è risaputo, il diritto di proprietà non é
sottoponibile a termini di decadenza, né a prescrizione
alcuna, per cui sono da ritenersi non giuridicamente
corrette, le formule, rinvenute in alcuni regolamenti
comunali per gli oggetti rinvenuti, che così
pronunciano:
“Art.50:…trascorso un anno dalla pubblicazione…gli
oggetti o i valori ritrovati, spettano al rinvenitore,
il quale può esercitare tale diritto entro 30 giorni dal
termine predetto..” (comune di Grosseto [1]) ;
“Art.7:…il cittadino che ha ritrovato l’oggetto può
esercitare il diritto ad acquisirne la proprietà entro
il termine di 60 giorni consecutivi dalla scadenza a
pena di decadenza” (comune di Milano [2]);
“Art. 13 n.2) Il ritrovatore potrà ritirare l’oggetto di
cui è divenuto proprietario entro tre mesi dalla data
suddetta, previo pagamento delle spese di cui all’art.
11. 3) In assenza di esplicita manifestazione di volontà
di acquisire la proprietà del bene entro il medesimo
termine decadono i diritti del ritrovatore.” (comune di
Pramaggiore [3]).
Anche se riguardante una tematica diversa, vale la pena,
a puro titolo di curiosità, riportare pedissequamente
l’incredibile dettato dell’art. 7 del regolamento del
Comune di Rimini [4]: “Il proprietario, cui l’oggetto
venga restituito, dovrà depositare all’Economo,
contestualmente al ritiro, l’importo del premio dovuto
al rinvenitore, stabili(to) ai sensi dell’art. 930 del
C.C.”: se veramente il funzionario comunale si
rifiutasse di riconsegnare il bene allo smarritore, che
dopo aver pagato le spese si rifiutasse di sborsare il
premio, la sua condotta soddisferebbe l’elemento
oggettivo del reato di estorsione ex art. 629 c.p..
E’ giusto ricordare, visto che alcuni regolamenti (che
sarebbe il caso che venissero ampiamente corretti) sono
rappresentativi, a mio avviso, di future condotte che
non vedo come non definire penalmente rilevanti,
risolvendosi in vere e proprie appropriazioni indebite,
che la proprietà degli oggetti ritrovati può nascere in
capo alla Amministrazione Comunale solamente nei
seguenti modi:
1) ex art. 923 c.c. (occupazione), quindi per derelictio
del ritrovatore, oppure
2) per donazione, oppure
3) per usucapione decennale ex artt. 1161 e 1164 c.c..
Un numero enorme di comuni ritiene, a mio avviso del
tutto erratamente, di poter riuscire a fare propri i
beni ritrovati, in forza di esplicita previsione
contenuta nei propri regolamenti in materia,
attribuendosi o il potere di operare una forma di
acquisizione breve, sui generis, oppure creando una
sorta di presunzione “normativa” di derelizione, nel
caso in cui il ritrovatore-proprietario (spesso neppure
avvisato dal comune stesso) non si presenti a ritirare
il bene in tempi stabiliti a propria purissima
discrezionalità.
Ragionando su tale metodologia di comportamento, si
ravvede come il regolamento comunale, e di conseguenza
la persona del sindaco se lo applica, a priori ritiene
che tutti i beni che sono stati smarriti e non
reclamati, siano derelitti, cosa inaccettabile, ne sia
prova il fatto che sia il sindaco, sia coloro che hanno
approvato il regolamento, sono a conoscenza di
un’ovvietà, cioè che quando i beni sono di valore,
soprattutto se notevole, sono senza dubbio alcuno da
intendersi unicamente “cose dimenticate”, non di certo
abbandonate, delle quali ci si può ricordare entro 10
anni e rivendicarne la proprietà.
Un articolo di un regolamento, a titolo di esempio, tra
i tantissimi uguali o simili rappresentabili dice:
“Art. 8)…Trascorso un anno…sarà messo a disposizione del
ritrovatore, il quale lo potrà ritirare entro trenta
giorni dalla data predetta…Art. 9) Decorsi i termini
senza che il proprietario o il ritrovatore si siano
presentati a reclamare l’oggetto, questo diventerà
dell’Amministrazione Comunale.”(Comune di Fiumicino
[5]; conformi comuni di Crema, Modena, Grosseto,
Arezzo),
ma i Comuni non possono derogare alle norme civilistiche
inerenti i modi d’acquisto della proprietà: norme
regolamentari, volte a limitare, in qual si voglia modo,
l’altrui diritto di proprietà, sono tanto illegittime
quanto colpite da eccesso di potere, quindi non
opponibili al ritrovatore (così come al suo erede), che
si presenti dopo il termine a chiedere la consegna del
proprio bene, ritrovatore che potrà agire sia in sede
civilistica che penalistica, nel qual caso il titolo di
reato ipotizzabile sarebbe, all’evidenza, appropriazione
indebita ex art. 646 c.p.: i tempi di presentazione
della querela saranno novanta giorni dal rifiuto della
consegna, dopo di che potrà procedere solo per via
civilistica.
Qualora si ritenesse che, tali norme regolamentari, non
siano volte ad operare un’acquisizione per occupazione,
ma vogliano farlo attraverso una sorta di donazione
tacita, non si potrebbe non rilevare, come tale atto di
liberalità, non sia contemplato nel nostro sistema
giuridico che, invece, prevede per quella fattispecie
negoziale, una manifestazione di volontà esplicita
dell’avente diritto così, nel caso in cui il
ritrovatore, sua sponte, dichiarasse al momento della
consegna del bene reperito, di rinunciare alla futura
proprietà del bene, qualora questo non venisse reclamato
dallo smarritore, ciò a favore del Comune, esemplare in
tal senso l’articolo 18 n. 3 del regolamento delle Terre
D’Argine [6] (Carpi, Campogalliano, Soliera, Novi di
Modena) che dice: “Il ritrovatore, all’atto contestuale
della consegna dell’oggetto, può dichiarare il proprio
disinteresse ad acquisirne la proprietà decorso il
periodo previsto dalla legge, ed esplicare la propria
volontà di lasciare il bene al patrimonio dell’Unione
qualora non sia rintracciato il legittimo
proprietario.”,
venendosi a violare il dettato dell’art. 771, comma 1,
c.c., che si ricorda stabilire:
“La donazione non può comprendere che i beni presenti
del donante. Se comprende beni futuri, è nulla rispetto
a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora
separati.”, il comune non potrà acquisire la proprietà,
essendo la donazione nulla.
Pur rilevando che molti Comuni, con maggior correttezza
rispetto ad altri, inviano comunicazione ai ritrovatori,
circa la futura acquisizione “regolamentare”, anche in
questo caso, il bene del ritrovatore, non potrà essere
trasformato in derelitto per fatti concludenti.
Le previsioni regolamentari, possono unicamente
sostanziare una interversio possessionis ex art. 1164,
primo comma, c.c., quindi devono far trasparire il
seguente tenore: “Io Comune, che per legge detengo il
tuo bene, se non ti presenti a ritirarlo nei termini che
sono costretto a porre per motivazioni contingenti (es.:
carenza di spazi), inizio, scaduti gli stessi, ad
esercitarne il possesso uti dominus, possesso che si
trasformerà in diritto di allo scadere dei 10 anni
previsti dall’art. 1161, primo comma, c.c.”.
Un esempio pratico convincerà il lettore della validità
di quanto sinora sostenuto: un lettore di questo
scritto, durante le vacanze in una località molto
distante dalla sua residenza, nel mattino di un giorno
feriale, camminando sulla spiaggia, od altrimenti,
reperisce una collana di grande valore, che prontamente
porta alla vicina casa comunale, all’ufficio oggetti
rinvenuti, a quell’ora aperto: quid juris alla scadenza
del termine capestro posto dal comune?
La cosa sarà derelitta oppure più probabilmente
dimenticata, ossia sarà presente o desumibile l’animus
dereliquendi, od invece il proprietario, scevro da
qualunque volontà rinunciataria, si riserva di andarla a
riprendere quando se ne ricorderà (magari reperendo tra
le sue carte la nota di consegna) oppure se non
dimentico, quando avrà tempo di recarsi in loco, pagando
le spese che devono essere stabilite su base
giornaliera?
Dall’esame della grandissima maggioranza dei regolamenti
che ho consultato (fanno stimabile eccezione, a titolo
di esempio quello di Monteroni D’Arbia, Morciano di
Romagna, Rieti e Terre D’Argine), ho rilevato come dai
Comuni non solo vengano imposti ai
ritrovatori-proprietari, per il ritiro del proprio bene,
termini,
illegittimi (si noti come spesso i redattori dei
regolamenti non conoscano la differenza tra possesso e
proprietà), anche soltanto in quanto stabiliti
unilateralmente dal Comune creditore delle spese di
deposito a proprio totale favore, andando a risolversi,
di fatto, in una sorta di clausola vessatoria ex art.
1341, secondo comma, c.c. (…In ogni caso non hanno
effetto, se non sono specificamente approvate per
iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di
colui che le ha predisposte,…o sanciscono a carico
dell’altro contraente decadenze…),
ma anche, quanto siano, pure, molto stretti e
penalizzino soprattutto i ritrovatori residenti fuori
dal Comune interessato, i lungodegenti, le persone
all’estero, gli eredi, ecc., sicché, spesso anche senza
preventivamente avvisare il ritrovatore, dichiarano
proprio il bene allo scadere di 90, 60 e finanche 30
giorni,
di fatto denotando la poco elogiabile volontà di cercare
di approfittare di un’eventuale scarsa memoria dei
ritrovatori.
La cosa smarrita, secondo il vocabolario
Il punto ora da esaminare riguarda, come ovvio, la
definizione della parola smarrire
che, a rigore di vocabolario, significa:
“ Perdere, ma non senza speranza di ritrovare [7]”,
“ Non riuscire più a trovare qualcosa che prima si aveva
o si sapeva dove fosse [8]”,
“ Non trovare più qualcosa che si aveva con sé [9]”,
“ Perdere qualcosa, non riuscire più a trovarla [10];
La cosa smarrita secondo le massime della
Cassazione
per la Cassazione Civile (sent. 944/1954) “…si ha
cosa smarrita quando la stessa, uscita per un accidente
fortuito dal possesso (inteso come disponibilità
materiale) del proprietario, ma non dal suo
patrimonio…mentre il proprietario (o possessore o
detentore) ignori dove la cosa si trovi e perciò non
abbia che un’incerta possibilità di recupero… [11]”;
nella massima della sentenza n. 100125/1965, ad opera
della terza sezione penale, la Corte di Cassazione
Penale così si pronuncia: “Perché possa parlarsi di cosa
smarrita ai fini dell’applicazione dell’art. 647 c.p. è
necessario il concorso di due elementi: uno oggettivo e
uno soggettivo. Oggettivamente, occorre che la cosa sia
uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; dal
punto di vista soggettivo, si richiede che la persona
che la deteneva non sia più in grado di ricostruire
sulla cosa il primitivo potere di fatto, perché ignora
il luogo in cui essa si trova. Non può considerarsi
smarrita la cosa che sia stata dimenticata in un luogo
che il possessore è in grado di ricordare, sì da poterla
ricercare agevolmente. Per escludere lo smarrimento ,
sotto il profilo soggettivo, è necessario e sufficiente
che, nell’avvedersi di non avere con sé la cosa, la
persona ricordi ove l’ha lasciata sì da poterla
agevolmente ricercare e recuperare [12]”;
sempre la Cassazione Penale, sez II, con la sentenza n.
4420/1985, ha stabilito: “ L’ipotesi di cui all’art.
647, n.1, c.p., ricorre quando concorrono il requisito
obiettivo per il quale la cosa sia stata effettivamente
smarrita e sia, perciò, uscita dalla sfera di
sorveglianza del possessore, e quello subiettivo, per il
quale occorre che colui, il quale la deteneva, non sia
più in condizione di riacquistare il primitivo stato di
fatto sulla cosa stessa [13]”;
ancora la Cassazione Penale, sez. VI, n. 9764/1982, ha
dichiarato che “…la cosa si considera oggettivamente
smarrita, quando concorrano due elementi: a) l’uscita
dell’oggetto dalla sfera di sorveglianza del detentore,
b) l’impossibilità per il possessore di ricostruire
l’originario potere di fatto sulla res, perché ignora il
luogo ove essa si trovi [14]”;
infine, quasi mi dimenticavo di segnalarla, la sez. III
penale, alla sentenza n. 105975/1967 ha affermato: “Si
ha “cosa smarrita” quando involontariamente il
possessore perda sulla cosa la potestà di fatto, per
l’intervento di un ostacolo materiale e permanente. Si
ravvisa tale qualificazione tutte le volte che la cosa
non possa essere recuperata senza incerte indagini,
perché in tal caso deve considerarsi uscita dalla sfera
di custodia del possessore: si esclude, invece, quando
la cosa sia stata dimenticata in un luogo che il
possessore ricorda, sì da poterla ritrovare facilmente
[15]”.
La cosa smarrita secondo il senso comune
Tanto esposto, il primo problema, che si va ad
affrontare, sta nel trovare il senso da attribuire alla
locuzione “incerte indagini”, reperibile anche in altra
Cassazione, oltre a quella segnalata: ad oltre
quarant’anni dal suo pronunciamento, le cose sono ben
cambiate: i mezzi, anche tecnologici, ed i sistemi di
indagine, di cui gli investigatori possono avvalersi,
sono astrattamente, sempre, in grado di giungere al
ritrovamento (salvo altrui apprensione del bene), ma
spesso manca la volontà di utilizzarli, normalmente per
il loro costo oggettivo, quindi queste “incerte
indagini” non sono da prendersi in alcuna considerazione
ai fini della definizione di cosa smarrita, sia perché
sorpassate, sia perché non appartenenti al senso
letterale del vocabolo, sia perché non desumibili da
alcuna norma giuridica con cui l’art. 647 c.p. fa
sistema.
Ciò anteposto, si cercherà di proporre una definizione
di cosa smarrita giuridicamente e logicamente
accettabile andando, di conseguenza, a delineare il
reale perimetro da assegnare all’ignoranza del luogo ove
si trova il bene smarrito che, a prima vista,
sembrerebbe confinato alla totale ed assoluta
misconoscenza del luogo della perdita della detenzione,
ciò, di fatto, limitando l’ambito di operatività
dell’art. 647 c.p. alla perdita di animali da compagnia
ed a casi estremi, rarissimi (che esemplificherò alla
fine della pagina che seguirà), per i quali la scoperta
dell’apprensore sarebbe legata ad occasionalità quasi
miracolose.
Le massime indicano, come sopra visto, quando, a parere
della Corte, si tratti di cosa smarrita e quando,
invece, di cosa dimenticata, definendo quest’ultima,
linearmente, quale quella di cui si ricorda il luogo in
cui è stata lasciata, mentre riguardo la cosa smarrita,
andando a compiere un’operazione interpretativa che,
risolvendosi nel travalicarne il senso comune, limitando
inoltre il proprio esame, al solo punto di vista
dell’elemento soggettivo di colui che si trova
spossessato del bene, crea non irrilevanti problemi
pratici.
Ad avviso dello scrivente, la corretta definizione si
può dedurre, ritenendo che la Cassazione (minus dixit
quam voluit!) abbia voluto in verità pronunciarsi nel
senso che, ove la cosa non sia dimenticata, ossia non ci
si possa agevolmente recare nel preciso luogo ove è
stata lasciata (es.: appoggiata sull’appendiabiti od ad
una sedia o nel portaombrelli di un locale, sulla sedia
al cinema o teatro, sul bancone di un esercizio
commerciale, sulla panchina sulla quale ci si è fermati
a riposare, nel proprio ufficio, nell’armadietto in
palestra, ecc. ) e recuperarla, di conseguenza, a colpo
sicuro, si abbia sempre, per esclusione, la cosa
smarrita (o rubata).
Quindi in base a questa teoria, risulterebbe che la cosa
smarrita sarebbe quella della cui ubicazione non si ha
conoscenza del tutto od in parte (ignoranza assoluta o
relativa dell’allocazione del bene), così interpretando
estensivamente il pensiero della Corte che dichiara, lo
si ricorda. “…ignori dove la cosa si trovi…, ignora il
luogo ove essa si trovi….”, aggiungendo, di fatto, la
locuzione “del tutto o con precisione”, si otterrà come
risultato, il vero significato logico della parola,
riflettendo inoltre, il senso che ad essa viene
comunemente dato dall’uomo medio.
Ritengo sia opportuno sottolineare quanto è nel bagaglio
d’esperienza di ognuno dei miei lettori: quando si
smarrisce una cosa, di norma, non si sconosce mai del
tutto il luogo ove si trova, in quanto si sa dove e
quando si trovava l’ultima volta che era stata vista dal
possessore-detentore e dove e quando si ha avuto
contezza del casuale spossessamento, quindi il bene è
stato perduto lungo il percorso effettuato tra il primo
ed il secondo ambito spazio-temporale per cui, se si
percorre questo a ritroso (con o senza utilizzo di mezzi
di ricerca), il bene si dovrebbe agevolmente recuperare.
Chiarito questo concetto, se non si ritiene corretto
quanto finora dedotto e si preferisce adottare
l’alternativa interpretazione delle massime, non si può
non rilevare la distorsione che ciò andrebbe a creare,
infatti, adottando il pensiero in base al quale essendo
da ritenersi smarrito il bene unicamente nei casi in cui
si trovi ove lo smarritore non ha la più pallida idea
sia (quindi non potendo fornire alcuna indicazioni ad
indagini che sarebbero al limite dell’impossibile) e in
quelli in cui, per il recupero di tale bene, vi siano
impedimenti notevoli (ex Cass. 105975/67 prima
riportata), oppure, nel caso limite dell’oggetto di uno
smarritore smemorato, si giungerebbe a punire
praticamente sempre, a titolo di furto, anche colui il
quale, trovato qualcosa altrui per strada, foss’anche un
guanto od un ninnolo da zaino, se ne andasse ad
impossessare.
Per essere precisi, nel caso dello smarritore smemorato,
se è vero che di norma tale caratteristica è
irrilevante, comunque tale situazione psicologica di
sconoscenza, di logica, farà si che la cosa diventi
oggettivamente smarrita.
Il senso che comunemente viene dato alla parola cosa
smarrita è semplicemente quello di cosa uscita dalla
sfera di sorveglianza, per distrazione od accidente: la
finezza inerente la conoscenza o meno del luogo esatto o
non, di smarrimento, è una deduzione solo frutto dei
giudici della Cassazione.
Infine, per eliminare qualsiasi residuo di scetticismo,
mi preme sottolineare come una persona che viola le
norme penali, sia sempre consapevole della natura del
reato che ha commesso quindi, sa se ruba o ricetta o
commette un’appropriazione indebita e così via…ciò non
avverrebbe, caso straordinario, nel caso in cui si
volesse ritenere che sia smarrita la cosa di cui si ha
la totale, e solo questa, sconoscenza del luogo ove è
stata smarrita, per cui a fronte di una adprehensio di
cosa trovata per strada, cambierebbe il reato se lo
smarritore è in grado o no di ricordare, sicché il reo
verrebbe a sapere se ha commesso il delitto previsto e
punito dall’art. 647 c.p. o dall’ art. 624 c.p., solo
leggendo il tenore della denuncia di smarrimento, il che
sarebbe francamente inaccettabile.
La cosa smarrita e la sfera di sorveglianza
Per essere più precisi, dobbiamo rilevare che la
definizione offerta dalla Corte, riguardo la cosa
dimenticata, soffre di una grave carenza interpretativa,
che si va immediatamente a colmare, operazione che andrà
a risolvere, di conseguenza, ogni dubbio interpretativo
riguardante la collegata cosa smarrita.
A tal fine, di grande importanza, risulterà la
definizione che comunemente si da di una cosa che non si
trova nella nostra sfera di sorveglianza, (che può
essere cosa persa, dimenticata, rubata o smarrita, dove
persa diventa sinonimo di smarrita), del resto la legge
va interpretata anche secondo il senso letterale delle
parole.
Facciamo qualche esempio di casi nei quali può venire,
per distrazione od accidente lasciata incustodita una
cosa:
1) un soggetto, che va a trovare una persona cara
ricoverata in ospedale, dimentica nella stanza
dell’ammalato una borsa;
2) uno studente esce un momento dall’Università
lasciando in aula studio lo zaino;
3) una commensale lascia la borsetta appesa al bracciolo
della sedia al ristorante;
4) un tale, per la fretta di scendere, lascia una
valigia sul portapacchi di un treno;
5) lo studioso dimentica il cappello o l’ombrello
nell’appendiabiti di una biblioteca;
6) la massaia appoggia il portafoglio sul banco della
macelleria per mettere l’acquistato nelle borse ed esce
dimenticando di riprenderlo:
in tutti i casi esposti, si è soliti definire la cosa
come dimenticata: “Ho dimenticato la data cosa in aula,
in biblioteca, dal macellaio, sul treno, al ristorante,
ecc.”, a nessuno verrebbe in mente di dire. “l’ho
smarrita in biblioteca, in aula, al ristorante, in
treno, ecc.”, perché?
Tutti i luoghi portati ad esempio, hanno delle
caratteristiche in comune, si noti bene, infatti, che
A) sono luoghi aperti al pubblico, o mezzi di trasporto,
B) i quali alla fine della giornata, o del tragitto,
vengono chiusi,
C) dove talvolta opera personale addetto alla raccolta e
consegna degli oggetti smarriti,
D) per cui se qualcuno non si appropria della cosa ivi
dimenticata, il giorno dopo, o semplicemente più tardi,
lo smarritore tornato sui suoi passi, entrato in loco
dovrebbe tornare in possesso del suo,
E) in tutti questi casi lo smarritore conosce il luogo
ove si trova l’oggetto, ma parrebbe proprio non avere
dominio sulla cosa, uscita dalla sua sfera di
sorveglianza, ma è così?
La risposta è no e questa la soluzione che offro:
premessa l’irrilevanza dell’appropriazione ai fini di
qualsiasi definizione, vi sono casi nei quali la sfera
di sorveglianza del titolare del diritto di proprietà,
può essere trasferita ad altri per contratto (vedasi il
caso del bagaglio aereo), od altra ragione, oppure sulla
stessa cosa possono sovrapporsi diverse sfere di
sorveglianza (es.: studente-insegnante-scuola,
figlio-genitore, ecc.); è da ritenersi che ove la sfera
non passi contrattualmente dal titolare, al vettore o al
depositario o al comodatario, ecc., questa passi ad
altri soggetti, anche per obbligo sociale, uso o
consuetudine, se non per correttezza e buona fede,
venendosi a creare una obbligazione per contatto
sociale, per esempio tra la biblioteca e lo studioso,
tra l’alunno e la scuola, il trasportato ed il
trasportatore e così via, ciò facendo si che il
controllo venga di fatto demandato ad altri.
Un esempio sgombrerà eventuali dubbi: guardiamo al caso
della signora che lascia sul banco del macellaio il
portafoglio e quando torna indietro il negoziante se ne
è appropriato, quale reato avrà questi commesso tra il
647, secondo comma, c.p. ed il 624 c.p.?
Egli, in verità, è, innanzi tutto, sia per correttezza,
che per prassi sociale, tenuto a mettere da parte le
cose dimenticate o cadute alla persona, reperite alla
chiusura dell’esercizio, se poi si aggiunge che è da
reputarsi, inoltre, che ex-lege, sia obbligato a
garantire la sicurezza del cliente, non si vede come non
si possa sostenere che sorga a suo carico, a favore del
cliente, un’obbligazione di tutela, quindi la sfera di
sorveglianza sull’oggetto, passa dal titolare a questi.
Io, quindi, propenderei per la seconda ipotesi.
Per riepilogare, quindi, l’oggetto lasciato in un luogo
aperto al pubblico (ospedali, ristoranti, scuole,
stazioni, supermercati, mezzi di trasporto, sale
conferenze, cinema, ecc.) non esce dalla sfera di
sorveglianza, che passa dal titolare, all’obbligato da
contratto o contatto, sicché appropriarsi di qualcosa
lasciato in tali luoghi sostanzierà il delitto di furto,
mentre quello lasciato in luoghi pubblici (strade,
parchi, boschi, ecc.) il quale, sic et simpliciter, esce
dalla sfera di sorveglianza dello smarritore, potrà
interessare l’art. 647 c.p..
Ragionando dal punto di vista dell’appropriatore, per
completezza di visione, se questi consumerà la propria
condotta in luogo aperto al pubblico, saprà di
commettere:
1) se il bene sarà nella sfera di sorveglianza del
detentore, furto, anche con dolo eventuale;
2) se il bene sarà cosa dimenticata, parimenti furto, in
quanto la cosa viene tolta volontariamente dalla sfera
di sorveglianza dell’obbligato da contatto e comunque in
quanto accettato il rischio del ritorno del detentore
che conosca il luogo della perdita della detenzione;
se invece consumerà il suo reato in un luogo pubblico,
sapendo che non vi è spostamento della sfera di
sorveglianza,
che l’oggetto è fuori da tale sfera nonché
che il titolare non sa esattamente ove quanto smarrito
si trovi,
violerà l’art. 647 c.p..
Lo smarrimento di telefoni cellulari
Di certo ricorderete l’inizio di questo scritto
ovvero quanto accaduto ad Tizio, che avendo trovato un
telefonino senza sim, pur avendo dichiarato che lo
avrebbe restituito, poi non lo fece, venendo di
conseguenza condannato ex art. 648 c.p.: ora spiego
perché, basandomi sul fatto così narrato dal quotidiano,
ritengo accettabilissima la sentenza pronunciata.
Come è nel bagaglio di esperienza di tutti i possessori
di telefono cellulare, quando si porta con sé questo
strumento, esso contiene sempre la scheda sim (se non
due) eccetto nel caso in cui sia stato appena
acquistato, per cui si trova confezionato, con la
pellicola protettiva sul visore, non presentante alcun
graffio né segno alcuno di usura. E’quindi oltremodo
chiaro a qualunque ritrovatore che
Se ci si appropria di un cellulare contenente la sim,
tale l’oggetto sarà da ritenersi uscito momentaneamente
dalla disponibilità del possessore e da ritenersi,
quindi, cosa smarrita.
Qualora l’appropriazione avvenga quando la cosa è ancora
anche astrattamente, visibile o percettibile con i sensi
da parte dello smarritore, che, per esempio può dare le
spalle all’oggetto o si sta allontanando, allora sarà
stato consumato il reato di furto mentre, qualora
l’appropriazione del bene sia in esecuzione, ma venga
interrotto il suo perfezionarsi dall’intervento dello
smarritore, sarà stato commesso un tentato furto (non si
confonda il delitto sotto l’aspetto del diritto
sostanziale con i problemi processuali attinenti alla
prova), infine se il ritrovatore assisterà allo
smarrimento ed attenderà che lo smarritore sia
sufficientemente lontano, si avrà la fattispecie
punibile ex art. 647, comma secondo, c.p., perché
conosce il proprietario.
Diversamente, qualora il telefonino di cui si appropria
non la contenga, come nel caso in esame, dal momento che
questa si trova sempre alloggiata sotto la batteria,
racchiusa, inoltre, in una sorta di gabbietta di
plastica, il ritrovatore non potrà che trarre le
conclusioni che, di quell’oggetto, qualcuno si era
appropriato furtivamente e dopo averlo manomesso,
asportandone la scheda, si era poi liberato della
refurtiva, nel qual caso, consapevolmente va ad
occultare una cosa proveniente da delitto e quindi
risponderà del reato di ricettazione.
Tanto chiarito Tizio è stato condannato correttamente.
Vi é, però, un elemento, di non indifferente rilievo, di
cui tener conto, nel caso in cui si parlasse di
appropriazione di cellulare “smarrito” in luogo
pubblico, infatti, si potrebbe eccepire la circostanza
in base alla quale, in verità, tale strumento, quando é
acceso e con una sim inserita, non esce mai dalla sfera
di controllo del proprietario in quanto, per sua
caratteristica, cercando di continuo il segnale e
venendo quindi trasmesso alla cella a cui cerca di
agganciarsi, sia il codice imei dell’apparecchio che il
numero di telefono della scheda in esso inserita, è
sempre individuabile nel luogo ove si trova e quindi è
facilmente recuperabile a colpo sicuro.
Se tale tesi venisse accettata, si stabilirebbe, di
fatto, che un telefono cellulare, in qualunque stato si
trovi, non sarà mai una cosa smarrita (eccetto lo stato
di evidente inutilizzabilità) ed il trattenerlo
sostanzierebbe o il reato di furto o di ricettazione.
Non essendo accettabile fare eccezioni alle regole
generali, sarà da reputarsi che il cellulare con sim,
sia una cosa smarrita in quanto uscita dalla sfera di
sorveglianza trovandosi fuori dalla percezione dello
smarritore e non sussistendo estensioni o trasmissioni
della sfera di sorveglianza; diversamente ragionando, ci
si dovrebbe anche porre il quesito su come mai si trovi
la voce cellulare sugli Albi Pretori e perché tali
oggetti finiscano poi all’asta quali smarriti…se sono
sempre frutto di reato il Comune dovrebbe consegnarli
tutti alla Polizia Giudiziaria ed il sindaco che non
provvedesse a ciò, commetterebbe il reato di cui all’
art. 361, comma primo, c.p., ossia omissione di denuncia
di reato!
Nel caso della presenza della scheda, potranno
concorrere altri reati, quali il furto del credito
contenutovi e quelli legati alla appropriazione,
consultazione (es.: art. 616 c.p. per lettura sms) ed
eventuale utilizzo o distruzione dei contenuti di questa
“banca dati”, contenitore di dati sensibili dello
smarritore e di altre persone.
Lo smarrimento del Personal computer
Anche se la cosa potrà stupire i non addetti ai
lavori, questo oggetto, negli ultimi tempi, viene
smarrito con non indifferente frequenza, però è
abbastanza evidente, anche solo per il valore e
l’ingombro, come sia difficile pensare ad un computer
portatile quale una cosa smarrita, infatti il più delle
volte il detentore lo dimentica su mezzi di trasporto o
luoghi di studio ove qualcuno se ne appropria.
Per fare un classico esempio di uscita dalla sfera di
sorveglianza del detentore, si potrà ipotizzare il caso
dell’oggetto lasciato temporaneamente sul tavolo di una
biblioteca, mentre si va al bagno, od al prestito, od al
servizio fotocopie, o a conferire con qualcuno, nel qual
caso, se la persona si è appropriata mentre lo
smarritore era ancora nei locali della biblioteca,
sussisterebbe un furto con dolo eventuale,.
E se la persona è uscita dalla biblioteca per un’urgenza
e tornando non trova più il suo p.c., cambia qualcosa?
Dal momento in cui un soggetto dimentica il p.c. in
biblioteca, o in un’aula di studio, ecc., insorge una
obbligazione da contatto tra il fruitore del servizio
bibliotecario-smarritore e la biblioteca, facente si che
al momento dell’uscita dell’oggetto dalla sfera di
controllo del detentore, tale sfera passi agli operatori
bibliotecari, anche se questa attività non è prevista
dal loro mansionario, per cui, l’apprensione,
sostanzierà il delitto di furto.
Del resto, quanto lasciato in una biblioteca da uno
studioso uscito dai locali, non viene definita dallo
stesso, al momento della venuta in consapevolezza dello
spossessamento, quale cosa smarrita oppure dimenticata o
lasciata? E’ una domanda chiaramente retorica.
Come detto, dato il valore, l’ingombro, nonché la sua
importanza, data dai contenuti, diviene difficile
pensare a che un soggetto lo possa smarrire per
distrazione, ma le cose non stanno così, di persone a
tal punto smemorate e distratte ve ne è gran copia, come
dimostra l’elevato numero di p.c., che viene ritrovato
ogni anno in Italia.
Per fare un esempio di occasione di smarrimento, si può
ipotizzare un soggetto che dopo aver utilizzando una
connessioni internet wi-fi per la strada, a causa del
troppo alcool ingerito, si alza e torna a casa
dimenticando a terra il prezioso oggetto.
Con l’appropriazione del bene da parte di terzo, come
già accennato per l’appropriazione di telefono
cellulare, potranno concorrere altri reati sempre legati
alla natura di contenitore di dati sensibili personali
di più persone quale è il computer.
A differenza del cellulare, non potendo offrire per sua
natura, il computer, segni esteriori atti a disvelarne
la natura furtiva o di cosa smarrita, bisogna, al fine
decidere quale tipologia di responsabilità sarà da
addebitare al ritrovatore in luoghi aperti.
Reputo, in linea con quanto sinora sostenuto, che costui
dovrà rispondere ai sensi dell’art. 647, primo comma,
c.p..
Lo smarrimento di animali da compagnia:
smarrimento del cane
E’ sostanzialmente indiscutibile che l’animale da
compagnia che esce dalla sfera di vigilanza del padrone
(ossia la sfera percettiva sia visiva che uditiva: il
cane che accorre al richiamo del padrone non è smarrito)
viene pacificamente ritenuto smarrito, creandosi qualche
dubbio solo riguardo al caso in cui questo possieda la
consuetudo revertendi, caso in cui si potrebbe ritenere
che tale animale, non essendosi smarrito ed essendo in
grado di tornare al proprio domicilio, non esca, di
fatto, mai, dalla sfera di sorveglianza del
proprietario.
Val la pena accennare che la normativa civilistica
obbliga il proprietario a fornire il cane, di un vero e
proprio documento di riconoscimento, ora elettronico
(sottocutaneo); mi spiego subito meglio, segnalando la
legge quadro in materia di animali di affezione e
prevenzione del randagismo n. 281 del 14 agosto 1991 che
prevede:
all’art. 3, comma primo, l’obbligo a carico delle
regioni, di disciplinare l’istituzione dell’anagrafe
canina presso i comuni o le unità sanitarie locali (ora
A.S.L.), entro sei mesi dalla data di entrata in vigore
della legge, nonché
all’art. 5, comma 2, l’obbligo a carico dei proprietari
di iscrivere il proprio animale alla suddetta anagrafe,
l’inadempimento al quale è soggetto alla sanzione
amministrativa del pagamento della somma di lire
centocinquantamila (ora euro 258.23) ed infine
all’art. 5, comma 3, l’obbligo di sottoporre l’animale
al tatuaggio la cui omissione è sottoposta alla sanzione
amministrativa di lire centomila (ora euro 51.65);
nonché l’Accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministero della
Salute, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano in materia di benessere degli animali da
compagnia e pet-theraphy che stabilisce all’art. 4:
lettera a), l’introduzione del microchip (tecnicamente
si chiamerebbe transponder), come unico sistema
ufficiale di identificazione dei cani;
lettera b), la creazione di una banca dati
informatizzata, su base regionale o provinciale che
garantisca la connessione con quella nazionale;
lettera c), l’attivazione di una banca dati nazionale
istituita presso il Ministero della Salute, intesa come
indice dei microchips, inviati dalle singole anagrafi
territoriali,
ed infine l’Ordinanza contingibile ed urgente
concernente misure per l’identificazione e la
registrazione della popolazione canina del 6 agosto 2008
emanata dal Ministero della Salute, all’esplicito scopo,
tra gli altri, di anagrafare il maggior numero possibile
di animali, sancisce
all’art. 1, comma primo, l’obbligo dell’identificazione
e registrazione dei cani mentre,
al comma secondo stabilisce: “Il proprietario o il
detentore di un cane deve provvedere a far identificare
e registrare l’animale, nel secondo mese di vita,
mediante l’applicazione del microchip. Il proprietario o
il detentore di cani di età superiore ai due mesi è
tenuto a identificare e registrare il cane ai fini di
anagrafe canina, entro trenta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente ordinanza”, ed infine
al comma quinto: “Il proprietario o detentore di cani
già identificati ma non ancora registrati è tenuto a
provvedere alla registrazione all’anagrafe canina entro
trenta giorni dall’entrata in vigore della presente
ordinanza”.
Fatta presente quindi tale rilevante normativa, si trae
l’evidente conclusione che l’appropriazione di un cane
tatuato (interno coscia destra) o dotato di microchip
(retro orecchio sinistro), configura la fattispecie
aggravata di appropriazione di cosa smarrita di cui si
conosce il proprietario in quanto l’animale, di norma,
porta su di sé i segni identificativi del proprietario
(il lettore di microchip lo possiedono veterinari,
u.l.s.s. ed anche vigili urbani), come nel caso in cui
l’animale li avesse scritti sul collarino anche nella
sola forma del numero di telefono.
Tanto affermato, non posso, però non rilevare
un’oggettiva realtà, infatti il ritrovatore consuma il
delitto appena decide di far propria la cosa appresa,
per cui si deve ragionare in questi termini, pur essendo
vero che il cane aveva “incorporata” in sé l’identità
del proprietario,
al momento del perfezionarsi dell’elemento soggettivo, i
segni sull’animale, pur visibili se tatuaggio, non se
microchip, erano comunque per lui inintelligibili, per
cui non si potrà dire che il ritrovatore conosceva il
proprietario della cosa e la fattispecie quindi andrà
più correttamente ricondotta al primo comma
dell’’articolo.
A puro scopo informativo dei legali che potrebbero
esserne interessati, l’anagrafe canina nazionale
(http://www.salute.gov.it/anagcaninapublic_new/home.jsp),
che come visto raccoglie i dati delle anagrafi istituite
presso le regioni, non è l’unica esistente in quanto ve
ne é una parallela che si chiama Anagrafe Animale
Privata Italiana, reperibile sull’internet.
Per quanto riguarda l’appropriazione del cane vagante
che non possiede elementi identificativi, a meno che le
circostanze del ritrovamento ne facciano ragionevolmente
ritenere l’avvenuto abbandono, o altrettanto
ragionevolmente che l’animale sia di origine furtiva
(es.: animale di razza reperito nelle vicinanze di un
campo nomadi), si reputa che questa, normalmente, si
risolva in un’appropriazione semplice di cosa smarrita.
Il problema si pone quando l’animale che diviene oggetto
di appropriazione è dotato di consuetudo revertendi, nel
qual caso, si potrebbe argomentare circa il reato di
furto con dolo eventuale, infatti se il cane è in grado
di tornare a casa non è smarrito, quindi se viene
appreso, viene rubato.
Per comprendere se l’animale sta facendo la sua
passeggiatina autonoma o si è perso, soccorreranno
indizi che sono nel bagaglio di esperienza dell’uomo
medio, per cui il cane non smarrito, usualmente porterà
un collarino, godrà di buone condizioni generali, sarà
tranquillo, non abbaierà nervosamente, diversamente si
muoverà come alla ricerca di qualcosa, abbaierà
nervosamente alla ricerca del padrone, nonché potrebbe
avere il guinzaglio attaccato al collare.
In conclusione, anche se di norma il cane sarà smarrito,
se sarà ben deducibile la sua capacità di ritrovare la
via di casa, il ritrovatore risponderà ex art. 624 c.p.,
di furto.
L'appropriazione di assegni, titoli di
credito, bancomat
La giurisprudenza riguardante il ritrovamento di tale
cosa smarrita, ha purtroppo un grande vizio, lo stesso
vizio che colpisce tutto l’art. 647, ossia che le
definizioni riguardanti le cose smarrite, sono sempre
state frutto di pronunce emesse riguardo altri reati
come la calunnia o la ricettazione, quindi non hanno
affrontato il tema vero e proprio se non
incidentalmente, da questo, non si può che dedurre che
di fatto non esiste giurisprudenza vera e propria
riguardo l’articolo 647 c.p., per cui è necessario non
solo fare chiarezza, ma anche creare spunti di
riflessione per quando un vero 647 arriverà alla
Cassazione.
E’ d’obbligo iniziarla trattazione, con esporre la
chiarissima sentenza n. 99/214359, della seconda Sezione
Penale:
“Poiché il venir meno della relazione materiale del
titolare con una cosa che, come nelle ipotesi di assegno
o altro titolo, conservi chiari e intatti i segni
esteriori di un legittimo possesso altrui non implica,
al di fuori dei casi di dismissione volontaria, che il
potere di fatto sia cessato, colui che fa proprio un
simile bene senza provvedere, avendone la possibilità,
alla materiale restituzione pone in essere una condotta
riconducibile, sotto il profilo materiale e psicologico,
non già alla previsione dell’ art. 647
c.p.(appropriazione di cose smarrite) bensì ad altra
fattispecie criminosa concretantesi nel furto, ove
l’impossessamento sia avvenuto senza intermediario, con
sottrazione vera e propria al titolare dello ius
possidenti [16]. ”;
altrettanto chiaro il principio espresso dalla sentenza
della medesima sezione al numero 00/216589 che così si
pronuncia:
“Nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli
assegni o le carte di credito, conservino chiari ed
intatti i segni esteriori di un legittimo possesso
altrui, il venir meno della relazione materiale fra la
cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del
potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con
la conseguenza che colui che se ne appropria senza
provvedere alla sua restituzione commette il reato di
furto e non quello di appropriazione di cose smarrite
[17]. ”.
Infine la sez. V, 98/211920:
“ Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’
art. 647 c.p., è richiesta la sussistenza di tre
presupposti: che la cosa rinvenuta sia uscita dalla
sfera di sorveglianza del detentore; che sia impossibile
per il legittimo detentore ricostruire sulla cosa il
primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la
stessa si trovi; che siano assenti segni esteriori
pubblicitari tali da consentire di identificare il
legittimo possessore (fattispecie relativa a una tessera
bancomat che conteneva indicazioni, quali l’istituto
bancario di riferimento ed il numero convenzionale, la
Corte ha ritenuto la configurabilità del reato di furto)
[18]. ”.
Analizziamo, in breve, queste tre massime, al fine di
provarne la loro pressoché totale inutilizzabilità per
attribuire all’assegno la sua giusta qualifica
giuridica:
1) la sentenza 99/214359, afferma che la relazione
materiale del titolare con una cosa, se essa possiede i
segni di riconoscimento di costui, non indica che sia
cessato il potere di fatto, così si commette furto
appropriandosi di un assegno trovato…è evidente come
tale principio sia inaccettabile in quanto dire che il
potere di fatto su un assegno smarrito non cessa se vi è
sopra il nome del proprietario, non ha alcun senso, in
quanto, se una cosa è smarrita, lo è oggettivamente, sia
che abbia su di sé, sia che non ce l’abbia, il nome del
proprietario; se il proprietario sarà riconoscibile
dalle indicazioni stanti sulla cosa, ci troveremmo
davanti ad una condotta ex art. 647, secondo comma,
c.p..
Pare che questo secondo comma sia sconosciuto alla
Cassazione, allora vediamolo: “Nei casi preveduti dai
nn. 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario
della cosa che si è appropriata, la pena è della
reclusione fino a due anni e della multa fino a Euro
309.”; cosa significa l’allocuzione conosceva il
proprietario?
Due sono le possibilità di interpretazione, ossia o
A) conosceva da prima dell’apprensione lo smarritore, il
che significa che lo ha visto mentre smarriva l’oggetto
o lo seguiva sapendo che avrebbe perso qualcosa, oppure
B) viene a conoscenza dell’identità del proprietario in
quanto “vergata” nell’oggetto smarrito:
entrambe le interpretazioni, ad avviso dello scrivente,
vanno accettate, coprendo assieme la completezza del
senso “conosceva il proprietario”.
Classici esempi di cose rientranti sempre nella
fattispecie di cui al secondo comma saranno le carte
d’identità e le tessere sanitarie, dove queste ultime
portano su di sé nome, cognome, codice fiscale, data e
luogo di nascita, così come gli abbonamenti ai mezzi di
trasporto che incorporano di solito oltre ai dati
anagrafici del proprietario anche la sua effigie.
Tanto stabilito, se trovo un oggetto smarrito senza nome
o lo trovo con il nome, è pensabile che mi cambi la
fattispecie di reato da appropriazione a furto o sarà
semplicemente una circostanza aggravante dello stesso
reato, ed ancora se smarrisco un guanto senza nome ed
uno con nome, mi cambia forse il potere di fatto
sull’oggetto, o non ce l’ho comunque, anche se la
Cassazione pensa diversamente?
Si sottolinea infine come tale sentenza esorbiti la
logica, compiendo un’operazione di presunzione
dell’elemento psicologico quando afferma che colui che
fa proprio un assegno commette furto, il che è
inaccettabile.
2) Anche la sentenza 00/216589, è fruttifera di critiche
a lei amovibili, infatti come la precedente,
A) prima asserisce, che l’uscita dell’oggetto dalla
sfera di sorveglianza del titolare (venir meno della
relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare) non
fa perdere il potere di fatto su di esso, quasi fosse un
boomerang, se, come gli assegni, porta su di sé chiari
ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso
altrui: ma tutti gli oggetti trovati e non derelitti
presuppongono un legittimo possesso altrui, non serve
che sia scritto sull’oggetto che questo non è di
proprietà del ritrovatore, semplicemente se vi sono
indicazioni in tal senso si ricadrà nello sconosciuto
comma secondo;
B) poi, la Corte si supera in discutibilità infatti, lo
si ripete, afferma: “il venir meno della relazione
materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la
cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene
smarrito”…c’è da basire perché la Corte afferma che il
bene è smarrito, ma si punisce per furto…quindi un bene
smarrito, non è smarrito, ma rubato!
E’palese quindi l’inutilizzabilità di tale pronuncia.
3) infine eccepiamo sulla sentenza 98/211920, che
stabilisce i criteri per definire tale la cosa smarrita,
che, ragionando a contrariis, risulterebbe la cosa
A) non uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore,
B) di cui si sa con precisione dove si trova,
C) senza segni di riconoscimento, intellegibili, circa
la proprietà.
Ragionando su questa intuizione della Corte e sulle
precedenti, si deduce che secondo questa se una persona
smarrisce un assegno, deve fare denuncia di furto perché
anche se non se ne rende conto non ha mai perso il
potere sull’oggetto ed anche se non sa dove è, è come lo
sapesse: se accettiamo tale ragionamento vuol dire che
la Cassazione ritiene l’assegno non smarrito perché
ritrovabile facendo il percorso al contrario, perché
altrimenti non vi sarebbe senso alcuno nel
pronunciamento.
La Cassazione, quindi, dichiarerebbe, implicitamente,
non potendo l’assegno fare eccezione alle regole
generali sulla cosa smarrita, sia l’assurdità di una
denuncia di smarrimento, sia l’illegittimità di tutte le
aste di oggetti smarriti finora svolte, sia l’assurdità
dell’esistenza degli uffici cose rinvenute e dei
contenuti degli Albi Pretori perché ogni apprensione di
cosa trovata è solo furto ed ogni cosa ritrovata va
portata solo alla Polizia Giudiziaria, come corpo di
reato.
Uno squarcio in tanto buio lo si può reperire nella
sentenza della quarta sezione n. 97/208531 che dice:
“Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 647
c.p., cosa smarrita è quella rispetto alla quale il
possessore non ha di fatto alcun rapporto o potere
materiale e psicologico; una volta accertato l’avvenuto
smarrimento, ricorre, nell’appropriazione, il predetto
reato, e non quello di furto, indipendentemente
dall’atteggiamento psicologico del “rinvenitore” che può
anche essere a conoscenza dell’altruità della cosa
(fattispecie in tema di assegno). L’assegno bancario
deve considerarsi cosa smarrita a prescindere dai segni
esteriori, percepibili dall’agente, di un precedente
legittimo, ma oramai non più esistente, possesso altrui.
L’appropriazione di un assegno smarrito integra perciò
il reato di appropriazione di cose smarrite e non di
furto, per la cui configurazione è necessaria la
sussistenza attuale del possesso altrui al momento della
lesione [19]”.
Nulla ho da eccepire riguardo questo pronunciamento.
Tratte le dovute conseguenze, in ogni caso di “perdita”
di un assegno (o blocchetto) in bianco, o di un bancomat
od altro, una volta uscito dalla sfera di sorveglianza
del detentore, chi se ne impossessa commetterà
appropriazione di cosa smarrita, mentre se l’assegno
sarà compilato, commetterà la fattispecie aggravata di
cui al secondo comma.
Per terminare degnamente l’argomento in discussione,
presento due esempi di circostanze in base alle quali la
persona appropriatasi di un assegno possa venire
scoperta, tanto per dare di che pensare:
1) il ritrovatore cerca di incassare l’assegno ma
l’operatore della banca lo scopre;
2) il ritrovatore che non vuole commerciarlo ma solo
tenerlo, incappa in un controllo di p.g. od in una
perquisizione,
e ricordo che nel primo caso vi sarà concorso di reati
che saranno uniti ex art. 81 c.p., dal vincolo della
continuazione per cui, con il 647 c.p. potrà, per
esempio, concorrere il 56, 624 c.p., ossia il tentativo
di furto dei fondi.
Infine chi riceverà od acquisterà dal ritrovatore
l’assegno, risponderà di ricettazione per aver ricevuto
il frutto del delitto di cui all’art. 647 c.p..
L'appropriazione di denaro
Spesso ho occasione di vedere persone che inseriscono
le mani nello sportellino del resto dei telefoni
pubblici, senza aver utilizzato alcun servizio, al fine
di appropriarsi degli eventuali resti non raccolti per
fretta. Pur rilevato che parliamo di cifre di denaro
molto contenute, va tenuto presente che se il
proprietario dei soldi, si accorge della sua
dimenticanza e torna indietro trovando il cercatore in
azione, quest’ultimo avrà commesso (eventualmente anche
nella forma del tentativo), il reato ex 647 c.p., però,
per logica comune, è poco probabile, che colui che
scorda i soldi del resto torni, sarebbe un’eccezione
alla normalità dei fatti, così, senza, reputo, dire
mostruosità, ritengo che in tal caso venga a mancare
l’elemento soggettivo del reato, ossia il miserabile che
si riduce a tale pratica, è da reputarsi ritenere che i
denari siano derelitti ed il ritorno del proprietario
un’eventualità oltremodo remota, per cui non si ravvede
raggiunta alcuna soglia di punibilità.
Per quanto riguarda il ritrovamento di un portafoglio
bisogna fare un distinguo tra il portafoglio reperito
contenente denaro e quello privo: sarà giuridicamente
ben più rischioso appropriarsi di un portafoglio
“svuotato”, in quanto, mentre se vi sono contenuti
denari è un’evidenza che il proprietario lo ha smarrito
e l’appropriarsene consumerà il reato di cui
all’articolo in esame, se non il suo secondo comma, una
persona di medio intelletto, può ben ravvedere
l’anomalia di un ritrovamento di portafoglio senza
denaro, che con ogni probabilità sarà stato rubato al
titolare e poi abbandonato: per cui essendo cosa
proveniente da delitto, sarà punibile ex art. 640,
secondo comma, c.p., con la pena della reclusione fino a
6 mesi e la multa fino a 516 euro.
Per il denaro, come per gli altri oggetti, varranno i
principi generali: se il denaro sarà nella, anche
potenziale, sfera di sorveglianza dello smarritore si
avrà furto, altrimenti appropriazione di cosa smarrita.
Sarà pratica consigliabile, a chiunque intenda circolare
portando con sé grosse cifre, preventivamente ricopiare
i numeri seriali delle banconote per poter avere la
prova della proprietà di una cosa la cui proprietà è per
sua natura difficile.
L'appropriazione del bagaglio
La combinata lettura degli artt. 624 e 625, comma 6,
c.p., ci ricorda come la sottrazione del bagaglio di
persona presente su un mezzo di trasporto, sia condotta
qualificata quale furto aggravato, fattispecie
delittuosa che viene a condizionare in modo non
indifferente le valutazioni che si possono fare circa
l’appropriazione del bene bagaglio.
All'interno di un treno
Come è di comune conoscenza, se si viaggia da soli
all’interno di un treno, prima o poi è probabile che si
verifichi la possibilità di trovarsi ad essere
necessitati ad avvalersi dei servizi igienici o della
carrozza ristorante, o di doversi spostare attraverso i
vagoni per cercare dei conoscenti e, di conseguenza, ed
in tal caso di venir posti di fronte ad una scelta: o
portare con sé il bagaglio, a rischio di perdere il
posto a sedere, oppure lasciarlo sopra il sedile o
nell’apposito porta-pacchi, situato sopra i sedili, al
fine di indicare che il posto è occupato e la persona
titolare di questo si è dovuta spostare solo
momentaneamente, ma tornerà.
Il potenziale apprenditore che veda il bagaglio
incustodito, potrà ben figurarsi, in base alle deduzioni
appena fatte,
che il proprietario si sia solo momentaneamente
allontanato,
che non sussista in questi alcun animus dereliquendi
nonché
che si trovi sul treno, ed il bagaglio ancora
all’interno della propria sfera di controllo quindi,
se l’appropriazione consegue, la condotta dell’agente
avverrà, sostenuta dall’elemento soggettivo, quanto
meno, del dolo eventuale di furto, in quanto se ne
approprierà accettando il rischio del ritorno del
proprietario; chiaramente cambierà il discorso se il reo
sarà l’ultima persona a scendere dal convoglio in
quanto, essendo a quel punto chiara l’uscita del
bagaglio dalla sfera di sorveglianza del titolare, andrà
ad appropriarsi di una cosa smarrita.
In tema, è da segnalare la sentenza della Cassazione
Penale, sez. II, n. 65/100749 così massimata: “La cosa
mobile lasciata momentaneamente da un viaggiatore nello
scompartimento di un treno non può considerarsi smarrita
ai sensi dell’art. 647 c.p., poiché, nonostante il
temporaneo abbandono, essa resta pur sempre soggetta
alla custodia del proprietario o possessore e a quella
del personale ferroviario, tenuto per regolamento a
raccoglierla ed a consegnarla ai competenti uffici; per
conseguenza, colui che si impossessa della stessa cosa
deve rispondere del delitto di furto [20]. ”.
Casi nei quali colui il quale s’impossessa del bagaglio
può venire scoperto, sono facilmente ipotizzabili:
A) il reo ha preso l’oggetto ma è stato scoperto dal
proprietario presente sul treno od in risalita su esso
oppure
B) lo ha preso ed è stato fermato mentre si recava
spedito verso l’uscita della stazione,
C) è stato fermato alla stazione seguente, a quella
della fermata di smarrimento, mentre si allontanava col
bene,
D) è stato colto ad appropriarsi del bene, dal capotreno
avvisato dalla polizia ferroviaria dell’avvenuta
dimenticanza del bene sul mezzo;
tutti questi casi saranno sanzionati quali furti.
Una data negativa, da segnarsi, risulta il 13 giugno
2009, data da cui, mi si consenta di dire,
vergognosamente, Trenitalia ha abolito l’utilissimo
servizio, che funzionava dal 1934, dell’ufficio oggetti
smarriti, presente nelle stazioni più importanti, ma
servizio di fatto prestato anche nella più piccola
stazione del nostro paese.
Vale la pena navigare un po’ sull’internet, per vedere
dati e tipologie di oggetti rinvenuti nei treni o
all’interno delle stazioni e così rendersi conto del
rilevante numero (parliamo di migliaia di oggetti) e
della tipologia di questi, anche di notevole valore, che
venivano ogni anno mandati all’asta: ora, i ritrovatori
di buon cuore, non potendo rivolgersi più in stazione,
ma solo al preposto ufficio del comune, normalmente
distante chilometri ed aperto nei giorni feriali ed in
orario di lavoro, saranno costretti a sopire i propri
positivi istinti, sicché gli oggetti smarriti, se non
prenderà il sopravvento il senso civico, verranno fatti
propri da persone senza scrupoli: i furti aumenteranno
esponenzialmente.
Per fare un esempio delle difficoltà poste alle già rare
persone civili, se si guarda nella pagina della cronaca
del Corriere della Sera del 25 giugno 2009, che parla di
Roma, si viene a scoprire, sia come esistano i
cosiddetti “cercatori d’oro”, cioè persone che salgono
sui treni quando tutti scendono e prendono ciò che
trovano, sia come, essendo l’ufficio preposto situato a
Roma Ostiense, “Se si è residenti vuol dire prendersi
una giornata libera, tuffarsi nell’inferno del traffico
cittadino per recarsi in un ufficio dagli orari di
apertura quanto meno insoliti. Se non si è residenti, la
cosa è semplicemente impossibile.”.
Il bagaglio aereo e il servizio Lost and
found
E’ da sottolineare come la peculiarità riguardante la
gestione di tale cosa porti a risultati interessanti.
Negli aeroporti sono attivi i servizi addetti alla
ricerca e ritrovamento dei bagagli smarriti, o meglio di
quelli non regolarmente giunti a destinazione, i quali
dovrebbero sempre essere in grado di reperire il
bagaglio non rispondente all’appello, sono gli sportelli
lost and found.
Nel trasporto aereo, per necessità, avviene uno
spostamento della sfera di vigilanza dal titolare al
vettore, sicché il proprietario, per tutto il viaggio,
non ha accesso alla sua proprietà; la particolarità di
questo fenomeno, sta nel fatto che la sfera di
sorveglianza del bene in capo al vettore ha
un’estensione enorme, in quanto dal momento nel quale il
proprietario consegna il bene al vettore, tale bagaglio
entra in un circuito chiuso che è quello degli
aeroporti, per cui se il bagaglio non perviene al
viaggiatore al suo arrivo, di necessità o si trova da
qualche parte nell’aeroporto di arrivo od è rimasto in
quello di partenza o è stato smistato altrove, ma, a
meno che qualcuno non lo abbia sottratto dal tapis
roulant dove viene messo per essere recuperato dai
viaggiatori, è sempre reperibile.
Come visto, quindi il bagaglio è sempre facilmente
recuperabile, quindi se non lo diviene, ciò può accadere
solo per neghittosità del servizio lost and found oppure
perché a questo manca la collaborazione del personale
addetto allo smistamento bagagli e/o dei lavoratori
addetti agli stessi, oppure perché qualcuno appartenente
a questa categoria di lavoratori se ne è appropriato,
Essendo che, come spiegato, il bagaglio è “contenuto” in
un ambito chiuso interno agli aeroporti, per
appropriarsene, è necessario “strapparlo” dalla sfera di
sorveglianza del vettore, commettendo sempre, senza
dubbio alcuno un furto.
La tentata appropriazione di cosa smarrita
Come mia abitudine, per dimostrare la compatibilità
del tentativo ex art. 56 c.p. con la fattispecie
delittuosa in esame, faccio un esempio così ricordando
che esistono delle patologie, anche diffuse, che
limitano temporaneamente o stabilmente, ed altre che
diminuiscono fino al totale annullamento, la memoria di
una persona, si che questa non è in grado di ricordare
quanto ha fatto precedentemente: queste sono
l’ubriachezza, le amnesie, le forme di demenza (senile,
morbo di Alzheimer, ecc.), i disturbi vascolari
cerebrali, nonché le malattie neurologiche degenerative
come il morbo di Parkinson.
Se pensiamo soprattutto all’Alzheimer, sappiamo che
oltre alla lesione progressiva delle capacità mnemoniche
fino al non riconoscimento dei propri familiari, questa
malattia ha tra le sue manifestazioni, la causazione di
anomalie comportamentali notevoli per cui spessissimo,
le persone da essa affette, perdono le cose senza
rendersene conto non provando, poi, neppure lo stimolo
di andarne alla ricerca, (se non anche la non
consapevolezza dello smarrimento), vittime del proprio
“smarrimento” mentale.
Giungiamo quindi al cuore del nostro esempio, ossia alla
turpe figura dell’approfittatore che, a conoscenza
dell’abitualità di un ammalato nel perdere lungo il
cammino le proprie cose, lo segue per appropriarsene
certo dell’impunità. Pensiamo quindi all’amministratore
di sostegno di tale sventurata persona, che presenta
denuncia di smarrimento degli oggetti e che viene a
conoscenza dell’esistenza dell’approfittatore: avvisate
le forze dell’ordine, queste pedinano il reo e lo
colgono nell’atto di raccogliere un oggetto da poco
perso dalla vittima, quid juris?
Chiaramente costui dovrà venire imputato a norma del
combinato disposto degli artt. 81 e 647, comma secondo,
del codice penale, per quanto riguarda tutte le
appropriazioni di oggetti che la perquisizione
domiciliare renderà palesi, però, tornando a ciò che ci
interessa, stava o no per tentare di appropriarsi anche
dell’ultimo oggetto venendo in ciò impedito
dall’intervento degli agenti?
Quindi il tentativo è compatibile e ne dovrà rispondere
a tale titolo.
Le ricerche sulle spiagge
Vale la pena analizzare l’attività di quelle persone
che, autodefinitesi cercatori, di
solito, alla fine della stagione balneare, si recano
sulle spiagge deserte con rastrelli e/o metal detectors,
alla ricerca di trovare qualcosa di valore di cui
appropriarsi: come si deve valutare la loro condotta?
Fermo restando che il loro introdursi all’interno di
spiagge, di proprietà demaniale, ma date in concessione
a società private, dietro il pagamento di un canone,
sostanzia il delitto di cui all’art. 633 c.p., infatti
si introducono arbitrariamente nel fondo altrui al fine
di trarre profitto, quindi, se querelati del gestore
della spiaggia, saranno passibili della pena della
reclusione fino a 2 anni o con la multa da 103 a 1032
euro,
se esaminiamo la loro attività ed il fine al quale è
volta, giunge evidente come costoro, che possono ben
esser definiti approfittatori, persone che cercano di
lucrare sull’altrui disgrazia, con la loro attività di
ricerca evidentemente compiono, ex artt. 56 e 647, c.p.,
atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere
il delitto di appropriazione di cosa smarrita.
Si potrebbe osservare che i beni smarriti, potrebbero
anche non esserci nel tratto di spiaggia che
l’approfittatore si è promesso di esaminare, e quindi un
legale potrebbe percorrere in sede processuale la strada
del reato impossibile ex art. 49, comma secondo, c.p.,
sostenendo l’inesistenza dell’oggetto: tale tesi può
aver pregio se entro 3 mesi non verrà presentata
denuncia di smarrimento di un bene nell’area interessata
dalle ricerche.
Sarà la presenza di una denuncia di smarrimento
interessante quel tratto di spiaggia che renderà
procedibile o no l’azione penale nei confronti del
soggetto, in parole povere se un soggetto denuncerà lo
smarrimento di un monile, avvenuto per esempio nei bagni
Aurora, essendo che il monile si trova nella sabbia del
luogo, colui il quale verrà colto in quei bagni alla
ricerca di cose smarrite, non si vede perché non debba
venir rinviato a giudizio per tentata appropriazione del
monile.
L'appropriazione di cose di cui si è venuti
in possesso per caso fortuito o per errore altrui
Con l’esame del disposto di cui al numero 3 del primo
comma dell’art. 647 c.p., andiamo quasi a completare il
tema unico riguardante le cose smarrite in quanto, come
risulta chiaro, in questi due casi la cosa di cui si
tratta è palesemente smarrita in quanto uscita dalla
sfera di sorveglianza del possessore, ma
non per disattenzione, distrazione, mal destrezza od
accidente (es.: persona che a causa di un urto perde
qualcosa), ossia le fattispecie previste dal primo
comma, numero uno,
ma, in quanto, o portata via al possessore da un caso
fortuito e chiaramente forza maggiore,
o per aver erratamente il possessore, o chi per lui,
consegnato un bene alla persona che non aveva diritto:
l’articolo 647 c.p., vuole punire l’apprensione di cosa,
chiaramente da altri non derelitta, uscita dalla sfera
di sorveglianza del possessore per una qualsiasi causa.
Il caso fortuito
Quando si parla di caso fortuito, di logica, si
deduce come si tratti di una forza della natura (forza
maggiore), o di un evento assolutamente imprevisto ed
imprevedibile, il cui intervento ha cagionato al
possessore, lo spoglio della detenzione.
Per fare qualche esempio, si può ipotizzare tale reato,
nell’appropriazione di un bagaglio caduto nel giardino
di casa dell’apprensore, a causa della rottura del
portellone del vano bagagli di un aereo in volo, oppure
di un oggetto scagliato fino sulla terrazza da
un’esplosione che ha colpito un edificio vicino, od
ancora un oggetto (es.: cappello, ombrello, altro
oggetto leggero) strappato via dalle mani del detentore,
da un’improvvisa quanto virulenta folata di vento, od
oggetto portato via dalla sua allocazione fissa come un
indumento steso ad asciugare o piante di piccolo o medio
fusto sradicate, per opera di un fortunale, od ancora un
bene portato via dalla furia di un’inondazione.
La dizione dell’articolo “si appropria delle cose delle
quali sia venuto in possesso per caso fortuito”, deve
quindi essere intesa nel senso in base al quale, il caso
fortuito è il mezzo che porta il bene nella
disponibilità del ritrovatore.
Questa fattispecie, come evidente, si occupa solo di
casi limitati.
L'errore altrui
Premesso necessariamente che l’errore altrui non deve
essere frutto di una attività
dell’apprensore tesa a far cadere in errore l’avente
diritto, perché altrimenti ci troveremmo nella
fattispecie prevista e punita dall’art. 640 c.p., è da
rilevare come la fattispecie criminosa in esame non sia
rara quanto quella appena esaminata.
Il primo tipo di errore in conseguenza del quale può
avvenire un impossessamento di qualcosa per errore
altrui, è l’errore di calcolo, come nel caso del resto
sbagliato, quando a fronte del pagamento di un bene o
servizio, ci viene restituita una cifra superiore a
quella dovutaci, o come nel caso dell’errata
quantificazione di un emolumento, come la pensione.
Altri casi prospettabili, possono conseguire all’errore
di persona, in conseguenza del quale si consegna, senza
volerlo, un bene a persona diversa dal destinatario,
errore che può accadere per caso di omonimia o per
somiglianza, ove per somiglianza si deve intendere, a
titolo d’esempio, il caso della persona che scambiata
per altra a causa della confondibilità dei suoi tratti
somatici (sosia), riceva un dono di valore, inviato alla
stessa da chi credeva di andare ad omaggiare persona
conosciuta o famosa.
Altri casi si possono verificare per un qualsiasi errore
materiale del “mittente” come in quello della addetta
alle spedizioni di una società, che sbagliando di
consultare la banca-dati clienti, provvede alla
spedizione presso persona terza al rapporto negoziale,
oppure di chi vedendo una persona entrare in un
appartamento, credendolo la sua residenza, lascia,
invece, un presente sulla porta di casa di un suo
conoscente, od ancora chi riceve dei beni a causa di un
lascito testamentario viziato da errore
Considerazioni finali
Per quanto riguarda l’omessa trattazione, all’interno
di questa dissertazione, dell’ argomento tesoro,
comunico già da ora che mi riservo di iniziarne gli
studi al più presto per poter rendere, così, completa la
mia opera, dando alle pubblicazioni, in futuro, un
addenda.
A chi volesse approfondire maggiormente il tema dei
regolamenti comunali sulle cose smarrite, mi permetto di
consigliare la lettura di quello di Caorle [21] che,
per qualità giuridica, spicca sugli altri, infatti è un
vero e proprio piccolo trattato sulla materia, di
lodevole impegno.
Sempre riguardo ai Comuni, val la pena ricordare che, il
servizio affidatogli di raccolta e conservazione dei
beni smarriti, è un dovere ex lege da qualificarsi quale
munus publicum e, come tale, un’attività che per sua
natura è gratuita (come, a titolo di esempio, quella di
un amministratore di sostegno), salvo il rimborso spese
e, contato che non si possono mettere all’asta i beni se
non dopo 10 anni dal momento dell’appropriazione,
sarebbe il caso che fossero più cauti in tali pratiche,
così come coloro che acquistano, in tale sede, dei beni.
Forse è il caso ricordare anche, che la persona che
ritrova un bene e lo porta presso l’ufficio comunale, lo
fa, innanzi tutto, affinché il bene torni al
proprietario (eventualmente lucrando su tale gesto), ma
di sicuro, per quanto possano i comuni pensare
diversamente, è certo oltre ogni dubbio, che il
ritrovatore non perde il proprio tempo a portare il bene
al comune, perché il Comune ne diventi proprietario.
Infine, vado a soddisfare la curiosità, di quel
qualcuno, se si potrebbe esser chiesto, come mai un bene
dimenticato su un treno, possa diventare alla fine una
cosa smarrita, che finisce venduta all’asta.
Vi è una risposta logica ed è la seguente: il bene,
inizialmente dimenticato diventa smarrito, cioè uscito
dalla sfera di sorveglianza del titolare, quando è
palese la volontà di questi di non voler operare in tale
sfera per riottenere la proprietà del bene e tale
fenomeno si appalesa in due precise scadenze temporali:
il bene diventerà smarrito, se entro 90 giorni il
detentore non avrà presentato regolare denuncia di
furto/smarrimento e, comunque, se non si sarà avvalso
dell’ulteriore termine di legge, entro cui agire, cioè
quello di un anno ed un mese circa, dal momento dello
smarrimento, ossia fino all’ultima pubblicazione
sull’Albo Pretorio, come previsto dall’art. 929 c.c..
Note
[1]
http://web.comune.grosseto.it/comune/index.php?id=313
[2]
http://www.comune.milano.it/portale/wps/wcm/jsp/fibm-cdm/FDWL.jsp?cdm_cid=com.ibm.workplace.wcm.api.WCM_Content/Ritrovare
un oggetto smarrito_ritrovare un oggetto
smarrito/e0ac6600456adea0956ff568be630724/PUBLISHED&cdm_acid=com.ibm.workplace.wcm.api.WCM_Content/RegolamentoOggetti
MI.PDF -
d53d6a00458f3e5fb283fb92482b726d/d53d6a00458f3e5fb283fb92482b726d/PUBLISHED
[3]
http://www.comune.pramaggiore.ve.it/public/uffici/polizia_locale/regolamento_oggetti_rinvenuti.pdf
[4]
http://www.comune.rimini.it/binary/comune_rimini/atti_regolamenti/Regolamento%20sugli%20oggetti%20smarriti%20e%20rinvenuti[1].1132248848.pdf
[5]
http://comune.fiumicino.rm.gov.it/up/m297/documenti/4d380f8055cba.pdf
[6]
http://delibere.comune.carpi.mo.it/associazione/UnioneDelibere.nsf/852ecb66b338bf3b412568ea004d8d11/7fadc2dacaa1cbeec12575980036cba4/$FILE/Regolamento_Oggetti-Smarriti%20definitivo.doc
[7] Vocabolario della lingua
italiana a cura di Antonio Sergent, Francesco Pagnoni
editore, Milano, 1880
[8] Vocabolario on-line dal sito
www.treccani.it
[9] Dal sito www.sapere.it
(contenuti De Agostini)
[10] Sabatini Coletti, dizionario
della lingua italiana dal sito del Corriere della Sera
[11] Cian Trabucchi, Commentario
breve al Codice Civile, Cedam 2008
[12] Crespi Forti Zuccalà,
Commentario breve al Codice Penale, Cedam 2009
[13] vedasi nota 6
[14] vedasi nota 6
[15] Crespi Forti Zuccalà,
Commentario breve al Codice Penale, Cedam 2010
[16] Crespi Stella Zuccalà,
Commentario breve al Codice Penale, Cedam 2004
[17] vedi nota 16
[18] vedi nota 16
[19] vedi nota 16
[20] vedi nota 16
[21]
http://www.comune.caorle.ve.it/public/amministrazione/regolamenti/Reg_gestione_cose_ritrovate.pdf
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