Più tutele per i risparmiatori
“inseguiti” dai promotori finanziari fin dentro a casa o
sul luogo di lavoro per strappare loro una firma da cui
poi è troppo difficile liberarsi. La vicenda, già nota
alla cronache, è quella della vendita al pubblico del
prodotto finanziario “4 You”, commercializzato dal Monte
dei Paschi di Siena, la cui vendita, da un certo punto
in poi, era stata sospesa. L’offerta aprì un forte
contenzioso poi in parte risolto attraverso una serie
di tavoli di conciliazione, con i clienti assistiti
dalle associazioni dei consumatori: furono migliaia
coloro che ottennero risarcimenti parziali o integrali.
Evidentemente non era questo il
caso sui cui la Suprema corte ha deliberato oggi,
sentenza 1585/2012, annullando il contratto sottoscritto
da un consumatore di Genova e confermando la condanna
della banca a risarcire il risparmiatore di tutte le
rate versate dal 2011, oltre agli interessi maturati.
Contratto nullo senza clausola di
recesso
Il Monte Paschi condannato sia in
primo che secondo grado, infatti, non si era dato per
vinto ed aveva portato il cliente fino alla Suprema
corte. Anche per gli “ermellini” però il contratto
doveva ritenersi nullo perché non conteneva la
previsione della facoltà di recesso da parte del
sottoscrittore, così come previsto dall’articolo 30 del
Testo unico della finanza per le offerte fatte fuori
sede. Non era sufficiente, infatti, la presenza della
clausola di recesso sul solo prospetto informativo
riguardante uno dei tasselli dell’investimento, e cioè
il fondo comune, dovendo essere presente su tutti i
moduli.
Uno strumento finanziario complesso
Ma come funzionava il contratto: al
cliente veniva erogato, in un’unica soluzione, un
finanziamento quindicennale che si impegnava a
restituire mediante una serie pagamenti rateali. La
somma poi veniva immediatamente investita: in parte in
titoli obbligazionari e in parte in quote di un fondo
comune. I primi venivano acquistati dalla banca che li
deteneva nel proprio portafoglio, i secondi erano
sottoscritti dalla banca in nome e per conto del cliente
che perciò conferiva un apposito mandato. Mentre la
restituzione del prestito era garantita con la
costituzione in pegno in favore della banca dei titoli
obbligazionari stessi e delle quote del fondo comune
detenute dal cliente. A questo fine il risparmiatore
doveva anche disporre di un conto corrente e di deposito
titoli presso l’istituto. Ma i rendimenti attesi non
arrivavano, da qui il tentativo di sganciarsi da parte
dei clienti e il successivo ricorso alla magistratura di
fronte alle difficoltà. |