Persona e danno.it
Un Comune assegna la
ristrutturazione di una villa a una ditta mediante gara
e successivo contratto di project financing. Il
contratto prevede il pagamento di canoni trentennali da
parte dell'Ente. Quest'ultimo, avendo poi acquisito la
disponibilità di finanziamenti che gli consentono di
ristrutturare in proprio l'immobile; ritiene di poter
annullare la predetta procedura in autotutela. Il
Consiglio di Stato dice no.
"FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 210/2011 il Tar
per il Veneto ha accolto il ricorso proposto
dall’Impresa G. P. s.p.a. avverso la deliberazione del
Consiglio comunale di Malo 29.7.2008 n. 32 e quella
della giunta 16.9.2008 n. 96, nonché avverso la
determinazione dirigenziale 30.9.2008 n. 445, aventi ad
oggetto l’annullamento in autotutela della procedura di
finanza di progetto avviata ai sensi dell’art. 37-bis
della legge n. 109/94 per la ristrutturazione di Villa
Clementi, di proprietà dell’ente, verso il corrispettivo
della gestione trentennale dell’immobile stesso che
sarebbe stato dato in locazione al Comune previo
versamento di un canone.
Con la stessa sentenza il giudice
di primo grado ha condannato il comune al pagamento in
favore dell’impresa G. P., a titolo di indennizzo ex
art. 158 del D. Lgs. n. 163/06, della somma di €
200.869,48, di cui € 25.369,48 per i costi sostenuti in
conseguenza della risoluzione del rapporto e €
175.500,00 per il mancato guadagno.
Il comune di Malo ha proposto
ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi
che saranno di seguito esaminati.
L’impresa G.P. s.p.a. si è
costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del
ricorso e proponendo ricorso in appello incidentale per
ottenere la condanna del comune al pagamento di una
maggiore somma a titolo di risarcimento del danno.
Con ordinanza n. 2409/11 questa
Sezione ha sospeso l’esecutività dell’impugnata
sentenza, “tenuto anche conto della situazione debitoria
della ricorrente di primo grado” e ha contestualmente
fissato l’odierna udienza per la discussione del merito
del ricorso.
All’odierna udienza la causa è
stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del presente giudizio
è costituito dalla contestazione dell’esercizio da parte
del comune di Malo dei poteri di autotutela in ordine ad
una procedura di finanza di progetto relativa alla
ristrutturazione di Villa Clementi, di proprietà
dell’ente.
La procedura era stata avviata, ai
sensi dell’art. 37-bis della legge n. 109/94, su
proposta dell’impresa appellata e prevedeva la
ristrutturazione della villa a fronte della concessione
della gestione trentennale dell’immobile stesso, che
sarebbe stato dato in locazione al Comune previo
versamento di un canone.
Approvata la proposta, la gara
indetta per l’individuazione della migliore offerta ai
sensi dell’art. 37-quater della legge n. 109/94 si
concludeva con l’aggiudicazione alla stessa impresa G.
P.
In data 11.9.2003 veniva stipulato
il relativo contratto, poi modificato a seguito di
alcune osservazioni della Soprintendenza, con cui
l’impresa si obbligava a realizzare la ristrutturazione
del corpo A della Villa e il recupero del corpo B (per
una spesa complessiva prevista di € 1.555.00,00), nonché
a realizzare le opere di urbanizzazione su un’area con
una potenzialità edificatoria di mq 15.000 attigua alla
Villa stessa (per un importo stimato di € 833.000,00);
il Comune, da parte sua, avrebbe ceduto un’area attigua
all’impresa esecutrice ed avrebbe inoltre corrisposto un
canone annuo di € 65.000,00 per la locazione trentennale
della Villa, pari alla durata della concessione della
sua gestione all’impresa stessa.
Con nota 19.7.2005 l’impresa
trasmetteva al Comune gli elaborati della progettazione
architettonica esecutiva dei lavori.
Nel frattempo, il Comune avviava
una procedura diretta ad ottenere un finanziamento
regionale per la realizzazione di un intervento che, pur
riguardando la medesima Villa Clementi, aveva tuttavia
un diverso oggetto, e cioè la biblioteca, prima sempre
esclusa dai lavori approvati ed affidati alla ricorrente
(intervento, questo, che veniva appaltato ad un’impresa
diversa).
Con nota 2.11.2007, il Comune
comunicava l’avvio del procedimento preordinato
all’annullamento in autotutela della procedura di
finanza di progetto sulla base di asseriti vizi di
legittimità.
Con deliberazione 29.7.2008 n. 32
il Consiglio comunale di Malo annullava l’approvazione
della procedura di project financing e con successiva
deliberazione 16.9.2008 n. 96 la Giunta comunale
confermava il suddetto annullamento, a cui faceva
seguito la conforme determinazione dirigenziale
30.9.2008 n. 445.
Il giudice di primo grado ha
accolto il ricorso proposto dall’impresa G. P. avverso
tali ultimi atti, rilevando l’insussistenza di vizi di
illegittimità dell’atto annullato e ritenendo che
l’amministrazione avesse esercitato il potere di revoca
a seguito di una nuova valutazione dell’interesse
pubblico, riconoscendo all’impresa privata la
complessiva somma di € 200.869,48 a titolo di indennizzo
ex art. 158 del D. Lgs. n. 163/06.
L’appellante comune di Malo ha
dedotto che sussistevano plurimi profili di
illegittimità negli atti di avvio e approvazione della
procedura e che il potere esercitato deve essere
qualificato di annullamento di ufficio, senza muovere
contestazioni alla quantificazione dell’indennizzo
spettante all’impresa.
Sotto un primo profilo, il Comune
sostiene che il rischio di impresa, che mancherebbe nel
caso di specie, costituisce elemento essenziale di una
procedura di project financing con conseguente
illegittimità della operazione che prevedeva, invece, a
carico del comune le risorse idonee a coprire l’intero
importo dei lavori (il corrispettivo del canone di
locazione per trenta anni corrisponde quasi all’importo
dei lavori di ristrutturazione e delle opere di
urbanizzazione, anche prescindendo dai 15.000 mc
concessi alla impresa).
Il motivo è privo di fondamento.
Il project financing comporta la
necessaria partecipazione finanziaria del soggetto
promotore, cui può aggiungersi l’eventuale contributo
pubblico; si tratta, tuttavia, di una procedura
caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, che
consente di adattare il progetto alle specifiche
esigenze delle parti.
Nel caso di specie, erano stati
previsti oneri a carico dell’amministrazione, che si era
assunta l’impegno di pagare per trenta anni i canoni di
locazione a fronte delle opere di ristrutturazione e di
realizzazione dell’urbanizzazione primaria affidate
all’impresa; tale struttura dell’operazione non è di per
sé incompatibile con l’istituto, che - si ribadisce -
consente che l’utilizzo delle risorse dei soggetti
proponenti sia solo parziale.
Non si può neanche sostenere che il
rischio dell’impresa fosse in concreto azzerato, in
quanto i calcoli del comune., oltre a includere anche
l’Iva tra i ricavi dell’impresa, non tengono conto del
fatto che l’impegno finanziario dell’impresa era
immediato (realizzazione delle opere), mentre gli oneri
posti a carico dell’amministrazione erano dilazionati in
trenta anni sotto forma di pagamento del canone; tale
circostanza impedisce di equiparare il valore
dell’importo a carico del comune con quello posto a
carico dell’impresa, trattandosi di dati comparabili
solo indicizzando gli importi alla data degli esborsi.
Si può sostenere che il rischio a
carico dell’impresa era contenuto, ma non certo che era
annullato e il fatto che il rischio fosse ridotto non
rende illegittima la procedura, che l’amministrazione ha
autonomamente valutato come conveniente al momento della
sua approvazione.
Né si può sostenere che si era in
presenza di una concessione di lavori pubblici, in
quanto l’operazione posta in essere era più complessa
rispetto alla mera esecuzione dei lavori a fronte della
gestione dell’opera.
In sostanza, il rischio ridotto per
l’impresa e la sussistenza di oneri a carico del
soggetto pubblico sono elementi compatibili con
l’istituto del project financing, che non rendono
illegittimo l’utilizzo di tale procedura, ma che possono
al limite essere rivalutati sotto il profilo
dell’opportunità e della convenienza, come in concreto
avvenuto alla luce di quanto illustrato in seguito.
3. Sono infondate anche le
ulteriori due censure con cui il Comune sostiene che
sussistevano ulteriori profili di illegittimità della
procedura di project financing, consistenti nella
inidoneità dell’asseverazione bancaria del progetto e
nella nullità degli atti per la mancata autorizzazione
alla alienazione del bene da parte della Soprintendenza.
Sotto il primo profilo, si osserva
che il piano economico finanziario del progetto deve
essere asseverato da una banca (art. 153, comma 9, D.
Lgs. n. 163/09), non essendo richiesto che tale
asseverazione abbia particolari formalità.
Nel caso di specie, non può
sostenersi che l’asseverazione mancasse, in quanto, con
la lettera del 28.6.2002, la Unicredit Banca-Cassamarca
ha dichiarato di aver esaminato l’allegato Piano
economico finanziario e di rilasciare l’asseverazione
prevista dall’art. 37-bis della legge n. 109/1994,
all’epoca vigente.
Tale documento integra la richiesta
asseverazione, senza che possa assumere rilievo la
precisazione della Banca di non impegnarsi al
finanziamento dell’iniziativa e di non esprimersi sul
merito dei costi di investimento, gestione e
tariffazione.
Del resto, la censura proposta dal
comune si pone in contrasto con la tesi della stessa
amministrazione, esposta in precedenza, dell’assenza di
rischi in capo all’impresa; è la stessa amministrazione,
infatti, a sostenere che il progetto non solo era
perfettamente sostenibile dall’impresa, ma che lo stesso
non comportava addirittura alcun rischio per essa.
Non deve essere dimenticato che la
presenza dell’asseverazione bancaria non esonera
l’amministrazione dal procedere alla valutazione della
coerenza e sostenibilità economica dell’offerta e
all’esame del piano economico e finanziario sotto il
profilo dei ricavi attesi e dei relativi flussi di cassa
in rapporto ai costi di produzione e di gestione (Cons.
Stato, V., n. 6727/2006); l’asseverazione bancaria,
comunque presente nel caso di specie, non sostituisce
tale valutazione amministrativa e, ove ritenuta non
completa, poteva al più essere integrata a richiesta del
Comune.
Con riguardo alla dedotta mancata
autorizzazione alla alienazione del bene da parte della
Soprintendenza, è sufficiente rilevare che, per gli
immobili vincolati come beni culturali, l’autorizzazione
della Soprintendenza è richiesta per la alienazione del
bene, mentre nel caso di specie si tratta di concessione
del diritto di superficie trentennale sulle opere
realizzate a Villa Clementi, permanendo la proprietà e
la detenzione dell’immobile in capo al Comune.
La preventiva autorizzazione non
era, quindi, richiesta e tanto meno poteva integrare un
motivo di nullità della procedura.
4. Con l’ultima censura il Comune
deduce che il Tar ha erroneamente qualificato gli atti
impugnati come revoca, trattandosi invece di
annullamento d’ufficio.
La tesi è priva di fondamento.
In primo luogo, si rileva che il
Tar ha accolto il ricorso di primo grado, ritenendo
insussistenti i presupposti per l’annullamento d’ufficio
e integrati, invece, quelli della revoca, lasciando “in
vita” gli impugnati provvedimenti quali revoca della
procedura di project financing.
Ciò è dipeso dal fatto che negli
atti impugnati era effettivamente presente una
commistione tra i presupposti per l’esercizio del potere
di annullamento di ufficio e del potere di revoca.
La già rilevata insussistenza di
vizi di legittimità degli atti annullati in autotutela e
la permanenza degli elementi costitutivi di un
provvedimento di revoca conduce a confermare la
qualificazione degli atti, effettuata dal Tar.
Come già evidenziato, il comune ha
inteso rivalutare la convenienza e l’opportunità
dell’operazione, esercitando, quindi, il tipico potere
di revoca.
Va anche ricordato che l’art.
21-quinques della legge n. 241/90 ha accolto una nozione
ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi,
che legittimano l’adozione di un provvedimento di
revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico
interesse; b) per mutamento della situazione di fatto;
c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario.
La revoca di provvedimenti
amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a
sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario (c.d. jus
poenitendi).
Nel caso di specie, la sostanziale
motivazione del provvedimento è costituita appunto da
una nuova valutazione dell’interesse pubblico, solo in
parte legata a sopravvenienze costituite dall’intervento
di urgenza eseguito sull’immobile sede della biblioteca
(immobile C) con lavori ritenuti non compatibili con
quelli oggetto del project financing.
Il Comune ha anche fatto
riferimento alla necessità di impegnare in altro modo le
somme destinate al pagamento del canone annuo da
corrispondere all’impresa, rivalutando quindi
l’opportunità dell’operazione.
E’ anche un profilo di opportunità
la diversa valutazione sugli oneri assunti dal Comune
rispetto a quelli gravanti sull’impresa e la possibilità
di raggiungere gli obiettivi in altro modo (appalto di
lavori finanziato), fermo restando quanto detto in
precedenza sulla compatibilità di tali impegni con
l’istituto del project financing.
Tenuto conto che nell’esercizio del
c.d. jus poenitendi l’amministrazione gode di ampia
discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta
a fondamento degli atti impugnati integri, come
accertato dal Tar, gli estremi di un provvedimento di
revoca.
Va aggiunto che la mancata
liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta
revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela,
ma consente al privato di agire per ottenere
l’indennizzo, come in concreto avvenuto in questo caso.
5. Con riferimento agli aspetti
patrimoniali, si rileva che il comune non ha contestato
la condanna al pagamento della somma a titolo di
indennizzo, mentre l’impresa ha proposto ricorso in
appello incidentale, chiedendo la condanna al
risarcimento del danno in luogo dell’indennizzo.
Tale domanda va respinta.
In primo luogo, non può essere
condivisa la tesi dell’appellante incidentale, secondo
cui gli atti impugnati sarebbero totalmente illegittimi,
non integrando neanche la revoca, che invece è stata in
concreto esercitata, come appena illustrato.
In presenza di un provvedimento
qualificato come di revoca viene meno il principale
presupposto su cui è stata fondata la domanda
risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità
provvedimentale degli atti adottati dal Comune per
liberarsi dal vincolo assunto con la procedura in
questione.
Va precisato che anche in caso di
revoca legittima si può ipotizzare che al privato
derivino danni risarcibili, e non meramente
indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni
conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma
da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo)
commesse dall’amministrazione, ma non riscontrate né
dedotte nel caso di specie, in cui alcun addebito è
stato mosso all’amministrazione sotto il profilo della
correttezza della condotta.
Ciò comporta che l’amministrazione
è tenuta a corrispondere il solo indennizzo, e non
l’integrale risarcimento del danno chiesto dall’impresa.
L’indennizzo è stato liquidato dal
Tar sulla base di criteri, che non sono stato oggetto di
contestazione in appello e, di conseguenza, non si deve
procedere alla loro verifica.
6. In conclusione, devono essere
respinti sia il ricorso in appello principale sia il
ricorso in appello incidentale.
Tenuto conto della reciproca
soccombenza, le spese di giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in
appello principale indicato in epigrafe e il ricorso in
appello incidentale proposto dalla Guerrino Pivato
s.p.a.
Compensa tra le parti le spese del
giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in Segreteria il
12.01.2012" |