Diritto
e processo.com
Luca D’Apollo
Nella contrattazione preliminare le parti si accordano
per una immediata entrata nel possesso dell’immobile ma
il definitivo non viene stipulato. Nel giudizio di
merito viene dichiarata la risoluzione del contratto per
inadempimento dei promissari venditori, i quali altresì
sono condannati a restituire la caparra già incamerata.
In appello la somma viene ridotta in quanto viene
riconosciuta ai promissari venditori una somma a titolo
di corrispettivo per il godimento dell'immobile, per il
periodo in cui i promissari acquirenti ne avevano avuto
la disponibilità.
Mancando un criterio ex lege si discute in
Cassazione sulle modalità di calcolo della somma ut
sopra. Secondo la tesi difensiva l'importo era stato
quantificato in entità superiore a quella corrispondente
all'"equo canone", entro i cui limiti invece avrebbe
dovuto essere contenuto.
Per il Collegio la doglianza va disattesa, affermando
che “Il carattere non risarcitorio dell'indennizzo in
questione implica che nella sua liquidazione la Corte
d'appello non era tenuta a determinarlo in misura uguale
a quella che i proprietari dell'appartamento avrebbero
potuto ricavarne dandolo in locazione ad "equo canone":
si tratta di un rimborso dovuto per il mancato godimento
del bene, godimento di cui la locazione costituisce
soltanto una delle varie possibili forme, sicché il
giudice di merito era libero di individuare un diverso
criterio di liquidazione, come motivatamente ha fatto in
base a quanto risultava dagli atti circa il valore
dell'immobile, desunto dalle sue caratteristiche e dalla
sua ubicazione”.
Spetta pertanto al giudicante nell’ambito del suo libero
convincimento determinare la forma di indennizzo da
mancato godimento del bene avendo la possibilità di
determinare il quantum in ragione del valore
dell’immobile, della sua ubicazione, e dei prezzi medi
di affitto.
Cassazione, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 870
(Pres. Oddo – Rel. Bucciante)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 22 febbraio 2001 il Tribunale di Roma -
adito da T..R. e V.J..R. nei confronti di G..P. e B.M.
(o M.R.), in proprio e quali esercenti la potestà dei
genitori sulla figlia minorenne L..P. - pronunciò la
risoluzione, per inadempimento dei convenuti, del
contratto preliminare del 14 aprile 1987, con cui si
erano obbligati a vendere agli attori un appartamento,
con posto auto e cantina, dell'edificio sito in via
(omissis); condannò i promittenti venditori alla
restituzione di lire 42.144.000, oltre agli interessi
dalle date dei pagamenti ricevuti, nonché al
risarcimento dei danni, nella misura di lire 21.348.000,
oltre agli interessi dalla domanda; respinse le
ulteriori domande proposte dall'una parte e dall'altra,
anche in via riconvenzionale.
Impugnata da G..P. e B.M. (o M.R. ), in proprio e quali
esercenti la potestà dei genitori sulla figlia minorenne
L..P. , la decisione è stata parzialmente riformata
dalla Corte d'appello di Roma, che con sentenza del 15
luglio 2004 ha rideterminato in 1.549,37 Euro il
risarcimento di danni dovuto a T..R. e R.V.J. e ha
condannato questi ultimi a pagare all'altra parte
22.775,75 Euro, oltre agli interessi con decorrenza dal
20 febbraio 1992, a titolo di corrispettivo per il
godimento dell'immobile, per il periodo in cui ne
avevano avuto la disponibilità.
Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione R.T. e V.J.R., in base a quattro motivi.
G..P. e B.M. (o M.R.) si sono costituiti con
controricorso, formulando a loro volta tre motivi di
impugnazione in via incidentale. Non ha svolto attività
difensive nel giudizio di legittimità L..P. , nei cui
confronti è stato integrato il contraddittorio mediante
la notificazione sia del ricorso principale sia
dell'incidentale, come questa Corte aveva disposto
all'udienza del 16 febbraio 2011. Sono state presentate
memorie dai ricorrenti principali.
Motivi della decisione
In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due
impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in
applicazione dell'art. 335 c.p.c..
I resistenti hanno contestato pregiudizialmente
l'ammissibilità del ricorso principale, osservando che è
stato loro notificato anche quali rappresentanti della
figlia, la quale era divenuta maggiorenne fin dal 12
settembre 2002.
L'eccezione non è fondata.
È vero che l'atto avrebbe dovuto essere notificato
personalmente a L..P., anche se nel giudizio a quo non
era stato dichiarato che costei non era più minorenne
(v. Cass. s.u. 28 luglio 2005 n. 15783). Tuttavia,
trattandosi di una litisconsorte necessaria ed essendo
stato il ricorso proposto validamente nei confronti
degli altri, ciò escludeva che l'impugnazione potesse
essere ritenuta inammissibile, ma comportava soltanto
che dovesse essere ordinata l'integrazione del
contraddittorio nei confronti della pretermessa, come in
effetti questa Corte ha disposto nell'udienza del 16
febbraio 2011 (v. Cass. 6 dicembre 2006 n. 26156).
Tra le censure rivolte dalle parti alla sentenza
impugnata, vanno prese in esame prioritariamente, dato
il loro carattere preliminare ed assorbente, quelle
formulate con il ricorso incidentale.
Con il primo motivo G..P. e B.M. (o M.R. ) lamentano di
essere stati erroneamente ritenuti inadempienti alle
obbligazioni da loro assunte con il contratto
preliminare in questione, mentre invece in realtà si
erano adoperati per l'esatta esecuzione delle
prestazioni cui erano tenuti: già nel 1987, pochi mesi
dopo la conclusione del negozio, avevano fatto redigere
una perizia giurata, da allegare all'istanza al giudice
tutelare per l'autorizzazione alla vendita, necessaria
per la quota di pertinenza della figlia minorenne;
avevano inoltre offerto la sostituzione del posto auto
promesso in vendita, ma non di loro proprietà, con un
altro analogo, oppure una riduzione del prezzo, come
avevano chiesto di dimostrare con una prova per
testimoni che ingiustificatamente la Corte d'appello non
ha ammesso.
La doglianza va disattesa.
La Corte d'appello non ha rinvenuto né la perizia
giurata del 1987 (ma invece un'altra del 1991) né la
nota con cui i ricorrenti avevano dedotto la prova
testimoniale. Che in ipotesi la perizia e la nota
fossero invece presenti negli atti di causa, comunque, è
del tutto ininfluente, poiché attengono a circostanze
assolutamente inidonee ad escludere gli inadempimenti in
cui G..P. e B.M. (o M.R. ) erano incorsi: alla
predisposizione della perizia giurata, anche se
approntata già nel 1987, avrebbe dovuto seguire la
presentazione dell'istanza di autorizzazione al giudice
tutelare, che invece, come è incontroverso, non è stata
mai proposta, sicché è senz'altro addebitabile ai
promittenti venditori la mancata stipulazione del
contratto definitivo, per la quale l'autorizzazione era
indispensabile; l'ulteriore inadempimento, conseguente
all'impossibilità di trasferire il posto auto che G..P.
e B.M. (o M.R. ) si erano obbligati ad alienare, ma che
non apparteneva a loro e alla loro figlia, non è escluso
dall'avere essi formulato proposte transattive, che non
sono state accettate da T..R. e V.J..R. , come era in
loro facoltà.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale P.G. e
B.M. (o M.R. ) deducono che la Corte d'appello ha omesso
di valutare comparativamente i loro presunti
inadempimenti con quelli dei promittenti acquirenti, i
quali non avevano richiesto il mutuo occorrente per
versare il saldo del prezzo e avevano goduto del bene
pur non avendolo ancora pagato per intero.
Neppure questa censura può essere accolta.
Dalla sentenza impugnata risulta che l'inadempimento che
unicamente gli appellanti avevano attribuito a T..R. e
R.V.J. consisteva nella mancata accettazione delle
proposte transattive di sostituzione del posto auto o di
riduzione del prezzo. Né i ricorrenti precisano in che
termini e modalità avessero eventualmente prospettato
nel giudizio a quo i temi che formano oggetto del motivo
di impugnazione in esame: temi che pertanto non possono
avere ingresso in questa sede.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale P.G. e B.M.
(o M.R. ) si dolgono di essere stati condannati - sia
pure nella misura determinata dalla Corte d'appello,
ridotta rispetto a quella stabilita del Tribunale - al
risarcimento dei danni reclamato da T..R. e R.V.J. :
sostengono che si trattava di una domanda nuova, sulla
quale non avevano accettato il contraddittorio, sicché
erroneamente il giudice di secondo grado l'aveva
ritenuta ammissibile.
La censura è fondata.
Inizialmente gli attori avevano agito per ottenere il
trasferimento, ai sensi dell'art. 2932 c.c.,
dell'immobile loro promesso in vendita e il risarcimento
dei danni derivanti dal ritardo con cui avrebbero
conseguito il bene. Nel corso successivo del giudizio, a
fronte della riconvenzionale di risoluzione avanzata dai
convenuti, avevano in via subordinata chiesto a loro
volta la risoluzione del contratto preliminare e il
risarcimento dei danni, facendoli consistere tra l'altro
(per l'unica "voce" ritenuta provata dalla Corte
d'appello) negli oneri straordinari che avevano
corrisposto al condominio nel periodo in cui avevano
abitato nell'appartamento. La risoluzione, per il
disposto dell'art. 1453 c.c., poteva senz'altro essere
chiesta in luogo dell'adempimento, ma non poteva essere
proposta la domanda ulteriore di risarcimento, avente
causa petenti e petitum diversi da quella originaria. La
deroga al divieto di mutatio libelli sancito dalla norma
citata, non si estende infatti alle domande di
risarcimento consequenziali, rispettivamente, a quelle
di adempimento e di risoluzione (Cass. 16 settembre 2009
n. 13953). Erroneamente quindi la Corte d'appello, nel
presupposto che “una generica domanda di risarcimento
era già contenuta nell'atti introduttivo”, ha ritenuto
di poter provvedere su quella diversa che gli attori
avevano proposto successivamente.
Per il capo con cui G..P. e B.M. (o M.R. ) sono stati
condannati a pagare 1.549,37 Euro, oltre agli
interessi, la sentenza impugnata deve dunque essere
cassata senza rinvio, in applicazione dell'art. 382
c.c., poiché la causa di cui si tratta non poteva essere
proposta.
L'accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale
comporta il rigetto del primo e del terzo del
principale, che attengono al quantum del risarcimento -
liquidato secondo R.T. e V.J..R. in misura
insufficiente, a causa dell'ingiustificata esclusione
delle spese che avevano sostenuto per i miglioramenti
apportati all'appartamento - che era stato chiesto con
la domanda di cui si rilevata l'improponibilità.
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali
sostengono che la caparra da loro versata, erroneamente
definita nel contratto come penitenziale anziché
confirmatoria, avrebbe dovuto essere restituita in
misura doppia da G..P. e B.M. (o M.R. ).
L'assunto non può essere preso in considerazione, per
ragioni analoghe a quelle esposte a proposito del
secondo motivo del ricorso incidentale: è estraneo alla
materia del contendere, quale dalla sentenza impugnata
risulta essere stata devoluta al giudice di secondo
grado, davanti al quale i ricorrenti non deducono di
aver sollevato la questione.
Con il quarto motivo del ricorso principale T..R. e
V.J..R. lamentano l'eccessività della somma che sono
stati condannati a pagare a G..P. e B.M. (o M.R. ) a
titolo di corrispettivo per il godimento dell'immobile,
per il periodo in cui ne avevano avuto la disponibilità:
sostengono che l'importo è stato quantificato in entità
superiore a quella corrispondente all'"equo canone",
entro i cui limiti invece avrebbe dovuto essere
contenuto.
Anche questa doglianza va disattesa.
Il carattere non risarcitorio dell'indennizzo in
questione implica che nella sua liquidazione la Corte
d'appello non era tenuta a determinarlo in misura uguale
a quella che i proprietari dell'appartamento avrebbero
potuto ricavarne dandolo in locazione ad "equo canone":
si tratta di un rimborso dovuto per il mancato godimento
del bene, godimento di cui la locazione costituisce
soltanto una delle varie possibili forme, sicché il
giudice di merito era libero di individuare un diverso
criterio di liquidazione, come motivatamente ha fatto in
base a quanto risultava dagli atti circa il valore
dell'immobile, desunto dalle sue caratteristiche e dalla
sua ubicazione.
Il carattere secondario, nell'economia generale della
controversia, del punto che forma oggetto della
pronuncia di cassazione senza rinvio, consente di
mantenere ferma la compensazione delle spese del
giudizio di secondo grado, disposta dalla Corte
d'appello.
Anche le spese del giudizio di cassazione vengono
compensate tra le parti, in considerazione della
parziale reciproca loro soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il principale e il
primo e secondo motivo dell'incidentale; accoglie il
terzo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto; compensa tra le parti le
spese del giudizio di legittimità |