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PRELIMINARE. IL PROMITTENTE ACQUIRENTE DEVE INDENNIZZARE IL VENDITORE PER IL TEMPO IN CUI HA AVUTO IL GODIMENTO DEL BENE-Cassazione, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 870

 

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Luca D’Apollo

Nella contrattazione preliminare le parti si accordano per una immediata entrata nel possesso dell’immobile ma il definitivo non viene stipulato. Nel giudizio di merito viene dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento dei promissari venditori, i quali altresì sono condannati a restituire la caparra già incamerata.

In appello la somma viene ridotta in quanto viene riconosciuta ai promissari venditori una somma a titolo di corrispettivo per il godimento dell'immobile, per il periodo in cui i promissari acquirenti ne avevano avuto la disponibilità.

Mancando un criterio ex lege si discute in Cassazione sulle modalità di calcolo della somma ut sopra. Secondo la tesi difensiva l'importo era stato quantificato in entità superiore a quella corrispondente all'"equo canone", entro i cui limiti invece avrebbe dovuto essere contenuto.

Per il Collegio la doglianza va disattesa, affermando che “Il carattere non risarcitorio dell'indennizzo in questione implica che nella sua liquidazione la Corte d'appello non era tenuta a determinarlo in misura uguale a quella che i proprietari dell'appartamento avrebbero potuto ricavarne dandolo in locazione ad "equo canone": si tratta di un rimborso dovuto per il mancato godimento del bene, godimento di cui la locazione costituisce soltanto una delle varie possibili forme, sicché il giudice di merito era libero di individuare un diverso criterio di liquidazione, come motivatamente ha fatto in base a quanto risultava dagli atti circa il valore dell'immobile, desunto dalle sue caratteristiche e dalla sua ubicazione”.

Spetta pertanto al giudicante nell’ambito del suo libero convincimento determinare la forma di indennizzo da mancato godimento del bene avendo la possibilità di determinare il quantum in ragione del valore dell’immobile, della sua ubicazione, e dei prezzi medi di affitto.

Cassazione, sez. II, 23 gennaio 2012, n. 870

(Pres. Oddo – Rel. Bucciante)

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 febbraio 2001 il Tribunale di Roma - adito da T..R. e V.J..R. nei confronti di G..P. e B.M. (o M.R.), in proprio e quali esercenti la potestà dei genitori sulla figlia minorenne L..P. - pronunciò la risoluzione, per inadempimento dei convenuti, del contratto preliminare del 14 aprile 1987, con cui si erano obbligati a vendere agli attori un appartamento, con posto auto e cantina, dell'edificio sito in via (omissis); condannò i promittenti venditori alla restituzione di lire 42.144.000, oltre agli interessi dalle date dei pagamenti ricevuti, nonché al risarcimento dei danni, nella misura di lire 21.348.000, oltre agli interessi dalla domanda; respinse le ulteriori domande proposte dall'una parte e dall'altra, anche in via riconvenzionale.

Impugnata da G..P. e B.M. (o M.R. ), in proprio e quali esercenti la potestà dei genitori sulla figlia minorenne L..P. , la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Roma, che con sentenza del 15 luglio 2004 ha rideterminato in 1.549,37 Euro il risarcimento di danni dovuto a T..R. e R.V.J. e ha condannato questi ultimi a pagare all'altra parte 22.775,75 Euro, oltre agli interessi con decorrenza dal 20 febbraio 1992, a titolo di corrispettivo per il godimento dell'immobile, per il periodo in cui ne avevano avuto la disponibilità.

Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione R.T. e V.J.R., in base a quattro motivi. G..P. e B.M. (o M.R.) si sono costituiti con controricorso, formulando a loro volta tre motivi di impugnazione in via incidentale. Non ha svolto attività difensive nel giudizio di legittimità L..P. , nei cui confronti è stato integrato il contraddittorio mediante la notificazione sia del ricorso principale sia dell'incidentale, come questa Corte aveva disposto all'udienza del 16 febbraio 2011. Sono state presentate memorie dai ricorrenti principali.

Motivi della decisione

In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in applicazione dell'art. 335 c.p.c..

I resistenti hanno contestato pregiudizialmente l'ammissibilità del ricorso principale, osservando che è stato loro notificato anche quali rappresentanti della figlia, la quale era divenuta maggiorenne fin dal 12 settembre 2002.

L'eccezione non è fondata.

È vero che l'atto avrebbe dovuto essere notificato personalmente a L..P., anche se nel giudizio a quo non era stato dichiarato che costei non era più minorenne (v. Cass. s.u. 28 luglio 2005 n. 15783). Tuttavia, trattandosi di una litisconsorte necessaria ed essendo stato il ricorso proposto validamente nei confronti degli altri, ciò escludeva che l'impugnazione potesse essere ritenuta inammissibile, ma comportava soltanto che dovesse essere ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti della pretermessa, come in effetti questa Corte ha disposto nell'udienza del 16 febbraio 2011 (v. Cass. 6 dicembre 2006 n. 26156).

Tra le censure rivolte dalle parti alla sentenza impugnata, vanno prese in esame priorita­riamente, dato il loro carattere preliminare ed assorbente, quelle formulate con il ricorso incidentale.

Con il primo motivo G..P. e B.M. (o M.R. ) lamentano di essere stati erroneamente ritenuti inadempienti alle obbligazioni da loro assunte con il contratto preliminare in questione, mentre invece in realtà si erano adoperati per l'esatta esecuzione delle prestazioni cui erano tenuti: già nel 1987, pochi mesi dopo la conclusione del negozio, avevano fatto redigere una perizia giurata, da allegare all'istanza al giudice tutelare per l'autorizzazione alla vendita, necessaria per la quota di pertinenza della figlia minorenne; avevano inoltre offerto la sostituzione del posto auto promesso in vendita, ma non di loro proprietà, con un altro analogo, oppure una riduzione del prezzo, come avevano chiesto di dimostrare con una prova per testimoni che ingiustificatamente la Corte d'appello non ha ammesso.

La doglianza va disattesa.

La Corte d'appello non ha rinvenuto né la perizia giurata del 1987 (ma invece un'altra del 1991) né la nota con cui i ricorrenti avevano dedotto la prova testimoniale. Che in ipotesi la perizia e la nota fossero invece presenti negli atti di causa, comunque, è del tutto ininfluente, poiché attengono a circostanze assolutamente inidonee ad escludere gli inadempimenti in cui G..P. e B.M. (o M.R. ) erano incorsi: alla predisposizione della perizia giurata, anche se approntata già nel 1987, avrebbe dovuto seguire la presentazione dell'istanza di autorizzazione al giudice tutelare, che invece, come è incontroverso, non è stata mai proposta, sicché è senz'altro addebitabile ai promittenti venditori la mancata stipulazione del contratto definitivo, per la quale l'autorizzazione era indispensabile; l'ulteriore inadempimento, conseguente all'impossibilità di trasferire il posto auto che G..P. e B.M. (o M.R. ) si erano obbligati ad alienare, ma che non apparteneva a loro e alla loro figlia, non è escluso dall'avere essi formulato proposte transattive, che non sono state accettate da T..R. e V.J..R. , come era in loro facoltà.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale P.G. e B.M. (o M.R. ) deducono che la Corte d'appello ha omesso di valutare comparativamente i loro presunti inadempimenti con quelli dei promittenti acquirenti, i quali non avevano richiesto il mutuo occorrente per versare il saldo del prezzo e avevano goduto del bene pur non avendolo ancora pagato per intero.

Neppure questa censura può essere accolta.

Dalla sentenza impugnata risulta che l'inadempimento che unicamente gli appellanti avevano attribuito a T..R. e R.V.J. consisteva nella mancata accettazione delle proposte transattive di sostituzione del posto auto o di riduzione del prezzo. Né i ricorrenti precisano in che termini e modalità avessero eventualmente prospettato nel giudizio a quo i temi che formano oggetto del motivo di impugnazione in esame: temi che pertanto non possono avere ingresso in questa sede.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale P.G. e B.M. (o M.R. ) si dolgono di essere stati condannati - sia pure nella misura determinata dalla Corte d'appello, ridotta rispetto a quella stabilita del Tribunale - al risarcimento dei danni reclamato da T..R. e R.V.J. : sostengono che si trattava di una domanda nuova, sulla quale non avevano accettato il contraddittorio, sicché erroneamente il giudice di secondo grado l'aveva ritenuta ammissibile.

La censura è fondata.

Inizialmente gli attori avevano agito per ottenere il trasferimento, ai sensi dell'art. 2932 c.c., dell'immobile loro promesso in vendita e il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo con cui avrebbero conseguito il bene. Nel corso successivo del giudizio, a fronte della riconvenzionale di risoluzione avanzata dai convenuti, avevano in via subordinata chiesto a loro volta la risoluzione del contratto preliminare e il risarcimento dei danni, facendoli consistere tra l'altro (per l'unica "voce" ritenuta provata dalla Corte d'appello) negli oneri straordinari che avevano corrisposto al condominio nel periodo in cui avevano abitato nell'appartamento. La risoluzione, per il disposto dell'art. 1453 c.c., poteva senz'altro essere chiesta in luogo dell'adempimento, ma non poteva essere proposta la domanda ulteriore di risarcimento, avente causa petenti e petitum diversi da quella originaria. La deroga al divieto di mutatio libelli sancito dalla norma citata, non si estende infatti alle domande di risarcimento consequenziali, rispettivamente, a quelle di adempimento e di risoluzione (Cass. 16 settembre 2009 n. 13953). Erroneamente quindi la Corte d'appello, nel presupposto che “una generica domanda di risarcimento era già contenuta nell'atti introduttivo”, ha ritenuto di poter provvedere su quella diversa che gli attori avevano proposto successivamente.

Per il capo con cui G..P. e B.M. (o M.R. ) sono stati condannati a pagare 1.549,37 Euro, oltre agli interes­si, la sentenza impugnata deve dunque essere cassata senza rinvio, in applicazione dell'art. 382 c.c., poiché la causa di cui si tratta non poteva essere proposta.

L'accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale comporta il rigetto del primo e del terzo del principale, che attengono al quantum del risarcimento - liquidato secondo R.T. e V.J..R. in misura insufficiente, a causa dell'ingiustificata esclusione delle spese che avevano sostenuto per i miglioramenti apportati all'appartamento - che era stato chiesto con la domanda di cui si rilevata l'improponibilità.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali sostengono che la caparra da loro versata, erroneamente definita nel contratto come penitenziale anziché confirmatoria, avrebbe dovuto essere restituita in misura doppia da G..P. e B.M. (o M.R. ).

L'assunto non può essere preso in considerazione, per ragioni analoghe a quelle esposte a proposito del secondo motivo del ricorso incidentale: è estraneo alla materia del contendere, quale dalla sentenza impugnata risulta essere stata devoluta al giudice di secondo grado, davanti al quale i ricorrenti non deducono di aver sollevato la questione.

Con il quarto motivo del ricorso principale T..R. e V.J..R. lamentano l'eccessività della somma che sono stati condannati a pagare a G..P. e B.M. (o M.R. ) a titolo di corrispettivo per il godimento dell'immobile, per il periodo in cui ne avevano avuto la disponibilità: sostengono che l'importo è stato quantificato in entità superiore a quella corrispondente all'"equo canone", entro i cui limiti invece avrebbe dovuto essere contenuto.

Anche questa doglianza va disattesa.

Il carattere non risarcitorio dell'indennizzo in questione implica che nella sua liquidazione la Corte d'appello non era tenuta a determinarlo in misura uguale a quella che i proprietari dell'appartamento avrebbero potuto ricavarne dandolo in locazione ad "equo canone": si tratta di un rimborso dovuto per il mancato godimento del bene, godimento di cui la locazione costituisce soltanto una delle varie possibili forme, sicché il giudice di merito era libero di individuare un diverso criterio di liquidazione, come motivatamente ha fatto in base a quanto risultava dagli atti circa il valore dell'immobile, desunto dalle sue caratteristiche e dalla sua ubicazione.

Il carattere secondario, nell'economia generale della controversia, del punto che forma oggetto della pronuncia di cassazione senza rinvio, consente di mantenere ferma la compensa­zione delle spese del giudizio di secondo grado, disposta dalla Corte d'appello.

Anche le spese del giudizio di cassazione vengono compensate tra le parti, in considerazione della parziale reciproca loro soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il principale e il primo e secondo motivo dell'incidentale; accoglie il terzo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità

 

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