Diritto e processo.com
Al quesito posto alle Sezioni Unite, avente ad oggetto
la possibile equivalenza del decreto di citazione a
giudizio alla notifica dell'avviso di accertamento delle
violazioni, pertanto, deve essere data risposta nel
senso che “il decreto di citazione a giudizio è
equivalente alla notifica dell'avviso di accertamento
solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale
indirizzato all'imputato, contiene gli elementi
essenziali del predetto avviso”
Cassazione, sez. Unite Penali, 18 gennaio 2012, n. 1855
(Pres. Lupo – Rel. Lombardi)
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 3 novembre 2010 la Corte di appello
di Cagliari, confermando la sentenza del Tribunale di
Lanusei in data 29 aprile 2008, ha affermato la
colpevolezza di S..S. in ordine al reato di cui agli
artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 2, comma I-bis,
d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, a
lei ascritto per avere, quale responsabile della ditta
"Sar Pont S.r.l." omesso di versare all'INPS le ritenute
previdenziali ed assistenziali operate sulle
retribuzioni dei lavoratori dipendenti per il periodo
dal maggio al novembre 2003.
La sentenza ha affermato che il termine di tre mesi
concesso dall'art. 2, comma I-bis, ultimo periodo, legge
n. 638 del 1983 al datore di lavoro per provvedere al
versamento delle ritenute, con conseguente non
punibilità del reato, decorreva - difettando la prova
che l'imputata avesse ricevuto la notifica
dell'accertamento della violazione - dalla data di
notifica del decreto di citazione a giudizio.
La Corte territoriale ha, inoltre, ritenuto provato
l'effettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori
dipendenti relativamente al periodo cui si riferiva la
contestazione ed ha rigettato gli ulteriori motivi di
gravame con i quali l'appellante lamentava l'eccessività
della pena inflitta e chiedeva la sostituzione della
pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputata,
deducendo: 1) inosservanza o erronea applicazione della
legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve
tener conto nell'applicazione della legge penale; 2)
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione.
Afferma la ricorrente che “il decreto di citazione a
giudizio, soprattutto se formulato in modo sintetico,
non può integrare un atto sostitutivo rispetto a quello
di cui all'art. 2 del d.l. n. 463/1983, non ponendo il
datore di lavoro nelle condizioni di avere reale ed
effettiva contezza del tenore dell'accertamento INPS,
risultante omesso”.
Si afferma, inoltre, in punto di accertamento
dell'effettivo pagamento delle retribuzioni ai
lavoratori dipendenti, che i giudici di merito lo hanno
fondato sulla verifica dell'esistenza dei modelli D.M.
10, attribuendo a detta documentazione una funzione
probatoria che non le è propria.
Viene censurata, infine, la motivazione con la quale la
sentenza ha negato all'imputata la sostituzione della
pena detentiva con quella pecuniaria.
3. La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione,
assegnatala del ricorso, con ordinanza del 7 giugno
2011, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, a norma
dell'art. 618 cod. proc. pen..
Nell'ordinanza si rileva l'esistenza di un contrasto,
non composto, nella giurisprudenza di questa Corte in
ordine alla conseguenze derivanti dalla omessa
contestazione o notifica dell'avvenuto accertamento
della violazione da parte dell'INPS ovvero dalla carenza
di prove sul punto.
Alcune decisioni hanno affermato che in tale ipotesi il
termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per
provvedere al versamento delle somme dovute decorre
dalla notifica del decreto di citazione per il giudizio;
qualora detto termine non sia decorso al momento della
celebrazione del processo l'imputato può chiedere al
giudice un rinvio al fine di provvedere all'adempimento
(Sez. 3, n. 4723 del 12/12/2007, dep. 2008, Passante;
Sez. 3, n. 38501 del 25/09/2007, Falzoni; Sez. 3, n.
41277 del 28/09/2004, De Berardis).
Altro orientamento giurisprudenziale ammette che
l'avviso di accertamento delle violazioni possa essere
surrogato dal decreto di citazione a condizione che lo
stesso contenga la specifica indicazione delle somme
corrispondenti alle contribuzioni omesse, con l'invito a
pagarle, la messa in mora del datore di lavoro e
l'avvertimento che il mancato pagamento comporta la
punibilità del reato (Sez. 3, n. 6982 del 15/12/2005,
dep. 2006, Ricciardi).
Tali soluzioni interpretative sono state ritenute, da
altra sentenza (Sez. F, n. 44542 del 5/08/2008, Varesi),
non basate su sicuri dati normativi, in contrasto con la
ratio della disciplina e non conformi a principi
costituzionali, con la conseguenza che il decreto di
citazione non può essere equiparato all'avviso di
accertamento della violazione. Secondo la citata
pronuncia la notifica dell'avviso di accertamento della
violazione ed il decorso del termine di tre mesi
costituiscono una condizione di procedibilità
dell'azione penale.
Un'altra sentenza, infine, ha ritenuto il termine di tre
mesi solo il limite temporale ultimo per la trasmissione
della notitia criminis da parte dell'ente previdenziale
all'autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 27258 del 16/05/
2007, Venditti).
4. Il Primo Presidente, con decreto del 15 settembre
2011, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite,
fissando per la trattazione l'odierna pubblica udienza.
5. Con memoria depositata l'11 novembre 2011 la difesa
della ricorrente ha riprodotto la motivazione della
citata sentenza n. 44542 del 2008, Varesi, a sostegno
della tesi secondo la quale la notifica del decreto di
citazione a giudizio non costituisce atto equipollente
alla notifica dell'avviso di accertamento della
violazione da parte dell'ente previdenziale, aggiungendo
che, nel caso in esame, la contestazione contenuta nel
predetto decreto non riportava indicazioni idonee a
consentire al datore di lavoro di versare le ritenute
omesse.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. La questione sottoposta all'esame delle Sezioni Unite
è la seguente: “Se, ed eventualmente a quali condizioni,
la notifica del decreto di citazione a giudizio sia da
ritenere equivalente, nei procedimenti per il reato di
omesso versamento delle ritenute assistenziali e
previdenziali all'I.N.P.S., alla notifica
dell'accertamento della violazione, non effettuata, e
ciò ai fini del decorso del termine di tre mesi per il
pagamento di quanto dovuto, che rende non punibile il
fatto”.
3. Il reato di omesso versamento delle ritenute
assistenziali e previdenziali è previsto dall'art. 2
d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638,
come modificato dall'art. 1 d.lgs. 24 marzo 1994, n.
211, il quale, al comma I-bis, dopo avere comminato la
sanzione della detenzione e della multa per detta
violazione, nel secondo periodo dispone: “Il datore di
lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il
termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica
dell'avvenuto accertamento della violazione”.
Stabilisce, poi, il comma I-ter del predetto art. 2; “La
denuncia di reato è presentata o trasmessa senza ritardo
dopo il versamento di cui al comma I-bis ovvero decorso
inutilmente il termine ivi previsto. Alla denuncia è
allegata l'attestazione delle somme eventualmente
versate”.
Il comma 1-quater. “Durante il termine di cui al comma
I-bis il corso della prescrizione rimane sospeso”.
Il citato decreto legislativo n. 211 del 1994 ha
novellato nei termini di cui alle disposizioni riportate
la precedente disciplina della materia, che prevedeva,
quale causa di estinzione del reato, la facoltà per il
datore di lavoro di effettuare il versamento delle
ritenute entro sei mesi dalla scadenza del relativo
termine ovvero non oltre le formalità di apertura del
dibattimento penale, se fissato prima dello scadere del
termine di sei mesi (art. 1, comma 3, d.l. 9 ottobre
1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge
7 dicembre 1989, n. 389, che aveva sostituito
l'originario art. 2, comma 1, d.l. n. 463 del 1983 con i
commi 1 e I-bis).
4. Come esposto nell'ordinanza di rimessione, il
prevalente indirizzo interpretativo di questa Corte
afferma che “nel caso non risulti certa la contestazione
o la notifica dell'avvenuto accertamento delle
violazioni, il termine di tre mesi concesso al datore di
lavoro per provvedere al versamento dovuto - rendendo
operante la causa di non punibilità prevista dall'art.
2, comma I-bis, legge n. 638 del 1983, come modificato
dal d.lgs. n. 211 del 1994 - decorre dalla data di
notifica del decreto di citazione per il giudizio,
sicché qualora detto termine non sia decorso al momento
della celebrazione del dibattimento, l'imputato può
chiedere al giudice un differimento dello stesso al fine
di provvedere all'adempimento” (Sez. 3, n. 41277 del
28/09/ 2004, De Berardis, Rv. 230316).
Comune al citato indirizzo interpretativo è
l'affermazione che “il decorso del termine di tre mesi
per provvedere alla regolarizzazione [...] non
rappresenta una condizione di procedibilità dell'azione
penale”, ma indica solo il limite temporale per la
trasmissione all'autorità giudiziaria della notitia
criminis da parte dell'ente previdenziale e, pertanto,
“non impone di attendere il termine indicato per
l'esercizio dell'azione penale” (Sez. 3, n. 27258 del
16/05/2007, Venditti; Sez. 3, n. 38501 del 25/09/ 2007,
Falzoni; Sez. 3, n. 4723 del 12/12/2007, dep. 2008,
Passante; Sez. 3, n. 36331 del 07/07/2009, Santella;
Sez. 3, n. 29616 del 14/06/2011, Vescovi).
5. Secondo l'opposto indirizzo interpretativo,
“l'effettuazione di una valida contestazione o di una
valida notifica dell'accertamento della violazione ed il
successivo decorso del termine di tre mesi dalla
contestazione o dalla notifica senza il versamento delle
somme dovute si configurano invece come una condizione
di procedibilità dell'azione penale” (Sez. 3, n. 19212
del 04/04/2006, Bianchi). Ne deriva che “in mancanza
della contestazione o della notifica dell'accertamento
della violazione ed in mancanza del decorso del termine
di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica,
l'azione penale non può essere iniziata con la
conseguenza che nemmeno può essere emesso un valido
decreto di citazione a giudizio”. In tal caso il giudice
ha l'obbligo di rilevare e dichiarare anche di ufficio
in ogni stato e grado del giudizio l'improcedibilità
dell'azione penale ai sensi dell'art. 129 cod. proc.
pen..
Una successiva sentenza conforme al citato indirizzo
interpretativo (Sez. F, n. 44542 del 05/08/2008, Varesi)
ha osservato che l'opposta tesi dell'equipollenza della
notifica del decreto di citazione a giudizio alla
contestazione o notifica dell'accertamento delle
violazioni da parte dell'ente previdenziale “non sembra
avere un sicuro fondamento normativo”. Si osserva, in
particolare, sul punto che l'affermazione, secondo la
quale l'imputato può chiedere al giudice un termine per
effettuare il pagamento, non spiega “su quale dato
normativo si fondi questo ulteriore onere imposto
all'imputato”; né “su quale norma si fondi un obbligo
del giudice di rinviare il dibattimento”. La tesi
dell'equipollenza, secondo la richiamata pronuncia,
inoltre “potrebbe produrre l'effetto di porre nel nulla
l'obbligo di notificazione legislativamente imposto
all'ente accertatore, in tal modo ponendosi anche in
contrasto con la ratio e le finalità della disciplina”.
Ulteriori argomenti a sostegno della natura di
condizione di procedibilità attribuita alla
contestazione o notifica dell'accertamento da parte
dell'ente previdenziale vengono ravvisati nella lettera
della norma, che impone all'ente di trasmettere la
notitia criminis all'autorità giudiziaria solo dopo
l'esaurimento del tentativo di definizione del contesto
in sede amministrativa e prevede la sospensione del
decorso della prescrizione per la durata della fase di
definizione amministrativa, diversamente da quanto
previsto in altri casi, come, ad esempio, dalla
normativa per la definizione delle violazione in materia
di sicurezza del lavoro dal d.lgs. n. 758 del 1994;
nella diversità di contenuto del decreto di citazione a
giudizio rispetto all'avviso di accertamento delle
violazioni, che contiene l'ingiunzione ad adempiere con
l'indicazione delle somme dovute; nella disparità di
trattamento tra il datore di lavoro, al quale sia stato
regolarmente notificato l'avviso di accertamento, e il
datore di lavoro che sia stato rinviato a giudizio senza
avere ricevuto tale avviso.
6. Secondo un'isolata sentenza (Sez. 3, n. 10469 del
01/02/2005, Petrone, Rv, 230980), infine, il reato in
questione è omissivo istantaneo che “si consuma alla
scadenza di tre mesi dalla contestazione entro i quali
si può provvedere al pagamento del debito contributivo e
non al momento dell'accertamento della violazione”.
7. Deve essere preliminarmente sgombrato il campo da
tale ultima enunciazione in ordine alla struttura del
reato, che sembrerebbe dirimente rispetto alle opposte
tesi sulla natura della notifica dell'avviso di
accertamento delle violazioni e del decorso del termine
previsto per l'adempimento.
È evidente che l'attribuzione della natura di elemento
costitutivo del reato alla notifica dell'avviso di
accertamento ed al decorso del termine per adempiere
contrasta con la stessa lettera della legge, che prevede
la sospensione del decorso della prescrizione durante il
termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per
adempiere (art. 2, comma 1-quater, legge n. 638 del
1983); previsione assolutamente inconciliabile con la
affermata insussistenza del reato prima che il medesimo
termine sia decorso.
Va ricordato sul punto che secondo il consolidato
indirizzo interpretativo l'omesso versamento all'INPS
delle ritenute previdenziali ed assistenziali “è reato
omissivo istantaneo che si consuma nel momento in cui
scade il termine utile per il versamento da parte del
datore di lavoro e nel luogo in cui il versamento stesso
si sarebbe dovuto effettuare e non fu, invece,
effettuato nel termine utile, a nulla rilevando il
momento in cui il reato è stato accertato” (Sez. 1, n.
2136 del 14/07/1989, Rosciano, Rv. 182055; Sez. 3, n.
5315 del 07/12/1990, dep. 1991, Fagioli; Sez. 3, n. 2697
del 18/02/1992, Graziano; Sez. 3, n. 8327 del
30/06/1994, Scardaccione; Sez. 3, n. 29275 del
25/06/2003, Braiuca; Sez. 3, n. 20251 del 16/04/2009,
Casciaro; Sez. 3, n. 615 del 14/12/2010, dep. 2011,
Ciampi).
Detto termine, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. b),
n. 1), d.lgs. n. 422 del 18 novembre 1998, scade il
giorno sedici del mese successivo a quello cui si
riferiscono i contributi.
8. La questione giuridica fondamentale, e pregiudiziale
rispetto al quesito posto alle Sezioni Unite, che divide
le opposte tesi, delle quali si sono esposte le
argomentazioni principali, è costituita dalla natura
della contestazione o della notifica dell'avviso di
accertamento delle violazioni da parte dell'ente
previdenziale e del successivo decorso del termine per
adempiere, ai quali la seconda tesi attribuisce natura
di condizione di procedibilità dell'azione penale,
mentre la prima esclude tale natura. Questione che non
esaurisce i dubbi interpretativi posti dalla norma per i
termini in cui è formulata e che si prospettano
soprattutto se si aderisce all'indirizzo interpretativo
prevalente.
Per risolvere la questione occorre partire dall'esame
della natura e funzioni delle condizioni di
procedibilità, così come regolate dal codice di
procedura penale, anche se è incontroverso che le stesse
possano essere previste anche da leggi speciali, e dei
rapporti delle medesime con l'ordinamento
costituzionale.
Orbene, è indubbio che le condizioni di procedibilità
costituiscono un limite all'obbligo imposto dall'art.
112 della Costituzione al pubblico ministero di
esercitare l'azione penale, ovviamente in presenza di
una notizia di reato.
Obbligo di esercitare l'azione penale che non si
configura, pertanto, come normativamente inderogabile,
ma la cui limitazione, che rientra nella discrezionalità
del legislatore statale e costituisce eccezione alla
opposta e generale regola della azione penale
incondizionata (Corte cost., ord. n. 33 del 2003), deve
trovare la sua giustificazione nella tutela di
prevalenti interessi pubblici, come nelle ipotesi in cui
la procedibilità è subordinata alla autorizzazione a
procedere (art. 343 cod. proc. pen.), in relazione ai
reati richiamati nell'art. 313 cod. pen., che offendono
la personalità internazionale o interna dello Stato,
ovvero subordinata alla istanza o richiesta di
procedimento (artt. 341 e 342 cod. proc. pen.), nelle
ipotesi di particolare estensione della giurisdizione
penale e di altre eccezionali o, infine, nella necessità
di evitare alla persona offesa ulteriori danni (artt.
336 e ss. cod. proc. pen., 120 cod. pen.), che
potrebbero derivarle dal procedimento penale, come
nell'ipotesi della querela, in relazione a determinate
tipologie di reato (violenza sessuale, nei limiti in cui
è prevista la perseguibilità a querela, ed altri
minori), che coinvolgono esclusivamente la vittima
dell'illecito penale, e nei quali la condizione di
procedibilità è espressione della esigenza di tutelare i
diritti della persona, anche essi di rilevanza
costituzionale.
Deve ritenersi, pertanto, costituzionalmente illegittima
una deroga legislativa all'immediato esercizio
dell'azione penale da parte del pubblico ministero,
nell'ipotesi in cui il reato si sia già perfezionato in
tutti i suoi elementi costitutivi, se non giustificata
da prevalenti interessi pubblici rispetto a quello dello
Stato alla punizione dell'autore dell'illecito (cfr. per
un'applicazione di tale principio in materia di reati
tributari Corte cost., sent. n. 89 del 1982).
Peraltro, le norme che introducono condizioni di
procedibilità dell'azione penale hanno indubbia natura
speciale e derogatoria rispetto alla disciplina
ordinaria, sicché non ne è consentita l'interpretazione
analogica e devono essere espressamente ed
esplicitamente dichiarate tali dal legislatore.
Orbene, va in primo luogo rilevato che l'art. 2, comma
I-ter, d.l. n. 463 del 1983 non subordina affatto
l'esercizio dell'azione penale alla contestazione della
violazione ovvero alla notifica del relativo
accertamento da parte dell'ente previdenziale ed al
decorso del termine di tre mesi concesso al datore di
lavoro per adempiere.
Al contrario, l'art. 2, comma I-bis, prevede
esclusivamente la non punibilità del reato, pertanto già
perfezionatosi, per effetto di una condotta successiva
in certa misura ripristinatoria del danno subito
dall'ente pubblico, che la norma intende favorire, e,
quindi, prevede una tipica causa di non punibilità, non
dissimile da altre frequentemente previste dal codice
penale, destinate ad operare solo sul piano sostanziale
(a titolo di esempio: artt. 308; 387, comma secondo; 463
cod. pen.).
Sicché la qualificazione dei citati elementi come
condizione di procedibilità dell'azione penale è frutto
esclusivo di un'elaborazione interpretativa che trova
solo un vago aggancio nel dato normativo (obbligo per
l'ente previdenziale di trasmettere senza ritardo la
notitia criminis una volta avvenuto il pagamento o
decorsi i tre mesi per adempiervi), ma non trova
riscontro nella lettera della norma, né giustificazione
nella individuazione di un interesse pubblico prevalente
rispetto a quello della punizione del colpevole di un
reato, che possa giustificare la deroga al principio
dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale
stabilito dall'art. 112 della Costituzione.
L'interesse pubblico prevalente sull'esigenza di punire
il colpevole del reato non può essere certamente
ravvisato in quello economico dell'ente previdenziale ad
una definizione amministrativa del contesto o in quello
più generale ad una deflazione del contenzioso penale.
Deve essere, pertanto, escluso che la notifica
dell'accertamento della violazione ed il decorso del
termine di tre mesi costituiscano una condizione di
procedibilità del reato di omesso versamento delle
ritenute previdenziali ed assistenziali, ponendosi una
tale configurazione in contrasto con la chiara lettera
della norma e dovendosi configurare rilevanti dubbi di
costituzionalità della norma medesima nella
interpretazione che attribuisce ad essi tale natura.
9. Conclusivamente si deve affermare sul punto che
l'art. 2, comma I-bis, secondo periodo, legge n. 638 del
1983, introdotto dall'art. 1 d.lgs. n. 211 del 1994, ha
modificato i termini e le modalità di operatività della
causa di non punibilità già prevista dalla normativa
previgente, introducendo, prima dell'invio della notitia
criminis, un meccanismo, costituito dalla contestazione
o notifica dell'accertamento della violazione,
finalizzato ad agevolare la definizione del contenzioso
in sede amministrativa, nel termine all'uopo concesso al
datore di lavoro, senza introdurre una condizione di
procedibilità del reato.
A ben vedere il comma I-ter del citato art. 2, secondo
il quale “la denuncia di reato è presentata o trasmessa
senza ritardo dopo il versamento di cui al comma I-bis
ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto”
costituisce solo una deroga all'obbligo di riferire,
"senza ritardo" - peraltro il termine è ripetuto nello
stesso comma I-ter - la notizia di reato al pubblico
ministero, imposto alla polizia giudiziaria dall'art.
347 cod. proc. pen. e, in generale, al pubblico
ufficiale dall'art. 331, comma 2, cod. proc. pen.,
posponendone l'adempimento.
Sicché non vi è ragione di dubitare che il pubblico
ministero eserciti ritualmente l'azione penale per il
reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali
ed assistenziali anche se non si sia perfezionato il
procedimento per la definizione del contesto in sede
amministrativa, così come esercita l'azione penale per i
fatti costituenti reato di cui sia venuto a conoscenza
aliunde rispetto ai meccanismi di informazione previsti
dai citati art. 347 e 331 cod. proc. pen..
10. Sgomberato il campo dall'esaminato profilo della
questione di diritto, che si prospettava pregiudiziale,
resta intatta la problematica posta dal sistema
normativo, per come formulato, in relazione a
disfunzioni patologiche del procedimento per la
definizione del contenzioso in sede amministrativa,
peraltro particolarmente frequenti.
Sul punto occorre rilevare che, secondo l'indirizzo
interpretativo di questa Corte, non contrastato da
pronunce di segno opposto, la notifica dell'accertamento
della violazione non è soggetta a particolari formalità,
non applicandosi a detta notifica il regime delle
notificazioni previsto per i soli illeciti di natura
amministrativa dalla legge n. 689 del 24 novembre 1981,
né quello delle notificazioni previsto dal codice di
procedura penale, e può essere, pertanto, anche
effettuata a mezzo del servizio postale mediante
raccomandata inviata sia presso il domicilio del datore
di lavoro che presso la sede dell'azienda (Sez. 3, n.
9518 del 22/02/2005, Jochner; Sez. 3, n. 20753 del
13/01/2006, Agostani; Sez. 3, n. 26054 del 14/02/2007,
Vincis).
Deriva da tale sistema di notificazione che le
contestazioni più frequenti, aventi ad oggetto la omessa
notifica dell'accertamento della violazione, riguardano
proprio la regolarità della notificazione stessa e la
conseguente mancata ricezione dell'avviso di
accertamento da parte del destinatario.
Si verificano, pertanto, con una certa frequenza,
anomalie nel rapporto tra instaurazione del procedimento
penale e tentativo di definizione amministrativa del
contenzioso tra il datore di lavoro e l'ente
previdenziale rispetto allo schema normativo, nel senso
che l'azione penale viene esercitata, benché l'imputato
non sia stato messo in condizione di usufruire della
causa di non punibilità prevista dalla legge.
In altre materie, in cui è previsto un procedimento
amministrativo finalizzato a consentire la
regolarizzazione della violazione in quella sede con
effetto estintivo del reato, è espressamente stabilita
la sospensione del procedimento penale (art. 23, comma
1, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758) fino alla verifica
dell'adempimento o inadempimento in sede amministrativa
(art. 21, commi 2 e 3, dello stesso decreto
legislativo).
In altre ancora, in cui è pure prevista la possibilità
di definizione del contesto in sede amministrativa con
effetto estintivo del reato, la necessità di sospendere
il procedimento penale (Sez. 3, n. 5254 del 05/03/1979,
Zadro; Sez. 3, n. 12823 del 20/10/1980, Garetti; Sez. 3,
n. 3853 del 18/01/1980, De Luca; Sez. 3, n. 2281 del
19/12/1981, dep. 1982, Mastrogiacomo) è stata desunta
dall'obbligo imposto all'autorità giudiziaria di inviare
alla competente intendenza di finanza gli atti per
l'eventuale conciliazione amministrativa (art. 11, terzo
comma, legge 3 gennaio 1951, n. 27, contenente
modificazioni alla legge 17 luglio 1942, n. 907 sul
monopolio dei Sali e dei Tabacchi).
L'art. 2, comma I-ter, d.l. n. 463 del 1983, nel
regolare i rapporti tra l'esercizio della facoltà,
attribuita al datore di lavoro, di fruire della causa di
non punibilità prevista dal comma I-bis, ultima parte,
ed il procedimento penale, ovvero al fine di impedire
l'esercizio dell'azione penale in presenza di una causa
di non punibilità, ha esclusivamente previsto,
autorizzandola, la posticipazione dell'invio della
denuncia di reato al pubblico ministero al versamento
delle ritenute non corrisposte da parte del datore di
lavoro o alla scadenza del termine per provvedervi.
Nulla è, invece, previsto dalla norma con riferimento
all'ipotesi in cui l'esercizio dell'azione penale sia
avvenuto prima che l'imputato sia stato messo in
condizioni di fruire della causa di non punibilità o per
l'omessa contestazione e notificazione dell'accertamento
delle violazioni o per irregolarità della notificazione
dell'accertamento.
Questa carenza del quadro normativo nell'ipotesi di
patologie nel funzionamento del sistema previsto dalla
legge riguardo al rapporto tra il possibile verificarsi
della causa di non punibilità e la trasmissione della
notizia di reato è all'origine del contrasto
interpretativo rilevato tra le varie pronunce di questa
Corte che può essere risolto solo mediante
l'applicazione di principi di carattere generale.
Deve essere, quindi, affermato che la possibilità
concessa al datore di lavoro di evitare l'applicazione
della sanzione penale mediante il versamento delle
ritenute entro il termine di tre mesi dalla
contestazione o dalla notifica dell'accertamento delle
violazioni è connessa all'adempimento dell'obbligo,
secondo la formulazione dell'art. 2, comma I-bis, da
parte dell'ente previdenziale di rendere noto, nelle
forme previste dalla norma, al datore di lavoro
l'accertamento delle violazioni, nonché le modalità e
termini per eliminare il contenzioso in sede penale, a
differenza di quanto previsto dal quadro normativo
previgente alla riforma di cui al d.lgs. 24 marzo 1994,
n. 211, che attribuiva al datore di lavoro la mera
facoltà di provvedere a detto versamento entro sei mesi
dalla scadenza del termine per l'adempimento senza
collegarlo ad un obbligo di contestazione o
comunicazione da parte dell'ente previdenziale.
L'esercizio della facoltà di fruire della causa di non
punibilità, pertanto, può essere precluso solo dalla
scadenza del termine di tre mesi previsto dall'art. 2,
comma I-bis, ultimo periodo, a decorrere dalla
contestazione o dalla notifica dell'avvenuto
accertamento delle violazioni ovvero da un atto ad esso
equipollente che ne contenga tutte le informazioni sì
che l'accesso alla causa di non punibilità risulti
concretamente assicurato.
Incombe, perciò, in primo luogo sull'ente previdenziale
l'obbligo di assicurare la regolarità della
contestazione o della notifica dell'accertamento delle
violazioni e attendere il decorso del termine di tre
mesi, in caso di inadempimento, prima di trasmettere la
notizia di reato al pubblico ministero.
Sarà, poi, compito dello stesso pubblico ministero
verificare che l'indagato sia stato posto concretamente
in condizione di esercitare la facoltà di fruire della
causa di non punibilità, notiziando, nel caso di esito
negativo di detta verifica, l'ente previdenziale perché
adempia all'obbligo di contestazione o di notifica
dell'accertamento delle violazioni imposto dall'art. 2,
comma I-bis, d.l. n. 463 del 1983.
Analogamente, il giudice di entrambi i gradi di merito
dovrà provvedere alla verifica che l'imputato sia stato
posto in condizione di fruire della causa di non
punibilità, accogliendo, in caso di esito negativo,
l'eventuale richiesta di rinvio formulata dall'imputato,
finalizzata a consentigli di provvedere al versamento
delle ritenute, tenuto conto che la legge già prevede la
sospensione del decorso della prescrizione per il
periodo di tre mesi concesso al datore di lavoro per il
versamento, sicché tale sospensione giustifica il rinvio
del dibattimento anche in assenza di una espressa
previsione normativa.
Per dare concretezza ed effettività all'esercizio della
facoltà da parte dell'imputato di effettuare il
versamento delle ritenute all'ente previdenziale si deve
rilevare che l'avviso dell'accertamento inviato
dall'ente al datore di lavoro contiene l'indicazione del
periodo cui si riferisce l'omesso versamento delle
ritenute ed il relativo importo, la indicazione della
sede dell'ente presso il quale deve essere effettuato il
versamento entro il termine di tre mesi all'uopo
concesso dalla legge e l'avviso che il pagamento
consente di fruire della causa di non punibilità.
Per avere la certezza, quindi, che l'imputato sia stato
posto in grado di fruire della causa di non punibilità
il giudice di merito, così come prima di lui il pubblico
ministero, dovranno verificare, nel caso di omessa
notifica dell'accertamento, se l'imputato sia stato
raggiunto in sede giudiziaria da un atto di contenuto
equipollente all'avviso dell'ente previdenziale che gli
abbia consentito, sul piano sostanziale, di esercitare
la facoltà concessagli dalla legge.
11. Al quesito posto alle Sezioni Unite, avente ad
oggetto la possibile equivalenza del decreto di
citazione a giudizio alla notifica dell'avviso di
accertamento delle violazioni, pertanto, deve essere
data risposta nel senso che “il decreto di citazione a
giudizio è equivalente alla notifica dell'avviso di
accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto
processuale indirizzato all'imputato, contiene gli
elementi essenziali del predetto avviso”.
Consegue da quanto rilevato che deve essere ritenuto
tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non
punibilità, il versamento delle ritenute previdenziali
effettuato dall'imputato nel corso del giudizio,
allorché risulti che lo stesso non ha ricevuto dall'ente
previdenziale la contestazione o la notifica
dell'accertamento delle violazioni o non sia stato
raggiunto nel corso del procedimento penale da un atto
che contenga gli elementi essenziali dell'avviso di
accertamento, come precisati.
Se, poi, il procedimento sia pervenuto in sede di
legittimità, senza che l'imputato sia stato posto in
grado di fruire della causa di non punibilità, deve
essere disposto l'annullamento con rinvio della sentenza
per consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla
legge.
12. Nel caso in esame è stato accertato dai giudici di
merito che non vi è stata la contestazione delle
violazioni da parte dell'INPS per irritualità della
notifica dell'avviso di accertamento.
Il decreto di citazione a giudizio emesso nei confronti
di S.S. inoltre contiene la indicazione solo parziale
degli elementi propri dell'avviso di accertamento e,
cioè, quelli riferentisi al periodo di omesso versamento
delle somme trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai
lavoratori dipendenti, che, però, non risultano
quantificate, mentre non era stato dato avviso
all'imputata della possibilità di fruire della causa di
non punibilità prevista dalla legge.
Consegue da quanto rilevato che nei confronti
dell'imputata non è mai decorso il termine di decadenza
previsto dall'art. 2, comma I-bis, d.l. n. 463 del 1983
e, pertanto, il versamento delle ritenute effettuato
dalla S. in data 24 settembre 2008, di cui era stata
prodotta prova all'udienza del 3 novembre 2010 dinanzi
alla Corte territoriale, doveva essere ritenuto
tempestivo dai giudici di merito, che avrebbero dovuto
rilevare e dichiarare l'esistenza della causa di non
punibilità alla data del versamento, che ha preceduto
l'intervento di qualsiasi successiva causa di non
punibilità.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata
senza rinvio per essere l'imputata non punibile ai sensi
dell'art. 2, comma I-bis, d.l. n. 463 del 1983.
L'accoglimento del primo motivo di ricorso rende
superfluo l'esame degli ulteriori motivi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata essendo
l'imputata non punibile ai sensi dell'art. 2, comma
I-bis, del d.l. n. 463 del 1983 |