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Offensività nel reato di
istigazione alla corruzione. A margine della sentenza
Cass. pen. Sez. VI n. 3176 del 11 gennaio 2012 – dep. 25
gennaio 2012 Pres. S. A. Di Virginio Rel. L. Lanza
Con la pronuncia che si commenta,
la Suprema Corte si è espressa in ordine ad uno dei
principi cardine del diritto penale – il principio di
offensività – ragguagliato al reato di istigazione alla
corruzione.
Il caso sottoposto al vaglio dei
Giudici nomofilattici concerneva la condotta
dell’imputato, reo di aver offerto la complessiva somma
di euro 5 a due agenti di polizia, al fine di
convincerli a non effettuare il dovuto sequestro
amministrativo del ciclomotore sprovvisto dei documenti
assicurativi.
I dettagli in ordine all’entità
della proposta sono importanti perché denotano, secondo
la Corte ed anche secondo il Procuratore Generale,
l’assenza di idoneità a causare alcun turbamento
psichico in capo agli agenti di polizia, tale da indurlo
ad omettere l’atto dovuto.
Ricordano i Giudici che “la serietà
dell’offerta e quindi la sua potenzialità corruttiva va
necessariamente correlata alla controprestazione
richiesta, alle condizioni dell’offerente e del soggetto
pubblico, nonché alle circostanze di tempo e di luogo in
cui l’episodio si colloca”. Ne consegue che, offrire la
complessiva somma di euro 5 a due agenti, per gli scopi
accennati, è condotta di palese irrisorietà, che
potrebbe - al più - essere inquadrata nella fattispecie
dell’oltraggio, “per l’implicita offesa all’onore ed al
prestigio del pubblico ufficiale destinatario della
dazione stessa”.
Verrebbe da chiedersi se fosse
necessario disturbare la Cassazione per riparare a due
sentenze che hanno tralasciato di considerare, così
pare, un principio elementare del diritto penale,
applicando matematicamente la legge, senza spazio per
ragionevoli interpretazioni rispettose dei principi di
parte generale e, infine, chi paghi le spese processuali
(e non) di tre gradi di giudizio.
Tentando un minimo di
approfondimento sul punto, si ricordi come la dottrina
penalistica riconosca il principio di offensività –
nullum crimen sine iniuria – quale corollario del
principio di legalità per indicare l’esigenza di
includere tra i reati solo quei comportamenti idonei a
ledere o porre in pericolo un bene costituzionalmente
protetto. Si tratta del principio che orienta il
legislatore nella scelta dei beni giuridici da tutelare
con il presidio penale, ma al contempo è il principio
che guida l’interprete nel concreto affermare la
sussistenza o l’insussistenza del fatto che costituisce
reato.
In particolare, alcuni Autori
riconoscono nell’art. 49 codice penale (come noto, norma
di parte generale) la conferma sostanziale del principio
in parola: la norma rubricata “reato impossibile”
esprimerebbe la volontà di non punire fatti che,
nonostante siano tipici, non risultano concretamente
lesivi del bene tutelato.
Anche la Corte costituzionale, con
la sentenza n. 265 del 7 luglio 2005, si è espressa sul
principio di offensività, consacrando autorevolmente il
duplice livello sul quale il principio opera: l’uno
quale precetto rivolto al legislatore nella formulazione
delle norme incriminatrici e l’altro rivolto
all’interprete, (profilo che ci interessa in questa
sede) quale criterio applicativo imposto al giudice che
è tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia
effettivamente leso o messo in pericolo il bene oggetto
di tutela penale.
E allora, tornando al caso in
commento, può comprendersi e condividersi in toto la
decisione dei Giudici della Suprema Corte che –
nell’offerta di dazione di euro 5 agli agenti incaricati
di effettuare sequestro amministrativo di un ciclomotore
– non vedeva la lesione del bene giuridico tutelato dal
reato di induzione alla corruzione, bene giuridico che,
secondo la prevalente giurisprudenza, ha doppio volto:
uno “interno del buon andamento della pubblica
amministrazione” e l’altro “esterno della imparzialità”
(Cass. sez. VI, 4 dicembre 2002 – 23 gennaio 2003, CED
224058). Potrebbe infine forse affermarsi che un’offerta
sì risibile è reato impossibile perché non genera alcuna
ragionevole possibilità di essere accettata, né implica
nei destinatari un pur rapido conflitto interiore, ciò
quello che scaturirebbe nei casi in cui vi sia “speciale
adescamento, atto ad insidiare e spesso distruggere il
senso di rettitudine” del pubblico ufficiale (così la
Relazione ministeriale sul progetto del codice penale,
Roma, v. II, 1930, 131).
Per interessanti osservazioni sulle
connotazioni di Stato etico all’origine
dell’incriminazione di fatti che attentano al prestigio
della pubblica amministrazione, vedi Gabriele Marra,
Istigazione alla corruzione, ecco i paletti. Nota a
sentenza Tribunale Urbino, 30/09/2004 n. 265, in D&G
2005, 10, 87.
Corte di Cassazione Sez. Sesta
Pen. - Sent. del 25.01.2012, n. 3176
Ritenuto in fatto e considerato in
diritto
W. S. ricorre avverso la sentenza 1
febbraio 2010 della Corte di appello di Salerno che, in
parziale riforma della sentenza 22 maggio 2007 del
Tribunale di Salerno, ritenuta prevalente l’attenuante
di cui all’art. 323 bis c.p. sulla contestata recidiva,
ha rideterminato la pena inflitta per il reato di
istigazione alla corruzione a mesi undici di reclusione.
Con un unico motivo di impugnazione
si prospetta che l’offerta della complessiva somma di 5
€ ai due agenti operanti, al fine di consentire
l’omissione del sequestro amministrativo del
ciclomotore, sprovvisto dei documenti assicurativi, non
era idonea ad ottenere alcun risultato, in quanto
incapace di causare un turbamento psichico nell’agente,
funzionale all’omissione dell’atto dovuto, del pubblico
ufficiale.
Da ciò l’assenza dell’azione
esecutiva del contestato delitto, considerato che la
tenuità della somma di denaro, offerta ai due agenti
operanti, pari a 2,50 € ciascuno, assumeva connotazioni
evidenti di risibilità e irrisorietà, con conseguente
inquadrabilità della condotta nello schema
dell’oltraggio.
Ritiene la Corte, in adesione alle
richieste del Procuratore generale che le connotazioni
complessive del fatto, apprezzate unitamente all’entità
della somma offerta, consentano una decisione di
annullamento senza rinvio della gravata sentenza.
Invero, in tema di istigazione alla
corruzione, di cui all’art. 322 c.p., la serietà
dell’offerta e quindi la sua potenzialità corruttiva va
necessariamente correlata alla controprestazione
richiesta, alle condizioni dell’offerente e del soggetto
pubblico, nonché alle circostanze di tempo e di luogo in
cui l’episodio si colloca.
Ritiene la Corte che, nella specie,
l’esibizione della somma di cinque euro, corrispondenti
ad una utilità pari a due euro e mezzo per ciascuno dei
pubblici ufficiali operanti e destinatari
dell’istigazione, al fine di far loro omettere - quindi
in concreto impedire - il preannunciato provvedimento di
sequestro amministrativo di un ciclomotore, per la sua
palese irrisorietà, possa semmai configurare il reato di
oltraggio, per l’implicita offesa all’onore ed al
prestigio del pubblico ufficiale destinatario della
dazione stessa.
Trattasi peraltro di fatto posto in
essere in tempo antecedente alla novella 15 luglio 2009
n. 94, in vigore dall’8 agosto 2009, la quale ha
introdotto all’art. 1, la previsione del delitto di
“oltraggio a pubblico ufficiale”, oggi previsto e punito
dall’art. 341 bis cod. pen.
Ne deriva pertanto l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto
non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza
impugnata perché Il fatto non sussiste.
Depositata in Cancelleria il
25.01.2012
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