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(Pres. Vitrone – Rel. Cristiano)
Svolgimento del processo
La Corte d'Appello di Milano, con
sentenza del 10.12.04, ha respinto l'appello proposto da
R.Service Pie s.p.a. avverso la sentenza 10.10.02 del
Tribunale di Monza, che aveva a sua volta respinto la
domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla
società, ai sensi dell'art. 2392 c.c., nei confronti
dell'amministratore B.S. .
La Corte territoriale ha rilevato
che R.Service Pie si era limitata ad imputare al B. di
aver violato in due occasioni lo statuto societario -
che gli vietava di compiere atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione senza il consenso del presidente del
C.d.A. - per aver, di propria iniziativa, transatto una
lite con un ex dipendente, riconoscendogli la somma di
55 milioni di lire, e per aver prelevato dal conto
corrente ad essa intestato 180 milioni di lire, ma che
non aveva provato che da tali condotte, peraltro non
esulanti dai poteri gestori esercitabili autonomamente
dall'appellato, le fosse derivato un pregiudizio
economico; che, in particolare, la società non aveva
neppure dedotto che la transazione fosse stata
svantaggiosa o contraria ai suoi interessi, tenuto conto
delle pretese avanzate dall'ex dipendente dinanzi al
giudice del lavoro, né aveva dimostrato che la somma
prelevata dal B. , di cui risultava documentato
l'utilizzo, fosse stata in realtà distratta a fini
extrasociali. Real Service Pie s.p.a. ha proposto
ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due
motivi.
S..B. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso,
R. Service Pie, denunciando violazione di (non indicate)
norme di diritto e vizi di motivazione, rileva che,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
territoriale, la stipula di una transazione comportante
una spesa di 55 milioni delle vecchie lire era atto
sicuramente eccedente l'ordinaria amministrazione;
assume, inoltre, che il danno derivato dall'illecito
risultava provato in re ipsa, avendo essa dovuto versare
una consistente somma di denaro ad un lavoratore le cui
pretese erano contestate.
Il motivo va dichiarato
inammissibile.
La domanda risarcitoria la cui
causa petendi era costituita dall'avvenuta conciliazione
della causa di lavoro è stata respinta dalla Corte di
merito in base al duplice rilievo che l'atto non esulava
dagli ordinari poteri di gestione dell'amministratore e
che R.Service si era "limitata a pretendere dal B. la
somma corrispondente a quella da versare..., senza
neppure prefigurare la svantaggiosità della transazione
rispetto alle richieste avanzate avanti al giudice del
lavoro dal dipendente"... Tale seconda ratio decidendi
non è stata sottoposta ad alcuna critica dalla
ricorrente, che, anziché precisare quali circostanze, da
essa allegate nel corso del giudizio di merito e
trascurate dal giudice d'appello, avrebbero dovuto
convincere della sussistenza di un pregiudizio economico
derivabile dalla stipula della transazione, ha
assiomaticamente dedotto, per la prima volta nella
presente sede di legittimità, che la mera pendenza della
lite con il suo ex dipendente era sufficiente a
dimostrare l'infondatezza delle pretese da questi
avanzate e la conseguente. i sconvenienza del contratto
concluso da B. .
L'assenza di una specifica censura
concernente una delle due autonome rationes decidendi
sulle quali si fonda il capo della sentenza impugnato,
rende superfluo l'esame di quella volta a contestare che
la transazione costituisse atto di ordinaria
amministrazione, che, quand'anche fondata, non potrebbe
da sola condurre all'accoglimento del motivo.
2) Col secondo mezzo la ricorrente,
denunciando ulteriore violazione di non indicate norme
di diritto nonché vizio di motivazione, lamenta che la
Corte territoriale abbia posto a suo carico l'onere di
provare che la somma indebitamente prelevata da B. era
stata utilizzata per fini extrasociali. La doglianza è
infondata.
La Corte di merito ha infatti
rilevato che, proprio dalla documentazione prodotta da
R.Service, emergeva che l'appellato aveva utilizzato una
parte della somma in questione per il pagamento di
servizi fatturati dalla Axse s.r.l., mentre, per l'altra
parte, l'aveva trattenuta a copertura degli emolumenti
dovutigli per gli esercizi '99 e 2000.
Ricorreva, pertanto, prova
documentale che l'amministratore non aveva distratto a
fini extrasociali la liquidità prelevata, ma l'aveva
impiegata per saldare debiti gravanti sulla stessa
R.Service: ne consegue, che, secondo la regola imposta
dall'art. 2697 c.c., spettava all'odierna ricorrente di
fornire la prova contraria, ovvero di dimostrare che B.
aveva, in realtà, utilizzato il denaro per eseguire, in
tutto o in parte, pagamenti da essa non dovuti, in tal
modo cagionandole un danno di ammontare corrispondente
alle somme indebitamente versate o trattenute.
Va aggiunto, per completezza, che
la ricorrente non può pretendere di fornire tale prova
nella presente sede di legittimità, attraverso
l'inammissibile allegazione di documenti che avrebbe
dovuto produrre nei precedenti gradi di merito.
Poiché Serafino B. non ha svolto
difese, non v'è luogo alla liquidazione delle spese del
giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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