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(Pres. Mannino – Rel. Conti)
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la
Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza in
data 20 aprile 2009 del Tribunale di Cagliari, appellata
da C.G. , condannato alla pena di un anno di reclusione,
condizionalmente sospesa, in quanto responsabile dei
seguenti reati, in continuazione tra loro:
A) del reato di cui all'art. 323
cod. pen., per avere, nella qualità di assistente della
Polizia di Stato in servizio presso il Nucleo Operativo
di Protezione per la Sardegna, in violazione dell'art.
10 (comma 2-ter) legge 15 marzo 1991, n. 82, utilizzato
per uso personale un appartamento sito nella via
(omissis) , preso in locazione dal Ministero degli
interni per adibirlo ad alloggio di soggetti sotto
protezione, conducendovi N.N. e trattenendosi con la
stessa per un certo tempo;
B) del reato di cui all'art. 326,
comma primo, cod. pen., per avere, nella predetta
qualità, violando i doveri inerenti la sua funzione e il
suo servizio e in particolare le disposizioni normative
circa il dovere di segreto su tutte le attività
riguardanti il servizio di protezione, rivelato alla N.
che l'appartamento nella quale essi si stavano
trattenendo era adibito alla protezione di
collaboratori.
Fatti commessi in (omissis) .
2. Osservava la Corte di appello
che le prove della responsabilità dell'imputato
derivavano dalle dichiarazioni della N. (rese a seguito
della rottura della relazione sentimentale con il C. ),
ritenute attendibili nonostante l'astio che l'aveva
mossa nei confronti del C. e nonostante alcune
incertezze di ricordi, riscontrate da dati obiettivi, e
in particolare dalle caratteristiche dell'appartamento
di cui alle imputazioni, essendo di nessuna consistenza
l'alibi dedotto dall'imputato.
Ricorrevano entrambi i reati, non
potendosi dire che quello di abuso di ufficio fosse
assorbito in quello di rivelazione di segreti di
ufficio, posto che il primo reato era stato integrato
non solo dal fatto della rivelazione di segreti di
ufficio ma anche dall'uso indebito dell'appartamento.
3. Ricorrono per cassazione
l'imputato, a mezzo dei difensori avvocati Patrizio
Rovelli e Gian Mario Sechi, che deducono i seguenti
motivi.
3.1. Inosservanza dell'art. 194
cod. proc. pen. e vizio di motivazione in punto di
valutazione della attendibilità della N. , che in sede
di denuncia aveva dichiarato che il C. solo alcuni
giorni dopo la loro permanenza nell'appartamento gli
aveva rivelato che si trattava di immobile in uso
all'ufficio mentre in dibattimento ha riferito che tale
confidenza gli venne fatta in quello stesso contesto,
tanto che essa, preoccupata per tale improprio uso,
aveva deciso dì non trattenersi ulteriormente in esso.
Era sfuggito alla Corte di appello che questa seconda
versione era idonea ad allontanare qualunque ipotesi di
corresponsabilità della M. ed era comunque scarsamente
credibile, non comprendendosi per quale motivo il C. ,
dopo aver detto alla donna che l'immobile era stato da
lui affittato per adibirlo a luogo di comune convivenza,
avesse subito dopo sentito l'esigenza di smentirsi e di
dirle che in realtà si trattava di appartamento in uso
all'amministrazione.
3.2. Inosservanza degli artt. 326,
43 e 47 cod. pen. e vizio di motivazione in punto di
configurabilità del reato di rivelazione di segreti di
ufficio, posto che: a) la segretezza e la riservatezza
dell'immobile era venuta meno già in data 19 novembre
2004, quando il responsabile del servizio regionale di
protezione aveva comunicato al Ministero che
l'appartamento aveva perso tali caratteristiche, anche a
seguito del fatto che la compagna di un collaboratore di
giustizia lo aveva lasciato abbandonando il programma di
protezione; b) la generica dichiarazione che il C.
avrebbe reso alla N. secondo cui si trattava di immobile
locato dall'Ufficio non comportava alcuna rivelazione di
notizie segrete; c) neppure il materiale accesso
all'immobile poteva integrare la rivelazione; d) sotto
il profilo psicologico, poi, il C. ben poteva ritenere,
per errore di fatto, che l'immobile avesse perso la
destinazione ad uso di alloggio di collaboratori data la
comunicazione formale fatta dal dirigente dell'Ufficio
di cui sopra e considerato l'abbandono del programma di
protezione dei precedenti inquilini.
3.3. Inosservanza dell'art. 323
cod. pen. e vizio di motivazione in punto di
configurabilità del reato di abuso di ufficio, posto
che: a) il reato, per il suo carattere di residualità,
non può concorrere con quello di rivelazione di segreti
di ufficio, tanto più che per ritenere integrate
entrambe le fattispecie la Corte di appello hanno fatto
riferimento alle identiche condotte (comunicazione
verbale e condotta materiale); e in ogni caso nel caso
in esame l'uso dell'appartamento sarebbe consistito in
una permanenza di quindici-venti minuti, senza utilizzo
di acqua o elettricità, essendo allora le utenze state
distaccate; b) non sussisteva la violazione della norma
richiamata, perché questa se aveva un collegamento con
la rivelazione di segreto di ufficio non lo aveva con il
vantaggio patrimoniale derivante dall'abuso di ufficio;
c) era insussistente un vantaggio patrimoniale ingiusto,
trattandosi di un uso dell'appartamento limitato a pochi
minuti, né era stata offerta motivazione sul requisito
della cd. doppia ingiustizia; d) il C. non aveva agito
nell'ambito delle sue funzioni o del suo servizio, non
valendo a tal fine che egli avesse la materiale
disponibilità delle chiavi dell'appartamento; e) non
sussisteva il dolo intenzionale, come sostenutosi
nell'atto di appello sulla base di rilievi cui non è
stata data alcuna risposta, in particolare rimarcandosi
che il C. ben poteva ritenere, per ciò che si è detto,
che l'immobile non fosse più utilizzabile a fini
istituzionali.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, in tutti i suoi
aspetti, appare infondato.
2. Va premesso che, come d'altra
parte si riconosce nel ricorso, la Corte di cassazione
non ha il compito di stabilire se un teste sia
attendibile, dovendo solo accertare se la relativa
valutazione del giudice di merito sia adeguata e
rispondente alle regole della logica e del diritto.
Nel caso in esame non sono
apprezzabili vizi argomentativi di sorta.
3. Quanto alla contestazione di cui
al capo A), non appare controvertibile che il C. abbia
condotto la N. , con la quale aveva una relazione
sentimentale, nell'appartamento di via (omissis) .
Tale appartamento era di
appartenenza dell'amministrazione, e certamente il C.
non ne aveva la disponibilità per usi privati.
Egli, in ragione del suo servizio
(quale appartenente al Nucleo Operativo Protezione per
la Sardegna), era in grado di procurarsi le chiavi
dell'appartamento, e tanto basta per ricondurre questa
condotta al paradigma dell'abuso di ufficio.
L'indebito utilizzo dello stesso ha
infatti procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale per
il C. , atteso che egli, per il suo incontro intimo con
la M. , ha usufruito gratuitamente, sia pure per un
limitato spazio temporale, dei relativi locali, nulla
rilevando, in particolare, che la breve permanenza non
abbia comportato consumi di acqua o elettricità, né che
le relative utenze fossero distaccate.
Sussiste all'evidenza il requisito
della doppia ingiustizia: il C. non poteva utilizzare
l'immobile per usi estranei a quelli per i quali esso
era adibito; e in concreto tale uso ha soddisfatto
interessi privati con relativo vantaggio patrimoniale,
dato che, diversamente, per dare corso all'incontro
intimo egli avrebbe dovuto impegnare una casa privata o,
più verosimilmente, un locale a pagamento, quale ad
esempio una camera di albergo.
4. Bene è stata ritenuta la
configurabilità dell'ulteriore reato di cui all'art. 326
cod. pen..
Non viene in questione la clausola
di consunzione di cui all'art. 323 cod. pen., che
suppone la integrazione di un più grave reato, atteso
che il reato di cui all'art. 326 cod. pen. è punito con
la stessa pena stabilita per il reato di abuso di
ufficio.
Viene invece in questione il
principio della non assoggettabilità a duplice sanzione
penale di una condotta derivante da un unico abuso di
funzioni (v. tra le altre, proprio in tema di rapporti
tra abuso di ufficio e rivelazione di segreti di
ufficio, Sez. 6, n. 7960 del 09/06/1997, Palumbo, Rv.
209757).
Ma, al riguardo, va osservato che
non ricorre nel caso in esame un’unica condotta
inquadrabile in plurime figure criminose.
Infatti, il C. , dopo avere
condotto la N. nell’appartamento, le comunicò che si
trattava di immobile destinato alla protezione di
collaboratori; si tratta dunque di due distinte e
successive condotte, riconducibili ciascuna alle ipotesi
criminose contestate (vedi, per analoga fattispecie,
Sez. 5, n. 1491 del 15/11/2005, dep. 2006, Cavallari,
Rv. 233044).
Non rileva che l’ufficio regionale
di Cagliari abbia comunicato al Ministero che
l’appartamento aveva perso tali caratteristiche
funzionali, dato che a tale comunicazione non era stato
dato riscontro con formale provvedimento ministeriale,
di competenza esclusiva della commissione centrale di
protezione; che anzi successivamente ai fatti di causa
lo stesso appartamento venne adibito ad alloggio di
altro collaboratore di giustizia. Né può ragionevolmente
sostenersi che il C. abbia in buona fede ritenuto che
tale destinazione fosse venuta meno prima ancora del
formale provvedimento dell’organo centrale.
5. Al rigetto del ricorso consegue
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. |