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Gianna Rossi
La Corte di Cassazione con la
sentenza n. 87 del 10 gennaio 2012, mette in evidenza
quali sono gli elementi per poter considerare alcune
condotte come mobbing.
Innanzitutto la Corte ricorda che
quando si parla di mobbing si fa riferimento a delle
condotte sistematiche e protratte nel tempo, a
sistematici reiterati comportamenti ostili nei confronti
del lavoratore che finiscono per diventare delle vere e
proprie forme di prevaricazione o di persecuzione
psicologica. [1]
Si tratta di comportamenti che
secondo la Corte possono condurre ad una mortificazione
morale e ad un'emarginazione del lavoratore andando a
ledere il suo equilibrio psicofisico.
La sentenza contribuisce a chiarire
ulteriormente il concetto di mobbing dato che gli
Ermellini indicano in dettaglio quali sono gli elementi
necessari perché si possa parlare di mobbing.
Il primo degli elementi è
l'accertamento di una molteplicità di comportamenti di
carattere persecutorio.
Il secondo è l'accertamento di un
danno alla salute di chi è vittima di mobbing e il terzo
è l'esistenza di un nesso di causalità tra il
comportamento persecutorio e il danno all'integrità
psico-fisica del lavoratore.
Naturalmente ci vogliono le prove
che, se sussistono, danno diritto alla parte danneggiata
ad ottenere il risarcimento del danno subito.
Nel caso esaminato qui dalla Corte
sono stati però esclusi gli estremi del mobbing perché,
secondo quanto accertato dai giudici di merito, la
vicenda lavorativa si era sviluppata nei limiti della
normalità "atteso che il rapporto di lavoro si era
svolto secondo modalità congrue rispetto alla natura
delle prestazioni, alle obbligazioni reciproche ed agli
interessi delle parti contrattuali".
In particolare nella sentenza della
Corte d'appello si era sottolineato "da un lato, che non
poteva ravvisarsi, nel caso di specie, un nesso causale
fra la patologia psichica da cui era risultato affetto
il lavoratore ed il disagio derivante dall'ambiente
lavorativo, e, dall'altro, che non era nemmeno possibile
individuare i soggetti responsabili dell'allegato
mobbing con riferimento a comportamenti specifici e
rilevanti".
Inoltre, nella parte motiva della
sentenza la Corte fa diversi richiami a decisioni
precedentemente adottate.[2]
In materia di mobbing, ricordiamo
- seppur brevemente- all’arguto Lettore, che non
esiste una normativa specialistica e i Legali impegnati
a difendere queste vittime fondano le loro giuste
pretese sulle disposizioni codicistiche e la
giurisprudenza, cimentandosi quotidianamente in un
aggiornamento rigoroso.
In questi anni, infatti, la
Magistratura ha indicato alcuni elementi distintivi del
mobbing, giudicati col passare del tempo essenziali e
irrinunciabili, al fine di identificare e riconoscere
tale nuova fattispecie giuridica.
La Corte di Cassazione, anche nelle
sentenze più recenti, confermando la tesi prevalente, ha
tradotto il termine inglese "mobbing" con
"persecuzione", poiché il fenomeno può essere descritto
soltanto come un coacervo di azioni (legali e non)
finalizzate a un obiettivo specifico (l'estromissione
del lavoratore dal gruppo umano), attuate per un congruo
periodo e soprattutto artatamente congegnate
dall'autorità vigente, cioè da chi può premiare e punire
i sottoposti, quindi anche abusare di tale potere a fini
estorsivi.
Queste strategie di sopruso (che
non sono state ravvisate- fortunatamente- nel caso di
specie), spesso presenti in vari ambienti di lavoro,
segnano in modo indelebile i lavoratori, danneggiando
drammaticamente le loro esistenze (e quelle dei
familiari): ciò accade, in particolar modo, quando la
persecuzione si perfeziona con il licenziamento o
addirittura con l'infamante licenziamento disciplinare,
che aggiunge dolore a chi già soffre per
l'incomprensione di parenti e amici e per la perdita del
proprio ruolo sociale.
[1] Il Mobbing è certamente un
grosso capitolo della cultura medica, sociale, legale e
morale; per questo motivo è stato ritenuto utile
creare una struttura ( Osservatorio), capace di
raccogliere i dati clinici, nazionali ed europei, per
utilizzarli come strumenti di difesa dei diritti
dell’uomo, ma anche come elemento di cultura politica e
scientifica, al servizio delle esigenze istituzionali.
[2] Cassazione n. 18262 / 2007;
Cassazione civile sez. lav. 23 marzo 2005, n. 6326;
Cassazione 6 marzo 2006 n. 4774; sentenza n. 33624 del
2007, Quinta Sezione Penale. |