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La distorsione dell'esercizio
dell'autorità da parte del pubblico ufficiale,
suscettibile di integrare l'arbitrarietà che rende
legittima la reazione del privato, dando ingresso
all'esimente già prevista dall'art. 4 D.Lgt. 288/1944
(oggi definita causa di non punibilità dalla innovatrice
disposizione di cui all'art. 393 bis c.p.), non richiede
né che il pubblico ufficiale agisca con il proposito di
commettere un arbitrio, né che questo non possa essere
preceduto da un atteggiamento anche provocatorio del
privato, che di per sé solo non vale ad elidere
l'adeguatezza causale della reazione rispetto alla
condotta arbitraria (non legittima) del pubblico
ufficiale pur con solo riferimento alle modalità di
realizzazione di un atto del suo pubblico ufficio
Cassazione, sez. VI Penale, 15
febbraio 2012, n. 5913
(Pres. De Roberto – Rel. Paoloni)
Motivi della decisione
1. Con conformi sentenze del
Tribunale di Catania in data 22.10.2009 (appellata dalla
parte civile S..Z. e dal Procuratore Generale di
Catania) e della Corte di Appello di Catania in data
17.2.2011 l'imputato M..A. è stato prosciolto dai reati
di resistenza e lesioni volontarie aggravate commessi il
7.11.2003 nei confronti dell'ispettore della polizia
municipale Z.S. , intervenuto per identificarlo dopo
l'esecuzione da parte dell'A. di una manovra
autoveicolare vietata (indebita inversione di marcia ad
U). Proscioglimento deliberato per insussistenza dei
fatti reato sul presupposto della legittima reazione
dell'imputato, ai sensi dell'art. 4 D.Lgt. 14.9.1944 n.
288, alla arbitrarietà dell'intervento d'istituto del
pubblico ufficiale con specifico riguardo anche alle
modalità esecutive dell'arresto e “ammanettamento” del
prevenuto da parte dello Z. e dei suoi colleghi
sopraggiunti in suo ausilio. Modalità di intervento ed
arresto produttive di lesioni personali per lo stesso A.
, posto immediatamente in libertà dal procedente p.m. a
norma dell'art. 389 co. 1 c.p.p. (l'arresto è stato in
seguito convalidato dal g.i.p. con l'imputato in stato
di libertà). In particolare la sentenza di appello,
respingendo le impugnazioni del P.G. e della parte
civile, ha motivato la decisione confermativa
dell'assoluzione dell'imputato - nel perdurante
contrasto delle difformi versioni dei due protagonisti,
non surrogabili con altre fonti testimoniali (i colleghi
dello Z. sono giunti sul luogo quando l'episodio è
esaurito e l'ispettore Z. , con l'aiuto di un passante
rimasto ignoto, sta già ponendo le manette all'imputato)
- in base al rilievo che gli elementi di prova generica
suffragano le anomalie esecutive dell'arresto
dell'imputato alla luce delle lesioni dallo stesso
riportate e del pacifico dato che costui non ha tentato
di fuggire. Sicché "le modalità di ammanettamento
dell'imputato devono ritenersi arbitrarie" e tali da far
ravvisare l'esimente di cui all'art. 4 D.Lgt. 288/1944,
che sussiste anche quando l'arresto sia legittimo, ma
sia eseguito con forme e modi di estrinsecazione
dell'attività funzionale del pubblico ufficiale
ingiustificati rispetto al fine da raggiungere.
2. Avverso la sentenza di appello
ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale della Repubblica di Catania ai sensi dell'art.
572 co. 1 c.p.p., nell'interesse della richiedente parte
civile, deducendo illogicità e contraddittorietà della
motivazione in rapporto all'erronea applicazione della
causa di giustificazione prevista dall'art. 4 D.Lgt.
288/1944, i cui presupposti non sono configurabili alla
stregua di una più esaustiva ricostruzione della
dinamica dell'intera vicenda.
Osserva il ricorrente P.G. che nel
comportamento aggressivo o reattivo tenuto dall'imputato
difetta il requisito dell'adeguatezza causale, che sola
potrebbe giustificare la ravvisabilità della menzionata
esimente. Il procedimento instaurato nei confronti dello
Z. su denuncia dell'attuale imputato è stato archiviato
in ragione del fatto che per arrestare "un soggetto
riottoso" è inevitabile che il pubblico ufficiale
adoperi un minimo di energia fisica necessario per
l'adempimento del doveroso atto di ufficio. L'evenienza,
unitamente all'avvenuta convalida dell'eseguito arresto,
rende le percosse che l'A. attribuisce all'ispettore Z.
prive del "necessario connotato dell’antigiuridicità",
tanto più che la condotta di resistenza dell'imputato
deve ritenersi esaurita prima del suo arresto e non può
integrare una "reazione" legittima alla presunta
condotta arbitraria del pubblico ufficiale.
3. Il ricorso del Procuratore
Generale etneo, formato dalla mera traslitterazione
dalla richiesta impugnatoria di parte civile ex art. 572
co. 1 c.p.p., è sorretto da motivi infondati, ove non
interdetti nel giudizio di legittimità, nella parte in
cui gli addotti vizi di motivazione della sentenza
impugnata scaturiscono da una rilettura unicamente
fattuale delle fonti di prova non consentita
nell'odierno giudizio. Precisato per sola completezza
che - come si evince dalla sentenza del Tribunale - lo
stesso p.m. aveva sollecitato nel giudizio di primo
grado l'assoluzione dell'A. con ampia formula
liberatoria dagli ascritti reati, l'infondatezza del
ricorso del V.G. emerge per tabulas sotto due
interdipendenti profili, uno di natura processuale e
l'altro di natura sostanziale.
3.1. Sotto il primo profilo va
rilevato che i reati contestati all'imputato A. sono
allo stato attinti da causa estintiva per sopravvenuta
prescrizione. I reati risalgono al 7.11.2003 ed il
relativo termine massimo di prescrizione è maturato,
tenuto conto delle sospensioni ex lege (complessivi 5
mesi e 17 giorni) alla data, successiva alla impugnata
decisione di appello, del 24.10.2011. L'evenienza
produce immediati effetti, di carattere pregiudiziale,
sulla trattazione del ricorso. Nel senso che
l'intervenuta causa estintiva dei reati preclude la
verifica degli eventuali vizi di motivazione della
sentenza, quali vanno esclusivamente ritenuti quelli
dedotti dal ricorrente P.G. contro l'assoluzione
dell'imputato. Il ricorrente lamenta -infatti- una
impropria ricostruzione storica e valutativa del
contegno dell'imputato e, per ciò, un vizio della
motivazione della sentenza, che solo in via derivata
assume tradursi in violazione di legge per erronea
applicazione dell'esimente di cui all'art. 4 D.Lgt. n.
288/1944. Preclusione indotta, come è evidente, dalla
palese incongruenza di un annullamento con rinvio della
sentenza impugnata (tale essendo in sede di legittimità
l'esito tipico di una rilevata carenza di motivazione
della decisione impugnata), che non potrebbe avere altro
sviluppo se non l'immediata e cogente declaratoria, ex
art. 129 co. 1 c.p.p., della causa estintiva
prescrizionale da parte del giudice di eventuale rinvio
(Cass. S.U. 28.5.2009 n. 35490, Marino, rv. 244275).
3.2. Sotto il secondo profilo, ove
-in ipotesi- si tralasci la precedente notazione
pregiudiziale, anche ponendo l'accento sul sottostante
interesse risarcitorio della parte civile,
nell'interesse della quale il P.G. ha impugnato (agli
effetti penali) la sentenza assolutoria di appello, è
agevole osservare che il denunciato vizio della
motivazione, tralasciati i profili di mero segno
fattuale del ricorso, non sussiste.
Le critiche di contraddittorietà e
di discrasia interpretativa degli eventi mosse alla
sentenza di appello (alle due conformi sentenze di
merito, che quella di appello condivide e fa propri gli
argomenti decisori articolati dalla prima decisione) non
colgono nel segno. La sentenza di secondo grado ha
disatteso con adeguata e logica motivazione, aderente
alle emergenze istruttorie del giudizio, le ragioni di
censura già sollevate con la precedente impugnazione del
p.m. (e della parte civile) avverso la sentenza di primo
grado ed oggi, in buona sostanza, riproposte con il
ricorso per cassazione. Né l'attuale giudizio di
legittimità può essere, del resto, la sede per
rivisitare la sequenza degli eventi connessi alla
regiudicanda che hanno dato luogo alle lesioni
oggettivamente riportate nella fase dell'arresto
dall'imputato A. . Lesioni che, senza ripercorrere qui
le singole sequenze dell'avvenuto arresto (la cui
successiva convalida non equivale a giustificarne anche
le reali modalità esecutive, sebbene non priva di
significato si mostri l'immediata liberazione
dell'arrestato disposta dallo stesso p.m.), pur
ridimensionate nella loro entità, rimangono - come
precisa la sentenza di appello - non pienamente
compatibili con un arresto eseguito con "normali"
modalità.
Al riguardo del tutto pertinenti
vanno giudicati i richiami della sentenza di appello
alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo
cui la distorsione dell'esercizio dell'autorità da parte
del pubblico ufficiale, suscettibile di integrare
l'arbitrarietà che rende legittima la reazione del
privato, dando ingresso all'esimente già prevista
dall'art. 4 D.Lgt. 288/1944 (oggi definita causa di non
punibilità dalla innovatrice disposizione di cui
all'art. 393 bis c.p.), non richiede né che il pubblico
ufficiale agisca con il proposito di commettere un
arbitrio, né che questo non possa essere preceduto da un
atteggiamento anche provocatorio del privato, che di per
sé solo non vale ad elidere l'adeguatezza causale della
reazione rispetto alla condotta arbitraria (non
legittima) del pubblico ufficiale pur con solo
riferimento alle modalità di realizzazione di un atto
del suo pubblico ufficio (cfr, ex multis: Cass. Sez. 6,
26 91995 n 11419, Saetti, rv. 204115; Cass. Sez. 6,
21.6.2006 n. 36009, Tonione, rv. 235430).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. |