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Il fatto non
costituisce reato per mancanza di dolo. Così il
tribunale aveva assolto l’imputato affermando che non
risultava provata “la volontà da parte del soggetto che
ha posto in essere la condotta contestata, il dolo del
reato consistente nella volontà di dissimulare il
proprio stato d'insolvenza e di assumere l'obbligazione
col proposito di non adempierla, tanto più che l'auto in
esame era intestata ad altra persona , alla quale sono
stati inviati i solleciti dei mancati pagamenti.
Giudizio pienamente confermato dalla Cassazione.
Cassazione, sez. II, 1°
febbraio 2012, n. 4251
(Pres. Casucci – Rel.
Rago)
Fatto e diritto
p. 1. Con sentenza in data
7/01/2010, la Corte di Appello di Roma, in riforma della
sentenza pronunciata in data 12/12/2007 dal tribunale di
Cassino, assolveva L.M.A. dal reato di cui all'art. 641
c.p. (perché contraeva l'obbligazione di pagamento del
pedaggio autostradale con il proposito di non adempierla
dissimulando il proprio stato d'insolvenza) perché il
fatto non costituisce reato. Osservava la Corte che, in
nessuno degli otto passaggi irregolari contestati,
l'imputato era stato identificato come il conducente
dell'automezzo che, peraltro, risultava intestato a tale
C.F. . In ogni caso, secondo la Corte territoriale, non
risultava provata “la volontà da parte del soggetto che
ha posto in essere la condotta contestata, il dolo del
reato consistente nella volontà di dissimulare il
proprio stato d'insolvenza e di assumere l'obbligazione
col proposito di non adempierla, tanto più che l'auto in
esame era intestata ad altra persona, C.F. , alla quale
sono stati inviati i solleciti dei mancati pagamenti”.
p. 2. Avverso la suddetta
sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la parte
civile Autostrade per l'Italia spa deducendo i seguenti
motivi:
1. Illogicità della
motivazione per avere la Corte territoriale assolto
l'imputato con la formula perché il fatto non
costituisce reato nonostante avesse ritenuto che non
avesse commesso il fatto addebitatogli. Obietta la
ricorrente che gli argomenti addotti dalla Corte
territoriale sarebbero illogici. Infatti, la circostanza
che il veicolo era intestato a terzi, “era argomento
logico di tenore contrario a quello ritenuto dalla Corte
di Appello” che “si lega logicamente anche con il fatto
che il L.M. , solo dopo essere stato individuato, si
recò presso gli uffici di Autostrade per tentare un
componimento [...] e, in occasione del controllo di
Polizia del 8/09/2006, pagò il pedaggio proprio perché
era stato sorpreso dalla polizia in quanto utente
precedentemente segnalato come insolvente recidivo”.
2. violazione dell'art.
597 c.p.p. per avere la Corte territoriale assolto
l'imputato per mancanza dell'elemento psicologico
laddove lo stesso imputato aveva chiesto l'assoluzione
per non aver commesso il fatto e, quindi, solo sotto il
profilo oggettivo e cioè per non esservi la prova che
fosse proprio lui il conducente dell'autocarro.
p. 3. Il ricorso è
manifestamente infondato.
Infatti, nella motivazione
addotta dalla Corte territoriale non è ravvisabile
alcuna illogicità o contraddittorietà avendo la Corte
ritenuto che gli elementi probatori in atti non avessero
una valenza probatoria tale da far ritenere l'imputato
colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio.
La Corte territoriale, ha
preso in esame tutti gli elementi probatori ed ha
concluso, dopo averli analizzati e valutati, che i
medesimi non consentivano la condanna dell'imputato che,
infatti, non era mai stato individuato e riconosciuto
negli otto episodi che gli erano stati addebitati.
La Corte ha anche valutato
gli elementi valorizzati dalla ricorrente in questa
sede, ma ha ritenuto che i medesimi fossero privi di
alcuna valenza accusatoria.
Le censure, quindi,
riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute
null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in
questa sede di legittimità, una nuova valutazione di
quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame
dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica,
priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati
elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi
difensiva. Pertanto, non avendo la ricorrente
evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà
motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su
una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi,
di mero merito, va dichiarata inammissibile.
In altri termini, le
censure devono ritenersi manifestamente infondate in
quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la
decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento”: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv
215745; Cass. 2436/1993 rv 196955. Sul punto va, infatti
ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, dev'essere percepibile ictu oculi, dovendo
il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.
È vero che la Corte, una
volta ritenuto che non vi era alcuna prova che il L.M.
si fosse reso responsabile del reato ascrittogli,
avrebbe dovuto, coerentemente, assolverlo con la formula
per non aver commesso il fatto, ma è anche vero che la
Corte, in realtà, ha adottato la doppia motivazione nel
senso che ha ritenuto che, comunque, non vi fosse
neppure la prova della sussistenza dell'elemento
soggettivo.
In ogni caso, si tratta di
una questione sulla quale la ricorrente non ha os ad
eloquendum essendo, con tutta evidenza, priva di alcun
interesse a far rilevare l'imprecisione nella formula
assolutoria. Quanto detto, assorbe il secondo motivo
dedotto.
p. 4. In conclusione,
l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell'art. 606/3 c.p.p., per manifesta infondatezza: alla
relativa declaratoria consegue, per il disposto
dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento
in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara Inammissibile il
ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
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