P&D.IT
Il Tribunale di Ravenna,
con la decisione in commento, ribadisce i limiti alla
pignorabilità di stipendi e pensioni.
In materia si scontrano
due principi: la tutela del credito dall'inadempimento,
la tutela della dignità della persona, che deve poter
contare su un introito da lavoro o pensione quantificato
in un minimo vitale .
Le norme che disciplinano
la pignorabilità degli stipendi e pensioni sono state
precisate nella loro portata dagli interventi della
Corte Costituzionale (vedi il percorso normativo e
giurisprudenziale riportato nella sentenza), che, si è
ispirata a criteri di solidarietà sociale e di pubblico
interesse a che venga garantita la corresponsione di un
minimum vitale.
Ciò comporta che la
necessità di garantire che questo minimum vitale possa
giustificare la compressione dei diritti dei creditori a
rivalersi sulla pensione.
Nondimeno tale principio
non può valere a sottrarre il trattamento pensionistico
dalle pretese della generalità dei creditori ma
solamente, appunto, quella parte che sia necessaria ad
assicurare quei mezzi adeguati alle esigenze di vita dei
pensionati.
Sul concreto ammontare
della (parte di) pensione idoneo ad assicurare al
pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita. La
Corte Costituzionale
ha, però, sempre
opportunamente ritenuto che tale determinazione esulasse
dai propri compiti rientrando, invece, nel potere
discrezionale del legislatore.
Per la sentenza in
allegato,
In assenza di una
specifica norma la giurisprudenza di merito, al di là di
specifiche situazioni concrete, ha, generalmente,
ritenuto che ai fini della suddetta determinazione possa
essere utilizzato quale utile parametro quello
dell’assegno sociale di cui all’art. 3, commi 6 e 7, l.
8.8.1995 n. 335, la cui ratio è proprio quella di
assicurare ai cittadini ultrasessantacinquenni in
disagiate condizioni economiche un reddito sufficiente
per le minime esigenze di vita, parametro, peraltro,
indicato dalla stessa Corte Costituzionale a titolo
esemplificativo in varie sue decisioni.
La limitazione
all’espropriabilità, che sostanzialmente si risolve in
una parziale compressione dei diritti dei creditore deve
dunque essere contenuta nei limiti funzionali allo scopo
prefissato che tenga conto del bilanciamento delle
esigenze di tutela del credito (art 24 Cost.) e della
garanzia di assicurare mezzi adeguati per le esigenze di
vita (art. 38 Cost.).
Ne consegue che tutto
quanto eccede la parte del trattamento diretta a
garantire il minimum, non ha ragione di sottrarsi al
regime ordinario di piena espropri abilità previsto per
la generalità dei casi dall’art. 545 c.p.c.
Nel caso concreto il
creditore pretendeva di pignorare per intero
l'emolumento pensionistico del debitore partendo
dall'assunto della natura privilegiata del proprio
credito (un credito per prestazioni professionali) si da
richiamare l'applicazione dell'art. 2, 1° co., dpr
180/1950.
Ma correttamente la
sentenza fa notare che :
si ispira a criteri di
solidarietà sociale e di pubblico interesse a che venga
garantita la corresponsione di un minimum vitale.
Ciò comporta che la
necessità di garantire che questo minimum vitale possa
giustificare la compressione dei diritti dei creditori a
rivalersi sulla pensione.
Nondimeno tale principio
non può valere a sottrarre Finterò trattamento
pensionistico dalle pretese della generalità dei
creditori ma solamente, appunto, quella parte che sia
necessaria ad assicurare quei mezzi adeguati alle
esigenze di vita dei pensionati.
Sul concreto ammontare
della (parte di) pensione idoneo ad assicurare al
pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita la Corte
Costituzionale
ha, però, sempre
opportunamente ritenuto che tale determinazione esulasse
dai propri compiti rientrando, invece, nel potere
discrezionale del legislatore.
In assenza di una
specifica norma la giurisprudenza di merito, al di là di
specifiche situazioni concrete, ha, generalmente,
ritenuto che ai fini della suddetta determinazione possa
essere utilizzato quale utile parametro quello
dell’assegno sociale di cui all’art. 3, commi 6 e 7 l.
8.8.1995 n. 335, la cui ratio è proprio quella di
assicurare ai cittadini ultrasessantacinquenni in
disagiate condizioni economiche un reddito sufficiente
per le minime esigenze di vita, parametro, peraltro,
indicato dalla stessa Corte Costituzionale a titolo
esemplificativo in varie sue decisioni.
La limitazione
all’espropriabilità, che sostanzialmente si risolve in
una parziale compressione dei diritti dei creditore deve
dunque essere contenuta nei limiti funzionali allo scopo
prefissato che tenga conto del bilanciamento delle
esigenze di tutela del credito (art 24 Cost.) e della
garanzia di assicurare mezzi adeguati per le esigenze di
vita (art. 38 Cost.).
Ne consegue che tutto
quanto eccede la parte del trattamento diretta a
garantire il minimum, non ha ragione di sottrarsi al
regime ordinario di piena espropriabilità previsto per
la generalità dei casi dall’art. 545 c.p.c.
Tribunale di Ravenna, sez.
Civile, ordinanza 23 gennaio 2012
Giudice Unico Lucarelli
Premesso in fatto
- che il presente giudizio
trae origine dall’opposizione all’ordinanza con cui il
giudice dell’esecuzione in data 25.5.2011 ha respinto la
richiesta di assegnazione della somma avanzata da M. G.
(creditore procedente) sul presupposto che il credito di
SE. G. (debitore esecutato) nei confronti dell’INPS
(terzo pignorato) era rappresentato da “pensione sociale
minima”;
- che l’opponente ha
affermato l’illegittimità del suddetto provvedimento in
quanto lo stesso non tiene conto delle espresse
eccezioni previste all’impignorabilità della pensione
minima previste dall’art. 2 n. 2 del DPR n. 180/1950;
Osservato in diritto
La materia oggetto del
presente giudizio è regolata, da un lato, dall’art. 128
del R.D.L. 4.10.1935 n.1827 che prevede al comma 2 che
“le pensioni, gli assegni, e le indennità” spettanti in
forza dell’assicurazione generale obbligatoria “non sono
cedibili, né sequestrabili, né pignorabili, eccezione
fatta per le pensioni, che possono essere cedute,
sequestrate e pignorate soltanto nell’interesse di
stabilimenti pubblici ospedalieri o di ricoveri per il
pagamento delle diarie relative, e non oltre l’importo
di queste” e, d’altro lato, dalla legge che disciplina
il prestito tramite cessione del quinto stipendio (1)
regolamentata a partire dal 1950 dal DPR n. 180 del
5.1.1950 e dal successivo regolamento attuativo D.P.R.
28.7.1950, n. 895.
L’arti di tale ultima
legge, specificamente richiamato dall’opponente a
sostegno della natura “qualificata” del credito del
professionista, nell’affermare “l’insequestrabilità,
impignorabilità e incedibilità di stipendi, salari,
pensioni ed altri emolumenti” fa salve, per quanto qui
interessa, le eccezioni di cui al successivo art. 2 n. 2
stabilendo che i suddetti emolumenti sono soggetti a
sequestro e pignoramento “fino alla concorrenza di un
quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso
lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da
cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto
d’impiego e di lavoro (2).
Il valore dispositivo di
tale impianto normativo non può però essere compreso ove
non si tengano in considerazione i significativi
interventi in materia della Corte Costituzionale.
Da un lato, infatti, la
Corte Costituzionale, ha ristretto la portata
applicativa delle suddette norme laddove con la sentenza
20 febbraio 1969, n. 22 ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 128 comma 2 in relazione
all’art 38 Cost., nella parte in cui attribuisce
all’I.N.P.S. “la facoltà affatto discrezionale” di
trattenere sulle pensioni l’ammontare delle somme ad
esso dovute in forza di provvedimenti dell’autorità
giudiziaria, in contrasto con l’affermazione
costituzionale del diritto dei lavoratori a che siano
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, invalidità e vecchiaia e, d’altro,
ne ha, al contrario, ampliato la portata applicativa
laddove si è pronunciata per l’illegittimità
costituzionale dell’art. 128 comma 2 nella parte in cui
non consente:
- la pignorabilità per
crediti alimentari delle pensioni I.N.P.S. (3) entro i
limiti stabiliti dall’art. 2, n. 1, d.P.R. 5 gennaio
1950, n. 180;
- la pignorabilità per
crediti tributari entro i limiti stabiliti dall’art. 2,
comma primo, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180
di pensioni, indennità..ed assegni corrisposti dall’INPS
equiparando così l’aggredibilità della pensione, nei
limiti del quinto, per crediti tributari sia nel caso
che la pensione del debitore scaturisca da un precedente
rapporto di lavoro con lo Stati o altri enti pubblici
sia che questi sia pensionato INPS; (4)
- la pignorabilità per
ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni
ed indennità erogati dall’INPS, anziché prevedere
l’impignorabilità con le eccezioni previste dalla legge
per crediti qualificati, della sola parte della
pensione, assegno o indennità “necessaria per assicurare
al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la
pignorabilità nei limiti del quinto della residua
parte”; (5)
e degli artt. 1 e 2, comma
1, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 nella parte in cui
escludono:
- la pignorabilità per
ogni credito dell’intero ammontare di pensioni,
indennità...ed altri assegni di quiescenza erogati ai
dipendenti dai soggetti individuati dall’art. 1 (enti
pubblici e assimilati), anziché prevedere
l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge
per crediti qualificati, della sola parte delle
pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza
“necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati
alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del
quinto della residua parte “.
Con tale decisione la
Corte Costituzionale, dopo aver ripercorso la propria
evoluzione giurisprudenziale in materia, evidenzia che
l’art. 38 2° comma della Costituzione, nello stabilire
che ai lavoratori in caso di infortunio, malattia,
invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria,
“siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita”, si ispira a criteri di solidarietà
sociale e di pubblico interesse a che venga garantita la
corresponsione di un minimum vitale.
Ciò comporta che la
necessità di garantire che questo minimum vitale possa
giustificare la compressione dei diritti dei creditori a
rivalersi sulla pensione.
Nondimeno tale principio
non può valere a sottrarre Finterò trattamento
pensionistico dalle pretese della generalità dei
creditori ma solamente, appunto, quella parte che sia
necessaria ad assicurare quei mezzi adeguati alle
esigenze di vita dei pensionati.
Sul concreto ammontare
della (parte di) pensione idoneo ad assicurare al
pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita la Corte
Costituzionale ha, però, sempre opportunamente ritenuto
che tale determinazione esulasse dai propri compiti
rientrando, invece, nel potere discrezionale del
legislatore.
In assenza di una
specifica norma la giurisprudenza di merito, al di là di
specifiche situazioni concrete, ha, generalmente,
ritenuto che ai fini della suddetta determinazione possa
essere utilizzato quale utile parametro quello
dell’assegno sociale di cui all’art. 3, commi 6 e 7, L.
8.8.1995 n. 335, la cui ratio è proprio quella di
assicurare ai cittadini ultrasessantacinquenni in
disagiate condizioni economiche un reddito sufficiente
per le minime esigenze di vita, parametro, peraltro,
indicato dalla stessa Corte Costituzionale a titolo
esemplificativo in varie sue decisioni.
La limitazione
all’espropriabilità, che sostanzialmente si risolve in
una parziale compressione dei diritti dei creditore deve
dunque essere contenuta nei limiti funzionali allo scopo
prefissato che tenga conto del bilanciamento delle
esigenze di tutela del credito (art 24 Cost.) e della
garanzia di assicurare mezzi adeguati per le esigenze di
vita (art. 38 Cost.).
Ne consegue che tutto
quanto eccede la parte del trattamento diretta a
garantire il minimum, non ha ragione di sottrarsi al
regime ordinario di piena espropri abilità previsto per
la generalità dei casi dall’art. 545 c.p.c.
L’opponente a sostegno
della propria tesi fa notare, però, come la Corte
Costituzionale, nell’ambito della sentenza n.506 del
2002, nell’affermare i suddetti principi conferma,
d’altra parte, che restano sottratti a tale esigenza di
bilanciamento alcuni crediti “privilegiati”,
segnatamente individuati ai numeri 1, 2 e 3 dell’art. 2
comma 1 del D.P.R. 180/1950, e che tra tali crediti, a
suo dire, segnatamente nell’ambito di quelli elencati al
n. 2 della citata disposizione, rientrerebbe quello da
lui maturato in assolvimento del proprio mandato
professionale.
La tesi sostenuta
dall’opponente, pur corretta nei suoi presupposti non
può però essere accolta.
Se è vero, infatti, che la
Corte rileva che ben può il legislatore nella sua
discrezionalità selezionare, attraverso un razionale
bilanciamento di valori garantiti dalla Costituzione, in
ragione della loro causa, i crediti rispetto ai quali la
pensione - anche nella parte in cui è volta ad
assicurare al pensionato il minimum vitale - è (pro
quota dell’intero) pignorabile è, altrettanto, vero che
la Corte indica quale elemento di giustificazione (in
altri termini di coerenza costituzionale) di tale
discrezionale bilanciamento con il valore espresso
dall’art. 38 comma 2 della Costituzione, la qualità del
credito azionato che deve, in altre parole, essere
espressione di altri valori costituzionale, con ciò,
evidentemente, intendendo valori diversi da quelli
espressi dall’art. 24 Cost. a generica tutela del
credito.
La completa parificazione
- in tale materia - del regime dell’espropriabilità
delle pensioni erogate dal settore privato od anche ex
pubblico a quello ancora regolato dalla disciplina del
settore pubblico inteso in senso proprio, deve far
ritenere che, ai fini dell’assoggettamento
all’esecuzione forzata, sia attualmente priva di ogni
rilievo la differente provenienza del trattamento
pensionistico.
L’aspetto distintivo deve,
quindi, ravvisarsi nella particolare natura del credito,
in ragione del quale, al regime riservato alla
generalità dei creditori si oppone quello privilegiato
riservato ad alcuni crediti qualificati.
Giova, a questo punto
considerare, il caso specifico del credito per
prestazioni professionali che non sembra,
particolarmente, caratterizzato rispetto alla generalità
dei crediti ovvero rispetto al quale non sembra
ravvisarsi alcuna particolare tutela costituzionale
diversa da quella approntata dall’art. 24 Cost. che
giustifichi la compressione della tutela accordata al
debitore dall’art. 38 Cost. oltre i limiti del minimum
vitale e, ciò che più conta, non sembra neppure
riconducibile al dettato normativo della disposizione di
cui all’art. 2 comma 1 del D.P.R. 180/1950 n. 2.
L’assunto dell’opponente
secondo il quale nella citata disposizione debba farsi
rientrare, genericamente, qualsiasi credito nascente da
un rapporto di lavoro, ancorché autonomo come quello
relativo all’attività espletata sulla base di un mandato
professionale, non può essere condivisa neppure sul
piano letterale.
In realtà la norma è
chiara nel riferire “l’eccezione” ovvero, in altri
termini, nell’attribuire la natura “qualificata” ai
crediti corrispondenti a “debiti verso lo Stato e verso
gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore
dipende, derivanti dal rapporto d’impiego e di lavoro”
(6) e non, certamente, a qualsiasi debito derivante da
rapporto di lavoro.
A ciò aggiungasi che ciò
che caratterizza il credito è la circostanza che il
medesimo origini da un rapporto caratterizzato dalla
“dipendenza” del debitore, tipica del rapporto di lavoro
subordinato, caratterizzazione non, certo, riconducibile
alla la prestazione d’opera professionale eseguita
dall’attuale opponente in favore del debitore esecutato.
Quand’anche l’eccezione
prevista dal n. 2 non volesse farsi coincidere con i
soli crediti derivanti da ed. “danno erariale” (7) cui
la stessa Corte Costituzionale ha fatto riferimento per
l’individuazione dei ed. creditori qualificati dovrebbe,
comunque, ritenersi che “qualificato” è il creditore che
fonda le proprie ragioni di credito proprio su un
rapporto di lavoro dipendente, ovvero colui nei
confronti del quale il debito è sorto in occasione di
tale rapporto di dipendenza poiché, nella specie, è
pacifico che la pensione erogata dall’INPS al Se. di
euro 467,26 mensili non può che, ottimisticamente,
integrare la soglia del minimo vitale la stessa deve
ritenersi sottratta per il suo intero ammontare
all’espropriazione.
P.Q.M.
respinge l’opposizione
dichiara interamente
compensate le spese del presente giudizio.
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