Cassazione III civile n.
2228 DEL 16.02.2012-Presidente Trifone - Relatore
Scarano
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3/6/2009
la Corte d’Appello di Bologna respingeva il gravame
interposto dai sigg.ri G.G. e M.M., anche in nome e per
conto del figlio minore G.S., in relazione a pronunzia
Trib. Forlì 21/10/2003 di parziale accoglimento della
domanda proposta nei confronti dei sigg.ri B.C. e
Fa..Br. nonché della Ausl n. (…) di Cesena di
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali
rispettivamente sofferti in conseguenza della paralisi
ostetrica del braccio destro subita dal suindicato
minore all’esito di errato intervento in sede di parto,
avvenuto il 27/12/1997 presso l’Ospedale (…), che a
quest’ultimo cagionava la lesione del plesso nervoso
brachiale.Avverso la suindicata pronunzia della corte di
merito il G. e la M., anche nella qualità, propongono
ora ricorso per cassazione, affidato a 10 motivi,
illustrati da memoria.Resistono con separati
controricorsi la B. e la Ausl n. (…) di Cesena, la quale
ultima ha presentato anche memoria.L’intimato Br. non ha
svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo i
ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 54 c.p., 2045 c.c., in riferimento all’art.
360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Con il 2 motivo denunziano
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1375 c.c.,
in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Con il 3 motivo denunziano
violazione e/o falsa applicazione della L. n. 42 del
1999 e del D.M. 15/9/1975, n. 578500, in riferimento
all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Con il 4 motivo denunziano
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 e.e, in
riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Con il 5 motivo denunziano
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223,
1226, 2043, 2056, 2059 c.c., in riferimento all’art.
360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Con il 6 denunziano
“motivazione apparente” su punto decisivo della
controversia, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 5,
c.p.c.
I motivi, che possono
congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono
inammissibili, in applicazione degli artt. 366, 1 co. n.
4, 366-bis e 375, 1 co. n. 5, c.p.c..L’art. 366-bis
c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art.
360, 1 co. nn. 1, 2, 3 e 4 c.p.c. l’illustrazione di
ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità,
concludersi con la formulazione di un quesito di diritto
(cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del
quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede
allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza
investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del
medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed
avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso,
esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il
punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve
essere in particolare specifico e riferibile alla
fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36),
risolutivo del punto della controversia - tale non
essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta
affermazione di principio da parte del giudice di
legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può
con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.
Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Il quesito di diritto di
cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere
l’indicazione sia della regula iuris adottata nel
provvedimento impugnato, sia del diverso principio che
il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto
applicare in sostituzione del primo, sicché la mancanza
anche di una sola delle due suddette indicazioni rende
il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in
particolare sufficiente ed idonea la mera generica
richiesta di accertamento della sussistenza della
violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass.,
28/5/2009, n. 12649).
Orbene, nel non osservare
i requisiti richiesti dallo schema delineato in
giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass.
Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007,
n. 36), i quesiti recati dal ricorso risultano formulati
in termini difformi dal suindicato schema, non recando
la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto
rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno
rispettivamente decisi, nonché della diverse regole di
diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa
decisione, palesandosi astratti e generici,
sostanziandosi nella richiesta di generici principi di
diritto e a tale stregua privi di riferibilità al caso
concreto in esame e di decisività tali da consentire, in
base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un.,
27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass.
Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463),
di individuare la soluzione adottata dalla sentenza
impugnata e di precisare i termini della contestazione
(cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez.
Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n.
20360), nonché di circoscrivere la pronunzia nei limiti
del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez.
Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano
richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in
più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass.,
23/6/2008, n. 17064).
L’inidonea formulazione
del quesito di diritto equivale invero alla relativa
omessa formulazione, in quanto nel dettare una
prescrizione di ordine formale la norma incide anche
sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al
ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione
alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463;
Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un.,
25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo
vanificata la finalità di consentire a questa Corte il
miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa
alla disciplina del quesito introdotta con il d.lgs. n.
40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009,
n. 19444).
La norma di cui all’art.
366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere
interpretata nel senso che il quesito di diritto possa,
e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla
formulazione del motivo, giacché una siffatta
interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita
della norma in questione (v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008,
n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
Quanto al pure denunziato
vizio di motivazione, a completamento della relativa
esposizione esso deve indefettibilmente contenere la
sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto
controverso; b) degli elementi di prova la cui
valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione;
c) degli argomenti logici per i quali tale diversa
valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis
c.p.c.).
Al riguardo, si è
precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera
illustrazione del motivo impone un contenuto specifico
autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini
dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto
necessario che una parte del medesimo venga a tale
indicazione “specificamente destinata” (v. Cass.,
18/7/2007, n. 16002).
Orbene, nel caso il 6
motivo non reca la “chiara indicazione” - nei termini
più sopra indicati- delle relative “ragioni”,
inammissibilmente rimettendosene l’individuazione
all’attività esegetica di questa Corte, con
interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un.,
5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n.
7258).
I motivi si palesano
pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità
richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie
applicantisi nel testo modificato dal D. Lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza
pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di
entrata in vigore del medesimo.Con il 7 motivo i
ricorrenti denunziano violazione degli artt. 1226, 2059
c.c., in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3,
c.p.c.Lamentano che i giudici del merito hanno liquidato
il danno morale quale frazione del danno biologico, a
tale stregua omettendone la debita personalizzazione.
Il motivo è fondato e va
accolto nei termini di seguito indicati.Come questa
Corte - in termini generali in tema di liquidazione dei
diversi aspetti o voci di cui l’unitaria categoria del
danno non patrimoniale si compendia - ha già avuto modo
di affermare, l’applicazione dei criteri di valutazione
equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del
giudice, deve consentirne - sia in caso di adozione del
criterio equitativo puro che di applicazione di criteri
predeterminati e standardizzati (in tal caso previa la
definizione di una regola ponderale commisurata al caso
specifico: es., in base al valore medio del punto di
invalidità calcolato sulla media dei precedenti
giudiziari) -, la maggiore approssimazione possibile
all’integrale risarcimento.A tal fine i criteri di
liquidazione adottati dal giudice debbono essere
pertanto idonei a garantire la c.d. personalizzazione
del danno (v. Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., Sez.
Un., 11/11/2008, n. 26972).
Questa Corte (oltre a
porre in rilievo che le tabelle del Tribunale di Milano
risultano essere, in ragione della loro “vocazione
nazionale” in quanto le statisticamente maggiormente
testate, le più idonee ad essere assunte quale criterio
generale di valutazione che, con l’apporto dei necessari
ed opportuni correttivi ai fini della c.d.
personalizzazione del ristoro, consenta di pervenire
alla relativa determinazione in termini maggiormente
congrui, sia sul piano dell’effettività del ristoro del
pregiudizio che di quello della relativa perequazione -
nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi
concreti - sul territorio nazionale: v. Cass., 7/6/2011,
n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 12/7/2006,
n. 15760) ha al riguardo sottolineato che il mero
riferimento ad una percentuale di quanto liquidato a
titolo di risarcimento del danno biologico non consente
invero di cogliere quale sia stato il punto di
riferimento dai giudici di merito in concreto preso in
considerazione nel caso di specie ai fini della debita
personalizzazione della liquidazione del danno morale
(cfr. Cass., 13/5/2011, n. 10528; Cass., 28/11/2008, n.
28423; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/7/2006, n.
15760), giacché l’adozione di meccanismi semplificativi
di : liquidazione di tipo automatico sono inidonei a far
intendere in quali termini si sia al riguardo tenuto
conto della gravità del fatto, delle condizioni
soggettive della persona, dell’entità della relativa
sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, al fine
di potersi essa considerare congrua ed adeguata risposta
satisfattiva alla lesione della dignità umana (cfr.
Cass., 10/3/2010, n. 5770; Cass., 12/12/2008, n. 29191.
V. altresì Cass., 12/9/2011, n. 18641; Cass., 19/1/2010,
n. 702).
Orbene, nell’affermare che
“la liquidazione del danno morale in favore del minore,
calcolata dal giudice in ragione della metà del danno
biologico, è da reputarsi congrua ed adeguata al caso
concreto ed in linea con i criteri utilizzati anche da
questa Corte”, la corte di merito ha invero disatteso i
suindicati principi, sicché della medesima s’impone la
cassazione in relazione.
Con l’8 motivo i
ricorrenti denunziano violazione degli artt. 1223, 2056,
2059 c.c., in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3,
c.p.c..Si dolgono che erroneamente la corte di merito
abbia nel caso negato il danno non patrimoniale (morale
e biologico) argomentando dal rilievo che la lesione non
incide sul rapporto parentale.
Con il 9 denunziano
“motivazione apparente” su punto decisivo della
controversia, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 5,
c.p.c..
Con il 10 motivo
denunziano violazione degli artt. 1223, 2059 c.c., in
riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..Si dolgono
che erroneamente si sia dalla corte di merito negato il
ristoro del danno esistenziale, laddove il riverberare
del loro patema d’animo e della loro “angoscia” e del
loro “timore per il futuro della famiglia e del figlio”
in relazioni familiari di “carattere più cupo” era
evincibile mediante la prova per presunzioni,
ulteriormente lamentando come la circostanza che “la
madre aveva dovuto lasciare il lavoro per seguire il
figlio” avesse trovato invero conferma nella assunta
prova testimoniale.
I motivi, che possono
congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono
fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.
Come le Sezioni Unite di
questa Corte hanno avuto modo di affermare nel 2008, il
danno, anche in caso di lesione di valori della persona,
non può considerarsi in re ipsa, in quanto ne
risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento che
verrebbe ad essere concesso non in conseguenza
dell’effettivo accertamento di un danno bensì quale pena
privata per un comportamento lesivo (così Cass., Sez.
Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008,
n. 26973; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26974; Cass.,
Sez. Un., 11/11/2008, n. 26975), ma va provato dal
danneggiato secondo la regola generale ex art. 2697
c.c..A tale stregua, (pure) il danno non patrimoniale va
dunque sempre allegato e provato, in quanto, come
osservato anche in dottrina, l’onere della prova non
dipende dalla relativa qualificazione in termini di
“danno-conseguenza”, tutti i danni extracontrattuali
dovendo essere provati da chi ne pretende il
risarcimento, e pertanto anche il danno non
patrimoniale, nei suoi vari aspetti, e la prova può
essere data con ogni mezzo (v., in particolare,
successivamente alle pronunzie delle Sezioni Unite del
2008, Cass., 6/4/2011, n. 7844; Cass., 5/10/2009, n.
21223; Cass., 22/7/2009, n. 17101; Cass., 1/7/2009, n.
15405).
Trattandosi di pregiudizio
(non biologico) a bene immateriale, particolare rilievo
assume peraltro la prova presuntiva (v. Cass., Sez. Un.,
15/1/2009, n. 794; Cass., 19/12/2008, n. 29832).Se
attraverso il ricorso alle presunzioni (nonché
l’esplicazione, se del caso, dei poteri istruttori
attribuitigli dall’art. 421 c.p.c.) non può sopperirsi
al mancato esercizio dell’onere di allegazione,
concernente sia l’oggetto della domanda che le
circostanze in fatto su cui la stessa si fonda (cfr.
Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 6/4/2011, n. 7844;
Cass., Sez. Un., 6 marzo 2009, n. 6454), la prova in
particolare del danno non patrimoniale da uccisione o da
lesione dello stretto congiunto ben può essere data
anche a mezzo di presunzioni (v. Cass., 31/05/2003, n.
8827; Cass., 31/5/2003, n. 8828; Cass., 19/8/2003, n.
12124; Cass., 15/7/2005, n. 15022; Cass., 12/6/2006, n.
13546), che in argomento assumono anzi “precipuo
rilievo” (v. Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572).
In particolare, ove il
danneggiato abbia come nella specie allegato sia il
fatto base della normale e pacifica convivenza del
proprio nucleo familiare sia che le gravi lesioni subite
dal proprio congiunto all’esito del fatto/evento lesivo
hanno comportato una sofferenza inferiore tale da
determinare un’alterazione del proprio relazionarsi con
il mondo esterno, inducendolo a scelte di vita diverse,
incombe al danneggiante dare la prova contraria idonea a
vincere la presunzione della sofferenza interiore, così
come dello “sconvolgimento esistenziale” riverberante
anche in obiettivi e radicali scelte di vita diverse
(c.d. danno esistenziale: v. Cass., 13/572011, n. 10527;
Cass., 6/4/2011, n. 7844; Cass., 12/6/2006, n. 13546;
Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572 ), che dalla perdita
o anche solo dalla “lesione” (cfr. Cass., 3/4/2008, n.
8546; Cass., 14/6/2006, n. 13754; Cass., 31/5/2003, n.
8827; Cass., Sez. Un., 1/7/2002, n. 9556) del rapporto
parentale secondo l’id quod plerumque accidit per lo
stretto congiunto normalmente discendono (v. Cass., Sez.
Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 12/6/2006, n. 13546;
Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572).
Il principio di integrante
del risarcimento del danno impone che nessuno degli
aspetti di cui si compendia la categoria generale del
danno non patrimoniale, la cui sussistenza risulti nel
caso concreto accertata, rimanga priva di ristoro.
Orbene, nel caso la sig.
M..M., madre del G.S. , ha domandato il ristoro (anche)
del lamentato danno non patrimoniale iure proprio
conseguentemente sofferto, in particolare deducendo e
allegando che la propria sofferenza interiore per le
gravi lesioni subite dal figlio convivente l’ha indotta
ad abbandonare il lavoro al fine di dedicarsi
esclusivamente alla cura del medesimo, bisognevole di
assistenza in ragione della gravità delle lesioni
psicofisiche riportate al momento della nascita.Va per
altro verso ribadito che il danno non patrimoniale iure
proprio del congiunto, è ristorabile non solo in caso di
perdita ma anche di mera lesione del rapporto parentale
(cfr., con riferimento al danno morale in favore dei
prossimi congiunti della vittima di lesioni colpose, v.
Cass., 3/4/2008, n. 8546; Cass., 14/6/2006, n. 13754;
Cass., 31/5/2003, n. 8827; Cass., Sez. Un., 1/7/2002, n.
9556; Cass., 1/12/1999, n. 13358. E già Cass., 2/4/1998,
n. 4186).
Emerge allora evidente
come nell’affermare che “Se è vero che ai prossimi
congiunti di persona che abbia subito a causa di fatto
illecito, costituente reato, lesioni personali spetta
anche il risarcimento del danno morale concretamente
accertato in relazione ad una particolare situazione
affettiva con la vittima… questi tipi di pregiudizi
riflessi possono ravvisarsi e quindi risarcirsi a
condizione che le lesioni, per la loro natura e gravità,
incidano, compromettendola sulla relazione affettiva tra
la vittima e i genitori.
Nel caso all’esame non
risulta, né è stato provato, né può esserlo in questa
fase di giudizio con la richiesta del tutto nuova di
ammissione di una c.t.u. (che va quindi rigettata), che
le lesioni permanenti riportate da S., peraltro…
concentrate solo all’arto superiore del braccio destro,
abbiano riverberato i propri effetti negativi sul legame
con i genitori”, e nel conseguentemente negare il
risarcimento del danno non patrimoniale sulla base della
ritenuta mancanza di qualsiasi elemento idoneo a provare
tale specifico profilo relazionale o esistenziale, la
corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero
disatteso i suindicati principi.Anziché rigettare la
domanda, argomentando dalla ritenuta carenza di prova in
proposito, la corte di merito avrebbe dovuto invero
ritenere, in assenza di prova contraria, presuntivamente
provato anche il profilo di danno non patrimoniale in
questione. A fortiori in considerazione della
circostanza, allegata dall’odierna ricorrente M. e
trovante riscontro nella riportata deposizione della
teste sig. Pa..Bo. resa all’udienza dell’8/3/2001 nel
corso del giudizio di primo grado (”La M ora non lavora
perché deve seguire il bambino; ha smesso di lavorare
praticamente da quando è nato S.”), deponente per un
radicale cambiamento di vita, dell’avere abbandonato
l’attività lavorativa svolta per molti anni alle
dipendenze della Cooperativa Copua con sede in … per
potersi dedicare esclusivamente alla continua cura e
assistenza del figlio che ne abbisognava in ragione
delle L gravi lesioni riportate sin dalla nascita (cfr.
Cass., 6/4/2011, n. 7844).
Dell’impugnata sentenza
s’impone pertanto (anche) in parte qua la cassazione,
con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che, in
diversa composizione, procederà a nuovo esame, facendo
applicazione dei seguenti principi di diritto:“- La
liquidazione del danno morale operata mediante il
meccanismo semplificativo del riferimento ad una mera
frazione di quanto liquidato a titolo di risarcimento
del danno biologico non consente di cogliere quale sia
stato il punto di riferimento dai giudici di merito in
concreto preso in considerazione ai fini della debita
personalizzazione della liquidazione del danno morale ai
cui fini, per potersi considerare congrua ed adeguata
risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana,
è necessario che possa evincersi in quali termini si sia
tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni
soggettive della persona, dell’entità della relativa
sofferenza e del turbamento dello stato d’animo.- Al
genitore di persona che abbia subito la paralisi
ostetrica del braccio destro all’esito di errato
intervento in sede di parto spetta il risarcimento del
danno non patrimoniale sofferto in conseguenza di tale
evento, dovendo ai fini della liquidazione del relativo
ristoro tenersi in considerazione la sofferenza (o
patema d’animo) anche sotto il profilo della sua
degenerazione in obiettivi profili relazionali.La prova
di tale danno può essere data anche con presunzioni.
Ne consegue che in
presenza dell’allegazione del fatto-base delle gravi
lesioni subite dal figlio convivente, il giudice deve
ritenere provata la sofferenza inferiore (o patema
d’animo) e lo sconvolgimento dell’esistenza che (anche)
per la madre ne derivano, dovendo nella liquidazione del
relativo ristoro tenere conto di entrambi i suddetti
profili, ivi ricompresa la degenerazione della
sofferenza interiore di quest’ultima come nella specie
riverberantesi nella scelta di abbandonare il lavoro al
fine di dedicarsi esclusivamente alla cura del figlio,
bisognevole di assistenza in ragione della gravità della
riportata lesione.
Incombe alla parte a cui
sfavore opera la presunzione dare la prova contraria
idonea a vincerla, con valutazione al riguardo spettante
al giudice di merito”.Il giudice del rinvio provvederà
anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il 7,
l’8, il 9 il 10 motivo di ricorso. Dichiara
inammissibili gli altri. Cassa in relazione l’impugnata
sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa
composizione.
Depositata in Cancelleria
il 16.02.2012 |