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L’antenna centralizzata è
oggetto di proprietà comune che però non costituisce ex
se un bene comune, se non in quanto idonea a soddisfare
l’interesse dei condomini a fruire del relativo servizio
condominiale. Con la sua delibera volta al non
ripristino, l’assemblea condominiale stabilisce di non
dar luogo ad un servizio, la cui attivazione o
prosecuzione non può essere imposta dal singolo
partecipante per il solo fatto di essere comproprietario
delle cose che ne costituiscono l’impianto materiale. Ad
affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n.
144/2012.
Il caso. In un condominio
viene tolta l’antenna centralizzata. Una condomina non è
d’accordo e agisce in giudizio al fine di ottenerne il
ripristino. Prima il giudice di pace poi il tribunale
rigettano la domanda. Ma la donna non ci sta e ricorre e
per cassazione. Anche questa volta senza successo.
Il giudizio di
legittimità. La Suprema Corte considera infondato il
ricorso, basato sul convincimento che il Tribunale
avrebbe dovuto ritenere nulla la delibera condominiale.
In particolare, i giudici di legittimità osservano: «in
un condominio sono comuni tutte quelle opere,
installazioni e manufatti che servono all’uso e al
godimento comune. Certamente l’antenna centralizzata
appartiene a questa categoria. Del resto si tratta di un
bene non fruibile in maniera personale e diretta da
ciascun condomino, ma di un bene che, per il suo
utilizzo, richiede un’attività di impianto e gestione la
cui istituzione compete all’assemblea. Quest’ultima ha
tra le sue attribuzioni l’amministrazione delle cose
comuni e tra i suoi poteri quello di disciplinare beni e
servizi comuni al fine della migliore e più razionale
utilizzazione». Ricorda la Corte come «l’assemblea con
delibera a maggioranza ha quindi il potere di modificare
sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche
laddove esso sia disciplinato dal regolamento
condominiale se rimane nei limiti della disciplina delle
modalità di svolgimento e quindi non incida sui diritti
dei singoli condomini». Nel caso in esame, la contesa ha
ad oggetto una cosa di proprietà comune, che però non
costituisce ex se un bene comune, se non in quanto
idonea a soddisfare l’interesse dei condomini a fruire
del relativo servizio condominiale. Quindi, con la sua
delibera volta al non ripristino, l’assemblea
condominiale non impedisce il godimento individuale di
un bene comune, ma stabilisce di non dar luogo ad un
servizio la cui attivazione o prosecuzione non può
essere imposta dal singolo partecipante per il solo
fatto di essere comproprietario delle cose che ne
costituiscono l’impianto materiale. Questo però rientra
nei poteri dell’assemblea, la cui delibera è dunque
legittima.
Corte di Cassazione,
sez. II Civile, sentenza 11 gennaio 2012, n. 144
Svolgimento del processo
T..D. agiva in giudizio,
innanzi al giudice di pace di Roma, contro il condominio
di via (omissis) , chiedendone la condanna al ripristino
di un'antenna centralizzata, esistente sin dal 1970.
Resisteva il condominio.
Con sentenza del
12.11.2002 il giudice di pace rigettava la domanda in
considerazione del fatto che l'attrice, approvando la
delibera dell'assemblea condominiale 16.3.2000 che aveva
deciso di non installare tale antenna, aveva accettato
che il relativo servizio comune non fosse ripristinato.
Il Tribunale di Roma,
innanzi al quale la D. aveva impugnato la decisione del
giudice di prime cure, con sentenza n. 11356 del
7.4.2004 rigettava l'appello e regolava la spese in base
alla soccombenza.
Per quanto ancora rileva
in queste sede di legittimità, il giudice di secondo
grado rilevava che l'assemblea condominiale,
conformemente ai propri poteri, provvedendo sull'ordine
del giorno dicente: "installazione o eventuale
adeguamento antenna centralizzata" aveva deliberato in
senso negativo, con statuizione efficace e vincolante,
ai sensi dell'art. 1137 c.c., nei confronti dei
condomini.
Inoltre, il Tribunale
riteneva superfluo provvedere sulle eccezioni (di
giudicato e di nullità dell'atto introduttivo del
giudizio) sollevate in primo grado dal condominio e non
esaminate dal giudice di pace, atteso il rigetto
dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.
Avverso detta pronuncia
ricorre per cassazione D.T. .
Resiste il condominio con
controricorso, alla cui proposizione l'amministratore
non risulta essere stato autorizzato dall'assemblea
condominiale, nonostante l'apposita concessione da parte
di questa Corte di un termine per sanare il difetto di
autorizzazione (in ottemperanza all'indirizzo espresso
dalle S.U. con sentenza n. 18331/10).
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo
di censura la ricorrente deduce la falsa applicazione
dell'arti 137 c.c. e la violazione degli artt. 1118,
1120, 1418 e 1421 c.c..
Avendola interpretata come
espressiva della volontà di dismettere un servizio
comune (come quello di antenna centralizzata), il
Tribunale avrebbe dovuto ritenere nulla, e non
annullabile, la delibera condominiale 16.3.2000 e
dichiarane d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 c.c.,
l'invalidità anche incidenter tantum.
Richiama al riguardo vari
precedenti di questa Corte di legittimità, che ha più
volte affermato che i diritti di ciascun condomino sulle
parti comuni non possono essere lesi da delibere
dell'assemblea (Cass. n.5369/97); che sono mille, e come
tali impugnabili oltre il termine stabilito dal 2 comma
dell'art. 1137 c.c., le deliberazioni dell'assemblea
condominiale concernenti innovazioni lesive dei diritti
di ciascun condomino su cose o servizi comuni (Cass.
n.2288/80); e che è nulla, per illiceità dell'oggetto,
la delibera, approvata a maggioranza, di non eseguire i
lavori di manutenzione e di adattamento di un impianto
comune, posto che tale rifiuto impedisce l'uso
dell'impianto comune dei condomini e ne menoma i diritti
(Cass. n. 1302/98).
1.1. - Il motivo è
infondato.
In materia di condominio
negli edifici, sono (fra le altre cose) comuni, le
opere, le installazioni e i manufatti di qualunque
genere che servono all'uso e al godimento comune, come
tutte le altre cose che l'art. 1117, n. 3 c.c. enumera,
con elencazione non tassativa. A quest'ultima categoria
vanno ricondotte le antenne c.d. centralizzate (cioè
destinate a servire tutte o almeno più unità immobiliari
di proprietà esclusiva), le quali, non di meno, per loro
stessa natura non sono fruibili in maniera personale e
diretta da ciascun condomino, ma richiedono un'attività
d'impianto e di gestione
comune (comprendente la
successiva manutenzione), che è compito dell'assemblea
deliberare istituendo il relativo servizio.
In particolare, questa
Corte ha avuto occasione di affermare, in fattispecie
analoga (modifica del servizio di autoclave con relativa
nuova ubicazione ed estinzione della connessa servitù
attiva condominiale per mancanza di utilità), che le
attribuzioni dell'assemblea di condominio riguardano
l'intera gestione delle cose, dei servizi e degli
impianti comuni, che avviene in modo dinamico e che non
potrebbe essere soddisfatta dal modello della autonomia
negoziale, in quanto la volontà contraria di un solo
partecipante sarebbe sufficiente ad impedire ogni
decisione. Rientra dunque nei poteri dell'assemblea
quello di disciplinare beni e servizi comuni, al fine
della migliore e più razionale utilizzazione, anche
quando la sistemazione più funzionale del servizio
comporta la dismissione o il trasferimento dei beni
comuni. L'assemblea con deliberazione a maggioranza ha
quindi il potere di modificare sostituire o
eventualmente sopprimere un servizio anche laddove esso
sia istituito e disciplinato dal regolamento
condominiale se rimane nei limiti della disciplina delle
modalità di svolgimento e quindi non incida sui diritti
dei singoli condomini (Cass. n. 6915/07).
1.2. - Traslando tali
principi al caso in esame, si osserva che l'antenna
centralizzata per la ricezione di canali televisivi pur
essendo cosa comune ai sensi dell'art. 1117, n.3 c.c.,
non costituisce ex se bene comune, se non in quanto
idonea a soddisfare l'interesse dei condomini a fruire
del relativo servizio condominiale. La volontà
collettiva, regolarmente espressa in assemblea, volta ad
escludere siffatto uso, non si pone, pertanto, come
contraria al diritto dei singoli condomini sul bene
comune, perché quest'ultimo è tale finché assolva, a
beneficio di tutti i partecipanti, la sua funzione; e
questa, a sua volta, rientra nella signoria
dell'assemblea, la quale come può attuarla istituendo il
relativo servizio comune, così può sopprimerla con
l'unico limite di non incidere sulle proprietà
esclusive, cioè sulle parti dell'impianto di proprietà
individuale.
Nel caso in esame, non si
tratta, pertanto, di impedire il godimento individuale
di un bene comune, ma di non dar luogo ad un servizio la
cui attivazione o prosecuzione non può essere imposta
dal singolo partecipante per il solo fatto di essere
comproprietario delle cose che ne costituiscono
l'impianto materiale.
2. - Con il secondo motivo
parte ricorrente deduce la violazione e falsa
applicazione dell'art. 112 c.p.c. e la falsa
applicazione dell’art.343 c.p.c., deducendo l'omessa
pronuncia sull'appello incidentale del condominio, che
aveva lamentato, a sua volta, che il giudice di pace non
aveva motivato in punto di eccezione di nullità della
citazione, per incertezza della domanda, ai sensi degli
artt.163, n.3 e 164, comma 1 c.p.c..
Parte ricorrente precisa,
al riguardo, che l'attuale suo interesse a rilevare tale
vizio della sentenza di secondo grado risiederebbe in
ciò, che avendo eccepito in allora l'inammissibilità
dell'appello incidentale, una pronuncia in tal senso, in
una con la reiezione della domanda di condanna per
responsabilità aggravata ex art.96 c.p.c. pure proposta
da parte appellata, avrebbe condotto ad una diversa
statuizione sulle spese, legittimandone la
compensazione.
2.1. - Il motivo è
inammissibile perché supportato soltanto dell'interesse
ad un diverso e più favorevole regolamento delle spese
di lite, senza tuttavia che tale capo della decisione
d'appello sia stato direttamente impugnato; ne consegue
che non vi è la necessaria corrispondenza tra interesse
al (motivo di) ricorso e statuizione aggredita.
3. - In conclusione, il
ricorso va respinto.
4. - Infine, il
controricorso presentato dall'amministratore del
condominio intimato è inammissibile, non essendo stata
depositata nell'apposito termine fissato da questa Corte
alcuna delibera condominiale di autorizzazione e
ratifica. Pertanto, e in difetto di altra attività
difensiva della parte intimata, nulla va disposto sulle
spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il
ricorso. |