PeD.it
Cass. Civ., sez. III, n.
1769 depositata l’8 febbraio 2012- Pres. Petti Rel. De
Stefano
La condotta gravemente
imprudente di una sedicenne precipitata, dopo aver
scavalcato un parapetto, dal lastrico solare non
destinato al passaggio di un hotel ove soggiornava in
gita scolastica non esclude le responsabilità
dell’albergatore, dei docenti e dell’istituto
scolastico.
Queste le conclusioni
della Suprema Corte.
La “bravata” si concludeva
con un tragico volo di dodici metri che causava alla
giovane l’invalidità totale.
I primi due gradi di
giudizio avevano respinto le richieste della ragazza
dato che questa aveva volontariamente scavalcato il
parapetto e che la sorveglianza del docente non doveva
spingersi fino ad invadere la privacy dei ragazzi.
La Cassazione rovesciando
le sentenze precedenti indica precisi termini per
inquadrare la responsabilità dell’albergatore, dei
docenti e dell’Istituto scolastico con sentenza n. 1769
che si sostanzia nei seguenti punti salienti:
- la responsabilità
dell’albergatore si inquadra nella responsabilità da
custodia ex art. 2051 c.c. e ha, dunque, come unica
esimente il caso fortuito. A giudizio del Supremo
Collegio la facile accessibilità della camera della
vittima al solaio è fonte della sua intrinseca
pericolosità. Inoltre il solaio non era protetto da
idonei mezzi di contenimento, né illuminato, né
segnalato da cartelli di pericolo tanto che la vittima
non aveva motivo di rappresentarsi la pericolosità del
suo gesto. Poteva essere percepita l’improprietà
dell’uso della terrazza ma non anche la sua estrema
pericolosità. Sulla base di tale assunto l’esclusione di
responsabilità dell’albergatore va ritenuta non
corretta.
- la responsabilità delle
istituzioni scolastiche si inquadra nella responsabilità
civile dei maestri e precettori ex art. 2048 c.c..
L’esimente consta nell’aver adottato in via preventiva,
tutte le misure disciplinari ed organizzative atte ad
evitare il sorgere di situazioni di pericolo. Per
evitare che i minori possano compiere atti incontrollati
o potenzialmente autolesivi, all’istituto scolastico è
imposto obbligo di diligenza preventiva e, nel caso di
gita scolastica, nella scelta di strutture alberghiere
che non presentino rischi o pericoli per l’incolumità
degli alunni.
Per i giudici di Piazza
Cavour non è stata corretta, quindi, la valutazione dei
giudici di merito che hanno definito idonea la struttura
alberghiera scelta per il solo fatto di essere “aperta
al più largo pubblico.”
Nel caso di specie la
peculiare connotazione della camera della vittima
avrebbe dovuto indurre il personale scolastico
accompagnatore a rilevare, con una semplice visita alle
camere stesse, il rischio della facile accessibilità al
solaio di copertura percepibile come terrazza ed
adottare misure idonee ad evitare l’accaduto.
Sulla base di quanto
affermato l’esclusione di responsabilità dei docenti
accompagnatori e dell’istituto scolastico è da ritenersi
non corretta.
Con queste indicazioni,
dunque, il ricorso della giovane viene accolto.
Cassazione Civile, sez.
III, n. 1769 depositata l’8 febbraio 2012 – Presidente
Petti Relatore De Stefano
Svolgimento del processo
1.1. La sedicenne S.Q.,
mentre si trovava in gita scolastica, nella notte tra il
16 e il 17 marzo 1998 cadde dalla terrazza posta a
livello del balcone della stanza al secondo piano
dell'albergo "Hotel Mirage" di Firenze – gestito dalla
Monteuliveto spa - dove aveva preso alloggio con gli
altri undici compagni di classe dell’Istituto tecnico
commerciale “Cecilia Deganutti” di Udine tra cui tale
M.T. - ed accompagnati dal prof. R.G..
1.2.
Ella, in particolare, riferì di avere scavalcato il
parapetto in muratura del suo balcone al secondo piano e
di essersi inoltrata, in compagnia del T., che le aveva
fornito uno spinello poco prima del fatto, nella
contigua terrazza a livello, non protetta da alcun
parapetto o da spallette o da segnali di pericolo e
recante un canale di scolo in prossimità del bordo
esterno degli stessi materiali e colori della
circostante terrazza; e, non essendosi avvista della
mancanza di protezione, ella riferì di essere
precipitata nel vuoto da un’altezza di circa 12 metri,
riportando gravissime lesioni ed in particolare
rimanendo totalmente invalida.
1.3.
La Q. citò quindi per il risarcimento dei danni
anche non patrimoniali, dapprima dinanzi al tribunale di
Udine e poi a quello di Trieste, il Ministero della
pubblica istruzione, l’istituto suddetto, la
Monteuliveto spa ed i genitori del T., ravvisando la
mancanza di controllo in loco e di sorveglianza degli
alunni da parte dell’insegnante, le carenze nelle
condizioni di sicurezza dell’albergo e quelle educative
dei genitori suddetti in ordine all’avvenuta cessione
dello spinello.
1.4.
I convenuti contestarono tutti la propria responsabilità;
di essi: da un lato, il ministero e l’istituto tecnico
chiesero, in subordine, la riduzione del risarcimento
eventualmente dovuto, in ragione delle percentuali di
corresponsabilità degli altri convenuti, ma dispiegarono
domande di garanzia nei confronti della Fondiaria spa e
della Schweiz. Ass.ni (poi Winterthur ass.ni spa, poi
Aurora ass.ni); dal canto suo, la Monteuliveto spa
chiamò in garanzia la sua assicuratrice Assitalia spa.
1.5.
Il tribunale di trieste, con sentenza n. 396/05 del
14.3.05, rigettò la domanda; e la corte di
appello di quel capoluogo ha respinto il gravame, con
sentenza n. 375 in data 1.10.09 e notificata il 5.11.09;
in particolare, la corte territoriale, per quel che qui
ancora rileva e tra l’altro, ha ritenuto:
-
che non era pacifica l’ora della caduta in
termini tali da configurare il grave ritardo nella
prestazione dei soccorsi, in particolare rivalutando le
deposizione testimoniali già acquisite;
-
che era irrilevante la ricostruzione dell’esatta altezza
del parapetto, in quanto volontariamente
scavalcato dopo l’accesso ad un lastricato solare non
destinato al passaggio, inapplicabile la disciplina in
materia di infortuni sul lavoro ed inutile anche
un’eventuale segnalazione di pericolo, che non sarebbe
stata avvistabile per la tarda ora;
-
che la sorveglianza del docente non doveva spingersi ad
invadere la “privacy” dei ragazzi e la sua diligenza al
controllo del non possesso di spinelli o alla verifica
dell’astratta sicurezza delle strutture ospitanti,
aperte al largo pubblico e nella fattispecie
utilizzate da una scolaresca di ragazzi prossimi alla
maggiore età e presumibilmente dotati di un senso del
pericolo;
-
che la domanda contro i genitori dell’altro ragazzo, sia
pure correttamente intesa ex art. 2048 c.c. come relativa
ai danni da cessione di stupefacente, non era provata
quanto alla stessa lamentata cessione, per impossibilità
di stabilire la sostanza assunta e comunque per l’esito
negativo degli esami tossicologici;
-
che fosse infondato l’appello della Fondiaria,
esclusa la ricorrenza nella fattispecie di una clausola
compromissoria in senso stretto, anziché soltanto di un
patto per perizia contrattuale, nonché escluso il
tentativo di suicidio.
1.6.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Q.,
affidandosi a sei motivi; resistono con
controricorso tutte le controparti, tranne la Fondiaria
–SAI, il cui difensore deposita procura speciale e
specifica, in sede di pubblica udienza, di intervenire
sia quale assicuratrice della Q., con posizione peraltro
definita per mancata impugnativa delle statuizioni tra
le parti, sia quale assicuratrice del Ministero,
insistendo in tale veste per il rigetto del ricorso.
1.7.
Per la pubblica udienza del 17.1.12, illustrate con
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. le rispettive
posizioni da parte della ricorrente e della
Monteuliveto spa, tutte le parti, tranne quest’ultima,
prendono parte alla discussione orale.
Motivi della decisione
2. La Q. sviluppa sei
motivi ed in particolare:
2.1.
con il primo – di violazione di legge; violazione
e falsa applicazione degli artt. 1218, 2048 e 2051 c.c.,
in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – ella
si duole dell’erronea esclusione, da parte della corte
territoriale, dell’intrinseca pericolosità del solaio
cui si aveva accesso dal parapetto del balcone, dovendo
esso qualificarsi come terrazza e riconosciuto privo di
spalletta o di segnali di pericolo ed anzi dotato di un
canale di scolo costruito in materiale simile alla
restante copertura, dal quale la sua caduta era stata
accidentale;
2.2.
con il secondo – di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo…, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c.: la pericolosità della terrazza, l’insidia del
canale di scolo e la mancanza di segnali di
pericolo – ella censura la valutazione di non
pericolosità dello stato dei luoghi, sia quanto alla
ritenuta inutilità di una segnalazione di pericolo pur
in assenza di valide opere dissuasive, sia quanto alla
volontarietà dello scavalcamento del modesto parapetto
del balcone, sia quanto alla carenza di luce artificiale
come indizio di non praticabilità del lastrico;
2.3.
con il terzo – di violazione di legge; violazione e
falsa applicazione degli artt. 1218, 2043, 2048 c.c., in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. –
violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale
in relazione alla circolare ministeriale 14 ottobre
1992, n. 291 – ella riproduce le stesse censure alla
sentenza di primo grado in ordine alla responsabilità
del ministero dell’istituto scolastico; a suo dire, esse
trovano fondamento nell’omessa preventiva verifica della
sicurezza della struttura e nella carente vigilanza
sulla condotta degli studenti; e, sul punto, richiama -
testualmente riproducendo nel ricorso, in ossequio al
principio della sua autosufficienza – ampi stralci della
circolare ministeriale, emanata sul punto, che invece la
raccomandava; con la conclusione che, essendo venute
meno anche le più elementari misure organizzative per
mantenere la disciplina, non poteva affermarsi
l’imprevedibilità dell’evento;
2.4.
con il quarto – di omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo della controversia, in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c.: l’ora del fatto -22.30/22.40,
ovvero 23.30 – e la (in)tempestività dei soccorsi – ella
censura la ricostruzione dell’ora del fatto come operata
dalla corte territoriale e soprattutto l’incertezza
della collocazione del fatto alle 22.20/22.40 in
rapporto alla ritenuta certezza della sua collocazione
alle 23.30: sul punto, ella analizza uno ad uno i
passaggi motivazionali della corte territoriale per
rimarcarne i vizi;
2.5.
con il quinto – di violazione dell’art. 360, comma 1, n.
4: nullità della sentenza per … error in procedendo –
ella censura la valutazione di irrilevanza delle
circostanze di fatto oggetto delle istanze istruttorie
disattese dal giudice di prime cure, tra cui: la
richiesta di ordine di esibizione alla Monteuliveto spa
di copia conforme agli originali del progetto approvato,
dell’autorizzazione sanitaria e dell’agibilità con
riferimento allo stato dei luoghi al 16.3.98; la
richiesta di ordine di esibizione alla Regione Friuli
Venezia Giulia, al Ministero ed all’istituto scolastico
convenuti delle circolari in materia di gite
scolastiche; una CTU atta a stabilire la conformità
della stanza 212 dell’Hotel Mirage alle norme
urbanistiche ed antinfortunistiche; una CTU
medico-legale sull’infortunata; tutte le prove dirette a
provare l’entità del danno subito dall’infortunata anche
sotto il profilo esistenziale, assistenziale, del
mancato guadagno, etc.
2.6.
con il sesto – di violazione di legge; violazione e
falsa applicazione dell’art. 2048 c.c., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 2, c.p.c.; omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un fatto controverso e decisivo…: lo spinello e la
confessione di T. – ella lamenta la mancata
considerazione, da parte della corte territoriale, della
piena confessione del T. sull’avvenuto consumo di uno
spinello di marijuana e della carenza di indicazioni sul
tipo e le metodologie degli esami tossicologici eseguiti
su di essa ricorrente all’atto del ricovero; e conclude
per l’imputabilità proprio all’illecita cessione di
quella sostanza stupefacente l’alterazione dell’umore
concomitante al gravissimo sinistro.
3.
Tutti gli intimati, tranne la Fondiaria-SAI spa (il cui
difensore peraltro produce procura notarile ad litem per
il presente giudizio di legittimità), resistono con
controricorso ed in particolare:
3.1.
il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca (già della Pubblica Amministrazione) e
l’Istituto tecnico commerciale di Stato “Cecilia
Deganutti”, con unitario controricorso, contestano
dapprima l’ammissibilità del ricorso nella parte in cui
riproduce fotografie, grafici e tabelle, per poi
prendere partitamente posizione su ciascuno dei motivi:
negando che la corte territoriale avesse mai definito
pericoloso il lastrico solare; rimarcando anzi la
correttezza dell’esclusione della pericolosità in
concreto; contestando l’ammissibilità del richiamo – nel
terzo motivo – ai corrispondenti motivi di appello;
escludendo l’idoneità di qualsiasi ulteriore cautela ad
impedire l’evento, riferibile alla volontaria condotta
di assunzione di stupefacenti e di scavalcamento del
parapetto da parte della studentessa; sottolineando
l’affievolimento, col progredire dell’età, dell’obbligo
di vigilanza; evidenziando l’adeguatezza della
motivazione sulla ricostruzione dell’ora del fatto;
contestando il dedotto errore procedurale in ordine alla
mancata ammissione delle istanze istruttorie, nonostante
l’accurata ponderazione delle risultanze già acquisite;
e concludono anche rispondendo, in via subordinata, la
domanda di determinare l’entità del risarcimento in
proporzione al grado di colpa concorrente e prevalente
degli altri convenuti di primo grado, nonché il gravame
incidentale condizionato nei confronti di Aurora e
Fondiaria spa per essere da queste tenuti indenni di
quanto eventualmente fossero condannate a pagare alla Q.,
ivi comprese le spese legali e di CTU, comunque tenendo
conto di quanto già erogato nel corso del giudizio;
3.2.
la Monteuliveto spa, prendendo posizione sui soli motivi
primo, secondo, quarto e quinto, contesta la
qualificazione di terrazza dalla Q. al solaio di
copertura da cui ella era caduta, ma soprattutto la
pericolosità della stessa ai fini della verificazione
dell’evento, ascrivibile alla volontaria condotta
dell’infortunata e comunque ad un uso improprio od
avventuroso della cosa; nega il vizio motivazionale
sulla collocazione temporale dell’evento e quindi
sull’esclusione di qualsiasi ritardo nella chiamata dei
soccorsi; evidenzia l’inammissibilità del quinto motivo,
per la mancata indicazione dei fatti oggetto delle
istanze istruttorie, comunque correttamente ritenute
irrilevanti per la già raggiunta prova dell’ascrivibilità
dell’evento alla condotta volontaria della Q.;
3.3.
i coniugi E.T. e A.V., genitori di M.T., lamentano, in
via preliminare, l’inammissibilità dei motivi di
ricorso, in quanto involgenti tutti una diversa
valutazione dei fatti, per poi contestarne comunque la
fondatezza, soprattutto per il ruolo complice della Q. e
la carenza di qualsiasi responsabilità per colpa
educativa dei genitori;
3.4.
la Assitalia ass.ni, dal canto suo: quanto al
primo motivo, a parte i profili di inammissibilità per
investire esso profili di fatto incensurabili in sede di
legittimità, nega la negligenza della Monteuliveto,
dovendo ascriversi l’evento ad una condotta volontaria
della vittima, estrinsecatasi in un uso eccezionale o
straordinario del lastrico solare; quanto al secondo,
rimarca pure la tardività della deduzione della
canaletta di scolo quale ulteriore elemento di insidia;
quanto al quarto, nega qualsiasi vizio motivazionale
nella ricostruzione dell’ora dell’evento e
nell’esclusione della tardività dei soccorsi; quanto al
quinto, ne contesta l’ammissibilità – in difetto di
specifica indicazione delle circostanze oggetto delle
istanze istruttorie ammissibili ma disattese – e la
fondatezza, per l’affidamento della corte territoriale
sull’irrilevanza di ulteriore istruzione alla stregua
della già raggiunta prova dell’esclusiva colpa
dell’infortunata;
3.5.
La UGF, già Aurora, già Winterthur ass.ni spa, infine,
limitando le sue repliche ai motivi che direttamente
interessano il Ministero (suo assicurato), si duole
preliminarmente della tardività dell’audizione, da parte
della Q. e quale causa petendi, della responsabilità
contrattuale; prosegue poi escludendo qualunque
responsabilità del Ministero, dovendo l’evento
ascriversi alla condotta volontaria dell’infortunata,
che aveva volontariamente impegnato un lastrico non
agibile, mentre nulla di evidentemente anomalo accadeva,
quanto agli altri ragazzi, nel resto dell’albergo e
sotto idonea attività di sorveglianza di tre professori
(oltre il G., anche tali L. e S.); e ricostruisce
l’orario dell’evento in conformità a quanto concluso
dalla corte territoriale.
4.
Ritiene il Collegio che i primi due motivi,
congiuntamente considerati e trattati per la loro intima
interconnessione, sono fondati.
4.1.
Va premesso che:
4.1.1.
è giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte che,
per la responsabilità da cosa in custodia, è sufficiente
un nesso causale tra l’evento e la cosa stessa. In
particolare, la responsabilità per i danni
cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051
c.c. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi
in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale
tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che
rilevi al riguardo la condotta del custode e
l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in
quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non
presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire
analogo a quello previsto per il depositario, e funzione
della norma è, d’altro canto, quella di imputare la
responsabilità a chi si trova nelle condizioni di
controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo
pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla
le modalità d’uso e di conservazione, e non
necessariamente il proprietario o chi si trova con essa
in relazione diretta; pertanto, tale tipo di
responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito (da
intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto
del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), fattore
che attiene non già ad un comportamento del custode (che
è irrilevante), bensì al profilo causale dell’evento,
riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma
ad un elemento esterno, recante i caratteri
dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità; l’attore che
agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi,
l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico
tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode
convenuto, per liberarsi della sua responsabilità, deve
provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua
sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso
causale (tra le molte: Cass. 19 febbraio 2008, n. 4279;
Cass. 25 luglio 2008, n. 20427; Cass. 22 novembre 2009,
n. 23939; Cass. 1 aprile 2010, n. 8009; Cass., sez. VI,
ord. 11 marzo 2011, n. 5910; Cass. 19 maggio 2011, n.
11016);
4.1.2.
In senso analogo, in precedenza, con specifico
riferimento alla responsabilità dell’albergatore, si è
precisato che la responsabilità dell’albergatore per i
danni causati ad un cliente dalle dotazioni di una camera
della struttura ricettiva si inquadra nella
responsabilità da custodia prevista dall’art. 2051 c.c.,
con la conseguenza che, ai fini della sua
configurabilità, è sufficiente che il danneggiato
fornisca la prova della sussistenza del nesso causale
tra la cosa che ha provocato l’incidente e l’evento
dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o
potenziale degli oggetti e della condotta
dell’albergatore, sul quale incombe, ai fini
dell’esclusione di detta responsabilità, l’onere di
provare il caso fortuito (Cass. 9 novembre 2005, n.
21684; Cass. 26 novembre 2007, n. 24739);
4.1.3.
più specificamente, con riferimento a cose
intrinsecamente pericolose anche in rapporto alla
possibilità di condotte potenzialmente auto lesive del
loro fruitori, si è stabilita la necessità di
valutare l’incidenza causale sugli eventi lesivi
dell’omessa apposizione si segnalazioni idonee da parte
del gestore della stessa conformazione della cosa e
della consapevolezza, in rapporto alle circostanze del
caso ed alle personali condizioni del danneggiato, per
valutare la misura dell’eventuale concorrenza della
condotta colposa della vittima, della pericolosità della
cosa (Cass. 2 marzo 2011, n. 5086); e la stessa
conformazione della cosa, che possa avere indotto il
fruitore a confidare incolpevolmente nella sua
continuità con caratteristiche tali da escludere gli
eventi dannosi prefigurabili ed alla cui prevenzione
sembrava destinata ha fondato l’accertamento della
responsabilità del custode (è stato il caso di un
muretto di recinzione laterale di una strada di
montagna, inaspettatamente interrotto proprio nel punto
di una curva che dava su di una scarpata: Cass. 22 marzo
2011, n. 6550).
4.2.
In applicazione di tali principi al caso di specie:
4.2.1.
è pacifico tra le parti che la caduta è avvenuta
dalla sommità di un solaio di copertura dell’immobile
che ospitava l’albergo, cui si poteva accedere, ad esso
essendo totalmente contiguo, scavalcando il parapetto
del balcone della camera assegnata alla vittima,
parapetto alto tra gli 85 cm ed il metro dall’interno
(vedasi pag. 32 sentenza impugnata); ed è pacifico che
l’ampio solaio non fosse protetto da idonee spallette o
altri mezzi di contenimento, né segnalato da cartelli di
pericolo, né illuminato, oltre ad essere caratterizzato
da un canale di scolo, in prossimità proprio del suo
termine sul vuoto, che costituiva un avvallamento
rispetto al piano del solaio stesso;
4.2.2.
a giudizio del collegio, sta allora proprio nella facile
accessibilità dalla camera della vittima di un solaio
con tale caratteristiche l’intrinseca potenziale sua
pericolosità per i fruitori di quella: non rilevando
affatto che l’accesso sia dovuto ad una condotta
volontaria della vittima, che non aveva motivo di
rappresentarsi l’insidiosità del manufatto derivante
dalla sua conformazione (mancanza di protezione ed anzi
avvallamento in prossimità del margine esterno), dalla
carenza di segnalazioni e di illuminazione; e dovendo,
nella valutazione del nesso causale, escludersi la
possibilità di qualificare abnorme o del tutto
eccezionale la condotta, per quanto volontaria, di
scavalcamento di una protezione di non particolare
insuperabilità (non oltre un metro dall’interno) verso
un’ampia superficie piana contigua, senza segnalazione
non solo e non tanto della sua non destinazione a
calpestio, ma soprattutto delle sue caratteristiche
suddette;
4.2.3.
orbene, elide invero il nesso di causalità tra la cosa e
l’evento soltanto una condotta della vittima che rivesta
il carattere di una peculiare imprevedibilità e con caratteristiche
tali che esse si debbano ritenere eccezionali e cioè
manifestamente estranee ad una sequenza causale
ordinaria e normale, corrispondente allo sviluppo
potenzialmente possibile in un contesto dato secondo l’
id quod plerumque accidit: restando beninteso riservato
al giudice del merito l’apprezzamento, tipicamente di
fatto, dell’entità dell’apporto causale della condotta
della vittima, ove si possa configurare una peculiare
sua colpa anche solo per mancata adozione di
comportamenti di comune prudenza imposte dallo stato dei
luoghi (in casi analoghi, tra le altre, v.: Cass. 8
agosto 2007, n. 17377; Cass. 22 marzo 2011, n. 6550);
4.2.4.
francamente incongrue, sia in punto di fatto che di
diritto, sono le valutazioni operate dalla corte
territoriale: la mancanza di illuminazione
aggrava la situazione di pericolosità e non può allora,
di per sé sola considerata, fondare l’abnormità della
condotta della vittima, tutt’al più solo incidendo sulla
successiva valutazione dell’intensità del rischio
coscientemente assunto da quest’ultima ai fini della
valutazione del concorso causale della sua stessa
condotta nella determinazione dell’evento; la notazione
della inutilità della segnalazione in rapporto all’ora
notturna e quindi alla sua non percepibilità in concreto
è contraddittoria ed illogica, visto che un’idonea
segnalazione avrebbe dovuto farsi carico della propria
visibilità proprio durante le ore notturne, quando c’è
la situazione di insidia o pericolo erta ancora
maggiore;
4.2.5.
allora, non correttamente la corte territoriale
esclude, dalle conseguenze di tale intrinseca situazione
di pericolosità, il nesso causale tra cosa ed evento: in
quanto poteva forse essere percepita dalla vittima la
sicura improprietà dell’uso della cosa stessa (essendone
esclusa la destinazione a calpestio) e perfino la sua
ordinaria non praticabilità per il calpestio, ma non
anche la sua estrema pericolosità, atteso che essa dava
direttamente sul vuoto, senza protezione, illuminazione
ed anzi con una vera e propria insidia verso il margine
esterno; in sostanza, doveva configurarsi tutt’altro che
abnorme la possibilità di un accesso, non impedito
adeguatamente né oggetto di dissuasione con segnali, e
di una fruizione oggettivamente pericolosa da parte di
chi alloggiava –se non altro – nella camera della
vittima.
4.3.
È sulla base di tanto che l’esclusione di responsabilità
dell’albergatore, gestore dell’edificio, va ritenuta non
corretta e che si impone la cassazione della gravata
sentenza, affinché il giudice del rinvio rivaluti la
fattispecie in ordine alla posizione della società
gestrice dell’albergo, alla stregua del seguente
principio di diritto: poiché la responsabilità per i
danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art.
2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo
sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione
da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso
e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia,
una tale responsabilità non è di per sé esclusa dal
fatto volontario della vittima, salva la valutazione
della sua condotta ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.,
consistente nella fruizione del bene custodito, benché
non conforme al suo uso ordinario, quando non vi sia
ragionevole modo di attendersi una peculiare oggettiva
pericolosità dell’uso diverso, ma reso possibile dalla
facile accessibilità alla cosa medesima.
5.
Anche il terzo motivo, relativo alla responsabilità
delle istituzioni scolastiche, è fondato.
5.1.
Va al riguardo premesso che:
5.1.1.
si è affermato che, in tema di responsabilità
civile dei maestri e dei precettori, per superare la
presunzione di responsabilità che ex art. 2048 cod. civ.
grava sull’insegnante per il fatto illecito
dell’allievo, non è sufficiente per detto insegnante la
sola dimostrazione di non essere stato in grado di
spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo
l’inizio della serie causale sfociante nella produzione
del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver
adottato, in via preventiva, tutte le misure
disciplinari o organizzative idonee ad evitare il
sorgere di una situazione di pericolo favorevole al
determinarsi di detta serie causale (Cass. 22 aprile
2009, n. 9542);
5.1.2.
quanto peraltro al caso di danno cagionato dell’alunno a
sé medesimo, la responsabilità dell’istituto scolastico
e dell’insegnante non ha natura
extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che –
quanto all’istituto scolastico- l’accoglimento della
domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione
dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di
un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione di
vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel
tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica
in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare
che l’allievo procuri danno a se stesso; e che – quanto
al precettore dipendente dell’istituto scolastico – tra
insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale,
un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante
assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire
ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e
vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo
un danno alla persona; pertanto, nelle controversie
instaurate per il risarcimento del danno da autolesione
nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnate,
è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art.
1218 cod. civ., sicché, mentre l’attore deve provare che
il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del
rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare
che l’evento dannoso è stato determinato da causa non
imputabile né alla scuola né all’insegnante (per tutte:
Cass. Sez. Un. 27 giugno 2002, n. 9346; Cass. 18
novembre 2005, n. 24456; Cass. 31 marzo 2007, n. 8067;
Cass. 26 aprile 2010, n. 9906);
5.1.3.
più in generale, del resto, l’accoglimento della
domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione
dell’allievo a scuola, determina l’instaurazione di un
vincolo negoziale dal quale sorga a carico dell’istituto
l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e
l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi
fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue
espressioni (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3680); ed è
onere della scuola dimostrare in concreto, benché anche
solo per presunzioni, che le lesioni sono state
conseguenza di una sequenza causale ad essa non
imputabile (tra le ultime: Cass. 3 marzo 2010, n. 5067:
Cass. 3 febbraio 2011, n. 2559; Cass. 20 aprile 2011, n.
9325), se non anche (come si esprime Cass. 9542 del
2009) quella di avere adottato, in via preventiva, le
misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare
prevedibili situazioni di pericolo favorevoli
all’insorgere della serie causale sfociante nella
produzione del danno.
5.2.
Tali principi vanno applicati alla particolare
fattispecie dello svolgimento di una gita scolastica
o viaggio di istruzione:
5.2.1.
la prestazione di vigilanza dell’istituto, come in
concreto espletata dai professori accompagnatori, assume
connotati particolari: di certo, il carattere continuo
del contatto con gli studenti durante l’intera giornata,
comprendente quindi le normali attività quotidiane e
proprie della sfera di riservatezza più intima
dell’individuo, impone di limitare l’entità e le stesse
modalità della vigilanza, affinché non violino oltre il
necessario la sfera siddetta; ed un’attività di
ispezione continua e prolungata è in radice esclusa,
oltre che francamente impossibile, soprattutto quanto
alle ampie frazioni di giornata che il singolo alunno
trascorre comunque nell’intimità della propria stanza di
albergo:
5.2.2.
deve al contempo ritenersi sussistente un obbligo
di intervento diretto, adeguato ed immediato dinanzi a
specifici episodi od eventi, che siano però con
immediata plausibilità ricollegabili alla commissione di
atti pericolosi o nocivi o auto lesivi: sicché, tranne
il caso di un’evidente e manifesta condotta volta a
porre in essere tali atti o ad essi seguita (come quella
di assunzione di stupefacenti o alcolici), non vi è modo
idoneo di prevenirla o di reprimerla.
5.2.3.
per dimostrare la carenza di colpa non deve però ritenersi
sufficiente quanto appena indicato; proprio perché il
rischio che, lasciati in balia di se stessi, i minori
possano compiere atti incontrollati e potenzialmente
auto lesivi, all’istituzione è imposto un obbligo di
diligenza per così dire preventivo, consistente, quanto
alla gita scolastica, nella scelta di vettori e di
strutture alberghiere che non possano compiere atti
incontrollati e potenzialmente autolesivi,
all’istituzione è imposto un di diligenza per così dire
preventivo, consistente, alla gita scolastica, nella di
vettori e di strutture alberghiere che non possano, né
al momento della loro scelta, né al momento della loro
concreta fruizione, presentare rischi o pericoli per
l’incolumità degli alunni;
5.2.4.
anche in questo caso con una valutazione da farsi
caso per caso in relazione alle circostanze della
concreta fattispecie, allora, incombe all’istituzione
scolastica la dimostrazione di avere compiuto tali
controlli preventivi e di avere impartito le conseguenti
istruzioni agli allievi affidati alla sua cura ed alla
sua vigilanza.
5.3.
In applicazione di tali principi al caso di specie;
5.3.1.
non erra la corta territoriale nell’avere escluso già in
astratto la responsabilità dei docenti accompagnatori in
dipendenza della non adozione di atti di diuturna
e prolungata vigilanza sulle condotte dei singoli alunni
anche dei non brevi periodi che dovevano essere
caratterizzati – come nelle ore notturne o destinate al
riposo – dal massimo possibile rispetto della loro
riservatezza;
5.3.2.
e non erra neppure per avere in concreto escluso
la responsabilità per la repressione di condotte di
assunzione di stupefacenti, essendo rimasta priva di
riscontri probatori affidabili ed obiettivi (anche per
l’inammissibilità degli altri mezzi istruttori,
confermata anche in questa sede per quanto si dirà in
ordine al quinto motivo di ricorso) una complessiva
situazione di incontrollata dedizione all’assunzione di
alcolici o di stupefacenti, sicché non poteva dirsi
attivato, in relazione alle peculiarità del caso
concreto, alcun particolare obbligo di intervento
specifico di repressione;
5.3.3.
erra invece per avere incongruamente escluso
l'obbligazione contrattuale di garantire l'incolumità
dell'alunno dinanzi alla scelta di una struttura,
definendola di per sé idonea sol perché aperta al
più largo pubblico e per di più in considerazione della
capacità di discernimento che normalmente ci si può
attendere da ragazzi prossimi alla maggiore età:
infatti, sia al momento della scelta in sede di
organizzazione del viaggio ed in tal caso solo sulla
base della documentazione disponibile, sia a momento
della concreta fruizione ed in tal caso all'esito di una
sia pur sommaria valutazione sul posto delle condizioni,
l’istituzione deve valutare preliminarmente l’assenza di
rischi evidenti o di pericolosità dei beni coinvolti
nell’espletamento del viaggio, siano essi quelli di
trasporto, siano essi quelli ove gli alunni dovranno
alloggiare; solo in tal modo, infatti, l’istituzione può
dimostrare di avere tenuto anche una condotta idonea,
con valutazione necessariamente ex ante, a garantire la
sicurezza dell’alunno pure durante l’espletamento della
peculiare attività in cui si estrinseca la gita
scolastica.
5.4
In applicazione di- tali principi al caso di specie, la
peculiare connotazione almeno della camera della
vittima – che con ogni verosomiglianza non poteva essere
rilevata al momento della scelta, sulla carta, della
struttura alberghiera all’atto dell’organizzazione del
viaggio – avrebbe dovuto indurre il personale
accompagnatore a rilevare, con un accesso alle camere
stesse, il rischio della facile accessibilità al solaio
di copertura, vale a dire al lastrico solare percepito
come terrazza, per poi adottare misure in concreto
idonee alle circostanze: potendo esse, a seconda di
queste, fondarsi su di una valutazione di complessiva
inaffidabilità della struttura (con rifiuto di
alloggiarvi, ricerca di soluzioni alternative anche
tramite l’organizzatore o, in caso estremo, rientro
anticipato), oppure della sola stanza (con richiesta di
immediata sostituzione della medesima con altra priva di
analoghe situazioni di pericolosità), ovvero potendosi
limitare, in relazione alla capacità di discernimento
del singolo ragazzo ivi ospitato, ad impartire adeguati
e comprensibili moniti a non adottare specifiche
condotte pericolose (come l’avvertimento a non impegnare
il solaio di copertura – lastrico solare – terrazza,
facilmente accessibile nonostante la sua pericolosità).
Anche in tale ipotesi resta beninteso riservato al
giudice del merito l’apprezzamento, tipicamente di
fatto, dell’entità dell’apporto causale della condotta
della vittima, ove si possa configurare una peculiare
sua colpa anche solo per mancata adozione di
comportamenti di comune prudenza imposta dallo stato dei
luoghi.
5.
5. Si impone anche sotto questo aspetto la
cassazione della gravata sentenza, .in ordine alla
responsabilità dei convenuto Ministero ed istituto
scolastico, affinchè la domanda della Q. sia
.riesaminata alla stregua del seguente principio di
diritto: poiché l'iscrizione a scuola e l'ammissione ad
una gita scolastica determinano l'instaurazione di un
vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’
istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e
l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi
fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue
espressioni, all'allievo compete la dimostrazione di
aver subito un evento lesivo durante quest'ultima,
mentre incombe all' istituto la prova liberatoria,
consistente nella riconducibilità dell'evento lesivo ad
una sequenza causale non evitabile e comunque
imprevedibile, neppure mediante l'adozione di ogni
misura idonea, in relazione alle circostanza, a
scongiurare il pericolo di lesioni derivanti dall'uso
delle strutture prescelte per lo svolgimento della gita
scolastica e tenuto conto delle loro oggettive
caratteristiche ; e salva la valutazione dell' apporto
causale della condotta negligente o imprudente della
vittima, ai sensi dell'art. 1227 cod. civ..
6.
Il quarto motivo è infondato: non sussiste il denunciato
vizio motivazionale, avendo la corte territoriale
compiutamente esaminato le risultanze delle prove
testimoniali, in rapporto a tutti gli altri elementi
acquisiti, per valutare come improbabile la collocazione
temporale dell’evento alle 22.30 – 22.40, rispetto al
più plausibile – e quindi maggiormente verosimile –
orario delle 23.30. Al riguardo, neppure l’analitica
rappresentazione dei singoli elementi istruttori con
l’indicazione delle critiche a ciascuno di essi, operata
dalla ricorrente in ricorso, consente di superare la
valutazione di congruità della loro comparazione
complessiva, non trasformando essa in incongrue o
illogiche argomentazioni.
7.
Il quinto motivo è, anch’esso, in parte infondato:
-
allorquando ci si dolga dell'erroneità della mancata ammissione
di mezzi istruttori è indispensabile che, nel ricorso
per cassazione, si riportino con esattezza le
circostanze che ne erano oggetto e si indichi la sede
processuale in cui esse sono state formulate,
naturalmente evidenziando adeguatamente i motivi per i
quali esse sarebbero state rilevanti e le sedi
processuali in cui della mancata ammissione ci si sia
doluti già nei competenti gradi di merito (in tal senso,
pronunciando il principio ai sensi dell’art. 360-bis, n.
1, cod. proc. Civ.: Cass., sez. VI, ord. 30 luglio 2010,
n. 17915): sono allora inammissibili le doglianze sulla
mancata ammissione delle prove testimoniali;
-
sulla rilevanza di quelle di esibizione e di consulenza
tecnica non viene svolta aslcune specifica deduzione del
resto, le prime palesano inammissibili per la
mancata allegazione – ed a maggior ragione per la
mancata prova – del’impossibilità di acquisire aliunde i
documenti, ma soprattutto per l’omessa indicazione del
loro tenore, sicche la mancata ottemperanza all’ordine
di esibizione non potrebbe giammai condurre a ritenere
ammessi fatti specifici (con conseguente incensurabilità
in cassazione del rigetto da parte del giudice del
merito; da ultimo, v. Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375,
ovvero Cass. 29 ottobre 2010, n. 22196; per le seconde
non viene neppure dedotto che le consulenze tecniche
avrebbero potuto sopperire a lacune istruttorie non
colmabili direttamente dall’onerata, ovvero a
contestazioni analitiche delle controparti sulla
configurazione dello stato dei luoghi (la cui verifica
di conformità o meno alle norme urbanistiche o
antinfortunistiche operare alla stregua degli atti già
disponibili, ma impregiudicata la valutazione della
rilevanza di ogni questione al riguardo) o sul grado di
invalidità ed ai postumi derivati all’infortunata (anche
stavolta affermando il principio ai sensi dell’art.
360-bis, n. 1, c.p.c. e quindi dandolo come
corrispondente a giurisprudenza del tutto consolidata,
questa Corte ha ribadito che la consulenza tecnica
d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio,
avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella
valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di
questioni che necessitino di specifiche conoscenze:
sicché il suddetto mezzo di indagine non può essere
utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la
prova di quanto assume, ed è quindi illegittimamente
negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla
deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova,
ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca
di elementi, fatti o circostanze non provati: Cass.,
sez. VI, ord. 8 febbraio 2011, n. 22196).
8.
Il sesto motivo è infondato:
8.1.
la corte territoriale motiva espressamente
sull’impossibilità di stabilire che quanto assunto dalla
Q., con il diretto e decisivo coinvolgimento del
T., sia stata una sostanza stupefacente, in grado di
incidere sulle capacità cognitive o di discernimento
della ragazza, considerando sia la confessione del
ragazzo, sia l’assenza di riscontri clinici alla dedotta
assunzione, come pure l’insufficienza dell’arrossamento
degli occhi della Q. e del T., e la mancanza di più
precise indicazioni sulle modalità dell’esecuzione degli
esami clinici all’atto del ricovero non può che
ridondare a danno della danneggiata, atteso il titolo di
responsabilità extracontrattuale azionato in questa
sede;
8.2.
Inoltre, a stretto rigore non si prospetta neppure – e
non si offrono elementi probatori idonei – la tesi che
la sostanza stupefacente assunta sia stata tale, per
qualità e quantità, da offuscare od ottundere i
sensi della ragazza o comunque cambio di umore –
compatibili con l’adozione di condotte imprudenti e di
volontaria assunzione di rischi sproporzionati alla
capacità di reazione od alla potenzialità di percezione
in rapporto alle condizioni dei luoghi;
8.3.
tutto questo esime dall’esame dell’ulteriore questione
sul contenuto della responsabilità dei genitori per i
fatti illeciti del proprio figlio: ed anche le pretese
della Q. nei confronti dei coniugi T. – V. vanno
definitivamente qualificate infondate, sia pure,
nonostante la confessione del loro figlio M., per
carenza di prova adeguata sulle circostanze di fatto
dedotte e quindi in applicazione dei principi generali
del riparto dell’onere della prova.
9.
In conclusione:
9.1.
in accoglimento dei primi quattro motivi, la
gravata sentenza va cassata, con rinvio alla corte di
appello di Trieste in diversa composizione, affiché,
fermo il definitivo rigetto delle pretese della Q. mei
confronti dei T. – V., riesamini la vicenda alla stregua
dei principi di diritto di cui ai precedenti punti 4.3 e
5.5;
9.2.
infine, tranne che nei rapporti tra l’odierna ricorrente
ed i coniugi T - V., con la presente pronuncia ormai
definiti con il definitivo rigetto delle domande della
prima nei confronti di costoro, è opportuno
rimettere la regolamentazione delle spese dell’intero
giudizio, compreso quello di legittimità, al giudice del
rinvio; mentre, quanto alle domande della Q. nei
confronti dei T. – V., la circostanza di un elemento di
fatto a sostegno dell’originaria tesi del coinvolgimento
del loro figlio, all’epoca minorenne, consistente nelle
sue ammissioni spontanee, integra – ad avviso del
Collegio e, beninteso, nonostante non abbia potuto
fondare, per quanto argomentato più sopra, alcuna
pronuncia di responsabilità – un giusto motivo di
integrale compensazione delle spese del giudizio di
legittimità.;
9.3.
spetta al giudice del rinvio anche la valutazione della
ritualità delle domande di garanzia dispiegate in corso
di causa, sia al momento della loro proposizione originaria,
sia al tempo della formulazione dei gravami e della
determinazione del relativo thema decidendum.
P.Q.M.
La Corte accoglie il
primo, il secondo ed il terzo motivo e rigetta gli
altri; cassa, in relazione alle censure accolte, la
gravata sentenza e rinvia alla corte di appello di
trieste, i diversa composizion, anche per le spese del
giudizio di legittimità nei rapporti tra la Q. e le
controparti diverse da E. T. ed A. V.; compensa le spese
del giudizio di illegittimità fra S. Q. ed E. T. ed A.
V..
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