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Il marito abbandona il
domicilio coniugale ed instaura una stabile convivenza
more uxorio con altra donna dalla quale nasce un figlio.
La corte stabilisce che, anche nel caso in cui la moglie
acconsenta e sopporti tacitamente la nuova famiglia del
marito, questo non esclude che la convivenza risulti
comunque intollerabile e che dunque si ponga in essere
il presupposto per la pronuncia di separazione
giudiziale.
Corte di Cassazione, sez.
I Civile, sentenza 26 settembre 2011 – 16 febbraio 2012,
n. 2274
Presidente Luccioli –
Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Catania,
con sentenza del 23-4/19-5-2004, pronunciava la
separazione giudiziale dei coniugi T. C. e M. M.,
ponendo a carico del marito assegno di mantenimento per
la moglie, cui assegnava la casa coniugale.
Proponeva appello la M.,
sostenendo l’insussistenza dei presupposti di
intollerabilità della convivenza, giustificanti la
separazione.
Costituitosi il
contraddittorio, il T. chiedeva rigettarsi l’appello
principale e proponeva appello incidentale, in ordine
alle spese di manutenzione e alle utenze della casa ex
coniugale.
La corte d’Appello di
Catania, con sentenza dell’ 11-22/1/2007, rigettava
entrambi gli appelli.
Ricorre per cassazione la
M., sulla base di un unico motivo.
Non svolge attività
difensiva il T.
Motivi della decisione
Con un unico motivo, la
ricorrente lamenta violazione degli artt. 151, 2731,
2733 c.c., nonché vizio di motivazione in ordine ai
presupposti della separazione giudiziale.
Com’è noto, a fronte di
una disciplina anteriore, che nettamente privilegiava
l’elemento della colpa (anche se una parte, seppur
minoritaria, della giurisprudenza aveva individuato la
ratio della separazione stessa nell’esigenza del coniuge
di essere affrancato da una convivenza divenuta
intollerabile: tra le altre, Cass. n. 968 del 1962),
l’attuale disciplina, a seguito della riforma del 1975,
ha escluso tale elemento, introducendo il profilo
dell’intollerabilità della convivenza (anche se ha
considerato, seppur solo a richiesta di parte,
l’elemento dell’addebito).
Se dapprima parte della
giurisprudenza (tra la altre, Cass. n. 3348 del 1978)
non parve accorgersi del profondo salto di qualità
introdotto dalla nuova disciplina e così si interpretò
il disposto dell’art. 151, primo comma, c.c., come un
semplice ampliamento delle ipotesi già espresse nella
originaria formulazione, col passare del tempo si è
andato sempre più consolidando un altro atteggiamento
che sottolinea la profonda differenza dell’attuale
disciplina rispetto all’anteriore.
E questa è indubbiamente
la posizione più condivisibile. Non tanto ai
“comportamenti” si riferisce l’art. 151 c.c., quanto
alla situazione di intollerabilità della convivenza che
pur frequentemente ne è conseguenza. E in tale
prospettiva si deve osservare che possono bensì
determinati comportamenti, contrari ai doveri
matrimoniali, condurre all’intollerabilità della
convivenza, ma pure altri fatti che nulla avrebbero a
che vedere con la violazione degli obblighi matrimoniali
(ad. Es. diversità di cultura tra i coniugi,
incompatibilità di carattere, ecc….), e, d’altro canto,
non tutte le violazioni degli obblighi familiari
dovrebbero necessariamente condurre a tale risultato.
Senza contare che nella nuova disciplina nessuna
differenza è posta tra coniuge “colpevole” o
“incolpevole”, se di “colpa” si deve ancora parlare
(rectius tra coniuge che ha o non ha violato i doveri
matrimoniali); e pertanto anche il coniuge “colpevole”
può chiedere la separazione, affermando che proprio il
suo comportamento ha condotto all’intollerabilità della
convivenza.
Ma a questo punto conviene
soffermarsi sul significato di tale espressione, sulla
sua valenza oggettiva o soggettiva, considerata talora
in concreto con riferimento al coniuge che richiede o
che subisce la separazione, talora, in astratto,
richiamando il criterio, sempre assai incerto ed
ambiguo, di normale tollerabilità, secondo l’id quod
plerumque accidit, la condizione dell’uomo medio, ecc…
Si fronteggiano peraltro
in sostanza due differenti concezioni: la tutela
dell’interesse individuale dei coniugi o di un
(presunto) interesse superiore della famiglia, e si deve
dunque decidere se rilevino la “penosità oggettiva”
della convivenza per il coniuge che richiede la
separazione, ovvero elementi in vario modo più
oggettivi.
Dapprima la tesi
“oggettivistica” fu la più seguita in dottrina e in
giurisprudenza (tra le altre, Cass. n. 5752 del 1979;
Cass. n. 67 del 1986). Si giustificava tale tesi,
argomentando dalla giuridicità del vincolo coniugale,
dall’esigenza di garantire l’unità della famiglia e il
diritto di ciascun coniuge alla prosecuzione della
convivenza, a meno che non si verificassero appunto
fattori di intollerabilità oggettiva. E nelle concezioni
più restrittive per “intollerabilità oggettiva” si
intendeva violazione degli obblighi familiari (ma la
contraddizione in termini è evidente, in quanto di tale
violazione potrebbe avvalersi, chiedendo la separazione,
pure l’autore di essa).
Posizioni meno rigide
individuano comunque l’intollerabilità in fattori gravi,
reiterati e protratti nel tempo, tali da deteriorare
notevolmente i rapporti tra i coniugi, o ancora in una
serie continua di atti, vista nel suo complesso e
continuità. Una conseguenza di questa concezione fu che
il giudice, ove non ravvisasse elementi di tale
“intollerabilità oggettiva”, era tenuto allo stato a
respingere la domanda di separazione. Sono al contrario
rarissimi nella prassi dei giudici di merito i casi di
reiezione delle domande /e vanno diminuendo sempre di
più). Così la giurisprudenza, soprattutto quella di
merito, pur condividendo formalmente le argomentazioni
della tesi oggettivistica, ha finito in concreto –
utilizzando assai scarsamente l’arma della reiezione e
individuando sempre nuove ipotesi di intollerabilità –
per avvicinarsi alla concezione opposta, ravvisando tale
presupposto nell’incompatibilità di carattere, nel
contrasto tra differenti culture, tra diversi “credi”
ideologici o religiosi, in manifestazioni di
disaffezione, di distacco fisico o psicologico,
nell’esasperato spirito di autonomia dei coniugi o anche
nella presenza di fatti “oggettivi”, indipendenti dalla
volontà di uno o di entrambi i coniugi (ad es. una
malattia psichica o fisica di uno di essi), ma
considerati, per così dire, soggettivamente.
Ed ancora si è ritenuto
che detta intollerabilità sia in re ipsa quando vi sia
accordo delle parti sulla separazione (e vi sarà
evidentemente contrasto su alcune clausole di essa) –
ciò che accade, nella prassi, per la maggior parte delle
separazioni giudiziali – o magari, quando la domanda sia
presentata poco dopo la nascita di un figlio fuori del
matrimonio ciò che fa ritenere che sia venuta meno ogni
comunione di vita.
E ancora si è affermata
l’intollerabilità, quando sia venuta meno la volontà di
vivere insieme, semplicemente se il ricorrente chiede la
separazione e insista nella domanda nonostante il
tentativo di conciliazione.
L’orientamento testè
indicato è palese manifestazione della tesi
“soggettivistica”, che è stata recepita in questi ultimi
anni da questa Corte, la quale ha in più occasioni
precisato non essere necessaria la sussistenza di una
situazione di conflitto riconducibile alla volontà di
entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere
dalla condizione di disaffezione e distacco spirituale
di una delle parti, tale da rendere per lei
intollerabile la convivenza e verificabile in base ai
fatti obbiettivi emersi, compreso il comportamento
processuale, con particolare riferimento alle risultanze
del tentativo di conciliazione (tra le altre, Cass. n.
12383 del 2005 e, particolarmente, Cass. n. 3356 e 21099
del 2007; n. 7125 del 2011).
Per quanto sopra
osservato, non si ravvisa nella pronuncia in esame
violazione alcuna degli artt. 151, 2731, 2733 c.c.,
lamentata dalla ricorrente.
Nella specie, è
sostanzialmente pacifico tra le parti e congruamente
motivato nella sentenza impugnata che il T. da molti
anni abbia abbandonato il domicilio coniugale ed
instaurato una stabile convivenza more uxorio con altra
donna dalla quale ha avuto un figlio. Appare pertanto
immune da censura il convincimento della Corte di
Appello secondo il quale la disponibilità unilaterale
della moglie a sopportare tale situazione non può valere
ad impedire la sussistenza della intollerabilità della
convivenza tra i coniugi, che costituisce il presupposto
della pronuncia di separazione giudiziale,
intollerabilità strettamente collegata all’esistenza di
una nuova famiglia, composta dal T. stesso, dalla sua
convivente e dal figlio minore. Ha al riguardo
argomentato la Corte di merito che l’esistenza di una
nuova famiglia costituiva sicuro indice della
disaffezione del T. alla convivenza matrimoniale con
l’odierna ricorrente, ciò che rendeva per lui
intollerabile la convivenza.
Va pertanto rigettato il
ricorso.
Nulla sulle spese, non
essendosi costituita la controparte.
P.Q.M.
La corte rigetta il
ricorso. A norma dell’art. 52 D. Lgs. 196/03, in caso di
diffusione del presente provvedimento omettere le
generalità e gli altri atti identificativi delle parti,
dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.
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