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La lavoratrice era stata
licenziata dal Ministero della Giustizia a causa di una
assenza prolungata. Secondo il datore di lavoro la
dipendente aveva superato il periodo di tempo massimo
previsto dal c.c.n.l. di settore a fini della
conservazione del posto di lavoro, dal momento che,
richiamata in servizio per il giorno 1 novembre 2003,
ella aveva ripreso, invece, il lavoro il successivo 3
novembre (essendo l’1 ed il 2 festivi).
In ogni caso, si era
affermato, la lavoratrice, dopo essere stata posta
obbligatoriamente in ferie successivamente al suo
rientro in servizio, si era assentata anche a partire
dal giorno 14 gennaio 2004.
Il ricorso della
lavoratrice era stato accolto in primo grado, ma la
sentenza veniva riformata in sede di gravame.
La S.C., adita dalla
lavoratrice, ha accolto le doglianze sollevata da
quest’ultima.
È stato, infatti,
accertato, come, mentre nel provvedimento ministeriale
si era fatto riferimento alla data del 1 novembre 2003
ai fini della valutazione del superamento del periodo di
comporto, nell'iter argomentativo della sentenza di
secondo grado non si era, invece, preso in
considerazione il suddetto periodo.
Il giudice del gravame
aveva, infatti, calcolato in modo diverso il triennio di
computo entro il quale valutare il superamento del
periodo di comporto, fissandolo nell'arco temporale
corrente dal 14 gennaio 2001 al 14 gennaio 2004, senza
dare, però, una adeguata motivazione sul versante
accertativo dei fatti di causa e su quello giuridico.
In sostanza, la S.C. ha
affermato che, se si vuole licenziare il dipendente per
superamento del periodo di comporto, è onere del datore
di lavoro fare prima i calcoli in modo corretto.
* * *
Corte di Cassazione, sez.
Lavoro, sentenza 10 gennaio – 9 febbraio 2012, n. 1885
Presidente Vidiri –
Relatore De Renzis
Svolgimento del processo
1. Con ricorso,
ritualmente depositato, B.A. esponeva:
- di essere dipendente del
Ministero della Giustizia quale coadiutore elettronico,
per essere stata assunta con DM 14.10.1987:
- di essersi assentata dal
servizio per malattia a partire dal 1.03.1999, per
complessivi 18 mesi, corrispondenti al massimo previsto
dall'art. 21 ddl CCNL del 16.95.1995;
- di avere successivamente
chiesto di assentarsi per l'ulteriore periodo di 18 mesi
"senza assegni", periodo concesso dall'Amministrazione a
decorrere dal 2.05.2002;
- di avere ricevuto dalla
Corte di Appello di Roma comunicazione con nota del
6-08.2003, con cui le veniva chiesto di riprendere
sevizio alla data del 1 novembre 2003;
- di essersi presentata in
servizio - in ottemperanza a tale disposizione- il 3
novembre 2003, essendo il 1 novembre festa nazionale
religiosa e il 2 novembre domenica;
- di essere stata posta-
una volta rientrata in servizio - in ferie
obbligatoriamente, trattandosi di ferie permessi e
festività soppresse, maturati negli anni precedenti o
nell'anno in corso e non ancora goduti;
- che in data 29 gennaio
2004 il Direttore Generale del Personale e della
Formazione dei Ministero della Giustizia aveva disposto
quanto segue: "il rapporto lavorativo della Sig.ra B.A.
è risolto ai sensi dell'art. 21 - comma 4 - del CCNL del
16.05.1995, a decorrere dalla data del presente
provvedimento, per avere la stessa completato in data
1.11.2003 il periodo massimo consentito di assenza per
malattia, previsto dal citato art. 21, comma 2". Ciò
premesso, conveniva in giudizio il Ministero per sentir
accertare e dichiarare l'illegittimità del computo del
periodo del comporto o in subordine del termine del 1
novembre come ultimo giorno utile per il rientro in
servizio e per l'effetto per sentir dichiarare la
nullità o annullare o comunque dichiarare inefficace il
licenziamento, con i conseguenti provvedimenti di
carattere restitutorio e retributivo, e per sentir
condannare lo stesso Ministero al risarcimento dei danni
nella misura di Euro 10.000,00, o nella somma ritenuta
di giustizia.
Il convenuto Ministero
costituendosi ribadiva la legittimità del suo operato in
relazione &a quanto previsto dal CCNL del 16.05.1995.
2. All'esito il Tribunale
di Roma con sentenza n. 959 del 2006 accoglieva la
domanda della ricorrente motivando la declaratoria di
illegittimità del licenziamento con il fatto che la B.
non aveva superato il periodo del comporto, giacché
aveva ripreso il servizio in tempo utile il 3 novembre
2003, essendo festivi il primo e il due novembre ili
tale anno.
3. Tale decisione,
appellata dal Ministero della Giustizia, è stata
riformata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n.
5188 del 2009, che ha rigettato la domanda della B. .
La Corte territoriale ha
ritenuto che il periodo di assenza per malattia -
considerato dal Ministero - fosse effettivamente
decorso, in quanto la B. , oltre al primo e due novembre
2003, si era assentata a partire dal 14 gennaio 2003 e
tale ulteriore periodo non risultava autorizzate ex art.
21 - 2 comma - del CCNL più volte richiamato, tanto più
che il precedente periodo di assenza aveva superato i 18
mesi.
La B. ricorre per
cassazione con cinque motivi, illustrati con memoria ex
art. 378 CPC.
Il Ministero resiste con
controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la
ricorrente lamenta violazione degli artt. 167, 324, 346,
416, 434, CPC e dell'art. 2909 Cod. Civ., con
riferimento al giudicato interno formatosi sulla
questione circa le motivazioni poste a base del
licenziamento con riferimento al periodo di assenza a
decorrere dal 14.01.2004. In sostanza l'antecedente
logico-giuridico della pronuncia di primo grado, ad
avviso della ricorrente, e pacificamente ammesso dalle
parti, era il fatto che il licenziamento di essa B.
fosse stato determinato dal superamento del periodo di
comporto nel periodo dal 1 maggio 2002 al 1 novembre
2003.
Con il secondo motivo la
ricorrente denuncia violazione degli artt. 90, 100, 101,
102 112 CPC, 2697 Cod. Civ., per violazione del
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Con il terzo motivo la
ricorrente deduce violazione degli artt. 1, 2 e 5 della
legge n. 604 del 1966, per essere incorsa l'impugnata
sentenza nell'aperta violazione del principio di
immodificabilità delle ragioni comunicate con il
recesso.
Con il quarto motivo la
ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli
artt. 1324, 1362, 1366, 2106 Cod. Civ., nonché vizio di
motivazione del licenziamento, e ciò in relazione
all'erronea interpretazione della nota del 29.01.2004
nel suo significato letterale, che riguardava
soprattutto il periodo di assenza dal 14.01.2004. Con il
quinto motivo la ricorrente denuncia violazione degli
artt. 2110 Cod. Civ. e 21 CCNL del 16.05.1995, nonché
vizio di motivazione circa un fatto controverso e
decisivo del giudizio relativo alla qualificazione del
periodo di astensione facoltativa come malattia ai fini
del superamento del periodo di comporto.
Altro rilievo riguarda il
vizio di motivazione circa l'affermata rinuncia da parte
dell'Amministrazione di avvalersi del superamento del
periodo di comporto per un determinato periodo e
l'affermata ammissibilità del comportamento
dell'Amministrazione consistito nell'avvalersi del
superamento del periodo di comporto con riferimento ad
un intervallo temporale parzialmente coincidente con il
primo preso a riferimento.
2. Esposti nelle linee
generali i motivi del ricorso, va in primo luogo
dichiarata l'infondatezza delle censure, con le quali in
particolare si addebita alla sentenza impugnata di non
avere tenuto conto della formazione di un giudicato
interno in ordine al periodo in relazione al quale
valutare il superamento del periodo del comporto. Ed
invero l'impugnativa del licenziamento da parte della B.
e i motivi avanzati in sede di gravame dal Ministero per
avere investito le numerose e non facili problematiche
relative all'applicazione dell'art. 21 del Contratto
collettivo nazionale - di non agevole lettura - e quelle
in particolare relative alle condizioni richieste per
l'applicazione di tale disposizione alla fattispecie in
esame attestano l'infondatezza della sollevata eccezione
di giudicato interno, ma impongono un esame attento
degli atti di causa solo per quanto attiene al rispetto
della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e
dell'effetto devolutivo del giudizio di appello.
Ciò premesso, la tematica
che, prima delle restanti, questa Corte di cassazione è
chiamata a risolvere consiste nello stabilire se in data
1 novembre 2003 si sia o meno esaurito il termine
massimo di 18 mesi di assenza per malattia previsto come
termine di comporto dal richiamato art. 21 del contratto
collettivo nazionale.
La Corte di Appello di
Roma, cassando la decisione di primo grado, ha ritenuto
sul punto, come già detto nella parte espositiva, che il
primo giudice avesse errato nel considerare il termine
di comporto come non esaurito il 1 novembre 2003
(termine finale indicato come tale dal Ministero della
Giustizia tramite la comunicazione alla B. del Capo
reparto della Direzione Generale del Personale), dal
momento che il 1 e il 2 novembre erano festivi e che la
lavoratrice si era presentata al posto di lavoro il 3
novembre per essere immessa senza riserva in servizio,
sicché il rapporto era poi proseguito ancora
regolarmente per circa due mesi e su tale presupposto ha
ritenuto illegittimo il licenziamento.
La Corte di Appello,
invece, ritenendo che il periodo di comporto fosse stato
superato per doversi considerare la lavoratrice malata
anche per i giorni 2 e 3 novembre 2003 e che il
Ministero con la immissione in servizio del 3 novembre
non avesse inteso esercitare la facoltà di cui al comma
2 del già citato art. 21 del contratto collettivo di far
cessare in detta occasione il rapporto lavorativo, che
inve-ce era stato risolto all'esito di un ulteriore
malattia, ossia in data 14 gennaio 2004, risalendo al
triennio precedente (14 gennaio 2001-14 gennaio 2004),
ha affermato che la lavoratrice pacificamente era
rimasta assente per malattia per un periodo superiore ai
18 mesi.
Orbene la decisione della
Corte di Appello di Roma risulta viziata alla stregua
dell'art. 360 n. 5 CPC, risultando l'iter argomentativo
su cui essa si basa, da un lato, insufficiente e,
dall'altro lato, contraddicono.
La ricorrente ha
denunziato in ricorso che nel caso di specie vi è stata
una non rispondenza tra i motivi posti a base del
provvedimento del 29 gennaio 2004 del Ministero di
risoluzione del rapporto lavorativo della B. e le
ragioni accertate, invece, dal giudice di appello come
fondanti e giustificatrici del recesso.
Tale censura va condivisa,
giacché, mentre nel provvedimento ministeriale si fa
riferimento - ai fini della valutazione del superamento
del comporto - alla data del 1 novembre 2003 come data
in cui si "era completato il periodo massimo consentito
di assenza per malattia", nell'iter argomentativo
dell'impugnata sentenza non si prende in considerazione
detto periodo al fine della valutazione dei requisiti
richiesti dal già citato disposto dell'art. 21 del
contratto collettivo, ma si calcola in modo diverso il
triennio di computo entro il quale valutare detto
superamento, fissandolo nell'arco temporale corrente dal
14 gennaio 2001 al 14 gennaio 2004, senza dare però di
tutto ciò una adeguata motivazione sul versante
accertativo dei fatti di causa e su quello giuridico.
E che la motivazione
appaia, sotto altro versante, carente emerge solo che si
consideri che la sentenza del giudice di appello non ha
esaminato affatto il contenuto del provvedimento
ministeriale di recesso non procedendo ad una sua
preventiva interpretazione - da condurre sulla base dei
criteri ermeneutici applicabili agli atti unilaterali-
come ha ricordato puntualmente la B. nel quarto motivo
di ricorso) M^UffW^t di certo necessario per individuare
dapprima i parametri entro i quali stabilire quale fosse
il thema decidendum e per procedere poi all'esame del
materiale probatorio ritualmente acquisito al processo e
della sua rilevanza ai fini decisori.
Ed ancora la decisione
impugnata risulta del tutto priva del sostegno
motivazionale nella parte in cui- senza ricostruire in
maniera completa i fati idi causa e senza minimamente
indicare gli elementi probatori a sostegno delle sue
statuizioni- afferma che è pacifico che la B. ha goduto
di un primo periodo di comporto ai sensi del comma 1 e
di un secondo periodo di comporto autorizzato
dall'Amministrazione ai sensi del comma 2 dell'art. 21
del CCNL di categoria, facendo anche riferimento al
"relativo errore di computo nel quale sarebbe incorso il
Ministero della Giustizia", non esplicitando però in
maniera chiara come il riferimento a distinti periodi
risultasse nel caso di specie decisivo nel legittimare
il provvedimento di licenziamento.
3. Corollario di quanto
sinora detto è che il giudice di appello sarà chiamato -
nel rispetto del principio devolutivo del gravame
proposto dal Ministero avverso la sentenza di primo
grado - a dare una lettura del provvedimento di recesso
dello stesso Ministero - nel rispetto dei criteri
dettati dal codice civile sull'interpretazione degli
atti unilaterali - per poi conseguentemente rivalutare
l'insieme delle risultanze istruttorie al fine di
identificare quale delle diverse ipotesi previste
dall'art. 21 del contratto collettivo debba essere
applicabile alla fattispecie in esame al fine di
stabilire se si sia o meno verificato il superamento del
periodo di comporto capace di legittimare il
licenziamento della B. .
In conclusione la sentenza
impugnata va cassata con il rinvio alla Corte di Appello
di Roma in diversa composizione, che procederà ad una
nuova rivalutazione delle risultanze istruttorie a
seguito delle ragioni in precedenza esposte.
Il giudice di rinvio
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il
ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per
le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa
composizione.
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