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Stupro, lo Stato paga per non aver istituito il regime Ue sui risarcimenti-Corte di appello di Torino - Sezione III civile - Sentenza 23 gennaio 2012 n. 106-commento-Guida al diritto.it

 

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Francesco Machina Grifeo (


 

Confermata la condanna dell’Italia a indennizzare la vittima di uno stupro in quanto non ha dato attuazione alla direttiva comunitaria (la n. 2004/80/Ce) che impone agli Stati membri di prevedere un “equo ed adeguato” ristoro per le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio. La Corte di appello di Torino, con la sentenza 23 gennaio 2012, ha così confermato l’impianto con cui lo stesso tribunale, in primo grado, sentenza 3145/2010, aveva condannato il Belpaese. Quasi dimezzata però la somma liquidata in quanto l’indennizzo “non può essere un pieno risarcimento del danno”.


 

 


 

La vicenda in primo grado


 

Il caso era quello di una cittadina rumena di 18 anni sequestrata e violentata da due connazionali, poi condannati alla pena di 14 anni ciascuno e al risarcimento del danno ma scappati dagli arresti domiciliari e dunque in stato di latitanza. A quel punto, la donna aveva chiamato in giudizio la presidenza del Consiglio italiana chiedendone la condanna per la mancata o non integrale attuazione della direttiva 2004/80/CE, e in particolare della previsione secondo cui dal 1° luglio 2005 gli Stati membri dell’Ue avevano l’obbligo di garantire un equo ed adeguato ristoro alle vittime di reati violenti ed intenzionali impossibilitate a conseguire dai loro offensori il risarcimento integrale dei danni subiti e patendi. E indicava in 100mila euro l’ammontare del risarcimento richiesto. Il tribunale di Torino accoglieva la doglianza liquidando 90mila euro alla vittima.


 

 


 

Il ricorso della presidenza del Consiglio


 

Contro questa decisione è scattato il ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri che, al contrario, sosteneva di essere in regola con le prescrizioni comunitarie avendo già al proprio interno una legislazione che prevede l’indennizzo delle vittime per i casi terrorismo, mafia ed usura. Una tesi non condivisa dalla Corte di Appello secondo cui non rientra nei poteri discrezionali degli Stati “selezionare le tipologie di reati violenti e circoscrivere la gamma di reati interessati dalla possibilità di adire lo Stato a fini indennitari”. Infatti, la direttiva, all’articolo 12, “non consente tale discrezionalità, laddove prescrive che tutti gli Stati membri devono predisporre un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori”. E quindi da questi non possono essere tenuti fuori i reati di violenza sessuale che in tutta evidenza rientrano a pieno titolo nella categoria. La discrezionalità degli Stati potrà semmai attuarsi “nello stabilire la misura equa ed adeguata di un indennizzo” ma non certo lasciando arbitrariamente fuori alcuni reati.


 

 


 

Neppure può considerarsi, come sostenuto dai ricorrenti, che il Dlgs 204/2007 intitolato proprio “Attuazione della direttiva 2044/80/CE” sia stato effettivamente tale, essendosi piuttosto limitato a regolare la procedura per l’assistenza alle vittime di reato.


 

 


 

La posizione della Cassazione


 

Appurato l’inadempimento dello Stato la Corte ha richiamato la decisione della Cassazione, a sezioni Unite (n. 9147/2009), secondo cui: “In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie non auto esecutive sorge […] il diritto degli interessati al risarcimento di danni”. Una responsabilità di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che dà luogo al relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, che va determinato in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione dalla perdita subita.


 

 


 

E nel caso di specie la perdita è consistita nel non aver ricevuto alcun indennizzo per la violenza sessuale subita non avendo lo stato italiano adempiuto ai suoi obblighi e dunque non avendo neppure regolato in autonomia le condizioni, i presupposti e anche i limiti all’indennizzo stesso.


 

 


 

L’indennizzo secondo la Corte


 

Alla luce di tutto questo, conclude la Corte di appello, l’indennizzo “non può però essere un pieno risarcimento del danno, diversamente da quanto pare essere stato deciso dal giudice di prime cure, con il richiamo per la liquidazione a criteri non meno favorevoli di quelli che si applicano a richieste analoghe fondate su violazioni del diritto interno”. E la liquidazione “non può che essere fatta, per il danno non patrimoniale, in via equitativa, ex articoli 2056-1226 cc”. Dunque tenuto conto delle conseguenze di ordine morale e psicologico secondo i giudici l’indennizzo “giustificabile” è di 50mila euro alla data dei fatti.


 


 

 

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