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L’articolo 7, comma 5,
dello Statuto dei Lavoratori afferma che “in ogni caso,
i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero
verbale non possono essere applicati prima che siano
trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto
del fatto che vi ha dato causa”.
Nel caso deciso dalla
Suprema Corte il lavoratore aveva impugnato il
licenziamento che gli era stato intimato per assenza
ingiustificata, sostenendone l’illegittimità dal momento
che il provvedimento espulsivo gli era stato notificato
prima del decorso dei cinque giorni di cui all’articolo
citato.
La Cassazione, però,
confermando la statuizione della corte territoriale, ha
acclarato che non vi era stata alcuna violazione
dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, in quanto il
provvedimento di licenziamento era stato sì applicato
prima del decorso dei cinque giorni previsti dal comma 5
del precitato articolo 7,
ma dopo che il lavoratore aveva svolto le proprie
difese, senza alcuna riserva di ulteriori motivazioni
difensive.
La S.C., nella propria
parte motiva, ha richiamato i propri precedenti, in
particolare Cass. S.U. n. 6900 del 7 maggio 2003 e S.U.
n. 3965 del 1994, riaffermando il principio secondo il
quale “il provvedimento disciplinare può essere
legittimamente irrogato anche prima della scadenza del
termine di cui all'art. 7, 5 comma, della legge 20
maggio 1970 n. 300, decorrente dal momento della
ricezione della contestazione dell'addebito, quando il
lavoratore ha esercitato pienamente il proprio diritto
di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le
proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna
esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o
motivazioni difensive”.
Secondo gli Ermellini,
infatti, la ratio della previsione di uno spazio
temporale tra la contestazione e l’irrogazione della
sanzione di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori
è ispirata dalla finalità di garantire al lavoratore il
diritto di presentare le proprie giustificazioni, ma non
anche dall'intento di consentire al datore di lavoro
un'effettiva ponderazione in ordine al provvedimento da
adottare.
* * *
Corte di Cassazione, sez.
Lavoro, sentenza 21 dicembre 2011 – 9 febbraio 2012, n.
1884
Presidente Vidiri –
Relatore Napoletano
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di
Brescia, confermando la sentenza di primo grado,
rigettava la domanda……
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 dicembre
2011 – 9 febbraio 2012, n. 1884
Presidente Vidiri – Relatore Napoletano
Svolgimento del processo
La Corte di
Appello di Brescia, confermando la sentenza di primo
grado, rigettava la domanda di H..M., proposta nei
confronti della società TECONOLIFTS servizi, avente ad
oggetto l'impugnativa del licenziamento intimatogli, in
data 1 luglio 2004, dalla predetta società per assenza
ingiustificata.
A fondamento del decisum la Corte del merito
rilevava, innanzitutto, che non vi era stata violazione
dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 in quanto il
provvedimento di licenziamento era stato sì applicato
prima del decorso dei cinque giorni previsti dal 5 comma
del precitato art. 7, ma dopo che il lavoratore aveva
svolto le proprie difese senza alcuna riserva di
ulteriori motivazioni difensive.
Riteneva poi, la Corte che la certificazione medica
prodotta non consentiva di ritenere giustificate le
assenze dal 18 al 21 giugno 2004 né quella del
successivo 26 giugno, sicché il licenziamento doveva
ritenersi legittimo avuto riguardo alla gravità
intrinseca del fatto e al comportamento complessivo del
lavoratore il quale aveva omesso di avvisare l'Azienda
dell'assenza e aveva provveduto a trasmettere la
certificazione medica solo dopo il ricevimento della
lettera di contestazione.
Avverso questa sentenza il M. ricorre in cassazione
sulla base di tre censure, illustrate da memoria.
Parte intimata non svolge attività difensiva.
Motivi
della decisione
Con il
primo motivo del ricorso, deducendosi violazione
dell'art. 7, comma 5, della legge n. 300 del 1970, si
sostiene che la corretta interpretazione, secondo il
metodo teleologico, del predetto art. 7 è nel senso che
"in ogni caso" il provvedimento del licenziamento non
può essere applicato prima che siano trascorsi cinque
giorni dalla contestazione e tanto, quindi, a
prescindere dalla circostanza che il lavoratore abbia o
meno svolto le proprie difese.
Il motivo è infondato.
Non vi è alcuna valida nuova ragione od argomentazione
tale da indurre questo Collegio a rivedere il proprio
specifico precedente, di cui alla sentenza delle S.U.
del 7 maggio 2003 n. 6900, ove appunto si è riaffermato
il principio, al quale si è attenuta la Corte del
merito, secondo il quale il provvedimento disciplinare
può essere legittimamente irrogato anche prima della
scadenza del termine di cui all'art. 7, 5 comma, della
legge 20 maggio 1970 n. 300, decorrente dal momento
della ricezione della contestazione dell'addebito,
quando il lavoratore ha esercitato pienamente il proprio
diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro
le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna
esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o
motivazioni difensive.
D'altro canto l'argomentazione posta a supporto della
censura in esame con riferimento all'espressione "in
ogni caso" è stata vagliata nella citata sentenza dalle
Sezioni Unite le quali hanno infatti sottolineato, tra
l'altro, che si deve escludere, in assenza di qualsiasi
dato testuale, che la previsione di uno spazio temporale
tra contestazione ed irrogazione della sanzione sia
stata ispirata, oltre che dalla finalità di garantire al
lavoratore il diritto di presentare le proprie
giustificazioni, anche dall'intento di consentire al
datore di lavoro un'effettiva ponderazione in ordine al
provvedimento da adottare ed un possibile ripensamento.
In particolare,hanno sottolineato le S.U., nella citata
sentenza del 2003, sul piano testuale, la funzione del
termine non può essere desunta dalle parole "in ogni
caso" con cui si apre il testo del quinto comma
dell'art. 7, senza alcuna relazione diretta con le
previsioni del precedente quarto comma. L'esigenza di
una pausa di riflessione o "raffreddamento" (per evitare
l'irrogazione affrettata o impulsiva di provvedimenti
disciplinari) può essere prospettata solo con riguardo
alla valutazione da parte del datore di lavoro della
fondatezza dell'addebito, sulla base delle
giustificazioni fornite dal dipendente, e dunque appare
logicamente riferibile alla fase successiva alla
comunicazione di tali difese: la ricostruzione così
proposta risulta peraltro contraddetta dalla
formulazione della norma, che non assegna alcun rilievo
a questo intervallo di tempo e fa decorrere il termine
non dalla presentazione delle difese, ma dalla
contestazione dell'addebito.
Risulta così insuperabile, hanno rimarcato le dette
S.U., l'argomento logico tratto dal rilievo, svolto da
Cass. Sez. Un. n. 3965 del 1994, secondo cui la
presentazione delle difese nell'ultimo giorno, allo
spirare del termine dopo la contestazione, consente
comunque l'immediata irrogazione successiva della
sanzione senza alcuna apprezzabile pausa per la
valutazione delle giustificazioni. L'esame della
completa articolazione della disposizione di legge in
esame, e quindi della sequenza logica tra la fase della
contestazione dell'addebito di cui ai commi 2 e 3
dell'art. 7 e quella dell'irrogazione della sanzione di
cui al comma 5, attesta chiaramente come l'effettivo
intento legislativo sia stato quello di assicurare il
diritto di difesa del lavoratore in ogni fase del
procedimento disciplinare, nel quale opera la regola
fondamentale del contraddittorio.
In questo sistema,hanno concluso le S.U. nella sentenza
citata, detta regola trova attuazione quando l'incolpato
può presentare compiutamente le proprie giustificazioni
in ordine all'addebito contestato, secondo la previsione
del secondo e terzo comma dell'art. 7; da questo
momento, la prescrizione dell'osservanza del termine di
cui al successivo quinto comma ha conseguito il proprio
scopo. La legge non assegna invece alcun rilievo alla
valutazione di tali difese da parte del datore di
lavoro, e quindi al processo di formazione della sua
volontà per l'esercizio del potere disciplinare, perché
il controllo della legittimità della sanzione
eventualmente adottata resta comunque affidato al
sindacato giudiziale mediante l'impugnazione del
provvedimento.
I compiti di nomofilachia, devoluti a questa Corte di
Cassazione - che hanno trovato un rilevante riscontro
nel D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che tali compiti ha
provveduto a rafforzare in linea con quanto voluto
dall'art. 65 dell'ordinamento giudiziario - inducono a
ribadire anche in questa sede i principi sopra
enunciati, non valendo a sminuirne l'efficacia le
ragioni, già valutate da questa Corte, esposte nel corso
del presente giudizio dal ricorrente, e ribadite anche
in sede di discussione orale nonché nelle osservazioni
scritte ex art. 379 c.p.c..
Con la seconda censura, denunciandosi violazione degli
artt. 2106 e 2119 cc in relazione all'art. 32 del CCNL
metalmeccanico artigiano 27 novembre 1997, si afferma
che il giudice di appello ha erroneamente interpretato
il denunciato contratto collettivo per aver ritenuto
integrata l'ipotesi di tre giorni consecutivi di assenza
non tenendo conto che il 19 giugno 2004 cadeva di
sabato, il 20 giugno di domenica e il successivo 26
ancora di sabato.
La censura non è condivisibile.
Invero la Corte del merito non ritiene legittimo il
recesso solo ed in quanto assume che il comportamento
addebitato integra l'ipotesi prevista dalla
contrattazione collettiva quale giusta causa di
licenziamento. La previsione contrattuale, nel caso di
specie, viene presa in considerazione dalla Corte
territoriale alla esclusiva finalità di avvalorare la
gravità del fatto contestato alla stregua della
valutazione delle parti sociali. Infatti l'apprezzamento
della legittimità del licenziamento - e quindi della
proporzionalità della sanzione- è espresso con
riferimento oltre al fatto oggettivo anche con
riferimento al comportamento complessivo del lavoratore
il quale aveva omesso di avvisare l'Azienda dell'assenza
e aveva provveduto trasmettere la certificazione medica
solo dopo il ricevimento della lettera di contestazione.
Con la terza critica, allegandosi violazione degli artt.
2106 e 2119 cc in relazione all'art. 5 della legge n.
604 del 1966 e dell'art. 2 DL n.633 del 1979, si
asserisce che pur essendo possibili due diverse opposte
letture della certificazione medica, nel dubbio, il
giudice doveva dare preferenza a quella più favorevole
al lavoratore.
La censura va disattesa.
Sostanzialmente il ricorrente assume che la
certificazione medica poteva essere interpretata anche
nel senso, negato dalla Corte del merito, secondo il
quale l'attestazione della malattia era riferibile
altresì ai giorni dal 18 al 21.
Tuttavia il ricorrente per correttamente investire
questa Corte dell'erroneità dell'interpretazione fornita
dal giudice del merito del certificato medico avrebbe
dovuto dedurre la violazione dei criteri legali di
ermeneutica contrattuale ovvero specifici vizi di
motivazione (Cfr. per tutte Cass. 22 febbraio 2007
n.4178). Nella specie il ricorrente, invece, si limita a
meramente prospettare una diversa (e più favorevole)
interpretazione rispetto a quella adottata dal
giudicante, il che non è ammissibile (Cfr. per tutte
Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772).
Del resto, in ogni caso, per sottrarsi al sindacato di
legittimità, non è necessario che quella data dal
giudice sia l'unica interpretazione possibile, o la
migliore in astratto, sicché, quando di una clausola
siano possibili due o più interpretazioni, non è
consentito alla parte, che aveva proposto
l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede
di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata
un'altra (V. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178).
Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione,
il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi per le spese del giudizio di
legittimità non avendo la parte intimata svolto attività
difensiva.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di
legittimità.
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