Diritto e processo.com
In caso di notificazione
effettuata a mezzo del servizio postale, il termine di
10 giorni stabilito per la compiuta giacenza va
considerato di natura processuale e a decorrenza
successiva. Ad esso si applicano dunque i principi e le
regole generali applicabili a tutti i termini
processuali.
Cassazione, sez. Unite
Civili, 1° febbraio 2012, n. 1418
(Pres. Vittoria – Rel. De
Palma)
Svolgimento del processo
1. - A seguito di ricorso
in data 1 dicembre 2008, presentato al Tribunale di
Terni da P. Q., titolare della impresa individuale
Cartoplastica P., per la dichiarazione di fallimento
della s.r.l. Exporter in liquidazione, il Giudice
delegato, con decreto del 3 dicembre 2008, tra l’altro,
convocò dinanzi a sé la debitrice s.r.l. Exporter, in
persona del legale rappresentante pro tempore, ed il
creditore istante per l’udienza del 12 gennaio 2009,
mandando a tale creditore di notificare il ricorso ed il
decreto “entro il termine di 15 giorni prima
dell’udienza fissata, con deposito entro l’udienza
dell’atto notificato”.
Nell’udienza del 12
gennaio 2009, in assenza della Società debitrice, il
difensore del P. fece presente che la notificazione del
ricorso e del decreto alla debitrice era stata eseguita
presso la sede sociale a mezzo del servizio postale, ai
sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 21 gennaio 1994,
n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili,
amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e
procuratori legali), con spedizione del piego
raccomandato con avviso di ricevimento in data 15
dicembre 2008, e che il piego raccomandato, non potuto
consegnare per assenza della destinataria, era stato
depositato presso l’ufficio postale preposto alla
consegna in data 16 dicembre 2008, ai sensi dell’art. 8,
secondo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890
(Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni
a mezzo posta connesse con la notificazione di atti
giudiziari), con contestuale spedizione dell’avviso di
deposito alla stessa Società debitrice, sottolineando
altresì che la notificazione si era perfezionata, per
compiuta giacenza ai sensi dell’art. 8, quarto comma,
della stessa legge n. 890 del 1982, in data 27 dicembre
2008. Nella stessa udienza del 12 gennaio 2009 il
Tribunale - preso atto del ricorso e del decreto così
notificati e disposta la riunione di altra istanza per
la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in
liquidazione, presentata dalla s. a. s. Ferramenta S. di
V. D. & C. - si riservò di decidere e, con sentenza n. 7
del 30 gennaio 2009, dichiarò il fallimento della s.r.l.
Exporter in liquidazione.
2. - A seguito di reclamo
di quest’ultima - la quale sosteneva che non era stato
rispettato il termine dilatorio di quindici giorni tra
la data della notificazione del ricorso e del decreto di
convocazione e quella dell’udienza, di cui all’art. 15,
terzo comma, della legge fallimentare, nel testo
sostituito dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. 12 settembre
2007 n. 169, applicabile ratione temporis -, la Corte
d’Appello di Perugia, con sentenza n. 249/09 del 12
giugno 2009, revocò la dichiarazione di fallimento della
s.r.l. Exporter in liquidazione.
In particolare, la Corte
di Perugia ha osservato che: a) la notificazione de qua
fu eseguita a mezzo del servizio postale, ai sensi della
menzionata legge n. 53 del 1994; b) per l’assenza del
destinatario, il piego raccomandato fu depositato presso
l’ufficio postale preposto alla consegna in data 16
dicembre 2008; c) “nessuno essendosi presentato a
ritirare il plico, la notifica si perfezionò con la
giacenza di dieci giorni”; d) “La giacenza si completò
il giorno 29 dicembre, poiché i giorni 25 e 26 dicembre
sono festivi mentre il giorno 27 era sabato ed il 28 era
domenica, quindi nessuno di questi giorni era utile alla
scadenza, stante il disposto degli ultimi due commi
dell’art. 155 c.p.c.. Primo dei quindici giorni del
termine dilatorio dell’art. 15 L.F. fu quindi il 30
dicembre. Ultimo dei quindici giorni liberi era il 13
gennaio, ma l’udienza si tenne, come disposto, lunedì 12
gennaio. All’udienza nessuno comparve per la società
debitrice.... Evidente la violazione del
contraddittorio, per non essere stato garantito al
debitore termine pari a quello previsto dalla norma e
dallo stesso decreto di convocazione, deve essere
revocata la sentenza dichiarativa di fallimento, affetta
da nullità”.
3. - Avverso tale sentenza
il Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro
motivi di censura, illustrati con memoria.
Resiste, con
controricorso, la s.r.l. Exporter in liquidazione, la
quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su
un motivo, cui resiste, con controricorso, il
Fallimento.
3.1. - Con il primo (con
cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al computo dei termini
ed alla loro eventuale proroga: art. 360 comma 1 n. 3
c.p.c., art. 155 c.p.c., art. 8 L. 890/82, nel testo
vigente”), e con il secondo motivo (con cui deduce:
“Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con
specifico riferimento al computo dei termini ed alla
loro eventuale proroga in caso di scadenza in giorno
festivo: art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155 c.p.c.,
art. 8 L. 890/82, e relative modifiche”) - i quali
possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo
alla loro stretta connessione -, il Fallimento
ricorrente principale critica la sentenza impugnata,
sostenendo che il termine di cui all’art. 8 della legge
n. 890 del 1982, non é qualificabile come "termine
processuale", con la conseguenza che ad esso non si
applica la disciplina di cui all’art. 155 c.p.c.. Al
riguardo, il ricorrente - premesso che per "termini
processuali" debbono intendersi “quelli che ineriscono
al (e si inseriscono nel) processo” e che “più in
particolare il riferimento di cui all’art. 155 c.p.c., é
ai termini previsti dal codice di rito” - afferma che il
termine di cui all’art. 8 della legge n. 890 del 1982,
oltre ad essere previsto da una legge estranea al codice
di rito, non é preordinato allo svolgimento di attività
processuali, limitandosi a contenere una “previsione
assoluta di conoscenza dell’atto da parte del
destinatario della notifica”; sostiene, inoltre, che il
termine previsto dall’art. 155 cod. proc. civ. “attiene
ad una attività da compiersi da parte di colui a favore
del quale quel termine é posto”, vale a dire, con
riferimento all’attività di notificazione, “ad
un’attività del soggetto notificante”, l’attività
processuale del quale “si é esaurita con la richiesta di
notifica”; aggiunge, infine, che la proroga del termine
che scade in giorno festivo non é prorogabile sempre e
comunque ma soltanto in relazione ai termini
"acceleratori" e, quindi, soltanto “per coloro che ne
sono destinatari”. Nella specie, trattandosi dei termine
previsto dall’art. 15, terzo comma, della legge
fallimentare, cioè di un termine "dilatorio", la sua
scadenza nel giorno di sabato non era prorogabile al
giorno del lunedì successivo, con la conseguenza che,
nel giorno del 12 gennaio 2009 (celebrazione
dell’udienza di convocazione del debitore), il termine
dilatorio di quindici giorni, di cui all’art. 15, terzo
comma, della legge fallimentare, doveva ritenersi
pienamente rispettato.
Con il terzo motivo (con
cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al regime applicabile
al procedimento finalizzato alla dichiarazione di
fallimento instauratasi nel dicembre 2008): art. 360
comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155 c.p.c., art. 15 D.Lgs. 12
settembre 2007, n. 169”), il ricorrente principale
critica per altro verso la sentenza impugnata,
sostenendo che il termine di quindici giorni di cui
all’art. 15, terzo comma, della legge fallimentare, non
é qualificabile come "termine libero", con la
conseguenza che - contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte perugina - il dies a quo non deve essere
computato, mentre va computato il dies ad quem, con
l’ulteriore conseguenza che l’udienza di convocazione
del debitore del 12 gennaio 2009 doveva considerarsi
assolutamente valida;
Con il quarto motivo (con
cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al computo dei termini
ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in
giorno di sabato: art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155
c.p.c., art. 8 L. 890/82, e relative modifiche”), il
ricorrente principale critica, infine, la sentenza
impugnata, sostenendo che - contrariamente a quanto
ritenuto dai Giudici a quibus -la giornata del sabato
deve considerarsi "lavorativa", in particolare anche
quanto all’attività di notificazione degli atti sia per
il notificante sia per il notificato.
3.1.1. - La
controricorrente eccepisce, preliminarmente,
l’inammissibilità del ricorso principale, in quanto il
curatore fallimentare non avrebbe né la legittimazione
né l’interesse a proporre ricorso per cassazione avverso
la sentenza impugnata, senza neppure il previo parere
del comitato dei creditori.
3.2. - Con l’unico motivo
(con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di
norme di legge, con specifico riferimento agli artt.
47-quinquies del R.D. 12/41, e dell’art. 158 c.p.c.:
art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., artt. 47-quinquies R.D.
12/41, e dell’art. 158 c.p.c.”), la ricorrente
incidentale critica la sentenza impugnata, affermando
che la Corte d’Appello aveva respinto l’eccezione, dalla
stessa sollevata, relativa al vizio di costituzione del
collegio giudicante in primo grado ed osservando al
riguardo che il Tribunale di Terni era stato presieduto
da un giudice anziano e non dal Presidente del Tribunale
che, in quanto in servizio, avrebbe dovuto e potuto
presiedere il collegio giudicante, con conseguente
nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per
vizio di costituzione del giudice, in quanto la
sostituzione del Presidente del Tribunale non risultava
dettata né da previsione tabellare né da motivato
impedimento dello stesso. A conclusione del motivo, la
ricorrente incidentale formula il seguente quesito di
diritto: “Dica la Corte se sia valida e/o esistente la
sentenza dichiarativa di fallimento emessa da un
Tribunale in composizione Collegiale e riunito in Camera
di Consiglio composto tra gli altri da un Giudice
facente funzioni di Presidente anziché dal Presidente
del Tribunale senza previsione tabellare e/o ragioni e
motivi di impedimento ovvero se la stessa sia invalida
e/o nulla e/o inesistente in quanto tale da violare
l’art. 47-uqinquies del R.D. 12/41 ... e le prescrizioni
in materia tabellare”.
3.2.1. - Il ricorrente
principale eccepisce l’inammissibilità del ricorso
incidentale, innanzitutto, perché la sentenza impugnata
non si é pronunciata sulla questione; in secondo luogo,
perché il motivo é privo di autosufficienza; in terzo
luogo, perché é stato formulato un quesito di diritto
plurimo e tautologico; infine, perché le tabelle
concernenti i collegi giudicanti si riferiscono alle
udienze pubbliche e non alle adunanze in camera di
consiglio, relativamente alle quali il collegio può
essere presieduto sia dai presidente del tribunale sia
dal giudice che ne esercita le funzioni sia dal giudice
più anziano.
4. - I ricorsi sono stati
assegnati alla Prima Sezione civile.
Tale Sezione, con
ordinanza interlocutoria n. 5144/11 del 3 marzo 2011, ha
disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente
per l’eventuale rimessione dei ricorsi alle Sezioni
Unite, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc.
civ., presentando essi una questione di massima di
particolare importanza. Al riguardo, il Collegio
rimettente ha osservato: “La questione... riguarda la
corretta qualificazione dell’attività che il notificando
avrebbe dovuto porre in essere per l’acquisizione
dell’atto notificato, dovendosi più precisamente
chiarire se l’atto del ritiro della notifica possa
essere inteso come atto processuale, e se la coincidenza
dell’ultimo giorno fissato per il deposito dell’atto con
la giornata di sabato determini o meno la proroga al
primo giorno seguente non festivo”. Tale chiarimento, ad
avviso della Prima Sezione, presenta profili di
delicatezza in ragione della diversità dei momenti di
verificazione degli effetti della notifica per il
notificante e per il notificato (Corte costituzionale,
sentenza n. 477 del 2002), della decorrenza degli
effetti della notifica per il destinatario che abbia
ritirato il plico dopo l’ultimo dei prescritti dieci
giorni di giacenza (art. 8, quarto comma, della legge
20.11.1982, n. 890), della possibilità per il
notificando di ritirare comunque il plico anche dopo la
scadenza del decimo giorno, fermi gli effetti legali
sopra richiamati riconducibili alla scadenza dell’ultimo
giorno di giacenza, per la potenziale incidenza della
interpretazione data sul punto dal giudice di
legittimità su una pluralità di controversie.
5. - Assegnati i ricorsi a
queste Sezioni unite, ambedue le parti hanno depositato
memorie.
All’odierna udienza di
discussione, il Procuratore Generale ha concluso per il
rigetto del primo, secondo e quarto motivo del ricorso
principale, assorbiti il terzo motivo dello stesso
ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. - Preliminarmente, deve
essere disposta la riunione, ai sensi dell’art. 335 cod.
proc. civ., del ricorso principale e di quello
incidentale, in quanto entrambi sono stati proposti
contro la stessa sentenza.
2. - Sempre in via
preliminare, deve essere esaminata l’eccezione -
sollevata dalla controricorrente - di inammissibilità
del ricorso principale, in quanto il nominato curatore
del Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione non
avrebbe né la legittimazione né l’interesse a proporre
ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia
revocato la dichiarazione di fallimento.
L’eccezione non é fondata.
Deve premettersi che la
fattispecie di procedura concorsuale de qua ricade
interamente sotto la disciplina della legge fallimentare
nel testo risultante a seguito dell’entrata in vigore -
il 1 gennaio 2008 - del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169
(Disposizioni integrative e correttive del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9
gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del
fallimento, del concordato preventivo e della
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi
dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6 della legge 14
maggio 2005, n. 80): ciò, conformemente a quanto
disposto dall’art. 22, comma 2, dello stesso d.lgs. n.
169 del 2007 - secondo cui “Le disposizioni del presente
decreto si applicano... alle procedure concorsuali e di
concordato fallimentare aperte successivamente alla sua
entrata in vigore” -, in quanto il fallimento della
s.r.l. Exporter in liquidazione é stato dichiarato con
la sentenza del Tribunale di Terni n. 7 del 30 gennaio
2009.
Tanto premesso, l’art. 18,
dodicesimo comma, della legge fallimentare - nel testo
sostituito dall’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 169 del
2007, testo sostanzialmente identico a quello
precedentemente sostituito dall’art. 16 del d.lgs. n. 5
del 2006 - stabilisce che “La sentenza che revoca il
fallimento é notificata, a cura della cancelleria, al
curatore, al creditore che ha chiesto il fallimento e al
debitore, se non reclamante, e deve essere pubblicata a
norma dell’articolo 17”. Il quattordicesimo comma dello
stesso art. 18, fissa il termine di trenta giorni dalla
notificazione per proporre il ricorso per cassazione ed
il successivo quindicesimo comma, dispone che, “Se il
fallimento é revocato, restano salvi gli effetti degli
atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”.
Queste essendo le
disposizioni immediatamente rilevanti per decidere la
questione se il curatore fallimentare, nel caso in cui
la dichiarazione di fallimento sia stata revocata in
sede di reclamo, sia legittimato o no a proporre ricorso
per cassazione avverso la sentenza di revoca, va
sottolineato che la Prima Sezione Civile ha enunciato il
principio per il quale deve ritenersi ammissibile il
ricorso per cassazione proposto dal curatore avverso la
sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, in
quanto il fallimento viene meno, con la conseguente
decadenza dei suoi organi, soltanto con il passaggio in
giudicato della sentenza di revoca, salva la verifica
nel singolo caso, ai sensi dell’art. 100 cod. proc.
civ., dell’esistenza dell’interesse dello stesso
curatore ad agire o a contraddire (cfr., le sentenze nn.
4632 del 2009 e 4707 del 2011, ambedue pronunciate in
fattispecie assoggettate alla disciplina di cui al
d.lgs. n. 5 del 2006).
Tale principio, condiviso
peraltro dalla prevalente dottrina, deve essere qui
ribadito.
In primo luogo, perché -
come già esattamente e sostanzialmente osservato con la
citata sentenza n. 4632 del 2009 – i menzionati
dodicesimo e quattordicesimo comma dell’art. 18 della
legge fallimentare, prevedendo rispettivamente che la
sentenza di revoca del fallimento deve essere notificata
(anche) al curatore e che avverso tale sentenza può
essere proposto ricorso per cassazione, mostrano che il
legislatore della riforma - come, del resto, già
l’originario testo dell’art. 19, primo comma, - ha
inteso far decorrere la decadenza degli organi preposti
al fallimento a far tempo dal passaggio in giudicato
della sentenza di revoca, restando altrimenti senza
plausibile ragione la previsione della notificazione di
tale sentenza (anche) al curatore.
In secondo luogo, e
soprattutto, perché l’esigenza di certezza giuridica
espressa nel generale principio di conservazione degli
effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure
concorsuali - ricavabile dagli artt. 21, primo comma,
della legge fallimentare, nel testo originario
(riprodotto nel vigente art. 18, comma 15, nel testo
sostituito dall’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 169 del
2007), 10, comma 2, e 33, del d.lgs. n. 270 del 1999,
(per l’amministrazione straordinaria) e 4 del d.l. n.
347 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 39 del 2004 -, comporta che, in relazione alla
costituzione dei rapporti processuali attinenti ai
soggetti sottoposti a tali procedure concorsuali,
l’apertura delle stesse, con la nomina dei loro organi
sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la
immissione degli stessi nel possesso e nella gestione
del patrimonio, costituisce un "fatto giuridico" di per
sé idoneo a radicare la legittimazione processuale,
attiva e passiva, di detti organi in relazione ai
rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere
dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e
finché questo non venga rimosso, annullato, dichiarato
nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia
giurisdizionale passata in giudicato, la quale renda non
più proseguibile la procedura con efficacia ex nunc
(cfr. la sentenza n. 27346 del 2009, pronunciata a
sezioni unite).
Ciò vale tanto più nel
caso, quale quello di specie, in cui la revoca della
dichiarazione di fallimento sia stata determinata non
già dall’insussistenza dei presupposti soggettivi e/o
oggettivi necessari per tale dichiarazione, bensì
dall’invalidità - sia pur cagionata dalla denunciata
violazione di diritti fondamentali del debitore - di un
atto del procedimento per la dichiarazione di
fallimento.
3. - La singolare
fattispecie sottostante ai ricorso principale é la
seguente: a) il giudice delegato del Tribunale
(fallimentare) di Perugia, con decreto del 3 dicembre
2008, emesso ai sensi dell’art. 15 terzo comma della
legge fallimentare - nel testo sostituito dall’art. 3,
comma 4 del d.lgs. n. 169 del 2007 - convoca la
debitrice s.r.l. Explorer in liquidazione per l’udienza
del 12 gennaio 2009, mandando al creditore P. di
notificare il ricorso ed il decreto “entro il termine di
15 giorni prima dell’udienza”; b) il creditore esegue la
notifica, a mezzo del servizio postale, ai sensi
dell’art. 3, comma 3 della legge 21 gennaio 1994, n. 53,
(Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi
e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali),
spedendo il piego raccomandato con avviso di ricevimento
in data 15 dicembre 2008; c) tale piego, non consegnato
per temporanea assenza della destinataria, viene
depositato presso l’ufficio postale preposto alla
consegna in data 16 dicembre 2008, ai sensi dell’art. 8,
secondo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890,
(Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni
a mezzo posta connesse con la notificazione di atti
giudiziari); d) nella stessa data del 16 dicembre 2008,
l’agente postale compie le formalità, di cui allo stesso
secondo somma dell’art. 8, della legge n. 890 del 1982 e
spedisce alla Società Explorer l’avviso ivi previsto; e)
all’udienza del 12 gennaio 2009, la Società debitrice
non compare e, con sentenza n. 7 del 30 gennaio 2009, il
Tribunale di Perugia ne dichiara il fallimento.
A fronte di tale
fattispecie, la ratio decidendi della sentenza
impugnata, di revoca della dichiarazione di fallimento
della s.r.l. Explorer in liquidazione per nullità
(derivata) della sentenza di primo grado, sta nei
seguenti passaggi argomentativi: a) la notificazione del
ricorso introduttivo e del decreto di convocazione alla
Società debitrice, non essendo stato da questa ritirato
il relativo piego raccomandato, deve intendersi
perfezionata "per compiuta giacenza", ai sensi dell’art.
8, quarto comma della legge n. 890 del 1982, in data 29
dicembre 2008, perché il decimo giorno successivo al 16
dicembre 2008 (data di spedizione della lettera
raccomandata contenente l’avviso di deposito) -
coincidente con il 26 dicembre 2008, giorno festivo ai
sensi dell’art. 2 della legge 27 maggio 1949, n. 260, e
seguito da un sabato (27 dicembre) e da una domenica (28
dicembre) - deve intendersi prorogato appunto al 29
dicembre, in forza del combinato disposto dei commi
quinto e quarto dell’art. 155 cod. proc. civ.; b) posto
che i quindici giorni tra la data della notificazione
del ricorso e del decreto di convocazione e la data
dell’udienza, di cui al termine stabilito dall’art. 15,
terzo comma della legge fallimentare, debbono
qualificarsi come "liberi", e che il dies a quo di tale
termine coincide, per le anzidette ragioni, con la data
del 30 dicembre 2008, il dies ad quem dello stesso
termine cade nella data del 13 gennaio 2009, giorno
seguente a quello fissato per l’udienza di comparizione
delle parti, con la conseguenza che, essendo stato
violato il contraddittorio, “per non essere stato
garantito al debitore termine pari a quello previsto
dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione”, la
sentenza dichiarativa di fallimento é affetta da
nullità.
3.1. - La su descritta
fattispecie, la ratio decidendi della sentenza impugnata
e le censure formulate dal ricorrente principale
pongono, pertanto, due distinte, anche se connesse,
questioni di diritto: a) se - nel caso in cui: il
debitore sia stato convocato per l’udienza di cui
all’art. 15, terzo comma, della legge fallimentare, nel
testo sostituito dall’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 169
del 2007, la notificazione del ricorso introduttivo e
del decreto di convocazione sia stata eseguita a mezzo
del servizio postale, la consegna del piego raccomandato
non sia stata effettuata per temporanea assenza del
notificato, tale piego sia stato depositato presso
l’ufficio postale preposto alla consegna ed il termine
di dieci giorni, di cui all’art. 8, quarto comma, della
legge n. 890 del 1982, cada in giorno festivo, seguito
da un sabato e da una domenica - la scadenza di tale
termine debba, o no, essere prorogata di diritto, ai
sensi del combinato disposto dei commi quinto e quarto
dell’art. 155 cod. proc. civ., al primo giorno seguente
non festivo; e se, previamente e più in generale, il
termine medesimo, previsto per il compimento della
cosiddetta "compiuta giacenza" e quindi per il
perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo del
servizio postale, sia qualificabile, o no, come termine
“per il compimento degli atti processuali svolti fuori
dell’udienza” ai sensi dell’art. 155, quinto comma, cod.
proc. civ., con la conseguenza, in caso di risposta
affermativa, che il termine medesimo, ove cadente nella
giornata del sabato, deve essere prorogato di diritto al
primo giorno seguente non festivo; b) come, nella stessa
fattispecie, debba essere qualificato, anche ai fini del
suo computo, il termine “non inferiore a quindici
giorni”, che “deve intercorrere” tra la data della
notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di
convocazione del debitore e quella dell’udienza, di cui
al più volte citato art. 15, terzo comma, della legge
fallimentare.
3.1.1. - Ad avviso di
queste sezioni unite, le risposte al primo quesito non
possono che essere affermative.
3.1.2. - Al riguardo, il
quadro normativo rilevante é costituito dalle seguenti
disposizioni.
A) L’art. 149, terzo
comma, cod. proc. civ., - aggiunto dall’art. 2, comma 1,
lettera e) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, entrato
in vigore il 1 marzo 2006 ed applicabile alla specie
ratione temporis -, nel disciplinare la notificazione a
mezzo del servizio postale, dispone: “La notifica si
perfeziona, per il soggetto notificante, al momento
della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e,
per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la
legale conoscenza dell’atto”.
Tale disposizione - la cui
aggiunta é stata determinata dalla dichiarazione di
illegittimità costituzionale “del combinato disposto
dell’art. 149 del codice di procedura civile, e
dell’art. 4, comma terzo, della legge 20 novembre 1982,
n. 890, (...), nella parte in cui prevede che la
notificazione si perfeziona, per il notificante, alla
data di ricezione dell’atto da parte del destinatario
anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto
all’ufficiale giudiziario” (Corte costituzionale,
sentenza n. 477 del 2002) - codifica innanzitutto il
principio di scissione fra i due momenti di
perfezionamento della notificazione, conformemente a
quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale:
“... risulta ormai presente nell’ordinamento processuale
civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli
atti, il principio secondo il quale - relativamente alla
funzione che sul piano processuale, cioè come atto della
sequenza del processo, la notificazione é destinata a
svolgere per il notificante - il momento in cui la
notifica si deve considerare perfezionata per il
medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si
perfeziona per il destinatario; pur restando fermo che
la produzione degli effetti che alla notificazione
stessa sono ricollegati é condizionata al
perfezionamento del procedimento notificatorio anche per
il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui
la legge preveda termini o adempimenti o comunque
conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi
debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in
cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti” (così
la sentenza n. 28 del 2004, n. 4, del Considerato in
diritto; cfr. anche le ordinanze nn. 97, 132 e 153 del
2004, nonché la sentenza n. 3 del 2010).
La stessa disposizione,
inoltre - nella parte in cui stabilisce che la notifica
si perfeziona per il destinatario dal momento in cui
questo “ha la legale conoscenza dell’atto” -, tiene
conto, per ragioni di coerenza sistematica, proprio del
fatto che nella notificazione a mezzo del servizio
postale il perfezionamento della notifica non sempre
coincide con il materiale recapito o ritiro del piego
raccomandato da parte del notificato, potendo invece
coincidere, come nella specie, con l’inutile spirare del
termine di "compiuta giacenza", di cui all’articolo 8,
quarto comma, della legge n. 890 del 1982.
B) L’articolo 8, quarto
comma, della legge n. 890 del 1982, - nel testo
sostituito dall’articolo 2, quarto comma, lettera c)
numero 3 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1 comma 1 della legge 14 maggio
2005, n. 80, entrato in vigore il 17 marzo 2005 ed
applicabile alla specie ratione temporis-, stabilisce:
“La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci
giorni dalla data di spedizione della lettera
raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data
del ritiro del piego, se anteriore”.
Tale disposizione realizza
- contemperandoli - due diversi e contrapposti
interessi: quello del notificante, anche sia comunque
assicurato un termine finale per il perfezionamento del
procedimento di notificazione dallo stesso promosso,
spirato il quale, appunto, “la notificazione si ha per
eseguita” anche in mancanza di ritiro del piego
depositato da parte del destinatario, che pertanto, da
tale momento, “ha la legale conoscenza dell’atto”;
quello del notificato - nei casi, di cui al secondo
comma dello stesso articolo 8, di mancato recapito del
piego - a disporre di un termine ragionevole per il
ritiro dello stesso presso l’ufficio postale preposto
alla consegna, dal momento che la previsione di tale
termine risponde al “fondamentale diritto del
destinatario della notificazione ad essere posto in
condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e
senza necessità di effettuare ricerche di particolare
complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della
procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo
ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo
ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica
dell’atto notificatogli” (così la sentenza della Corte
costituzionale n. 346 del 1998, n. 5.2. del Considerato
in diritto).
C) L’art. 155 cod. proc.
civ., sul computo dei termini, dispone, ai comma 4, che,
“se il giorno di scadenza é festivo, la scadenza é
prorogata di diritto al primo giorno seguente non
festivo”, e, ai commi quinto e sesto - aggiunti
dall’articolo 2, comma 1, lettera f, della citata legge
n. 263 del 2005, entrati in vigore il 1 marzo 2006,
applicabili anche ai processi pendenti a tale data (art.
58, comma 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69: cfr. le
ordinanze nn. 7841 del 2011, 454 del 2010, 15636 del
2009 e la sentenza n, 6212 del 2010) ed applicabili alla
specie ratione temporis -, che: “La proroga prevista dal
comma 4, si applica altresì ai termini per il compimento
degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che
scadono nella giornata del sabato (quinto comma). Resta
fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni
altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari,
nella giornata del sabato, che ad ogni effetto é
considerata lavorativa (sesto comma)”.
Tali commi aggiunti -
inseriti frettolosamente e senza particolari
approfondimenti dal legislatore nel corpo dell’art. 155,
come emerge dall’esame dei lavori preparatori -, per un
verso (quinto comma), assimilano il giorno del sabato a
quello festivo, limitatamente però “ai termini per il
compimento degli atti processuali svolti fuori
dell’udienza che scadono nella giornata del sabato”, per
l’altro (sesto comma), puntualizzano tuttavia che in
tale giornata – “ad ogni effetto considerata lavorativa”
– “resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e
di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da
ausiliari”.
In mancanza di elementi
desumibili dai lavori preparatori, la ratio sottesa al
quinto comma, art. 155, sembra stare nella generica
agevolazione al rispetto dei termini che scadono nella
giornata del sabato da parte dei soggetti partecipanti
al processo, per il compimento di quegli atti
processuali che devono necessariamente effettuarsi al di
fuori dell’udienza, ciò coerentemente con il progressivo
tendenziale riconoscimento, da parte del legislatore,
della "diversità" della giornata del sabato - nella
cultura sempre più diffusa, prima ancora che sul piano
giuridico - rispetto agli altri giorni della settimana.
Nell’evidente difficoltà
di prefigurare una casistica al riguardo, quel che pare
certo, tuttavia, é che per “atti processuali”, di cui al
quinto comma, in esame, devono intendersi quelli che,
sebbene svolti fuori dell’udienza, hanno rilevanza,
diretta o indiretta, nel processo, nel senso che il
rispetto o no dei termini correlati al loro compimento
può determinare, o concorrere a determinare, una
decisione giurisdizionale favorevole o sfavorevole per
la parte che li compie.
3.1.3. - Questo essendo il
quadro normativo di riferimento, si tratta innanzitutto
di stabilire se il termine previsto dall’art 8, quarto
comma, della legge n. 890 del 1982 debba, o no, essere
qualificato "a decorrenza successiva" e computato,
conseguentemente, secondo il normale criterio "in
avanti".
Ciò, perché é noto il
costante orientamento di questa Corte, anche anteriore
all’entrata in vigore dell’art. 155, quinto comma, cod.
proc. civ., secondo il quale tale disposizione, diretta
a prorogare al primo giorno non festivo il termine che
scada nella giornata del sabato, opera con esclusivo
riguardo ai termini a decorrenza successiva e non anche
per quelli che si computano "a ritroso" con
l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima
del quale deve essere compiuta una determinata attività,
in quanto, altrimenti, si determinerebbe l’effetto
contrario dell’abbreviazione dell’intervallo, in
pregiudizio delle esigenze garantite con la previsione
del termine medesimo (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n.
182 del 2011 e la sentenza n. 11163 del 2008).
Al riguardo, non può
esservi dubbio che sia la struttura linguistica della
disposizione in esame sia la sua stessa ratio depongono
nel senso della qualificazione del termine de quo come
"a decorrenza successiva".
Infatti, quanto alla
struttura linguistica, il legislatore prefigura la
fattispecie - perfezionamento della notificazione
eseguita a mezzo posta, nel caso di deposito presso
l’ufficio postale preposto alla consegna del piego
raccomandato e di mancato ritiro di quest’ultimo -
prevedendo un termine iniziale, coincidente con la data
di spedizione della lettera raccomandata con avviso di
ricevimento contenente la notizia del deposito, ed un
termine finale esplicitamente considerato successivo
rispetto a detta data (“decorsi dieci giorni dalla data
di spedizione della lettera raccomandata di cui al
secondo comma”), data che costituisce appunto il dies a
quo per il computo "in avanti" del termine di dieci
giorni. Del resto, già il primo periodo del terzo comma
dello stesso art. 8 della legge n. 890 del 1982, nel
testo sostituito dall’art. 2, comma 3, lettera c, numero
2, del menzionato d.l. n. 35 del 2005, convertito, con
modificazioni dalla legge n. 80 del 2005 - nello
stabilire che “Trascorsi dieci giorni dalla data di
spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo
comma senza che il destinatario o un suo incaricato ne
abbia curato il ritiro, l’avviso di ricevimento é
immediatamente restituito al mittente in raccomandazione
con annotazione in calce, sottoscritta dall’agente
postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi
che l’hanno determinato, dell’indicazione atto non
ritirato entro il termine di dieci giorni e della data
di restituzione” -, conferma all’evidenza, sia pure ad
altri fini (restituzione al mittente dell’avviso di
ricevimento della raccomandata contenente l’avviso di
deposito), la natura "a decorrenza successiva" del
termine in esame.
Tale conclusione é
confermata dalla su indicata ratio della L. n. 890 del
1982, art. 8, comma 4, (cfr., supra, n. 3.1.2., lettera
B): la realizzazione dei contrapposti interessi del
notificante - al perfezionamento del procedimento di
notificazione - e del notificato - alla conoscibilità
effettiva dell’atto - richiede che per quest’ultimo
"trascorrano" o "decorrano", appunto, dieci giorni dal
momento in cui lo stesso, con la spedizione dell’avviso
di deposito, é stato posto in condizione di conoscere
effettivamente il contenuto dell’atto.
Conseguentemente, questo
termine deve essere computato secondo i normali criteri,
escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello
finale (art. 155, primo comma, cod. proc. civ.).
3.1.4. - In secondo luogo,
si tratta di stabilire se quello previsto dall’art. 8,
quarto comma, della legge n. 890 del 1982 sia, o no,
termine previsto “per il compimento degli atti
processuali svolti fuori dell’udienza” (art. 155, quinto
comma, cod. proc. civ.), con la conseguenza - in caso di
risposta affermativa - che esso, se scadente nella
giornata del sabato, é prorogato di diritto al primo
giorno seguente non festivo (art. 155, quarto comma,
cod. proc. civ.).
Al riguardo - tenute
presenti tutte le considerazioni che precedono e, in
particolare, il rilievo che per “atti processuali”, di
cui all’ora menzionato quinto comma dell’art. 155 devono
intendersi quelli che hanno rilevanza, diretta o
indiretta, nel processo (cfr., supra, n. 3.1.2., lettera
C) - é agevole rilevare che l’intero (tradizionale)
procedimento di notificazione di atti inerenti al
processo - sia esso promosso ed eseguito dall’avvocato
ai sensi della citata legge n. 53 del 1994 (come nella
specie), ovvero eseguito dall’ufficiale giudiziario,
previa consegna a quest’ultimo dell’atto da notificare -
si svolge necessariamente “fuori dell’udienza” fino al
suo compimento, come ovviamente fuori dell’udienza si
effettua in particolare, nelle notificazioni a mezzo del
servizio postale, anche l’eventuale "ritiro" del piego
depositato presso l’ufficio postale preposto alla
consegna da parte del notificato. "Ritiro" che, d’altro
canto, é certamente qualificabile come "atto
processuale" ai sensi del menzionato quinto comma, art.
155, costituendo esso, se anteriore al compimento del
periodo di "giacenza" di cui all’art. 8, quarto comma,
della legge n. 890 del 1982, l’altra forma di
perfezionamento del procedimento di notificazione
eseguito a mezzo del servizio postale, nei casi di
mancata consegna del piego al destinatario o alle
persone abilitate a riceverlo di cui allo stesso art. 8,
comma 2 (“Resta... fermo, per il destinatario, il
principio del perfezionamento della notificazione solo
alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso
di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella
stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario
medesimo”: così la citata sentenza della Corte
costituzionale n. 477 del 2002, n. 3.2. del Considerato
in diritto).
Pertanto, non può esservi
dubbio che, nel caso in cui il termine di dieci giorni,
di cui all’art. 8, quarto comma, della legge n. 890 del
1982, scada della giornata del sabato, la scadenza é
prorogata di diritto al primo giorno seguente non
festivo, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155
c.p.c., commi 4 e 5.
3.1.5. - All’esito
dell’analisi che precede, possono essere perciò
enunciati i seguenti principi di diritto: a) il termine
di dieci giorni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890,
art. 8, comma 4, (Notificazione di atti a mezzo posta e
di comunicazioni a mezzo posta connesse con la
notificazione di atti giudiziari), nel testo sostituito
dall’art. 2, comma 3, lettera c), numero 3, del d.l. 14
marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80,
entrato in vigore il 17 marzo 2005 - secondo il quale,
nel caso (quale quello di specie), in cui il piego
raccomandato depositato presso l’ufficio postale
preposto alla consegna non sia stato ritirato dal
destinatario, “La notificazione si ha per eseguita
decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della
lettera raccomandata di cui al secondo comma...” - deve
essere qualificato come termine "a decorrenza
successiva" e computato, secondo il criterio di cui
all’art. 155, primo comma, c.p.c. escludendo il giorno
iniziale (data di spedizione della lettera raccomandata
di cui allo stesso art. 8, comma 2) e conteggiando
quello finale; b) lo stesso termine - essendo stabilito
nell’ambito de procedimento preordinato alla
notificazione di atti inerenti al processo (anche)
civile (nella specie: notificazione del ricorso
introduttivo e del decreto di convocazione del debitore,
di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3) - deve
intendersi compreso fra i “termini per il compimento
degli atti processuali svolti fuori dell’udienza”, di
cui all’art. 155, quinto comma, c.p.c., aggiunto
dall’art. 2, comma 1, lettera f) della legge 28 dicembre
2005, n. 263 entrato in vigore il 1 marzo 2006, con la
conseguenza che il dies ad quem del termine medesimo,
ove scadente nella giornata del sabato, é prorogato di
diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi
del combinato disposto del quinto e del quarto comma
dello stesso art. 155 c.p.c..
3.1.6. - Applicando tali
principi alla fattispecie in esame, é del tutto evidente
la correttezza delle argomentazioni svolte dai Giudici a
quibus e, per contro, l’infondatezza dei motivi primo,
secondo e quarto del ricorso principale.
Nella specie, infatti, é
certo e, comunque, incontestato tra le parti che la
lettera raccomandata con avviso di ricevimento, di cui
all’art. 8, secondo comma, della legge n. 890 del 1982,
é stata spedita alla s.r.l. Exporter in liquidazione in
data 16 dicembre 2008, cioé nello stesso giorno del
deposito del piego raccomandato presso l’ufficio postale
preposto alla consegna. Computando dal 17 dicembre 2008
i dieci giorni necessari per il perfezionamento della
notificazione, di cui al quarto comma dello stesso art.
8 della legge n. 890 del 1982, il dies ad quem di tale
termine di dieci giorni scadeva il 26 dicembre 2008,
giorno festivo ai sensi dell’art. 2 della legge 27
maggio 1949, n. 260, seguito da un sabato (27 dicembre)
e da una domenica (28 dicembre), con la conseguenza che
esso - come esattamente affermato dalla Corte di Perugia
- deve intendersi prorogato di diritto, in forza del
combinato disposto dei commi quarto e quinto dell’art.
155 c.p.c., al giorno 29 dicembre 2008 (lunedì), con
l’ulteriore conseguenza che in questa data, realizzatasi
la cosiddetta "compiuta giacenza", si é perfezionata la
notificazione del ricorso introduttivo per la
dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in
liquidazione e del decreto di convocazione della
debitrice, in ragione della “legale conoscenza2 di tale
atto da parte di quest’ultima (art. 149, terzo comma,
c.p.c.).
3.1.7. - Deve essere ora
esaminata l’altra questione posta dalla su descritta
fattispecie, vale a dire come debba essere qualificato,
anche ai fini del suo computo, il termine non inferiore
a quindici giorni, che deve intercorrere tra la data
della notificazione del ricorso introduttivo e del
decreto di convocazione del debitore e quella
dell’udienza, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3
(cfr., supra, n. 3.1., lett. b).
Anche per risolvere tale
questione, é utile premettere il quadro normativo di
riferimento.
A) Il testo originario
della L. Fall., art. 15, disponeva: “Il tribunale, prima
di dichiarare il fallimento, può ordinare la
comparizione del debitore in camera di consiglio e
sentirlo anche in confronto dei creditori istanti”.
Di questa disposizione,
com’é noto, fu dichiarata l’illegittimità
costituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost.,
“nella parte in cui (...) non prevede l’obbligo del
tribunale di disporre la comparizione dell’imprenditore
in camera di consiglio per l’esercizio del diritto di
difesa nei limiti compatibili con la natura di tale
procedimento” (Corte costituzionale, sentenza n. 141 del
1970; cfr. anche le successive ordinanze n. 171 del 1970
e n. 59 del 1971). A sostegno della dichiarazione di
incostituzionalità, la Corte affermò, tra l’altro, che:
“Per la più ampia tutela del debitore sono preveduti, é
vero, rimedi, ed in primo luogo l’opposizione alla
sentenza dichiarativa di fallimento, improntati al
principio del contraddittorio e diretti, mediante piena
cognizione, a verificare la legittimità della sentenza
medesima. Tuttavia la gravità delle conseguenze di
questa pone l’indefettibile esigenza che il debitore,
già nella prima fase processuale in camera di consiglio,
informato della iniziativa in corso, possa contrastare,
anche in confronto di creditori istanti, con deduzioni
di fatto ed argomentazioni tecnico-giuridiche e con
l’eventuale ausilio di difensori, la veridicità
dell’asserito stato di dissesto e la di lui
assoggettabilità alla esecuzione fallimentare”; e che:
“Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 15 in esame, che con sostanziale
pregiudizio del diritto di difesa, non statuisce
l’obbligo del tribunale di disporre la comparizione del
debitore. Ovviamente tale disposizione, con l’eventuale
successiva audizione del debitore e con la possibilità
di sue deduzioni e difese, anche in confronto dei
creditori istanti, non senza assistenza tecnica, deve
essere inquadrata e contenuta nella vigente normativa
circa il procedimento di cognizione sommaria,
nell’ambito delle finalità e delle speciali ragioni di
urgenza e tempestività anche allo scopo della
conservazione del patrimonio del debitore, cui é
informata la disciplina della dichiarazione di
fallimento. A questo conseguentemente si attaglia il
carattere della speditezza dei provvedimenti, svincolati
da speciali forme procedurali e dal rispetto di termini
non espressamente stabiliti dalla legge; il tutto
rimesso invece al prudente apprezzamento degli organi
giudiziari competenti” (n. 4. del Considerato in
diritto).
B) L’art. 15 della legge
fallimentare - nel testo sostituito dall’art. 13 del
d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, entrato in vigore il 16
luglio 2006 (art. 153) ed applicabile, ai sensi
dell’art. 150 dello stesso decreto legislativo, ai
“ricorsi per la dichiarazione di fallimento e alle
domande di concordato fallimentare depositate”
successivamente all’entrata in vigore del decreto -
dispone(va), al primo periodo del comma 2, che “Il
Tribunale convoca, con decreto apposto in calce al
ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il
fallimento” e, al secondo periodo del comma 3, che “Tra
la data della notificazione, a cura di parte, del
decreto di convocazione e del ricorso, e quella
dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore
a quindici giorni liberi”.
C) La L. Fall., art. 15 -
nel testo sostituito dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. 12
settembre 2007, n. 169, entrato in vigore il 1 gennaio
2008 (art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi
dell’art. 22, comma 2, dello stesso decreto legislativo,
“ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento
pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonché
alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare
aperte successivamente alla sua entrata in vigore” -
riproduce, al primo periodo del comma 2, e al secondo
periodo del comma 3, il medesimo testo introdotto
precedentemente. L’unica modificazione rispetto a tale
testo sta nella soppressione della qualificazione - come
“liberi” - dei quindici giorni che devono intercorrere
tra la data della notificazione del ricorso e del
decreto di convocazione e quella dell’udienza.
Questo essendo il quadro
normativo di riferimento, deve immediatamente rilevarsi
che tale termine di quindici giorni é stabilito
nell’interesse del debitore, essendo chiaramente volto -
come già rilevato in modo puntuale nei su riportati
brani della sentenza della Corte costituzionale n. 141
del 1970 - a consentire allo stesso, entro un periodo di
tempo da ritenersi ragionevole tenuto conto delle
esigenze di speditezza del procedimento di istruttoria
prefallimentare, il pieno esercizio del proprio diritto
di difesa in contraddittorio con i creditori istanti per
il fallimento. Di qui l’ovvia conseguenza della natura
"dilatoria" del termine de quo, come del resto
riconosciuto dalla dottrina pressoché unanime e già
affermato da alcuni specifici precedenti di questa Corte
(cfr., tra le ultime, le sentenze nn. 1098 e 16757 del
2010).
Del resto, ad esempio,
parimenti di natura "dilatoria" é stato costantemente
ritenuto il termine previsto dall’art. 415, quinto
comma, c.p.c., (si veda anche il comma 6), il quale
contiene, nel rito del lavoro, una disposizione
strutturata in modo dei tutto analogo a quella di cui
alla L. Fall., art. 15, comma 3, stabilendo che “Tra la
data di notificazione al convenuto del ricorso
introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza e
quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un
termine non minore di trenta giorni” (cfr., ex plurimis,
le sentenze nn. 16851 del 2011 e 1717 del 1978). Ancora
a titolo di esempio di termine di natura dilatoria può
essere menzionato, sempre per l’analoga strutturazione,
l’art. 318, secondo comma, c.p.c., in tema di
procedimento davanti al giudice di pace, il quale
dispone: “Tra il giorno della notificazione di cui
all’art. 316 notificazione della citazione a comparire a
udienza fissa e quello della comparizione devono
intercorrere termini liberi non minori di quelli
previsti dall’art. 163 bis, ridotti alla metà”.
Deve poi osservarsi che la
soppressione dell’aggettivo “liberi” ad opera del
decreto "correttivo" n. 169 del 2007, riferita a detto
termine dei quindici giorni intermedi, determina
necessariamente il passaggio dal criterio di computo
pertinente ai termini "liberi", per il quale non si
calcolano né dies a quo né dies ad quem, a quello
generale fissato dall’art. 155, primo comma, c.p.c., per
il quale soltanto dies a quo non computatur in termino.
Tale conclusione é
supportata dai seguenti rilievi: a) il legislatore
delegato del decreto "correttivo" non da ragione
specifica di detta soppressione nell’art. 15, comma 3,
essendosi limitato ad osservare genericamente, nella
relazione governativa, che “L’art. 2, comma 4, riformula
ex novo l’art. 15, per emendarlo di alcune improprietà”,
sicché nessun ausilio ermeneutico é apportato dai lavori
preparatori; b) il verbo “intercorrere” - che allude ad
un tempo che "corre" appunto tra due estremi di cui non
deve tenersi conto e che, quindi, potrebbe far
ipotizzare che la soppressione dell’aggettivo “liberi”
nel caso de quo é stata operata per meri motivi
pleonastici - é, in realtà, utilizzato dal legislatore
del codice di rito per indicare sia termini "liberi"
(artt. 163 bis, primo comma, 318, secondo comma, art.
15, terzo comma, della legge fallimentare nella versione
introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006) sia termini che non
sono esplicitamente qualificati come tali (L. Fall.,
art. 415, comma 5, art. 15, comma 3, nella versione
vigente), sicché la previsione o la soppressione
dell’aggettivo "liberi" associata ad un termine assume
un autonomo significato sul piano giuridico, quanto al
criterio applicabile per il computo del termine stesso;
c) questa Corte ha più volte enunciato il condivisibile
principio per il quale, in tema di computo dei termini
processuali, qualora la legge non preveda espressamente
che si tratti di un termine libero, opera il criterio
generale di cui all’art. 155 c.p.c., secondo il quale
non devono essere conteggiati i giorni e l’ora iniziali
computandosi invece quelli finali (cfr., ex plurimis, le
sentenze nn. 11302 del 2011, 6263 del 2006 e 10797 del
1997); d) la prevalente dottrina é concorde nel ritenere
che, a seguito di detta soppressione dell’aggettivo
“liberi”, nel computo del termine in questione deve
applicarsi la regola generale dettata dall’art. 155
c.p.c., comma 1, per la quale dies a quo non computatur
in termino.
Deve aggiungersi che la
disposizione transitoria di cui all’art. 22, comma 2,
dello stesso d.lgs. n. 169 del 2007 - in forza del quale
“Le disposizioni del presente decreto si applicano ai
procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti
alla data della sua entrata in vigore 1 gennaio 2008” -
fa sì che il testo dell’art. 15, terzo comma, introdotto
dall’art. 13 del d.lgs. n. 5 del 2006, é applicabile
unicamente ai procedimenti per la dichiarazione di
fallimento promossi a far data dal 16 luglio 2006 e
conclusisi (ivi comprese le eventuali fasi del reclamo
e/o del regolamento di competenza) entro il 31 dicembre
2007. É, quindi, del tutto evidente che l’applicabilità
di tale testo é meramente teorica, non essendo
immaginabili ipotesi in cui sia ancora deducibile,
nonostante l’intervenuta definitività della sentenza
dichiarativa di fallimento, l’eventuale omesso rispetto
del criterio di computo con riferimento ai quindici
giorni “liberi”.
Inoltre, non può esservi
dubbio che il termine in esame sia annoverabile tra
quelli "a decorrenza successiva" e, dunque, da computare
"in avanti" e non "a ritroso". Depongono in tal senso i
concorrenti rilievi che si tratta di termine: a)
stabilito dalla legge nell’esclusivo interesse del
debitore per l’esercizio del proprio diritto di difesa;
b) da calcolare non come un prima rispetto alla data
dell’udienza di convocazione, al fine di consentire alle
controparti di conoscere il contenuto di un certo atto,
bensì corrente da un determinato atto (notificazione del
ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) in
vista dell’udienza, la quale non deve svolgersi prima
che sia decorso quel termine, appunto a garanzia del
diritto di difesa del debitore; c) diverso, ad esempio,
da quello previsto dal primo periodo del quarto comma
dello stesso art. 15 - secondo il quale, tra l’altro,
“Il decreto.. fissa un termine non inferiore a sette
giorni prima dell’udienza per la presentazione di
memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche2
- termine che, essendo invece destinato a consentire al
debitore la conoscenza e lo spatium deliberandi rispetto
agli scritti difensivi ed ai documenti contro di lui
prodotti, é tipico termine da computare "a ritroso", a
partire dal giorno fissato per l’udienza di
convocazione.
Conclusivamente, il
termine di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15,
comma 3, essendo di natura "dilatoria" e "a decorrenza
successiva", deve essere computato secondo i normali
criteri, escludendo il giorno iniziale e conteggiando
quello finale (art. 155, primo comma, c.p.c.).
3.1.8. - All’esito
dell’analisi che precede, può essere perciò enunciato il
seguente principio di diritto: il termine di quindici
giorni di cui all’art. 15, terzo comma, della legge
fallimentare - nel testo sostituito dall’art. 2, comma
4, del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, entrato in
vigore il 1 gennaio 2008 (art. 22, comma 1) ed
applicabile, ai sensi dell’art. 22, comma 2, dello
stesso decreto legislativo, “ai procedimenti per la
dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua
entrata in vigore, nonché alle procedure concorsuali e
di concordato fallimentare aperte successivamente alla
sua entrata in vigore” - deve essere qualificato come
termine di natura "dilatoria" e "a decorrenza
successiva" e computato, secondo il criterio di cui
all’art. 155, primo comma, c.p.c., escludendo il giorno
iniziale (data della notificazione del ricorso
introduttivo e del decreto di convocazione) e
conteggiando quello finale (data dell’udienza di
comparizione).
3.1.9. - Applicando tale
principio alla fattispecie in esame, deve affermarsi, in
primo luogo, che il terzo motivo del ricorso principale
é privo di fondamento - perché basato su premesse
interpretative contrarie allo stesso principio - e, in
secondo luogo, che, pur essendo i dispositivo della
sentenza impugnata - di revoca della sentenza de
Tribunale di Terni, dichiarativa del fallimento della
s.r.l. Exporter in liquidazione, n. 7 del 30 gennaio
2009 - conforme al diritto, la stessa sentenza é
tuttavia erroneamente motivata in diritto, con la
conseguenza che queste Sezioni Unite possono limitarsi a
correggere la motivazione, ai sensi dell’art. 384,
quarto comma, c.p.c..
Infatti, la Corte perugina
ha così argomentato: posto che i quindici giorni tra la
data della notificazione del ricorso e del decreto di
convocazione e la data dell’udienza, di cui al termine
stabilito dalla L. Fall., art. 15, terzo comma, debbono
qualificarsi come “liberi”, e che il primo giorno
computabile di tale termine coincide con la data del 30
dicembre 2008, il dies ad quem dello stesso termine cade
nella data del 13 gennaio 2009, giorno successivo a
quello stabilito per l’udienza di convocazione, con la
conseguenza che, essendo stata tenuta l’udienza di
comparizione nel giorno 12 gennaio 2009 ed essendo stato
perciò violato il contraddittorio, “per non essere stato
garantito al debitore termine pari a quello previsto
dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione”, la
sentenza dichiarativa di fallimento é affetta da
nullità.
Ribadita la correttezza di
tale conclusione - la quale, peraltro, non é stata
investita da specifiche censure -, l’errore in cui sono
incorsi i Giudici a quibus sta nell’aver qualificato
come “liberi” i giorni previsti dal termine in
questione: infatti, come già dianzi rilevato (cfr.,
supra, n. 2.), la fattispecie di procedura concorsuale
de qua ricade interamente sotto la disciplina della
legge fallimentare nel testo risultante a seguito
dell’entrata in vigore - il 1 gennaio 2008 - del d.lgs.
"correttivo" n. 169 del 2007 e, quindi, dell’art. 15,
terzo comma, nel testo sostituito dall’art. 2, comma 4,
di tale decreto legislativo, il quale ha soppresso detta
qualificazione (cfr., supra, n. 3.1.7., lettera C). Ciò,
a prescindere dall’ulteriore rilievo che tale erronea
qualificazione avrebbe in ogni caso comportato
l’esclusione da computo anche del giorno 13 gennaio 2009
(quindicesimo giorno "libero") e l’individuazione del
primo giorno utile per la tenuta dell’udienza di
comparizione in quello successivo del 14 gennaio 2009.
Conforme al su enunciato
principio di diritto é, invece, l’individuazione del
dies a quo dello stesso termine nel giorno 29 dicembre
2008 e del dies ad quem nel giorno 13 gennaio 2009:
infatti, come già dianzi rilevato (cfr., supra, n.
3.1.6), la notificazione del ricorso introduttivo per la
dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in
liquidazione e del decreto di convocazione della
debitrice si é perfezionata, appunto, nel giorno 29
dicembre 2008 (lunedì) per l’intervenuta "compiuta
giacenza" del piego raccomandato depositato presso
l’ufficio postale preposto alla consegna, con la
conseguenza che - secondo la lettera dello stesso art.
15, terzo comma - nel computo del termine dilatorio di
quindici giorni doveva essere escluso i giorno iniziale
del 29 dicembre 2008 (data del perfezionamento della
notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di
convocazione) e conteggiato quello finale del 13 gennaio
2009 (martedì), giorno in cui avrebbe dovuto tenersi
tale udienza nel rispetto di tale termine, udienza che -
invece - era stata fissata e tenuta il giorno precedente
12 gennaio 2009, in contumacia della Società Exporter.
4. - Il rigetto del
ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso
incidentale, da ritenersi di natura necessariamente
condizionata in quanto proposto dalla parte, s.r.l.
Exporter in liquidazione, risultata totalmente
vittoriosa nel giudizio di merito, con la revoca della
sentenza dichiarativa del proprio fallimento (cfr. le
sentenze delle sezioni unite nn. 23318 e 5456 del 2009 e
23019 del 2007).
5. - La sostanziale novità
delle questioni trattate giustifica la compensazione
integrale delle spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta
il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso
incidentale. Compensa le spese. |