PeD.it
Il caso
deciso dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di
Ostuni, riguarda maltrattamenti e lesioni ad opera di un
padre nei confronti della moglie e delle due figlie. In
sede di risarcimento del danno, il Tribunale ha tenuto
conto delle continue vessazioni subite dalle tre donne
le quali non potevano più condurre una normale esistenza
(si pensi che il marito/padre, per gelosia, impediva
l'accesso in casa a qualsiasi uomo, anche se parente, e
che era solito minacciare le vittime con un coltello dal
quale non si separava mai).
A titolo di
risarcimento del danno non patrimoniale il giudice ha
liquidato la somma di € 15.000,00 in favore della madre,
di € 20.000,00 in favore di una figlia e di € 28.000,00
in favore dell'altra figlia (quest'ultima risarcita con
una somma maggiore per la documentata necessità di un
sostegno psicologico).
Dette somme
sono state liquidate in forza di un principio definito
di "equità calibrata", ovvero facendo riferimento ai
precedenti giurisprudenziali e modulando il risarcimento
in relazione alla fattispecie concreta.
Le somme
liquidate appaiono congrue, mentre meno convincente è
l'indicazione fornita dal Tribunale in merito alle
tipologie di danno accertate. Se è pur vero che è stata
indicata una componente del danno di tipo morale ed una
di tipo biologico (senza dubbio sussistenti), è
altrettanto vero che è stato omesso ogni riferimento ad
un pregiudizio - il danno esistenziale - nella
fattispecie di certo innegabilmente presente e
risarcibile (anche secondo i restrittivi criteri
indicati nella citata sentenza delle Sezioni Unite n.
26972/2008).
SENTENZA n°
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di
Brindisi, Sezione distaccata di Ostuni, in persona del
giudice Dott. Antonio Ivan Natali, ha emesso la seguente
S E N T E N Z
A
nella causa
civile iscritta al n.
318/09
del
Ruolo Generale promossa
DA
P. M. C., M.
A. E M. E.
-ATTRICI-
CONTRO
M. A. F.
–CONVENUTO-CONTUMACE-
FATTO E
DIRITTO
Con atto di
citazione del 16/6/2010 notificato il 29 successivo ai
sensi dell’art. 140 c.p.c., le sig.re P. M. C., M. A. e
M. E. esponevano: 1) con sentenza penale n. 201/06 del
6/10/2006 il Tribuna le di Brindisi –Sezione distaccata
di Ostuni-, pronunciando nei confronti di M. A. F.,
imputato dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 572 e 582
c.p., dichiarava questi colpevole dei reati ascrittigli
e, concesse le attenuanti generiche ed applicato l’art.
81 C.P., lo condannava alla pena di anni due di
reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali
–pena sospesa-; lo condannava altresì al risarcimento
dei danni subiti dalle costituite parti civili (cioè le
attrici di questo procedimento), da liquidarsi in sede
civile, nonché al pagamento delle spese dalle stesse
sostenute in giudizio, che venivano liquidate in €
1.800,00= per diritti ed onorari, oltre IVA e CAP per
rimborso forfetario come per legge: 2) avverso detta
sentenza il M. proponeva appello alla Corte di Appello
di Lecce –Sez. penale- che, con sentenza n. 112/08 del
24/01/2008 (R.G. n. 781/07), confermava integralmente la
precedente indicata sentenza del Tribunale di Brindisi
–Sez. distaccata di Ostuni- e lo condannava al pagamento
anche delle spese del secondo grado verso lo Stato e
verso le costituite parti civili, liquidandole in
complessivi € 1.000,00 oltre accessori di legge. Detta
sentenza è definitivamente passata in giudicato. Le
attrici chiedono, pertanto, la liquidazione del danno
non patrimoniale subito.
La domanda è
fondata.
Invero, la
sentenza della Corte di Appello di Lecce –Sez. Penale-,
con ampia motivazione, confermando la pronuncia del
giudice di prime cure, ha ribadito la responsabilità del
convenuto in ordine ai reati contestatigli. Ciò,
peraltro, a seguito della ricostruzione di una dinamica
familiare di particolare gravità.
Sono, infatti,
stati accertati episodi di sopraffazione e di
maltrattamenti nei confronti della moglie e delle due
figlie, gravi e ripetuti tanto da acquistare carattere
sistematico; nonché la gelosia ossessiva del convenuto
stesso, che impediva l’accesso in casa di qualsiasi
uomo, anche se parente.
Risultano,
altresì, provate le vessazioni continue nei confronti
della moglie e delle figlie, fonte di costante disagio
per le stesse, nonché, in genere, il suo comportamento
violento.
D’altronde,
risulta che la figlia E. ha beneficiato, in costanza
della permanenza presso la residenza familiare,
dell’assistenza psicologica del consultorio familiare di
Ostuni.
Per quanto
concerne specificatamente la posizione della moglie, è
stato accertato che sin dall’inizio della vita coniugale
(nel 1975) il convenuto non le aveva consentito di
uscire di casa, neppure per la spesa.
Risultano,
altresì, provati l’uso abituale di epiteti poco
edificanti (e, senza dubbio, inconciliabili con la
natura stessa della relazione parentale) nei confronti
della moglie e delle figlie; così come anche le minacce
loro rivolte di provocarne la morte, aggravate
dall’esibizione di un coltello, dal quale il convenuto
non si separava mai, neppure di notte.
Ulteriore
conferma di questo scenario di violenze e sopraffazioni,
il giudice penale ha tratto dai diversi certificati
medici del P.S. di Ostuni (lesioni personali subite
dalla P. e dalle figlie), dalle dichiarazioni di S. A. e
S. O. (entrambi in servizio presso il Commissariato di
P.S. di Ostuni), dalle testimonianze dei vicini di casa
(N. P., C. T., M. V., OMISSIS), ecc..
Accertata,
perciò, la colpevolezza del M. per i delitti continuati
di maltrattamenti in famiglia e di lesioni volontarie,
la sentenza del Tribunale di Brindisi –Sez. distaccata
di Ostuni- del 24/1/2008 è divenuta definitiva, anche
nella parte in cui condannava il convenuto al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da
liquidarsi in separata sede, cioè in questa sede.
Sul danno
biologico, quale mera voce descrittiva del danno non
patrimoniale
E’ noto come le
Sezioni Unite dell’11.11.2008 abbiano degradato il danno
biologico a mera componente descrittiva della più ampia
categoria del danno non patrimoniale.
Esso, va inteso
come menomazione dell'integrità psico-fisica in sè e per
sè considerata, in quanto incidente sul valore uomo in
tutta la sua concreta dimensione.
Tale voce di
danno, come precisato dalla Corte Costituzionale, n.
184/’86, non si esaurisce nella sola attitudine a
produrre ricchezza del danneggiato, con il conseguente
paradosso, al contempo, dell’irrisarcibilità del danno
biologico, subito da chi sia sprovvisto di un’attività
lavorativa e della commisurazione del danno
all’occupazione del soggetto o, persino - secondo
un’inammissibile visione della società, rigidamente
ripartita per classi - dei genitori.
Come
espressamente affermato anche dall’art. 139 del Codice
delle Assicurazioni, per danno biologico deve, invece
intendersi “la lesione temporanea o permanente
all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di
accertamento medico-legale che esplica un’incidenza
negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti
dinamico-relazionali della vita del danneggiato,
indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua
capacità di produrre reddito”.
Ciò premesso, il
danno biologico - consistente nella violazione
dell'integrità psico-fisica della persona - va
considerato ai fini della determinazione del
risarcimento, sia nel suo aspetto statico
(diminuzione del bene primario dell'integrità
psico-fisica in sè e per sè considerata) sia nel suo
aspetto dinamico (manifestazione o espressione
quotidiana del bene salute e, a tal riguardo, è evidente
la rilevanza del c.d. pregiudizio estetico).
Sulla
componente descrittiva del danno morale
Le Sezioni Unite
definiscono tale voce descrittiva del danno non
patrimoniale quale
sofferenza
morale, senza ulteriori connotazioni in termini di
durata.
Inoltre, deve
venire in rilievo la sofferenza soggettiva in sé
considerata, non come componente di più complesso
pregiudizio non patrimoniale.
Ricorre il primo
caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il
dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona
diffamata o lesa nella identità personale, senza
lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza.
Ove siano
dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del
danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o
psichica, per sua natura intrinseca costituisce
componente.
Dunque,
determinerebbe, duplicazione di risarcimento la
congiunta attribuzione del danno biologico e del danno
morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato
in percentuale (da un terzo alla metà) del primo.
Esclusa la
praticabilità di tale operazione, l’interprete qualora
si avvalga delle note tabelle, deve procedere ad
adeguata personalizzazione della liquidazione del danno
biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le
sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso,
onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Deve precisarsi
che il principio della non cumulabilità delle due voci
di danno, enucleato dalle Sezioni Unite del 2008, non è
assoluto, ma inerisce le ipotesi in cui la sofferenza
psicologica degeneri in patologia medica.
Secondo la
giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite (Cass.,
Sez. III, 5770/10 e 11701/09; Corte Appello Torino, sez.
terza, 10.10.2009, est. Scotti; Tribunale Piacenza,
04.06.2009, est. Morlini) sarebbe, invece, sempre
ammissibile la liquidazione della voce del danno morale,
contestualmente alla voce del danno biologico. E ciò
indipendentemente, dalle condizioni poste dalle Sezioni
Unite che, in ogni caso, diversamente da come da altri
opinato, non hanno inteso affatto negare la
risarcibilità della voce- danno morale.
Invero, tal
ultima è dotata di logica autonomia in relazione alla
diversità del bene protetto, che pure attiene ad un
diritto inviolabile della persona, ovvero all’integrità
morale, quale massima espressione della dignità umana
desumibile dall’art. 2 Cost., in relazione all’art. 1
della Carta di Nizza, contenuta nel trattato di Lisbona,
ratificato dall’Italia con L. 02.08.2008 n. 190.
Inoltre, secondo
le Sezioni Unite,
superato il
tradizionale orientamento che limitava il risarcimento
al solo danno morale soggettivo, identificato con il
patema d'animo transeunte, ed affermata la
risarcibilità
del danno non patrimoniale nella sua più ampia
accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale
consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire:
nella sofferenza morale determinata dal non poter fare)
è risarcibile.
Ciò in virtù
della scelta del legislatore di consacrare il
risarcimento del danno morale derivante da reato, al di
là di qualunque condizione ulteriore e diversa
dall’accertamento, in concreto, del fatto di reato.
La tutela
risarcitoria deve essere riconosciuta – precisano le
Sezioni Unite – per il solo fatto che sia stato leso un
interesse giuridicamente protetto, e meritevole di
tutela, sulla base dell'ordinamento positivo, in base al
modello dell’art. 2043 c.c.
Ciò, anche in
assenza dell’accertamento dell’avvenuta lesione di un
diritto costituzionalmente garantito, posto dalla stessa
pronuncia delle Sezioni Unite, quale condizione
imprescindibile per il risarcimento del danno non
patrimoniale, seppur, in via alternativa, all’ipotesi
dell’esistenza di un’espressa previsione legale di
risarcibilità della suddetta tipologia di danno.
D’altronde, il
danno morale da reato, trovando fondamento nel combinato
disposto degli artt. 2059 cc e 185 c.p..costituisce
proprio un’ipotesi di espressa risarcibilità del danno
non patrimoniale.
Il caso di
specie
Ciò premesso, e
ricostruiti gli esatti confini del danno non
patrimoniale, nel caso di specie, risultano accertate
lesioni di carattere fisico,
documentate, come risulta dalle sentenze penali, dai
referti medici rilasciati dal pronto soccorso;
così come
sofferenze morali di peculiare gravità, tanto più se si
consideri che esse si inseriscono in una relazione
qualificata e di particolare intensità, qual è quella
che dovrebbe legare, da una parte, padre e figlia,
dall’altra, marito e moglie.
Si tratta di due
profili relazionali che se sono fonte di crescita e
benessere psichico, nel loro funzionamento fisiologico,
possono divenire – quando, come nel caso di specie,
subiscano un’alterazione patologica -, fonte di grave
disagio morale.
Peraltro, in
considerazione dell’atteggiamento segregante del
convenuto, può dirsi accertata quell’ulteriore forma di
estrinsecazione del danno non patrimoniale di tipo
biologico che è il danno alla vita di relazione, quale
capacità e possibilità di intrattenere le normali e
abituali relazioni umane con il contesto sociale di
appartenenza.
Orbene, alla
luce della gravità e durata degli episodi di violenza
fisica e morale, nonché del carattere sistematico del
significativo condizionamento psichico cui il padre ha
sottoposto figlie e madre, si ritiene di dover liquidare
euro 28.000 per la figlia E., euro 20.000 per l’altra
figlia, nonché euro 15,000 in favore della madre.
Ciò,
differenziando,
in primis,
la posizione della coniuge rispetto a quelle delle
figlie che, in quanto minori all’epoca dei fatti, deve
ritenersi, sulla base di una regola di esperienza di
difficile smentita, abbiano avvertito, in maniera più
pregnante gli effetti di una condotta relazionale,
quella del padre, il cui elemento qualificante è
risultato essere la violenza, anche morale.
Si ritiene,
altresì, equo differenziare, altresì, la posizione della
figlia E. dall’altra, in conseguenza della
sottoposizione della stessa al summenzionato percorso di
sostegno psicologico, circostanza che denota una
peculiare incisività degli effetti lesivi della condotta
attrice.
L’equità
calibrata
A tale esito
liquidatorio si perviene anche facendo applicazione del
criterio dell’equità
calibrata
in luogo del c.d. criterio equitativo “puro”, che
rinviene la propria legittimazione nell’art. 1226 c.c.;
norma applicabile anche in materia di illecito aquiliano
per effetto dell’espresso richiamo operato al suddetto
dall’art. 2056 c.c. al fine delinea lo statuto della
responsabilità da illecito extracontrattuale.
Infatti, il
criterio equitativo puro, in assenza di criteri uniformi
che concorrano alla determinazione della base
risarcitoria, si presta, tendenzialmente, a soluzioni
risarcitorie che sono condizionate essenzialmente dalla
sensibilità del Magistrato.
Da ciò, la
necessità di indispensabili correttivi.
In particolare,
una dottrina autorevole propone lo strumento dell’equità
calibrata. Poiché il criterio equitativo si offre a
soluzioni risarcitorie così disparate, il Giudice, a
fronte della singola fattispecie concreta, deve avere
contezza dei precedenti giurisprudenziali, riferiti alle
singole patologie di danno non patrimoniale portate
all’esame dei magistrati; e, sulla base di questi
precedenti giurisprudenziali, secondo una sorta di
ideale scala di valori, dovrebbe “procedere a una
modulazione proporzionale, ma sempre in senso equitativo
del danno”.
Per cui, se, a
fronte della lesione del diritto a intrattenere
relazioni sessuali, si risarciscono X mila euro, a
fronte della lesione del diritto a intrattenere il
rapporto parentale col congiunto defunto - quale ipotesi
significativamente più grave di lesione di diritti della
personalità – si dovrebbe liquidare un’entità economica
apprezzabilmente superiore.
Quindi,
l’interprete, in sostanza, secondo la tesi dell’equità
calibrata, deve avere presenti quelli che sono i
precedenti giurisprudenziali relative alla singole
ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile, e poi, in
considerazione di questi precedenti, modulare
concretamente il risarcimento in relazione alla
fattispecie portata alla sua attenzione.
Orbene, proprio
avuto riguardo alle misure risarcitorie riconosciute a
fronte di pregiudizi non patrimoniali di rango inferiore
(si pensi al danno morale derivante da lesioni di lieve
entità o a quello riconducibile ad un’ipotesi di
diffamazione, a mezzo stampa), nonché a fronte di eventi
lesivi del tipo di quello dedotto in giudizio, si
ritiene equa la riparazione economica accordata nel caso
di specie.
Le spese –
liquidate come da dispositivo - seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale,
definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da
P. M. C., M. A. e M. E.
nei
confronti di
M. A. F.,
disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa,
così provvede:
-
condanna
il convenuto
al
pagamento di euro 28.000, in favore di M. E., di
euro 20.000 in favore di M. A., nonché di euro
15.000 in favore della madre;
-
condanna
il convenuto
al
pagamento, in favore delle attrici, delle spese di
giudizio che liquida in complessivi € 3900,00 di cui
euro 510 per spese, euro 1390,00 per diritti ed €
2000,00 per onorario, oltre iva e cap ed esborsi
forfettizzati come per legge.
IL GIUDICE
(Antonio Ivan
Natali)
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