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1. Rispetto al momento
dell'attribuzione, il diritto [dell’assegnazione della
casa familiare] non può venire ad esistenza se non si
accompagna all'allontanamento dalla casa familiare
dell'altro coniuge. Se non c'è l'allontanamento (il
rilascio) da parte dell'altro coniuge, non manca solo la
possibilità di esercitare un diritto (in astratto
esistente sulla carta); manca il diritto stesso, essendo
il godimento esclusivo l'unico contenuto della
assegnazione.
2. Sul piano
dell'esecuzione, ciò comporta che il provvedimento, o
sentenza, con cui il diritto è attribuito, contiene in
sé, implicitamente, la condanna al rilascio nei
confronti dell'altro coniuge; attribuzione e rilascio
non si pongono su due piani distinti: il rilascio non si
pone come consequenziale all'attribuzione, ma come
coessenziale per la nascita stessa del diritto.
Conseguente è l'irrilevanza dell'esistenza o meno
dell'espresso ordine di rilascio nel
provvedimento/sentenza attributivi del diritto e
l'idoneità del titolo, contenente anche solo l'espressa
attribuzione del diritto, all'esecuzione.
3. La natura speciale del
diritto di abitazione della casa familiare, che non
esiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi
non è titolare dello stesso (nel caso dell'attribuzione)
e che, quando smette di esistere con la revoca,
determina una situazione eguale e contraria in capo a
chi lo ha perduto, con conseguente necessario
allontanamento dello stesso, consente al
provvedimento/sentenza di essere eseguito per adeguare
la realtà al decisum, anche se il profilo della condanna
non sia esplicitato, proprio perché la condanna è
implicita, in quanto connaturale al diritto, sia quando
viene attribuito, sia quando viene revocato.
Cassazione, sez. III, 31
gennaio 2012, n. 1367
(Presi. Petti – Rel.
Carluccio)
Svolgimento del processo
1. Nell'ambito di un
processo di separazione giudiziale dei coniugi, il
tribunale, con la sentenza che definiva il giudizio (del
giugno 2004), revocava l'assegnazione della casa
familiare a R.G. , modificando la precedente ordinanza
presidenziale (del gennaio 2001), che aveva disposto
tale assegnazione.
Il marito, C.S. ,
notificava alla R. (il (omissis) ) atto di precetto per
il rilascio dell'immobile, unitamente alla sentenza di
primo grado munita di formula esecutiva (già, nel
novembre del 2005, confermata in sede di appello).
1.1. R. (con atto del 24
giugno 2006) proponeva opposizione all'esecuzione, ex
art. 615 cod. proc. civ., lamentando la carenza del
titolo esecutivo in mancanza dell'ordine di rilascio
dell'immobile.
Nel contraddittorio di C.
, il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano,
in persona del giudice monocratico, rigettava
l'opposizione (sentenza del 18 dicembre 2008).
2. Avverso la suddetta
sentenza, R. propone ricorso per cassazione con unico
motivo, corredato da quesito.
C. resiste con
controricorso e deposita memoria.
Motivi della decisione
1. Il Tribunale ha fondato
il rigetto dell'opposizione sulle argomentazioni
essenziali che seguono.
a) La quaestio iuris
concerne l'efficacia esecutiva, o meno, del capo della
sentenza di primo grado laddove, testualmente “revoca
l'assegnazione della casa coniugale a R. ..”, senza
disporre nulla in ordine al rilascio entro un termine
certo.
b) Il principio costante,
nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui
posseggono l'efficacia tipica di titolo esecutivo le
pronunce giudiziali di condanna ad un dare o ad un fare
ben determinato, pur condiviso, non è applicabile al
caso di specie.
c) La sentenza azionata in
executivis è peculiare perché, se ha efficacia
esecutiva, anche in assenza di apposita intimazione di
rilascio (normalmente mancate), l'ordinanza
presidenziale, ex art. 708 cod. proc. civ., che,
all'esito di una fase sommaria, assegna la casa
familiare, non può attribuirsi minore efficacia cogente
ad una statuizione di analogo contenuto - che si
differenzia solo perché di revoca della precedente -,
per di più, emanata all'esito di una cognizione piena.
2. Con l'unico motivo di
ricorso, R. deduce violazione e falsa applicazione
dell'art. 474 cod. proc. civ. e difetti motivazionali.
2.1. Sottolinea l'assenza
di qualunque statuizione di dare o fare e di rilascio
entro un termine; mette in evidenza che il giudice di
appello, nella controversia di separazione, ha ritenuto
inammissibile l'istanza di sospensione dell'efficacia
esecutiva della sentenza dì primo grado, non ritenendo
applicabile l'art. 282 cod. proc. civ., in carenza di
pronuncia di condanna.
Richiama la giurisprudenza
sulla correlazione tra esecuzione coattiva e
provvedimento di condanna dell'obbligato a mutare la
realtà di fatto. Ribadisce che non è aziona bile in
executivis la sentenza che statuisce solo sulla premessa
logico-giuridica dell'obbligo di consegna, senza la
statuizione inequivoca dell'obbligo restitutorio.
2.2. Sul piano della
motivazione della sentenza impugnata, pone in rilievo
che nessun pregio ha la correlazione tra ordinanza
presidenziale, ex art. 708 cod. proc. civ., e sentenza
di revoca della stessa, basata sulla pronuncia all'esito
dello svolgimento ordinario del processo da parte di un
giudice collegiale, contrapposta al carattere sommario
dell'ordinanza.
2.3. In definitiva,
secondo la ricorrente, la sentenza di revoca
dell'ordinanza di assegnazione pone il detentore in una
situazione di utilizzo senza titolo, che facoltizza il
proprietario ad esercitare un'azione ordinaria di
rilascio.
3. Il ricorso va
rigettato. La pronuncia del giudice di merito è conforme
a diritto.
La questione
all'attenzione della Corte è:
se la revoca
dell'assegnazione della casa familiare - disposta, con
provvedimento presidenziale o del giudice, o (come nella
specie) con sentenza - sia, o meno, titolo idoneo per
l'esecuzione, quando (come nella specie) non contenga
esplicitamente la condanna al rilascio.
La questione si pone,
indifferentemente, per il provvedimento anticipatorio e
provvisorio, ex artt. 708 e 710 cod. proc. civ., e per
la sentenza, stante l'art. 189 disp. att. del codice di
procedura, in base al quale il primo costituisce titolo
esecutivo.
Il carattere di novità
della questione rende opportuna l'integrazione della
motivazione del giudice di merito.
Il Collegio reputa di dare
risposta affermativa al quesito, atteso che la condanna
al rilascio deve ritenersi implicita nel provvedimento e
nella sentenza con cui viene revocata l'assegnazione
della casa familiare.
4. Vanno messi in evidenza
tre profili rilevanti ai fini della risoluzione della
questione.
4.1. Il primo è dato dalla
necessità di assumere un'ottica non parziale. La
questione deve essere affrontata considerando anche
l'ipotesi, speculare, dell'attribuzione (con
provvedimento anticipatorio o con sentenza)
dell'assegnazione a uno dei coniugi, senza esplicita
condanna al rilascio (allontanamento) nei confronti
dell'altro. Si tratta, infatti, del conferimento e della
revoca dello stesso diritto, rispetto ai quali la
condanna al rilascio prende direzioni diverse;
rispettivamente, il non assegnatario e l'assegnatario
che perde tale qualifica.
4.2. Il secondo è dato
dalla portata della previsione legislativa (art. 189
disp. att. cod. proc. civ.).
In origine, in un contesto
ordinamentale di non generale esecutività delle sentenze
non passate in giudicato, tale disposizione -
attributiva di efficacia esecutiva espressamente
riferita solo ai provvedimenti temporanei e urgenti
nell'interesse dei coniugi e della prole - non poteva
non concernere anche le sentenze. Altrimenti, la ratio,
evidentemente di tempestività ed effettività della
tutela di interessi primari, che aveva indotto il
legislatore a tale scelta, sarebbe stata vanificata
dalla emanazione della decisione definitiva.
Nessuno ha mai dubitato
che tra i provvedimenti temporanei e urgenti ex artt.
708 e 710 cod. proc. civ., cui si applica il 189 cit,
rientri quello relativo all'abitazione familiare, anche
se introdotto formalmente solo nel 1975, con la legge di
riforma del diritto di famiglia. Infatti, esso partecipa
della stessa ratio ed era astrattamente ricomprensibile
tra i provvedimenti reputati opportuni, ai sensi
dell'originaria formulazione dell'art. 708 cod. proc.
civ..
4.3. Il terzo profilo è
dato dalla peculiarità del diritto in argomento.
Verranno messi in evidenza
solo gli aspetti strettamente necessari a cogliere
meglio la fase dell'esecuzione dello stesso.
L'assegnazione si
sostanzia unicamente nel diritto di continuare a vivere
nell'abitazione familiare (al godimento della stessa,
secondo l'art. 155-quater, cod. civ., introdotto dalla
legge 8 febbraio 2006, n. 54) senza l'altro coniuge.
Nasce, formalmente nel
1975, con l'esigenza di regolare le crisi coniugali; ha
la funzione di perseguire interessi primari, di natura
personale, essenzialmente collegati alla tutela dei
figli.
Secondo la giurisprudenza
costante, e la dottrina assolutamente dominante, si
tratta di diritto personale di godimento, sui generis,
proprio per la collocazione nell'ambito dei rapporti
familiari in crisi.
La caratteristica
essenziale, connaturale alla funzione, è di costituire
un limite rispetto a un diritto dominicale di altri
(l'altro coniuge o un terzo) sullo stesso bene; è
presupposto per la successione ex lege nel contratto di
locazione (art. 6, legge 27 luglio 1978, n. 392); vale
anche rispetto ad altri contratti costitutivi di diritto
personale sullo stesso bene, quali il comodato.
Esso si esaurisce nel
godimento della casa senza il coniuge; dato essenziale,
che non è stato messo in discussione neanche con
l'introduzione dell'affido condiviso dei figli.
Costituisce un limite, di carattere eccezionale, posto
all'ordinario assetto dei rapporti reali e obbligatori
sull'immobile.
L'unicità
contenutistica/strutturale e il costituire un limite ai
diritti degli altri sulla casa familiare, conforma il
momento attributivo e la revoca.
4.3.1. Rispetto al momento
dell'attribuzione, il diritto non può venire ad
esistenza se non si accompagna all'allontanamento dalla
casa familiare dell'altro coniuge. Se non c'è
l'allontanamento (il rilascio) da parte dell'altro
coniuge, non manca solo la possibilità di esercitare un
diritto (in astratto esistente sulla carta); manca il
diritto stesso, essendo il godimento esclusivo l'unico
contenuto della assegnazione.
Sul piano dell'esecuzione,
ciò comporta che il provvedimento, o sentenza, con cui
il diritto è attribuito, contiene in sé, implicitamente,
la condanna al rilascio nei confronti dell'altro
coniuge; attribuzione e rilascio non si pongono su due
piani distinti: il rilascio non si pone come
consequenziale all'attribuzione, ma come coessenziale
per la nascita stessa del diritto. Conseguente è
l'irrilevanza dell'esistenza o meno dell'espresso ordine
di rilascio nel provvedimento/sentenza attributivi del
diritto e l'idoneità del titolo, contenente anche solo
l'espressa attribuzione del diritto, all'esecuzione.
4.3.1.1. Del resto, la
Corte non ha dubitato che l'ordinanza attributiva del
diritto ad uno dei coniugi di abitare la casa familiare
sia soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad
esecuzione coattiva (in via breve, tramite l'ufficiale
giudiziario, o mediante normale procedura di esecuzione
forzata) (Cass. 1 settembre 1997, n. 8317).
4.3.2. Rispetto al momento
della revoca, essendo venuto meno -secondo la
valutazione ritenuta dal giudice - il diritto speciale
attribuito, cioè essendo stata esclusa la fruizione
della casa familiare in capo a colui che ne aveva il
godimento esclusivo, si determina un effetto uguale e
contrario a quello dell'assegnazione; cosi, destinatario
della condanna al rilascio diventa chi non è più
assegnatario, con il conseguente riespandersi
dell'ordinario regime giuridico sulla casa familiare.
4.4. In conclusione, la
natura speciale del diritto di abitazione della casa
familiare, che non esiste senza allontanamento dalla
casa familiare di chi non è titolare dello stesso (nel
caso dell'attribuzione) e che, quando smette di esistere
con la revoca, determina una situazione eguale e
contraria in capo a chi lo ha perduto, con conseguente
necessario allontanamento dello stesso, consente al
provvedimento/sentenza di essere eseguito per adeguare
la realtà al decisum, anche se il profilo della condanna
non sia esplicitato, proprio perché la condanna è
implicita, in quanto connaturale al diritto, sia quando
viene attribuito, sia quando viene revocato.
Né tale soluzione
interferisce con la giurisprudenza consolidata che,
prima della formazione della cosa giudicata, ritiene
eseguibili: solo le sentenze di condanna (Cass. 6
febbraio 1999, n. 1037), comprese le statuizioni di
condanna alle spese, indipendentemente dalla
accessorietà al capo di condanna (Cass. 10 novembre
2004, n. 21367); esclude l'esecutività di condanne
consequenziali, in rapporto di sinallagmaticità con capi
aventi natura costitutiva, nei quali l'effetto
costitutivo si produce solo con il giudicato (Sez. Un.
22 febbraio 2010, n. 4059). Nel nostro caso, infatti,
per la natura del diritto in argomento - che si
sostanzia solo nel godimento esclusivo senza l'altro
coniuge, con la conseguenza che non esiste senza
rilascio del non titolare (nel caso dell'attribuzione) e
comporta un contestuale obbligo di rilascio quando viene
meno il suo unico contenuto (nel caso di revoca) - non
si pone il problema della scissione temporale tra
effetti costitutivi ed effetti consequenziali perché il
provvedimento/sentenza, di assegnazione e di revoca,
contiene in se stesso una condanna al rilascio.
5. Non può prendersi in
esame la richiesta del contro ricorrente, contenuta
nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., di condanna
della ricorrente alle spese per lite temeraria, ex art.
96 cod. proc. civ., atteso che le memorie possono
contenere solo argomentazioni esplicative, mentre tale
domanda avrebbe potuto essere proposta solo con ricorso
incidentale.
5.1. In ragione della
novità della questione di diritto, mai affrontata dalla
giurisprudenza di legittimità, ricorrono giusti motivi
per compensare integralmente le spese processuali del
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione
rigetta il ricorso; compensa integralmente le spese tra
le parti.
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