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Ritenuto in fatto
1. Con sentenza della
Corte d'appello di Milano in data 17.12.2009 veniva
concluso il processo di rinvio a seguito di annullamento
della Corte di cassazione (disposto con sentenza
23.10.2008), nei confronti di G.M...L. , C.M. , già
amministratori della snc M. G. dichiarata fallita il
(omissis), nonché di S.S. , B.A. e D.R. , amministratori
in tempi diversi della società IMI, anch'essa dichiarata
fallita il (omissis) sempre dal Tribunale di Busto
Arsizio.
L'ipotesi d'accusa muoveva
dalla ritenuta costituzione della società IMI per
cagionare il fallimento del M., con coinvolgimento a
titolo diretto, o di concorso, di tutti i prevenuti; in
sostanza veniva ritenuto che fosse stato posto in atto
un piano finalizzato alla fraudolenta spoliazione del
M., con un'illecita utilizzazione dei beni e dei
contratti ad esso facenti capo, a vantaggio di IMI, che
costituiva il perno dell'operazione di svuotamento del
M., gestita in comune con C. , D. e S. , essendo stato
travasato il patrimonio aziendale del M. G. in IMI. A
comprova, erano stati indicati i prelievi di somme per
un ammontare complessivo superiore al miliardo di lire,
dalle casse del M., operati dalla G. quale
amministratore unico; la locazione di un capannone ove
si svolgeva l'attività del M. ad IMI per l'importo
semestrale di 25 milioni di lire e l'affitto di azienda
sempre ad Imi per l'importo di 60 milioni di lire
semestrali, valori giudicati assolutamente incongrui, ma
soprattutto non sostenibili da IMI; la distrazione
sempre tramite Imi di 179 milioni di lire, quali importi
di fatture pagate a M. e la dissipazione di oltre 80
milioni di lire per affitti non pagati da IMI; la
prosecuzione dell'attività, nonostante lo stato di
decozione, con conseguente mancato pagamento dei
contributi previdenziali dei dipendenti e senza
provvedere all'accantonamento delle somme a titolo di
TFR.
La corte di Cassazione,
avanti a cui era stata impugnata la sentenza di condanna
della Corte di appello di Milano che aveva riformato la
sentenza in parte assolutoria del Tribunale di Busto
Arsizio, rilevava la nullità del decreto di citazione a
giudizio in secondo grado della G. e per gli altri
imputati sottolineava che nessuno fu amministratore di
diritto della snc M., visto che B. aveva amministrato
IMI dopo la sua cessione ed era estranea al M., C. era
semplicemente il marito di G. , sola amministratrice
della società in discorso, D. era stato procuratore,
mentre S. risultava estraneo a qualsivoglia incarico in
detta compagine sociale. Con il che, per ritenerli
amministratori di fatto occorreva la dimostrazione di un
atto tipico di gestione, non solo ma era necessario
provare che gli inadempimenti di IMI fossero voluti in
una con i gestori del M., in accordo implicante il
vantaggio Imi, in danno del M., circostanza che non era
stata adeguatamente provata, ma solo presunta.
In sede di rinvio, veniva
ritenuta certa la responsabilità distruttiva della G.
che aveva operato i prelievi di cassa ed aveva
indebitamente utilizzato un finanziamento di mezzo
miliardo di lire, nonché per l'attività progressiva di
svuotamento della società a favore di IMI. Quanto alle
altre posizioni, C. e D. venivano ritenuti non portatori
di interessi personali ed intervenuti solo
occasionalmente nell'accettata attività fraudolenta, con
il che venivano assolti, mentre S. e B. , succedutisi
nella carica di amministratore unico di IMI, venivano
ritenuti concorrenti nell'attività distrattiva a danno
di M. che travasò i cespiti in IMI, sul presupposto che,
quando una società si libera del suo patrimonio in
favore di altra e distinta impresa, si è di fronte ad
un'operazione di dissolvimento della prima, ancorché
venisse escluso un comune e generalizzato piano
finalizzato alla fraudolenta sottrazione. Poiché alla B.
venivano concesse le circostanze attenuanti generiche,
così da portare a ritenere prescritto il reato, veniva
dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti,
mentre il S. veniva condannato alla pena di anni tre di
reclusione, oltre pene accessorie.
Tra le righe la Corte
territoriale milanese opinava nel senso che non fossero
applicabili i nuovi termini di prescrizione (più
favorevoli agli imputati), avendosi riguardo a
procedimento che già si trovava in fase di appello al
momento della sua entrata in vigore ed essendo a tal
fine irrilevante il successivo annullamento operato
dalla Corte di Cassazione.
2. Avverso tale pronuncia,
ha proposto ricorso per Cassazione la difesa
dell'imputato, sviluppando quattro motivi di ricorso,
con cui viene dedotto:
2.1 mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, in ordine alla ritenuta bancarotta per
distrazione ed inosservanza dell'art. 627 c. 3
cod.proc.pen. S. fu coinvolto nell'amministrazione della
IMI per soli quattro mesi che andarono dal 26.5.1992 al
14.9.1992 e fu estraneo alla gestione M.. Secondo la
difesa la Corte di cassazione aveva stimolato a
maggiormente individualizzare il ruolo di gestore di
fatto attribuito al S. , ma il giudice del rinvio ha
lasciato indimostrata, sia sotto l'aspetto probatorio
che sotto quello motivazionale, la natura di
amministratore di fatto ricondotta all'imputato,
rimuovendo la questione posta dal giudice di
legittimità, anziché risolverla. In sostanza la Corte
aveva sollecitato a riscontrare nella condotta tenuta
dall'imputato un'influenza causale sul verificarsi
dell'evento per constatare se il compartecipe avesse
agito con consapevolezza della qualifica del soggetto
principale e con coscienza e volontà di aderire al fatto
di bancarotta. Ma dagli atti risulterebbe che S. non fu
mai amministratore di fatto, rivestì una carica svuotata
di poteri, non operò mai con atti tipici di gestione. Ed
infatti nulla collegherebbe S. alla costituzione di IMI
quale contenitore delle attività di M.; le operazioni
contabili di svuotamento di M. a vantaggio di IMI furono
successive all'uscita di S. , mentre le fatture
dell'anno 1992, pari a circa otto milioni di lire, si
riferiscono ad acquisti di materiale di consumo;
l'importo dissipato per il mancato pagamento dei canoni
di locazione attiene ad operazioni successive alla sua
uscita; i capitali prelevati da G. sono estranei alla
posizione del ricorrente; la stipula dei contratti di
affitto e locazione tra IMI e M. rientravano nella
logica della compensazione per il maggior prezzo di
acquisto dell'immobile e comunque l'autore
dell'operazione fu il M. . La condanna suona quindi, ad
opinione della difesa, del tutto priva di motivazione
adeguata.
2.2 mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, con riguardo alla condanna per il reato di
bancarotta impropria per inosservanza art. 627 c. 3,
cod.proc.pen. Anche sul punto la difesa rileva che il
dictum della Corte non è stato seguito, posto che
l'estraneo alla gestione - è stato detto - deve
risultare consapevole della possibilità di risultato
delle operazioni incriminate a questo diverso titolo e
soprattutto in riferimento al mancato pagamento dei
contributi ed al mancato accantonamento a titolo di TFR
per i dipendenti, per cui deve dimostrarsi quanto meno
l'accettazione del rischio del fallimento.
2.3. Erronea applicazione
della legge penale, in relazione alla mancata
dichiarazione di prescrizione del reato. La difesa fa
rilevare che per il S. la sentenza del Tribunale di
Busto Arsizio, intervenuta il 4.4.2000 fu di assoluzione
e che il decreto di citazione in giudizio per l'appello
interposto dal Pm intervenne il giorno 8.3.2007, quindi
un anno dopo l'entrata in vigore della L. 251/2005: il
concetto di pendenza riferibile alla sentenza di
condanna non può essere esteso alla sentenza di
assoluzione di primo grado, poiché questa sentenza non
rientra tra gli atti interruttivi ex art. 160 cod. pen.
della prescrizione, con la conseguenza che va ritenuto
atto interruttivo il decreto di citazione ex art. 601
cod.proc.pen.. In proposito viene richiamato anche
l'arresto delle Sez. Unite 29.10.2009, n. 47008, con cui
è stato statuito che il divieto di applicazione dei
termini di prescrizione in favore del giudicato scatta
solo a partire dall'emissione del decreto di citazione
in appello e questo in perfetta coerenza con quanto già
affermato dalla Corte Costituzionale 393/2006. Pertanto
nel caso di specie andava applicata la disciplina della
prescrizione più recente e più favorevole ed andava
dichiarata l'estinzione dei reati ascritti al S. .
2.4. Omessa e manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche:
sarebbero state negate le attenuanti sulla base del solo
dato che il S. era gravato da precedenti penali
specifici, quindi non sulla base di argomentazione
articolata che tenga conto dei fatti accertati e della
personalità del reo, nonché del lungo tempo trascorso
dalla vicenda in esame.
Considerato in diritto
Deve essere detto
preliminarmente osservato che nelle more della
celebrazione del presente processo questa Corte, a
Sezioni Unite, con sentenza del 24.11.2011, in corso di
pubblicazione, ha affermato il principio che, ai fini
dell'operatività delle disposizioni transitorie della
legge di modifica dei termini di prescrizione dei reati,
la pronuncia della sentenza determina la pendenza in
grado d'appello del procedimento, ostativa
all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli,
anche quando è di assoluzione. A fronte di tale
precisazione intervenuta su un punto oggetto di
contrasto, deve esser rigettato il motivo di ricorso sub
2.3, dovendosi nel caso di specie calcolare il termine
di prescrizione del reato di bancarotta contestato, alla
luce della precedente normativa, meno favorevole
all'imputato, che prevede un termine di quindici anni,
estensibile ex art. 160 cod.pen., fino ad anni ventidue
e mesi sei.
Ciò detto, va subito
rilevato che sono invece fondati gli altri motivi del
ricorso indicato sub 2.1 e 2.2, assorbenti l'ultimo
motivo dedotto.
Sulla posizione del S. va
ricordato che nel primo giudizio avanti al tribunale di
Busto Arsizio era stato escluso che avesse operato in
termini significativi a livello di gestione, atteso che
era stato amministratore di diritto soltanto dal
26.5.1992 al 14.9.1992 e che nel corso di tale
intervallo non risultava avesse compiuto atti di
gestione in senso stretto, il che portava a ritenere che
non avesse operato come gestore di fatto della società
nel periodo successivo, visto che gli unici effettivi
titolari degli interessi economici facenti capo alla
società, erano M.A. e B.A. , a cui andava ricondotta
l'amministrazione della società poi fallita. A seguito
del ribaltamento della decisione in secondo grado, la
Corte di cassazione annullava la sentenza premettendo
come il S. risultasse estraneo a qualsiasi incarico
diretto per conto del M. ed imponeva un più rigoroso
esame della posizione, sollecitando la indicazione degli
atti tipici di gestione condotti e tali da configurare
un'amministrazione di fatto, nonché l'esplicitazione del
contributo obiettivo offerto a decisioni altrui, nella
consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica
del soggetto qualificato, mettendo in guardia dalla
doppia presunzione, che porta ad eludere il dovere di
rispondere secondo le regole del concorso di persone nel
reato proprio altrui.
I giudici del rinvio, nel
richiamare nel dettaglio le precedenti vicende
processuali, hanno apoditticamente concluso che il S. fu
l'ispiratore dell'operazione di svuotamento della snc,
laddove la Corte aveva espressamente ammonito che "se si
vuole ritenere l'esistenza di un accordo criminoso a
monte di più fatti delittuosi, che si rapporti al
dissolvimento, inteso insolvenza, bisogna dimostrarlo
per sé con precisi indici, salvo rendere l'ipotesi
assiomatica e come tale irriconoscibile": è quindi
evidente la violazione dell'art. 627 cod.proc.pen.
lamentata, poiché la sollecitazione alla dimostrazione
dell'assunto con l'indicazione di indici precisi è
caduta nel vuoto. Non solo, ma la Corte di Cassazione
aveva sollecitato, quanto ai concorrenti esterni, la
dimostrazione per ciascuno del "contributo al fatto
tipico di gestione dei soggetti qualificati come
amministratori, nella consapevolezza della insolvibilità
del M., a fronte di un danno implicato dalle singole
operazioni, e ancor più delle inadempienze verso il
fisco o i dipendenti". In sede di giudizio di rinvio la
corte territoriale si è limitata a sostenere che poco
importa che S. sia stato amministratore dal 26.5.1992 al
14.9.1992, visto che verosimilmente abbandonò detta
carica, poiché impegnato in altra società dichiarata
fallita nel 2002, dal Tribunale di Asti, con ciò
eludendo in modo evidente gli oneri motivazionali che la
corte di legittimità aveva imposto anche in ordine al
capo 26 dell'imputazione, introducendo un dato del tutto
disancorato alla logica motivazionale. La sentenza
impugnata va quindi annullata e rinviata per nuovo
giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di
Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza
impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte d'Appello di Milano.
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