PeD.it
La S.C. con sentenza ,
sez. I Civile, sentenza 28 novembre 2011 – 2 febbraio
2012, n. 1518 si è occupata della qualificazione
giuridica del sequestro ex art. 156 c.c. e , di
conseguenza, delle impugnazioni contro il provvedimento
stesso.
Dispone l'art 146 c.c
(Allontanamento dalla residenza familiare).
. Il diritto
all'assistenza morale e materiale previsto dall'articolo
143 è sospeso nei confronti del coniuge che,
allontanatosi senza giusta causa dalla residenza
familiare [144], rifiuta di tornarvi [570 c.p.].
[II]. La proposizione
della domanda di separazione [150] o di annullamento
[117] o di scioglimento o di cessazione degli effetti
civili del matrimonio [149] costituisce giusta causa di
allontanamento dalla residenza familiare.
[III]. Il giudice [382
att.] può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro
[670 ss. c.p.c.] dei beni del coniuge [179, 215 ss.]
allontanatosi, nella misura atta a garantire
l'adempimento degli obblighi previsti dagli articoli
143, terzo comma, e 147.
Ex art. 156 c.c. comma 6°:
In caso di inadempienza, su richiesta dell'avente
diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte
dei beni del coniuge obbligato [671 c.p.c.] e ordinare
ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente
somme di danaro all'obbligato, che una parte di esse
venga versata direttamente agli aventi diritto [1482]
Già al S.C. ha stabilito
l'inammissibilità del ricorso straordinario per
cassazione, ex art. 111 della Costituzione, avverso il
provvedimento della corte d'appello di rigetto del
reclamo contro il decreto del tribunale concessivo del
sequestro previsto dall'art. 156, sesto comma, cod. civ.
(come pure dall'art.8, ultimo comma, legge n.898/1970
nell'ambito del giudizio di cessazione degli effetti
civili del matrimonio).
A tale arresto si può
aggiungere, per analogia di ratio, anche la declaratoria
di inammissibilità dei medesimo mezzo di impugnazione
avverso il rigetto del reclamo contro il decreto del
tribunale riguardante l'ordine di distrazione di somme
dovute da terzi all'obbligato al contributo di
mantenimento, pure contemplato dall'art.156 sesto comma
cod. civile: statuizione, motivata anch'essa con il
regime di revocabilità e modificabilità, senza
preclusioni, del provvedimento conclusivo, incompatibile
con l'attitudine al giudicato connaturale alla
definizione di una controversia su diritti soggettivi o
status personali (Cass., sez. 1, 21 dicembre 2004, n.
23.713).
Si deve stabilire, quindi,
la natura di tale sequestro, se cautelare o meno. Il
tenore letterale della norma induce a ricomprendere tale
provvedimento quale categoria dei provvedimenti
cautelari.
Al contrario, per altra
dottrina è necessario rimarcare che : Da un lato, a
differenza del sequestro conservativo, la misura in
questione presupponga un credito già accertato, portato
da un titolo esecutivo, ancorché in via provvisoria, in
favore di uno dei coniugi (in questo senso, anche Cass.,
sez. 1, 19 febbraio 2003 n.2479): e quindi, non il mero
fumus boni iuris richiesto, nella disciplina generale,
per la concessione della cautela. Dall'altro, si rileva
che la norma non esige neanche il presupposto del
pericolo nel ritardo, bensì solo l'oggettivo
inadempimento del coniuge obbligato (Cass., sez. 1, 28
maggio 2004, n. 10273; Cass., sez. 1, 30 gennaio 1992
n.961). Così, ne discendono vari corollari, quali
l'inapplicabilità del reclamo ex art. 669 terdecies cod.
proc. civ., l'inammissibilità del cumulo con il
sequestro ordinario e l'inidoneità alla conversione in
pignoramento (art.157 disp. att. cod. proc. civile).
Enunciazioni, tutte, che si leggono anche in Corte cost.
19 luglio 1996 n. 258, dichiarativa dell'illegittimità
costituzionale dell'art. 156, sesto comma, cod. civ.
nella parte in cui non prevede la competenza del giudice
istruttore ad emettere il sequestro in corso di causa di
separazione.
Per la Corte tali
obiezioni non colgono nel segno: Sotto il primo profilo,
si osserva che il fumus è il limite minimo di
sussistenza di una situazione soggettiva meritevole di
tutela verificabile ex ante; al di sotto del quale,
cioè, non vi può essere adito alla protezione cautelare.
Non certo il limite massimo: con la conseguenza che il
quid pluris rappresentato da un accertamento a
cognizione piena, sia pure non irrevocabile, lungi dal
costituire impedimento ostativo in limine, vale ad
esimere il giudice da una disamina ad hoc di natura
sommaria (art.669 sexies, primo comma, cod. proc. civ.).
Un problema di compatibilità si pone, semmai, in ordine
all'eventuale concorso con un titolo esecutivo
giudiziale già idoneo, di per sé, alla soddisfazione del
diritto mediante esecuzione coattiva. Ma, a prescindere
dalle voci dottrinarie favorevoli, in linea di
principio, all'ammissibilità della tutela cautelare
anche in presenza di un titolo esecutivo, si osserva che
l'accertamento giudiziario di un'obbligazione di
mantenimento, quale presupposto del sequestro - ma non
indefettibile, dopo la sentenza additiva che ne ha
esteso l'adottabilità anche in corso di causa di
separazione (Corte cost. 19 luglio 1996, n.258) -
riguarda solo la genesi del credito: dovendo poi
tradursi, volta per volta, in un titolo esecutivo per i
singoli contributi storicamente inadempiuti (che
potrebbero involgere anche spese straordinarie
imprevedibili ab origine nell'an e nel quantum),
all'esito di un nuovo giudizio di cognizione, successivo
al sequestro.
Nè il sostituire il
requisito del periculum in mora con il fatto oggettivo
dell'inadempimento può portare e ripensare
l'inquadramento giuridico. Ciò perchè l'inadempimento
"esso stesso, a sintomo, tipizzato ex lege, del pericolo
di ulteriori inadempienze di prestazioni periodiche di
primaria rilevanza in materia familiare; pur senza il
concorso necessario di indizi di dispersione della
garanzia patrimoniale. "; "Oltre a ciò, l'inadempimento
che giustifica il sequestro può consistere anche nella
mancata prestazione della garanzia imposta dal giudice
ex art. 156, quarto comma, cod. civile - di
incontestabile carattere cautelare ed espressamente
contraddistinta dal requisito del periculum in mora
(art. 156, quarto comma, cod.proc.civile: "il giudice
che pronunzia la separazione può imporre al coniuge
idonea garanzia reale o personale se esiste il
pericolo...") - per la quale non appare invece richiesto
il previo inadempimento dell'obbligazione contributiva,
bastando a giustificarla il disordine economico del
coniuge o il ritardo nei pagamenti."
In definitiva,"il rapporto
di specie a genere, giustificato da taluni profili
differenziali di disciplina, non altera l'intrinseca
natura cautelare del sequestro in esame, che lo rende
insuscettibile, perciò stesso, di concorso col sequestro
conservativo ordinario, ex art.671 cod. proc. civile,
nell'ambito del medesimo giudizio."
Nè la natura esecutiva del
provvedimento si pone in termini negativi: resta
comunque un provvedimento strutturalmente inidoneo a
realizzare la soddisfazione del credito del coniuge
tuout court . Inoltre, non è un provvedimento che può
assumere efficacia di giudicato rebus sic stantibus: Il
giudice istruttore emette, infatti, il sequestro con
ordinanza, soggetta, nella stessa forma, a revoca o
modifica secondo la regola generale dell'art.177 cod.
proc. civile (oltre che della disciplina uniforme
propria del sottosistema cautelare:art. 669 decies cod.
proc. civ.). E dunque, senza attitudine al giudicato o
stabilità da preclusioni interne, pregiudicanti la
decisione di merito (art.178 cod. proc. civ.).
Così:
1) appare ammissibile la
conversione in pignoramento, all'esito dell'eventuale
sentenza di condanna per singoli assegni di mantenimento
insoluti
2) non vi è ragione di
escludere la revoca del sequestro ex art. 684 cod. proc.
civile , laddove il debitore presti idonea cauzione per
il credito futuro
3) Incontroversa appare
l'identità delle forme esecutive del sequestro con
quelle tipiche della disciplina comune (artt. 677-679
cod. proc. civ.).
4) Un'indiretta conferma
della sostanziale identità di natura cautelare emerge,
in ultima analisi, dall'analogo sequestro dei beni del
coniuge previsto dall'art.8, settimo comma, legge 1
dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio), nel testo emendato dalla
legge 6 marzo 1987, n.74; caratterizzato da una
significativa divergenza in ordine al presupposto
oggettivo, privo del riferimento all'inadempimento
dell'obbligato all'assegno divorzile o al contributo di
mantenimento per i figli (artt. 5 e 6).
Corte di Cassazione,
sez. I Civile, sentenza 28 novembre 2011 – 2 febbraio
2012, n. 1518
Presidente Felicetti –
Relatore Bernabai
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 156,
sesto comma, cod. civile, la signora L.R. conveniva
dinanzi al Tribunale di Milano il sig. G.R. per ottenere
il sequestro della sua quota di comproprietà
dell'immobile sito in (omissis) , fino alla concorrenza
della somma di Euro 100.000,00; o in subordine, in
ipotesi di vendita dell'immobile, il sequestro del
relativo prezzo.
Esponeva che il G. ,
riconosciutosi padre della minore L.E. , si era
impegnato con scrittura privata a corrisponderle, dal
mese di maggio 2004, un contributo mensile di
mantenimento di Euro 500,00; restando poi largamente
inadempiente, così da costringerla ad agire in via
monitoria e ad iscrivere ipoteca giudiziale
sull'immobile in questione: di cui aveva consentito,
poi, la cancellazione a fronte della promessa, non
onorata, di versarle il saldo dovuto.
Costituitosi ritualmente,
il G. eccepiva, in via pregiudiziale, l'inammissibilità
della domanda - stante la natura negoziale del titolo:
come tale, non tutelabile con la misura di cui all'art.
156 cod. civile - e, nel merito, la sua infondatezza.
Con ordinanza 7 gennaio
2008 il presidente del Tribunale di Milano poneva carico
del G. un assegno di mantenimento in favore della minore
di Euro 500,00 mensili ed ordinava il sequestro della
quota di proprietà del G. sull'immobile, fino alla
concorrenza di Euro 100.000,00.
Il successivo reclamo del
G. era dichiarato inammissibile dalla Corte d'appello di
Milano con decreto 14 ottobre 2008, trattandosi di
provvedimento impugnabile dinanzi al tribunale, in
composizione collegiale, nelle forme proprie del
procedimento cautelare uniforme (art. 669 terdecies,
secondo comma, cod. proc. civ.); e non di ordinanza
contenente misure temporanee ed urgenti, assunta dal
presidente nel giudizio di separazione o divorzio (nella
specie, neppure in astratto configurabile, in assenza di
un vincolo di coniugio), suscettibile di reclamo dinanzi
alla Corte di appello (art. 708, terzo e quarto comma,
cod. proc. civ.).
Avverso il decreto, non
notificato, il G. proponeva ricorso per cassazione,
notificato il 9 dicembre 2008, deducendo l'abnormità del
provvedimento e l'errore di diritto nell'interpretazione
degli articoli 156 codice civile e 708 cod. proc.
civile.
In subordine, sollevava
questione di legittimità costituzionale dell'art. 156
cod. civ. nella parte in cui, secondo il diritto
vivente, la decisione del giudice di merito era
sottratta al ricorso straordinario per cassazione ex
art. 111 della Costituzione.
La signora L. non svolgeva
attività difensiva.
All'udienza del 28
novembre 2011 il Procuratore generale ed il difensore
precisavano le rispettive conclusioni, come da verbale,
in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Nell'esporre le ragioni
argomentative a sostegno della sua impugnazione il
ricorrente premette di conoscere e di non contestare la
giurisprudenza di legittimità negatrice della
ricorribilità per cassazione del provvedimento di
sequestro assunto ai sensi dell'art. 156 cod. civile
(Cass., sez. 1, 19 febbraio 2003, n. 2479); solo,
prospettando un'interpretazione adeguatrice di segno
opposto nel caso in esame, in cui non si verte in tema
di provvedimento temporaneo ed urgente assunto
nell'ambito di un giudizio di separazione tra coniugi,
bensì in favore di figlio minore naturale riconosciuto.
Storicamente, la norma era
stata formulata ad esclusivo beneficio del coniuge
separato in via giudiziale. La progressiva estensione a
tutela dei figli di coniugi consensualmente separati,
poi del coniuge in caso di pregressa separazione
consensuale, successivamente altresì in corso di causa e
infine anche dei figli naturali riconosciuti è il
portato di sentenze additive del giudice delle leggi
(Corte cost. 31 maggio 1983, n. 144; Corte cost. 14
gennaio 1987 n.5, Corte cost. 19 luglio 1996 n.258), o
interpretative di rigetto (Corte cost. 7 aprile 1997
n.99).
Dal punto di vista
sistematico, tale sequestro risulta affine, per materia
e funzione, a quello prefigurato dall'art. 146, terzo
comma, cod. civ., che garantisce l'adempimento degli
obblighi di contribuzione a carico di uno dei due
coniugi che si sia allontanato senza giusta causa dalla
residenza familiare: differendone solo nel presupposto
temporale, posteriore al provvedimento che legittimi la
cessazione della convivenza.
Sul formante
giurisprudenziale, questa Corte, nel precedente citato
dallo stesso ricorrente, ha espressamente statuito
l'inammissibilità del ricorso straordinario per
cassazione, ex art. 111 della Costituzione, avverso il
provvedimento della corte d'appello di rigetto del
reclamo contro il decreto del tribunale concessivo del
sequestro previsto dall'art. 156, sesto comma, cod. civ.
(come pure dall'art.8, ultimo comma, legge n.898/1970
nell'ambito del giudizio di cessazione degli effetti
civili del matrimonio).
A tale arresto si può
aggiungere, per analogia di ratio, anche la declaratoria
di inammissibilità dei medesimo mezzo di impugnazione
avverso il rigetto del reclamo contro il decreto del
tribunale riguardante l'ordine di distrazione di somme
dovute da terzi all'obbligato al contributo di
mantenimento, pure contemplato dall'art.156 sesto comma
cod. civile: statuizione, motivata anch'essa con il
regime di revocabilità e modificabilità, senza
preclusioni, del provvedimento conclusivo, incompatibile
con l'attitudine al giudicato connaturale alla
definizione di una controversia su diritti soggettivi o
status personali (Cass., sez. 1, 21 dicembre 2004, n.
23.713).
A fronte di tali
precedenti sta però un indirizzo giurisprudenziale che,
seppur non in stretta aderenza alla fattispecie in
esame, postula espressamente la natura non cautelare del
sequestro sui beni del coniuge: premessa dogmatica
idonea, in nuce, ad indurre un ripensamento sul regime
delle impugnazioni, legato al possibile polimorfismo
della figura (Cass., sez. 1, 28 maggio 2004, n.10.273;
Cass., sez. 1, 28 gennaio 2000, n.944; Cass., sez. 1, 12
maggio 1998, n.4776).
Le questioni da esaminare,
in sede concettuale, sono quindi, in via gradata, la
qualificazione giuridica del sequestro in questione, ai
fini della verifica officiosa del suo regime di
impugnazione e, all'esito eventualmente conforme alla
giurisprudenza negatrice della sua natura definitiva e
decisoria, l'esistenza, o no, di ragioni discretive ove
si verta in fattispecie diversa da quella tipizzata
dalla norma, di separazione tra coniugi.
Così delineato il thema
decidendum, viene innanzitutto all'esame, ai fini di un
corretto inquadramento ermeneutico, il criterio
letterale (art.12, primo comma, disp. sulla legge in
generale).
Il nomen juris di
sequestro palesa, di per sé, un'immediata forza
evocativa dei caratteri di provvisorietà e
strumentalità: oggettivamente incompatibili con il
predicato di definitività decisoria cui è condizionato
il ricorso per cassazione. La categoria tassonomica dei
sequestri designa, infatti, una situazione interinale
destinata a risolversi in un accertamento finale; anche
nel diritto penale, in quanto strumentale
all'espropriazione o alla confisca (art. 189, terzo
comma, cod. penale; artt.321 e 737 cod. proc. pen.).
Appare quindi
giustificata, prima facie, la sussunzione del sequestro
ex art. 156 codice civile nel novero delle cautele,
proprio in virtù del richiamo letterale ad una tipologia
di provvedimenti dai contorni concettuali consolidati;
che, seppur priva, nel corpo codicistico, di una formale
definizione stipulativa (come tale, appartenente al
linguaggio in funzione precettiva: e perciò ben più
vincolativa per l'interprete di una definizione
empirica, secondo i canoni propri dell'analisi del
linguaggio giuridico), risulta consacrata, in sede
sistematica, come la misura cautelare e conservativa per
antonomasia: neppure in astratto suscettibile di
acquisire efficacia anticipatoria del provvedimento
finale (a differenza di altri provvedimenti cautelari),
né tanto meno di riuscire immediatamente satisfattoria
del diritto vantato dalla parte richiedente.
Tale connotato generale e
la correlativa assenza di una definizione alternativa,
per genus et differentiam, dello specifico sequestro ex
art.156 cod. civ. costituiscono solo il primo passaggio
ermeneutico: dovendo essere, naturalmente, inverati
dalla disamina della disciplina positiva dell'istituto,
significativa dell'intenzione del legislatore
(interpretazione teleologica).
Al riguardo, la tesi
negatrice dell'inclusione tra le misure cautelari cd.
extravaganti (in funzione della loro collocazione
topografica sparsa) di cui alla previsione di chiusura
dell'art. 669 quaterdecies cod. proc. civ. si fonda,
precipuamente, su due ordini di ragioni.
Da un lato, si sottolinea
come, a differenza del sequestro conservativo, la misura
in questione presupponga un credito già accertato,
portato da un titolo esecutivo, ancorché in via
provvisoria, in favore di uno dei coniugi (in questo
senso, anche Cass., sez. 1, 19 febbraio 2003 n.2479): e
quindi, non il mero fumus boni iuris richiesto, nella
disciplina generale, per la concessione della cautela.
Dall'altro, si rileva che
la norma non esige neanche il presupposto del pericolo
nel ritardo, bensì solo l'oggettivo inadempimento del
coniuge obbligato (Cass., sez. 1, 28 maggio 2004, n.
10273; Cass., sez. 1, 30 gennaio 1992 n.961).
Da tali aspetti peculiari
e dalla distinta finalità di coazione (anche
psicologica) all'adempimento che si vuole immanente
all'istituto (spunti in tal senso anche in Corte cost.
19 luglio 1996, n.258) discenderebbero, secondo la tesi
in esame, molteplici deviazioni dalla normativa
cautelare uniforme: quali l'inapplicabilità del reclamo
ex art. 669 terdecies cod. proc. civ., l'inammissibilità
del cumulo con il sequestro ordinario e l'inidoneità
alla conversione in pignoramento (art.157 disp. att.
cod. proc. civile). Enunciazioni, tutte, che si leggono
anche in Corte cost. 19 luglio 1996 n. 258, dichiarativa
dell'illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto
comma, cod. civ. nella parte in cui non prevede la
competenza del giudice istruttore ad emettere il
sequestro in corso di causa di separazione.
Tali obiezioni, per quanto
sostenute con dovizia di argomenti e diffusa analisi,
non sembrano dirimenti.
Sotto il primo profilo, si
osserva che il fumus è il limite minimo di sussistenza
di una situazione soggettiva meritevole di tutela
verificabile ex ante; al di sotto del quale, cioè, non
vi può essere adito alla protezione cautelare. Non certo
il limite massimo: con la conseguenza che il quid pluris
rappresentato da un accertamento a cognizione piena, sia
pure non irrevocabile, lungi dal costituire impedimento
ostativo in limine, vale ad esimere il giudice da una
disamina ad hoc di natura sommaria (art.669 sexies,
primo comma, cod. proc. civ.).
Un problema di
compatibilità si pone, semmai, in ordine all'eventuale
concorso con un titolo esecutivo giudiziale già idoneo,
di per sé, alla soddisfazione del diritto mediante
esecuzione coattiva. Ma, a prescindere dalle voci
dottrinarie favorevoli, in linea di principio,
all'ammissibilità della tutela cautelare anche in
presenza di un titolo esecutivo, si osserva che
l'accertamento giudiziario di un'obbligazione di
mantenimento, quale presupposto del sequestro - ma non
indefettibile, dopo la sentenza additiva che ne ha
esteso l'adottabilità anche in corso di causa di
separazione (Corte cost. 19 luglio 1996, n.258) -
riguarda solo la genesi del credito: dovendo poi
tradursi, volta per volta, in un titolo esecutivo per i
singoli contributi storicamente inadempiuti (che
potrebbero involgere anche spese straordinarie
imprevedibili ab origine nell'an e nel quantum),
all'esito di un nuovo giudizio di cognizione, successivo
al sequestro.
I rilievi suesposti
introducono il secondo profilo critico della
qualificazione cautelare, identificato, da parte della
dottrina, nell'insussistenza del concorrente requisito
del periculum in mora, sostituito dal fatto storico
dell'inadempimento.
Al riguardo, si è già
anticipato che il credito di mantenimento storicamente
insoddisfatto, all'esito della plena cognitio con
pronuncia di condanna darà luogo ad un pignoramento.
Laddove, lo spazio di applicazione del sequestro ex art.
156 cod. civ. - di strutturale incapacità satisfattoria
- ricomprenderà crediti futuri non ancora assistiti,
allo stato, da titolo esecutivo: non diversamente
dall'ordinario sequestro conservativo. L'obbligazione di
mantenimento è destinata, infatti, ad avere durata
indefinita. Esclusa l'ammissibilità della decadenza dal
termine ex art.1186 cod. civile, l'inadempimento non
inimputabile (art.1218 cod. civile), né eccettuato da
eventuali cause esimenti - come ad es., la
compensazione, laddove non inammissibile (art.447 cod.
civ.) -assurge quindi, esso stesso, a sintomo, tipizzato
ex lege, del pericolo di ulteriori inadempienze di
prestazioni periodiche di primaria rilevanza in materia
familiare; pur senza il concorso necessario di indizi di
dispersione della garanzia patrimoniale. Nel che non
sembra ravvisabile alcuna peculiarità eccentrica alle
categorie ordinanti della materia cautelare, in cui
l'inadempimento è addotto, d'ordinario, dalla parte
istante come spia sintomatica del pericolo nel ritardo.
Oltre a ciò,
l'inadempimento che giustifica il sequestro può
consistere anche nella mancata prestazione della
garanzia imposta dal giudice ex art. 156, quarto comma,
cod. civile - di incontestabile carattere cautelare ed
espressamente contraddistinta dal requisito del
periculum in mora (art. 156, quarto comma,
cod.proc.civile: "il giudice che pronunzia la
separazione può imporre al coniuge idonea garanzia reale
o personale se esiste il pericolo...") - per la quale
non appare invece richiesto il previo inadempimento
dell'obbligazione contributiva, bastando a giustificarla
il disordine economico del coniuge o il ritardo nei
pagamenti.
Nel contesto della
medesima norma è quindi ravvisabile una progressione
cautelare, legata alla valutazione del comportamento del
debitore, che può anche tradursi nella consecuzione di
misure diverse, senz'alcuno iato logico-giuridico idoneo
a giustificarne, poi, un regime eterogeneo di
impugnazioni.
In questo senso,
nell'assenza dell'ulteriore pericolo di perdere la
garanzia patrimoniale, richiesto, invece, dall'art.671
cod. proc. civile, può essere riconosciuta la specialità
del sequestro in questione (che, altrimenti, non avrebbe
avuto ragione di autonoma previsione), connotata da
parte della dottrina in termini di atipicità: anche se
definire atipico un provvedimento compiutamente regolato
in una fattispecie legale sembra una contradictio in
adiecto.
Resta comunque che il
rapporto di specie a genere, giustificato da taluni
profili differenziali di disciplina, non altera
l'intrinseca natura cautelare del sequestro in esame,
che lo rende insuscettibile, perciò stesso, di concorso
col sequestro conservativo ordinario, ex art.671 cod.
proc. civile, nell'ambito del medesimo giudizio.
In realtà, venuto meno,
nel tempo, il più fondato argomento per il diniego della
natura cautelare, consistente nell'incompatibilità della
revoca (o modifica) per giustificati motivi prevista
dall'art. 156, ultimo comma, cod. civ. con l'allora
vigente giudizio di convalida, non sembrano residuare
nella disciplina positiva impedimenti all'applicazione
della disciplina propria del sequestro conservativo,
anche in tema di mezzi di impugnazione.
Così, proprio alla luce
della ritenuta finalità strumentale, appare ammissibile
la conversione in pignoramento, all'esito dell'eventuale
sentenza di condanna per singoli assegni di mantenimento
insoluti (art.156 disp. att. cod. proc. civ.): a pena di
obbligare, in caso contrario, il creditore alla
reiterazione di un atto esecutivo iniziale
sostanzialmente superfluo.
Neppure vi è ragione di
escludere la revoca del sequestro ex art. 684 cod. proc.
civile (che in realtà è una forma di conversione,
analoga a quella del pignoramento, prevista dall'art.
495 cod. proc civ.), laddove il debitore presti idonea
cauzione per il credito futuro: fattispecie, che
verrebbe ad integrare, appunto, i giustificati motivi
per la revoca previsti dall'ultimo comma dell'art.156
cod. proc. civile, pur non esaurendone la gamma di
ipotesi.
Incontroversa appare, del
resto, l'identità delle forme esecutive del sequestro
con quelle tipiche della disciplina comune (artt.
677-679 cod. proc. civ.).
Né si palesa, infine, in
contrasto con la natura cautelare, sia pur atipica, la
sussistenza di un ulteriore connotato di coercizione
indiretta - che secondo parte della dottrina prenderebbe
il posto della garanzia conservativa - tenuto conto che
esso è larvatamente immanente ad ogni misura cautelare
(in quanto potenzialmente in grado di indurre il
debitore ad adempiere spontaneamente).
In quest'ottica, sembra,
semmai, decisiva l'incapacità assoluta del sequestro a
tradursi in una situazione finale di perdita economica
del coniuge debitore: a differenza, ad es.,
dell'astreinte (art.614 bis cod. proc. civ.; art. 18,
ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori), vero mezzo
di pressione indiretta sul debitore, affinché voglia
adempiere un'obbligazione infungibile di fare,
insuscettibile di esecuzione forzata (quale
evidentemente non è il contributo di mantenimento).
Se dunque dall'analisi
testé condotta su natura giuridica, struttura e funzione
riesce confermata la riconducibilità del sequestro ex
articolo 156 cod. civ. al novero delle cautele, restano
da esaminare due residue argomentazioni a sostegno della
tesi negativa, in ipotesi idonee a consentire la
ricorribilità per cassazione del provvedimento, positivo
o negativo, assunto in sede di reclamo.
L'una adombra
un'improprietà nel nomen juris riferito ad un
provvedimento sostanzialmente esecutivo.
Esclusa la polisemia della
denominazione, esempi di imprecisioni terminologiche, in
subiecta materia, per quanto rari, non mancherebbero del
tutto nel panorama normativo.
Tale sarebbe, ad esempio,
il sequestro previsto dall'art. 7, regio decreto-legge
15 marzo 1927, n. 436, conv. in legge 19 febbraio 1928,
n. 510 (Disciplina dei contratti di compravendita degli
autoveicoli ed istituzione del Pubblico Registro
Automobilistico presso le sedi dell'Automobile club
d'Italia) in favore del venditore dell'autoveicolo
sottoposto a privilegio: sequestro, che ad onta della
denominazione, avrebbe in realtà natura esecutiva, e non
cautelare (Cass., sez.3, 16 marzo 1990, n. 2208). Così
come il sequestro dei beni offerti dal debitore a
garanzia del mutuante, in tema di credito agrario,
contemplato dall'art. 11 della previgente legge 5 luglio
1928, n. 1760 (Cass., sez. 1, 6 marzo 1998 n.2516,
n.2516, che sottolinea espressamente l'improprietà del
termine "sequestro" per un provvedimento assimilabile ad
un vero e proprio pignoramento).
Alla ritenuta natura
esecutiva corrisponderebbe, allora, il regime delle
impugnazioni dettato, alternativamente, dagli artt. 615
e 617 cod. proc. civile: inclusivo, in entrambi i casi,
del ricorso per cassazione.
Ma, a prescindere dai
dubbi sollevati dalla torsione funzionale dell'istituto,
per effetto dell'equiparazione di un provvedimento del
giudice (qual è sempre un sequestro) ad un atto di
parte, come il pignoramento, (che non richiede il previo
filtro giudiziale di ammissibilità), in contrasto con il
carattere tendenzialmente stringente delle denominazioni
adottate dal legislatore, resta che nel contesto
dell'art.156 cod. civ. l'ipotesi di un'inesattezza
lessicale sembra decisamente da escludere in ordine ad
un provvedimento strutturalmente inidoneo, come detto, a
realizzare la soddisfazione del credito del coniuge: a
differenza degli esempi sopra riportati, in cui il
sequestro è in stretto collegamento funzionale con la
vendita coattiva dei beni sottoposti a privilegio.
Una seconda configurazione
alternativa della fattispecie prospetta la decisione
assunta in sede di reclamo come atta al giudicato rebus
sic stantibus, al pari delle sentenze e dei
provvedimenti in tema di rapporti patrimoniali tra
coniugi.
Ma, ancora una volta, è il
contenuto intrinsecamente provvisorio e strumentale alla
conservazione della garanzia patrimoniale che porta ad
escludere, anche sotto questo profilo, il polimorfismo
della figura, segnato da un preteso (ed eccezionale)
carattere definitivo e decisorio. Contro tale
configurazione ancipite del sequestro cospira altresì la
stessa competenza concorrente del giudice istruttore
(riconosciuta a seguito della pronunzia additiva
258/1996 della Corte costituzionale): e cioè, di un
organo istituzionalmente privo di potere decisorio, al
di fuori dell'unicum rappresentato dalla conversione
postuma di una sua ordinanza in sentenza (art.186 quater
cod. proc civile). Il giudice istruttore emette,
infatti, il sequestro con ordinanza, soggetta, nella
stessa forma, a revoca o modifica secondo la regola
generale dell'art.177 cod. proc. civile (oltre che della
disciplina uniforme propria del sottosistema
cautelare:art. 669 decies cod. proc. civ.). E dunque,
senza attitudine al giudicato o stabilità da preclusioni
interne, pregiudicanti la decisione di merito (art.178
cod. proc. civ.).
A ben vedere, anzi, la
revoca del sequestro di cui all'art.156, ultimo comma,
cod. civile, è ben diversa, nonostante l'omonimia, dalla
revoca dei provvedimenti decisori rebus sic stantibus,
dovendo essere richiesta allo stesso giudice (anche
istruttore; eventualmente, pure al giudice d'appello)
che l'ha emesso; laddove la domanda di revoca, o di
modificazione, di una decisione "allo stato" riveste la
forma di un'ordinaria edictio actionis, soggetta al
rispetto degli ordinari gradi di cognizione.
Un'indiretta conferma
della sostanziale identità di natura cautelare emerge,
in ultima analisi, dall'analogo sequestro dei beni del
coniuge previsto dall'art.8, settimo comma, legge 1
dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio), nel testo emendato dalla
legge 6 marzo 1987, n.74; caratterizzato da una
significativa divergenza in ordine al presupposto
oggettivo, privo del riferimento all'inadempimento
dell'obbligato all'assegno divorzile o al contributo di
mantenimento per i figli (artt. 5 e 6).
Il che accentua la natura
squisitamente cautelare del provvedimento, in una
materia perfettamente affine, eliminando proprio quel
requisito oggettivo ritenuto discriminante da parte
della dottrina.
Sulla base della suesposta
ricostruzione dogmatica merita dunque conferma
l'inammissibilità del ricorso straordinario, ex art. 111
Costituzione, avverso l'ordinanza della Corte di appello
di Milano reiettiva del gravame del G. avverso il
decreto di sequestro ex art. 156 cod. civ., in
conformità con la costante giurisprudenza di legittimità
(a partire da Cass., sez. unite, 24 gennaio 1995 n. 824)
in tema di provvedimenti cautelari.
Né sussistono ragioni
derogative in ordine alla fattispecie in esame - in cui
si verte in tema di assegno di mantenimento attribuito
al figlio naturale riconosciuto, al di fuori di un
rapporto processuale tra coniugi - alla luce dell’eadem
ratio, consacrata dalla Corte costituzionale nelle sue
pronuncie additive che hanno reso applicabile il
sequestro in esame oltre i limiti dei giudizio di
separazione personale, cui era confinato nel testo
originario dell'art. 156 cod. civile.
La riconducibilità del
provvedimento in esame alla categoria cautelare da
altresì conto della manifesta infondatezza
dell'eccezione di illegittimità costituzionale
dell'art.156 cod. civ. nella parte in cui non consente,
in base al diritto vivente, il ricorso straordinario per
cassazione ex art. 111 della Costituzione.
Il ricorso dev'essere
dunque dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
- Dichiara inammissibile
il ricorso.
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