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Per sostituire la
detenzione domiciliare con il lavoro socialmente utile è
sufficiente che il condannato non si opponga e non è
necessaria la sua richiesta. La Corte di cassazione, con
la sentenza 4927, nega che incomba sul condannato
l'obbligo, non solo di fare domanda per il lavoro
socialmente utile, ma anche di indicare l'ente presso il
quale svolgere l'attività e di ottenerne il consenso.
Gli ermellini censurano così il comportamento della
Corte d'Appello di Torino, che aveva rifiutato di
accogliere la domanda del ricorrente desideroso di
sostituire la detenzione domicilare con il lavoro di
pubblica utilità. Un desiderio che non poteva essere
soddisfatto - secondo i giudici di merito- perché il
ricorrente non aveva fornito quanto richiesto:
indicazione dell'ente, consenso, e calendario delle
giornate lavorative da impiegare. Richieste che la
Suprema corte bolla come ultronee, spiegando che spetta
invece al giudice individuare i tempi e i modi per
l'espiazione alternativa della condanna. Anzi, la corte
precisa che per il lavoro di pubblica utilità non è
necessaria neppure la domanda specifica da parte del
diretto interessato, basta che non ci sia opposizione
alla proposta. Gli ermellini ammettono che sul punto c'è
stata una sentenza (sezione VI 7 luglio 2011 n.31145) in
linea con quanto stabilito dalla corte d'Appello ma
invitano a superare l'orientamento. |
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