Persona e danno.it
(…)
“il termine di quindici
giorni di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, - nel
testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169,
art. 2, comma 4, entrato in vigore il 1 gennaio 2008
(art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi dell'art.
22, comma 2, dello stesso decreto legislativo, "ai
procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti
alla data della sua entrata in vigore, nonchè alle
procedure concorsuali e di concordato fallimentare
aperte successivamente alla sua entrata in vigore" -
deve essere qualificato come termine di natura
"dilatoria" e "a decorrenza successiva" e computato,
secondo il criterio di cui all'art. 155 c.p.c., comma 1,
escludendo il giorno iniziale (data della notificazione
del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione)
e conteggiando quello finale (data dell'udienza di
comparizione).”
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo -
Primo Presidente f.f. -
Dott. DE LUCA Michele -
Presidente Sez. -
Dott. GOLDONI Umberto -
Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore -
rel. Consigliere -
Dott. TOFFOLI Saverio -
Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo -
Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio -
Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo -
Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco -
Consigliere -
ha pronunciato la
seguente:
sentenza
sul ricorso 18094/2009
proposto da:
FALLIMENTO EXPOR.TER.
S.R.L. IN LIQUIDAZIONE ((OMISSIS)), in
persona del Curatore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA VERONA 9, presso lo
studio dell'avvocato CALDARA GIAN ROBERTO,
rappresentata e difesa
dall'avvocato ZINGARELLI LUIGI, per delega in
calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
EXPOR.TER IN LIQUIDAZIONE
((OMISSIS)), in persona del liquidatore
pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA APPIANO 8, presso
lo studio dell'avvocato
CASTELLANA ORAZIO, rappresentata e difeso
dagli avvocati LONGARINI
MASSIMO, COLALELLI STEFANO, per delega in
calce al controricorso e
ricorso incidentale;
- controricorrente e
ricorrente incidentale -
e contro
CARTOPLASTICA PALOMBO DI
PALOMBO QUIRINO, FERRAMENTA SEVERI DI
VECCHIETTI DANTE & C.
S.A.S.;
- intimati -
avverso la sentenza n.
249/2009 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA,
depositata il 12/06/2009;
udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del
08/11/2011 dal Consigliere
Dott. SALVATORE DI PALMA;
uditi gli avvocati Luigi
ZINGARELLI, Massimo LONGARINI;
udito il P.M. in persona
del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GAMBARDELLA Vincenzo, che
ha concluso per il rigetto del primo,
secondo e quarto motivo,
assorbito il terzo ed il ricorso
incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - A seguito di ricorso
in data 1 dicembre 2008, presentato al Tribunale di
Terni da P.Q., titolare della impresa individuale
Cartoplastica Palombo, per la dichiarazione di
fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione, il
Giudice delegato, con decreto del 3 dicembre 2008, tra
l'altro, convocò dinanzi a sè la debitrice s.r.l.
Exporter, in persona del legale rappresentante prò
tempore, ed il creditore istante per l'udienza del 12
gennaio 2009, mandando a tale creditore di notificare il
ricorso ed il decreto "entro il termine di 15 giorni
prima dell'udienza fissata, con deposito entro l'udienza
dell'atto notificato".
Nell'udienza del 12
gennaio 2009, in assenza della Società debitrice, il
difensore del Palombo fece presente che la notificazione
del ricorso e del decreto alla debitrice era stata
eseguita presso la sede sociale a mezzo del servizio
postale, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art.
3, comma 3, (Facoltà di notificazioni di atti civili,
amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e
procuratori legali), con spedizione del piego
raccomandato con avviso di ricevimento in data 15
dicembre 2008, e che il piego raccomandato, non potuto
consegnare per assenza della destinataria, era stato
depositato presso l'ufficio postale preposto alla
consegna in data 16 dicembre 2008, ai sensi della L. 20
novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2, (Notificazione
di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta
connesse con la notificazione di atti giudiziari), con
contestuale spedizione dell'avviso di deposito alla
stessa Società debitrice, sottolineando altresì che la
notificazione si era perfezionata, per compiuta giacenza
ai sensi della stessa L. n. 890 del 1982, art. 8, comma
4, in data 27 dicembre 2008. Nella stessa udienza del 12
gennaio 2009 il Tribunale - preso atto del ricorso e del
decreto così notificati e disposta la riunione di altra
istanza per la dichiarazione di fallimento della s.r.l.
Exporter in liquidazione, presentata dalla s. a. s.
Ferramenta Severi di Vecchietti Dante & C. - si riservò
di decidere e, con sentenza n. 7 del 30 gennaio 2009,
dichiarò il fallimento della s.r.l. Exporter in
liquidazione.
2. - A seguito di reclamo
di quest'ultima - la quale sosteneva che non era stato
rispettato il termine dilatorio di quindici giorni tra
la data della notificazione del ricorso e del decreto di
convocazione e quella dell'udienza, di cui alla L.
Fall., art. 15, comma 3, nel testo sostituito dal D.Lgs.
12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 4, applicabile
ratione temporis -, la Corte d'Appello di Perugia, con
sentenza n. 249/09 del 12 giugno 2009, revocò la
dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in
liquidazione.
In particolare, la Corte
di Perugia ha osservato che: a) la notificazione de qua
fu eseguita a mezzo del servizio postale, ai sensi della
menzionata L. n. 53 del 1994; b) per l'assenza del
destinatario, il piego raccomandato fu depositato presso
l'ufficio postale preposto alla consegna in data 16
dicembre 2008; c) "nessuno essendosi presentato a
ritirare il plico, la notifica si perfezionò con la
giacenza di dieci giorni"; d) "La giacenza si completò
il giorno 29 dicembre, poichè i giorni 25 e 26 dicembre
sono festivi mentre il giorno 27 era sabato ed il 28 era
domenica, quindi nessuno di questi giorni era utile alla
scadenza, stante il disposto degli ultimi due commi
dell'art. 155 c.p.c.. Primo dei quindici giorni del
termine dilatorio della L. Fall., art. 15. fu quindi il
30 dicembre.
Ultimo dei quindici giorni
liberi era il 13 gennaio, ma l'udienza si tenne, come
disposto, lunedì 12 gennaio. All'udienza nessuno
comparve per la società debitrice.... Evidente la
violazione del contraddittorio, per non essere stato
garantito al debitore termine pari a quello previsto
dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione, deve
essere revocata la sentenza dichiarativa di fallimento,
affetta da nullità".
3. - Avverso tale sentenza
il Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro
motivi di censura, illustrati con memoria.
Resiste, con
controricorso, la s.r.l. Exporter in liquidazione, la
quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su
un motivo, cui resiste, con controricorso, il
Fallimento.
3.1. - Con il primo (con
cui deduce: "Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al computo dei termini
ed alla loro eventuale proroga: art. 360 c.p.c., comma
1, n. 3, art. 155 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 8,
nel testo vigente"), e con il secondo motivo (con cui
deduce: "Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al computo dei termini
ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in
giorno festivo:
art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3, art. 155 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 8, e
relative modifiche") - i quali possono essere esaminati
congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta
connessione -, il Fallimento ricorrente principale
critica la sentenza impugnata, sostenendo che il termine
di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, non è
qualificabile come "termine processuale", con la
conseguenza che ad esso non si applica la disciplina di
cui all'art. 155 c.p.c.. Al riguardo, il ricorrente -
premesso che per "termini processuali" debbono
intendersi "quelli che ineriscono al (e si inseriscono
nel) processo" e che "più in particolare il riferimento
di cui all'art. 155 c.p.c., è ai termini previsti dal
codice di rito" - afferma che il termine di cui alla L.
n. 890 del 1982, art. 8, oltre ad essere previsto da una
legge estranea al codice di rito, non è preordinato allo
svolgimento di attività processuali, limitandosi a
contenere una "previsione assoluta di conoscenza
dell'atto da parte del destinatario della notifica";
sostiene, inoltre, che il termine previsto dall'art. 155
c.p.c. "attiene ad una attività da compiersi da parte di
colui a favore del quale quel termine è posto", vale a
dire, con riferimento all'attività di notificazione, "ad
un'attività del soggetto notificante", l'attività
processuale del quale "si è esaurita con la richiesta di
notifica"; aggiunge, infine, che la proroga del termine
che scade in giorno festivo non è prorogabile sempre e
comunque ma soltanto in relazione ai termini
"acceleratori" e, quindi, soltanto "per coloro che ne
sono destinatari". Nella specie, trattandosi dei termine
previsto dalla L. Fall., art. 15, comma 3, cioè di un
termine "dilatorio", la sua scadenza nel giorno di
sabato non era prorogabile al giorno del lunedì
successivo, con la conseguenza che, nel giorno del 12
gennaio 2009 (celebrazione dell'udienza di convocazione
del debitore), il termine dilatorio di quindici giorni,
di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, doveva ritenersi
pienamente rispettato.
Con il terzo motivo (con
cui deduce: "Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al regime applicabile
al procedimento finalizzato alla dichiarazione di
fallimento instauratasi nel dicembre 2008): art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3, art. 155 c.p.c., D.Lgs. 12
settembre 2007, n. 169, art. 15"), il ricorrente
principale critica per altro verso la sentenza
impugnata, sostenendo che il termine di quindici giorni
di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, non è
qualificabile come "termine libero", con la conseguenza
che - contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
perugina - il dies a quo non deve essere computato,
mentre va computato il dies ad quem, con l'ulteriore
conseguenza che l'udienza di convocazione del debitore
del 12 gennaio 2009 doveva considerarsi assolutamente
valida;
Con il quarto motivo (con
cui deduce: "Violazione e falsa applicazione di norme di
legge, con specifico riferimento al computo dei termini
ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in
giorno di sabato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art.
155 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 8, e relative
modifiche"), il ricorrente principale critica, infine,
la sentenza impugnata, sostenendo che - contrariamente a
quanto ritenuto dai Giudici a quibus -la giornata del
sabato deve considerarsi "lavorativa", in particolare
anche quanto all'attività di notificazione degli atti
sia per il notificante sia per il notificato.
3.1.1. - La
controricorrente eccepisce, preliminarmente,
l'inammissibilità del ricorso principale, in quanto il
curatore fallimentare non avrebbe nè la legittimazione
nè l'interesse a proporre ricorso per cassazione avverso
la sentenza impugnata, senza neppure il previo parere
del comitato dei creditori.
3.2. - Con l'unico motivo
(con cui deduce: "Violazione e falsa applicazione di
norme di legge, con specifico riferimento al R.D. n. 12
del 1941, art. 47 quinquies, e dell'art. 158 c.p.c.:
art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, R.D. n. 12 del 1941,
art. 47 quinquies, e dell'art. 158 c.p.c."), la
ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata,
affermando che la Corte d'Appello aveva respinto
l'eccezione, dalla stessa sollevata, relativa al vizio
di costituzione del collegio giudicante in primo grado
ed osservando al riguardo che il Tribunale di Terni era
stato presieduto da un giudice anziano e non dal
Presidente del Tribunale che, in quanto in servizio,
avrebbe dovuto e potuto presiedere il collegio
giudicante, con conseguente nullità della sentenza
dichiarativa di fallimento per vizio di costituzione del
giudice, in quanto la sostituzione del Presidente del
Tribunale non risultava dettata nè da previsione
tabellare nè da motivato impedimento dello stesso. A
conclusione del motivo, la ricorrente incidentale
formula il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte
se sia valida e/o esistente la sentenza dichiarativa di
fallimento emessa da un Tribunale in composizione
Collegiale e riunito in Camera di Consiglio composto tra
gli altri da un Giudice facente funzioni di Presidente
anzichè dal Presidente del Tribunale senza previsione
tabellare e/o ragioni e motivi di impedimento ovvero se
la stessa sia invalida e/o nulla e/o inesistente in
quanto tale da violare il R.D. n. 12 del 1941, art. 47
quinquies,... e le prescrizioni in materia tabellare".
3.2.1. - Il ricorrente
principale eccepisce l'inammissibilità del ricorso
incidentale, innanzitutto, perchè la sentenza impugnata
non si è pronunciata sulla questione; in secondo luogo,
perchè il motivo è privo di autosufficienza; in terzo
luogo, perchè è stato formulato un quesito di diritto
plurimo e tautologico; infine, perchè le tabelle
concernenti i collegi giudicanti si riferiscono alle
udienze pubbliche e non alle adunanze in camera di
consiglio, relativamente alle quali il collegio può
essere presieduto sia dai presidente del tribunale sia
dal giudice che ne esercita le funzioni sia dal giudice
più anziano.
4. - I ricorsi sono stati
assegnati alla Prima Sezione civile.
Tale Sezione, con
ordinanza interlocutoria n. 5144/11 del 3 marzo 2011, ha
disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente
per l'eventuale rimessione dei ricorsi alle Sezioni
Unite, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2,
presentando essi una questione di massima di particolare
importanza. Al riguardo, il Collegio rimettente ha
osservato: "La questione... riguarda la corretta
qualificazione dell'attività che il notificando avrebbe
dovuto porre in essere per l'acquisizione dell'atto
notificato, dovendosi più precisamente chiarire se
l'atto del ritiro della notifica possa essere inteso
come atto processuale, e se la coincidenza dell'ultimo
giorno fissato per il deposito dell'atto con la giornata
di sabato determini o meno la proroga al primo giorno
seguente non festivo".
Tale chiarimento, ad
avviso della Prima Sezione, presenta profili di
delicatezza in ragione della diversità dei momenti di
verificazione degli effetti della notifica per il
notificante e per il notificato (Corte costituzionale,
sentenza n. 477 del 2002), della decorrenza degli
effetti della notifica per il destinatario che abbia
ritirato il plico dopo l'ultimo dei prescritti dieci
giorni di giacenza (L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8,
comma 4), della possibilità per il notificando di
ritirare comunque il plico anche dopo la scadenza del
decimo giorno, fermi gli effetti legali sopra richiamati
riconducibili alla scadenza dell'ultimo giorno di
giacenza, per la potenziale incidenza della
interpretazione data sul punto dal giudice di
legittimità su una pluralità di controversie.
5. - Assegnati i ricorsi a
queste Sezioni unite, ambedue le parti hanno depositato
memorie.
All'odierna udienza di
discussione, il Procuratore Generale ha concluso per il
rigetto del primo, secondo e quarto motivo del ricorso
principale, assorbiti il terzo motivo dello stesso
ricorso principale ed il ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Preliminarmente, deve
essere disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335
c.p.c., del ricorso principale e di quello incidentale,
in quanto entrambi sono stati proposti contro la stessa
sentenza.
2. - Sempre in via
preliminare, deve essere esaminata l'eccezione -
sollevata dalla controricorrente - di inammissibilità
del ricorso principale, in quanto il nominato curatore
del Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione non
avrebbe nè la legittimazione nè l'interesse a proporre
ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia
revocato la dichiarazione di fallimento.
L'eccezione non è fondata.
Deve premettersi che la
fattispecie di procedura concorsuale de qua ricade
interamente sotto la disciplina della legge fallimentare
nel testo risultante a seguito dell'entrata in vigore -
il 1 gennaio 2008 - del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169
(Disposizioni integrative e correttive del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267, nonchè al D.Lgs. 9 gennaio 2006,
n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del
concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa, ai sensi della L. 14 maggio 2005, n. 80,
art. 1, commi 5, 5 bis e 6):
ciò, conformemente a
quanto disposto dallo stesso D.Lgs. n. 169 del 2007,
art. 22, comma 2, - secondo cui "Le disposizioni del
presente decreto si applicano... alle procedure
concorsuali e di concordato fallimentare aperte
successivamente alla sua entrata in vigore" -, in quanto
il fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione è
stato dichiarato con la sentenza del Tribunale di Terni
n. 7 del 30 gennaio 2009.
Tanto premesso, la L.
Fall., art. 18, comma 12, - nel testo sostituito dal
D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 2, comma 7, testo
sostanzialmente identico a quello precedentemente
sostituito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 16, -
stabilisce che "La sentenza che revoca il fallimento è
notificata, a cura della cancelleria, al curatore, al
creditore che ha chiesto il fallimento e al debitore, se
non reclamante, e deve essere pubblicata a norma
dell'art. 17". Lo stesso art. 18, comma 14, fissa il
termine di trenta giorni dalla notificazione per
proporre il ricorso per cassazione ed il successivo
comma 15, dispone che, 2Se il fallimento è revocato,
restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti
dagli organi della procedura".
Queste essendo le
disposizioni immediatamente rilevanti per decidere la
questione se il curatore fallimentare, nel caso in cui
la dichiarazione di fallimento sia stata revocata in
sede di reclamo, sia legittimato o no a proporre ricorso
per cassazione avverso la sentenza di revoca, va
sottolineato che la Prima Sezione Civile ha enunciato il
principio per il quale deve ritenersi ammissibile il
ricorso per cassazione proposto dal curatore avverso la
sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, in
quanto il fallimento viene meno, con la conseguente
decadenza dei suoi organi, soltanto con il passaggio in
giudicato della sentenza di revoca, salva la verifica
nel singolo caso, ai sensi dell'art. 100 c.p.c.,
dell'esistenza dell'interesse dello stesso curatore ad
agire o a contraddire (cfr., le sentenze nn. 4632 del
2009 e 4707 del 2011, ambedue pronunciate in fattispecie
assoggettate alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 5 del
2006).
Tale principio, condiviso
peraltro dalla prevalente dottrina, deve essere qui
ribadito.
In primo luogo, perchè -
come già esattamente e sostanzialmente osservato con la
citata sentenza n. 4632 del 2009 - la L. Fall., art. 18,
menzionati commi 12 e 14, prevedendo rispettivamente che
la sentenza di revoca del fallimento deve essere
notificata (anche) al curatore e che avverso tale
sentenza può essere proposto ricorso per cassazione,
mostrano che il legislatore della riforma - come, del
resto, già l'originario testo dell'art. 19, comma 1, -
ha inteso far decorrere la decadenza degli organi
preposti al fallimento a far tempo dal passaggio in
giudicato della sentenza di revoca, restando altrimenti
senza plausibile ragione la previsione della
notificazione di tale sentenza (anche) al curatore.
In secondo luogo, e
soprattutto, perchè l'esigenza di certezza giuridica
espressa nel generale principio di conservazione degli
effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure
concorsuali - ricavabile dagli artt. 21, primo comma,
della legge fallimentare, nel testo originario
(riprodotto nel vigente art. 18, comma 15, nel testo
sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 2, comma 7),
D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 10, comma 2, e art. 33,
(per l'amministrazione straordinaria) e D.L. n. 347 del
2003, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. n.
39 del 2004 -, comporta che, in relazione alla
costituzione dei rapporti processuali attinenti ai
soggetti sottoposti a tali procedure concorsuali,
l'apertura delle stesse, con la nomina dei loro organi
sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la
immissione degli stessi nel possesso e nella gestione
del patrimonio, costituisce un "fatto giuridico" di per
sè idoneo a radicare la legittimazione processuale,
attiva e passiva, di detti organi in relazione ai
rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere
dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e
finchè questo non venga rimosso, annullato, dichiarato
nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia
giurisdizionale passata in giudicato, la quale renda non
più proseguibile la procedura con efficacia ex nunc
(cfr. la sentenza n. 27346 del 2009, pronunciata a
sezioni unite).
Ciò vale tanto più nel
caso, quale quello di specie, in cui la revoca della
dichiarazione di fallimento sia stata determinata non
già dall'insussistenza dei presupposti soggettivi e/o
oggettivi necessari per tale dichiarazione, bensì
dall'invalidità - sia pur cagionata dalla denunciata
violazione di diritti fondamentali del debitore - di un
atto del procedimento per la dichiarazione di
fallimento.
3. - La singolare
fattispecie sottostante ai ricorso principale è la
seguente: a) il giudice delegato del Tribunale
(fallimentare) di Perugia, con decreto del 3 dicembre
2008, emesso ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3,
- nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art.
3, comma 4, - convoca la debitrice s.r.l. Explorer in
liquidazione per l'udienza del 12 gennaio 2009, mandando
al creditore Palombo di notificare il ricorso ed il
decreto "entro il termine di 15 giorni prima
dell'udienza"; b) il creditore esegue la notifica, a
mezzo del servizio postale, ai sensi della L. 21 gennaio
1994, n. 53, art. 3, comma 3, (Facoltà di notificazioni
di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli
avvocati e procuratori legali), spedendo il piego
raccomandato con avviso di ricevimento in data 15
dicembre 2008; c) tale piego, non consegnato per
temporanea assenza della destinataria, viene depositato
presso l'ufficio postale preposto alla consegna in data
16 dicembre 2008, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n.
890, art. 8, comma 2, (Notificazione di atti a mezzo
posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la
notificazione di atti giudiziari); d) nella stessa data
del 16 dicembre 2008, l'agente postale compie le
formalità, di cui alla stessa L. n. 890 del 1982, art.
8, comma 2, e spedisce alla Società Explorer l'avviso
ivi previsto; e) all'udienza del 12 gennaio 2009, la
Società debitrice non compare e, con sentenza n. 7 del
30 gennaio 2009, il Tribunale di Perugia ne dichiara il
fallimento.
A fronte di tale
fattispecie, la ratio deciderteli della sentenza
impugnata, di revoca della dichiarazione di fallimento
della s.r.l.
Explorer in liquidazione
per nullità (derivata) della sentenza di primo grado,
sta nei seguenti passaggi argomentativi: a) la
notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di
convocazione alla Società debitrice, non essendo stato
da questa ritirato il relativo piego raccomandato, deve
intendersi perfezionata "per compiuta giacenza", ai
sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, in data
29 dicembre 2008, perchè il decimo giorno successivo al
16 dicembre 2008 (data di spedizione della lettera
raccomandata contenente l'avviso di deposito) -
coincidente con il 26 dicembre 2008, giorno festivo ai
sensi della L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 2, e seguito
da un sabato (27 dicembre) e da una domenica (28
dicembre) - deve intendersi prorogato appunto al 29
dicembre, in forza del combinato disposto dei commi
quinto e quarto dell'art. 155 c.p.c.; b) posto che i
quindici giorni tra la data della notificazione del
ricorso e del decreto di convocazione e la data
dell'udienza, di cui al termine stabilito dalla L.
Fall., art. 15, comma 3, debbono qualificarsi come
"liberi", e che il dies a quo di tale termine coincide,
per le anzidette ragioni, con la data del 30 dicembre
2008, il dies ad quem dello stesso termine cade nella
data del 13 gennaio 2009, giorno seguente a quello
fissato per l'udienza di comparizione delle parti, con
la conseguenza che, essendo stato violato il
contraddittorio, "per non essere stato garantito al
debitore termine pari a quello previsto dalla norma e
dallo stesso decreto di convocazione", la sentenza
dichiarativa di fallimento è affetta da nullità.
3.1. - La su descritta
fattispecie, la ratio decidendo della sentenza impugnata
e le censure formulate dal ricorrente principale
pongono, pertanto, due distinte, anche se connesse,
questioni di diritto: a) se - nel caso in cui: il
debitore sia stato convocato per l'udienza di cui alla
L. Fall., art. 15, comma 3, nel testo sostituito dal
D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 3, comma 4, la
notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di
convocazione sia stata eseguita a mezzo del servizio
postale, la consegna del piego raccomandato non sia
stata effettuata per temporanea assenza del notificato,
tale piego sia stato depositato presso l'ufficio postale
preposto alla consegna ed il termine di dieci giorni, di
cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, cada in
giorno festivo, seguito da un sabato e da una domenica -
la scadenza di tale termine debba, o no, essere
prorogata di diritto, ai sensi del combinato disposto
dei commi quinto e quarto dell'art. 155 c.p.c., al primo
giorno seguente non festivo; e se, previamente e più in
generale, il termine medesimo, previsto per il
compimento della cosiddetta "compiuta giacenza" e quindi
per il perfezionamento della notificazione eseguita a
mezzo del servizio postale, sia qualificabile, o no,
come termine "per il compimento degli atti processuali
svolti fuori dell'udienza" ai sensi dell'art. 155
c.p.c., comma 5, con la conseguenza, in caso di risposta
affermativa, che il termine medesimo, ove cadente nella
giornata del sabato, deve essere prorogato di diritto al
primo giorno seguente non festivo; b) come, nella stessa
fattispecie, debba essere qualificato, anche ai fini del
suo computo, il termine "non inferiore a quindici
giorni", che "deve intercorrere" tra la data della
notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di
convocazione del debitore e quella dell'udienza, di cui
al più volte citata L. Fall., art. 15, comma 3.
3.1.1. - Ad avviso di
queste sezioni unite, le risposte al primo quesito non
possono che essere affermative.
3.1.2. - Al riguardo, il
quadro normativo rilevante è costituito dalle seguenti
disposizioni.
A) L'art. 149 c.p.c.,
comma 3, - aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263,
art. 2, comma 1, lett. e), entrato in vigore il 1 marzo
2006 ed applicabile alla specie ratione temporis -, nel
disciplinare la notificazione a mezzo del servizio
postale, dispone: "La notifica si perfeziona, per il
soggetto notificante, al momento della consegna del
plico all'ufficiale giudiziario e, per il destinatario,
dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza
dell'atto".
Tale disposizione - la cui
aggiunta è stata determinata dalla dichiarazione di
illegittimità costituzionale "del combinato disposto
dell'art. 149 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n.
890, art. 4, comma 3..., nella parte in cui prevede che
la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla
data di ricezione dell'atto da parte del destinatario
anzichè a quella, antecedente, di consegna dell'atto
all'ufficiale giudiziario" (Corte costituzionale,
sentenza n. 477 del 2002) - codifica innanzitutto il
principio di scissione fra i due momenti di
perfezionamento della notificazione, conformemente a
quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale:
"... risulta ormai presente nell'ordinamento processuale
civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli
atti, il principio secondo il quale - relativamente alla
funzione che sul piano processuale, cioè come atto della
sequenza del processo, la notificazione è destinata a
svolgere per il notificante - il momento in cui la
notifica si deve considerare perfezionata per il
medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si
perfeziona per il destinatario; pur restando fermo che
la produzione degli effetti che alla notificazione
stessa sono ricollegati è condizionata al
perfezionamento del procedimento notificatorio anche per
il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui
la legge preveda termini o adempimenti o comunque
conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi
debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in
cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti" (così
la sentenza n. 28 del 2004, n. 4, del Considerato in
diritto; cfr. anche le ordinanze nn. 97, 132 e 153 del
2004, nonchè la sentenza n. 3 del 2010).
La stessa disposizione,
inoltre - nella parte in cui stabilisce che la notifica
si perfeziona per il destinatario dal momento in cui
questo "ha la legale conoscenza dell'atto" -, tiene
conto, per ragioni di coerenza sistematica, proprio del
fatto che nella notificazione a mezzo del servizio
postale il perfezionamento della notifica non sempre
coincide con il materiale recapito o ritiro del piego
raccomandato da parte del notificato, potendo invece
coincidere, come nella specie, con l'inutile spirare del
termine di "compiuta giacenza", di cui alla L. n. 890
del 1982, art. 8, comma 4.
B) La L. n. 890 del 1982,
art. 8, comma 4, - nel testo sostituito dal D.L. 14
marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 4, lett. c), n. 3,
convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005,
n. 80, art. 1, comma 1, entrato in vigore il 17 marzo
2005 ed applicabile alla specie ratione temporis -,
stabilisce: "La notificazione si ha per eseguita decorsi
dieci giorni dalla data di spedizione della lettera
raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data
del ritiro del piego, se anteriore".
Tale disposizione realizza
- contemperandoli - due diversi e contrapposti
interessi: quello del notificante, anche sia comunque
assicurato un termine finale per il perfezionamento del
procedimento di notificazione dallo stesso promosso,
spirato il quale, appunto, "la notificazione si ha per
eseguita" anche in mancanza di ritiro del piego
depositato da parte del destinatario, che pertanto, da
tale momento, "ha la legale conoscenza dell'atto";
quello del notificato - nei casi, di cui allo stesso
art. 8, comma 2, di mancato recapito del piego - a
disporre di un termine ragionevole per il ritiro dello
stesso presso l'ufficio postale preposto alla consegna,
dal momento che la previsione di tale termine risponde
al "fondamentale diritto del destinatario della
notificazione ad essere posto in condizione di
conoscere, con l'ordinaria diligenza e senza necessità
di effettuare ricerche di particolare complessità, il
contenuto dell'atto e l'oggetto della procedura
instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il
diritto di difesa del destinatario medesimo ad una
garanzia di conoscibilità puramente teorica dell'atto
notificatogli" (così la sentenza della Corte
costituzionale n. 346 del 1998, n. 5.2. del Considerato
in diritto).
C) L'art. 155 cod. proc.
civ., sul computo dei termini, dispone, ai comma 4, che,
"se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è
prorogata di diritto al primo giorno seguente non
festivo", e, ai commi quinto e sesto - aggiunti dalla
citata L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. f),
entrati in vigore il 1 marzo 2006, applicabili anche ai
processi pendenti a tale data (L. 18 giugno 2009, n. 69,
art. 58, comma 3: cfr. le ordinanze nn. 7841 del 2011,
454 del 2010, 15636 del 2009 e la sentenza n, 6212 del
2010) ed applicabili alla specie ratione temporis -,
che: "La proroga prevista dal comma 4, si applica
altresì ai termini per il compimento degli atti
processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella
giornata del sabato (comma 5). Resta fermo il regolare
svolgimento delle udienze e di ogni altra attività
giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata
del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa
(comma 6)".
Tali commi aggiunti -
inseriti frettolosamente e senza particolari
approfondimenti dal legislatore nel corpo dell'art. 155,
come emerge dall'esame dei lavori preparatori -, per un
verso (quinto comma), assimilano il giorno del sabato a
quello festivo, limitatamente però "ai termini per il
compimento degli atti processuali svolti fuori
dell'udienza che scadono nella giornata del sabato", per
l'altro (comma 6), puntualizzano tuttavia che in tale
giornata - "ad ogni effetto considerata lavorativa" -
"resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di
ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da
ausiliari".
In mancanza di elementi
desumibili dai lavori preparatori, la ratio sottesa
all'art. 155, comma 5, sembra stare nella generica
agevolazione al rispetto dei termini che scadono nella
giornata del sabato da parte dei soggetti partecipanti
al processo, per il compimento di quegli atti
processuali che devono necessariamente effettuarsi al di
fuori dell'udienza, ciò coerentemente con il progressivo
tendenziale riconoscimento, da parte del legislatore,
della "diversità" della giornata del sabato - nella
cultura sempre più diffusa, prima ancora che sul piano
giuridico - rispetto agli altri giorni della settimana.
Nell'evidente difficoltà
di prefigurare una casistica al riguardo, quel che pare
certo, tuttavia, è che per "atti processuali", di cui al
comma 5, in esame, devono intendersi quelli che, sebbene
svolti fuori dell'udienza, hanno rilevanza, diretta o
indiretta, nel processo, nel senso che il rispetto o no
dei termini correlati al loro compimento può
determinare, o concorrere a determinare, una decisione
giurisdizionale favorevole o sfavorevole per la parte
che li compie.
3.1.3. - Questo essendo il
quadro normativo di riferimento, si tratta innanzitutto
di stabilire se il termine previsto dalla L. n. 890 del
1982, art. 8, comma 4, debba, o no, essere qualificato
"a decorrenza successiva" e computato, conseguentemente,
secondo il normale criterio "in avanti".
Ciò, perchè è noto il
costante orientamento di questa Corte, anche anteriore
all'entrata in vigore dell'art. 155 c.p.c., comma 5,
secondo il quale tale disposizione, diretta a prorogare
al primo giorno non festivo il termine che scada nella
giornata del sabato, opera con esclusivo riguardo ai
termini a decorrenza successiva e non anche per quelli
che si computano "a ritroso" con l'assegnazione di un
intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere
compiuta una determinata attività, in quanto,
altrimenti, si determinerebbe l'effetto contrario
dell'abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio delle
esigenze garantite con la previsione del termine
medesimo (cfr., ex plurimis, l'ordinanza n. 182 del 2011
e la sentenza n. 11163 del 2008).
Al riguardo, non può
esservi dubbio che sia la struttura linguistica della
disposizione in esame sia la sua stessa ratio depongono
nel senso della qualificazione del termine de quo come
"a decorrenza successiva".
Infatti, quanto alla
struttura linguistica, il legislatore prefigura la
fattispecie - perfezionamento della notificazione
eseguita a mezzo posta, nel caso di deposito presso
l'ufficio postale preposto alla consegna del piego
raccomandato e di mancato ritiro di quest'ultimo -
prevedendo un termine iniziale, coincidente con la data
di spedizione della lettera raccomandata con avviso di
ricevimento contenente la notizia del deposito, ed un
termine finale esplicitamente considerato successivo
rispetto a detta data ("decorsi dieci giorni dalla data
di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma
2"), data che costituisce appunto il dies a quo per il
computo "in avanti" del termine di dieci giorni. Del
resto, già il primo periodo della stessa L. n. 890 del
1982, art. 8, comma 3, nel testo sostituito dal
menzionato D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 4, lett.
c), n. 2, convenuto, con modificazioni dalla L. n. 80
del 2005 - nello stabilire che "Trascorsi dieci giorni
dalla data di spedizione della lettera raccomandata di
cui al comma 2 senza che il destinatario o un suo
incaricato ne abbia curato il ritiro, l'avviso di
ricevimento è immediatamente restituito al mittente in
raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta
dall'agente postale, della data dell'avvenuto deposito e
dei motivi che l'hanno determinato, dell'indicazione
atto non ritirato entro il termine di dieci giorni e
della data di restituzione" -, conferma all'evidenza,
sia pure ad altri fini (restituzione al mittente
dell'avviso di ricevimento della raccomandata contenente
l'avviso di deposito), la natura "a decorrenza
successiva" del termine in esame.
Tale conclusione è
confermata dalla su indicata ratio della L. n. 890 del
1982, art. 8, comma 4, (cfr., supra, n. 3.1.2., lettera
B):
la realizzazione dei
contrapposti interessi del notificante - al
perfezionamento del procedimento di notificazione - e
del notificato - alla conoscibilità effettiva dell'atto
- richiede che per quest'ultimo "trascorrano" o
"decorrano", appunto, dieci giorni dal momento in cui lo
stesso, con la spedizione dell'avviso di deposito, è
stato posto in condizione di conoscere effettivamente il
contenuto dell'atto.
Conseguentemente, questo
termine deve essere computato secondo i normali criteri,
escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello
finale (art. 155 c.p.c., comma 1).
3.1.4. - In secondo luogo,
si tratta di stabilire se quello previsto dalla L. n.
890 del 1982, art. 8, comma 4, sia, o no, termine
previsto "per il compimento degli atti processuali
svolti fuori dell'udienza" (art. 155 c.p.c., comma 5),
con la conseguenza - in caso di risposta affermativa -
che esso, se scadente nella giornata del sabato, è
prorogato di diritto al primo giorno seguente non
festivo (art. 155 c.p.c., comma 4).
Al riguardo - tenute
presenti tutte le considerazioni che precedono e, in
particolare, il rilievo che per "atti processuali", di
cui all'ora menzionato art. 155, comma 5, devono
intendersi quelli che hanno rilevanza, diretta o
indiretta, nel processo (cfr., supra, n. 3.1.2., lett.
C) - è agevole rilevare che l'intero (tradizionale)
procedimento di notificazione di atti inerenti al
processo - sia esso promosso ed eseguito dall'avvocato
ai sensi della citata L. n. 53 del 1994 (come nella
specie), ovvero eseguito dall'ufficiale giudiziario,
previa consegna a quest'ultimo dell'atto da notificare -
si svolge necessariamente "fuori dell'udienza" fino al
suo compimento, come ovviamente fuori dell'udienza si
effettua in particolare, nelle notificazioni a mezzo del
servizio postale, anche l'eventuale "ritiro" del piego
depositato presso l'ufficio postale preposto alla
consegna da parte del notificato. "Ritiro" che, d'altro
canto, è certamente qualificabile come "atto
processuale" ai sensi del menzionato art. 155, comma 5,
costituendo esso, se anteriore al compimento del periodo
di "giacenza" di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8,
comma 4, l'altra forma di perfezionamento del
procedimento di notificazione eseguito a mezzo del
servizio postale, nei casi di mancata consegna del piego
al destinatario o alle persone abilitate a riceverlo di
cui allo stesso art. 8, comma 2 ("Resta... fermo, per il
destinatario, il principio del perfezionamento della
notificazione solo alla data di ricezione dell'atto,
attestata dall'avviso di ricevimento, con la conseguente
decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine
imposto al destinatario medesimo": così la citata
sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, n.
3.2. del Considerato in diritto).
Pertanto, non può esservi
dubbio che, nel caso in cui il termine di dieci giorni,
di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, scada
della giornata del sabato, la scadenza è prorogata di
diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi
del combinato disposto dell'art. 155 c.p.c., commi 4 e
5.
3.1.5. - All'esito
dell'analisi che precede, possono essere perciò
enunciati i seguenti principi di diritto: a) il termine
di dieci giorni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890,
art. 8, comma 4, (Notificazione di atti a mezzo posta e
di comunicazioni a mezzo posta connesse con la
notificazione di atti giudiziari), nel testo sostituito
dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 4, lett.
c), n. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 14
maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 1, entrato in vigore
il 17 marzo 2005 - secondo il quale, nel caso (quale
quello di specie), in cui il piego raccomandato
depositato presso l'ufficio postale preposto alla
consegna non sia stato ritirato dal destinatario, "La
notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni
dalla data di spedizione della lettera raccomandata di
cui al comma 2..." - deve essere qualificato come
termine "a decorrenza successiva" e computato, secondo
il criterio di cui all'art. 155 c.p.c., comma 1,
escludendo il giorno iniziale (data di spedizione della
lettera raccomandata di cui allo stesso art. 8, comma 2)
e conteggiando quello finale; b) lo stesso termine -
essendo stabilito nell'ambito de procedimento
preordinato alla notificazione di atti inerenti al
processo (anche) civile (nella specie: notificazione del
ricorso introduttivo e del decreto di convocazione del
debitore, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3) - deve
intendersi compreso fra i "termini per il compimento
degli atti processuali svolti fuori dell'udienza", di
cui all'art. 155 c.p.c., comma 5, aggiunto dalla L. 28
dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. f),
entrato in vigore il 1 marzo 2006, con la conseguenza
che il dies ad quem del termine medesimo, ove scadente
nella giornata del sabato, è prorogato di diritto al
primo giorno seguente non festivo, ai sensi del
combinato disposto del quinto e dello stesso art. 155
c.p.c., comma 4.
3.1.6. - Applicando tali
principi alla fattispecie in esame, è del tutto evidente
la correttezza delle argomentazioni svolte dai Giudici a
quibus e, per contro, l'infondatezza dei motivi primo,
secondo e quarto del ricorso principale.
Nella specie, infatti, è
certo e, comunque, incontestato tra le parti che la
lettera raccomandata con avviso di ricevimento, di cui
alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, è stata
spedita alla s.r.l. Exporter in liquidazione in data 16
dicembre 2008, cioè nello stesso giorno del deposito del
piego raccomandato presso l'ufficio postale preposto
alla consegna. Computando dal 17 dicembre 2008 i dieci
giorni necessari per il perfezionamento della
notificazione, di cui alla stessa L. n. 890 del 1982,
art. 8, comma 4, il dies ad quem di tale termine di
dieci giorni scadeva il 26 dicembre 2008, giorno festivo
ai sensi della L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 2,
seguito da un sabato (27 dicembre) e da una domenica (28
dicembre), con la conseguenza che esso - come
esattamente affermato dalla Corte di Perugia - deve
intendersi prorogato di diritto, in forza del combinato
disposto dell'art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, al giorno 29
dicembre 2008 (lunedì), con l'ulteriore conseguenza che
in questa data, realizzatasi la cosiddetta "compiuta
giacenza", si è perfezionata la notificazione del
ricorso introduttivo per la dichiarazione di fallimento
della s.r.l. Exporter in liquidazione e del decreto di
convocazione della debitrice, in ragione della "legale
conoscenza2 di tale atto da parte di quest'ultima (art.
149 c.p.c., comma 3).
3.1.7. - Deve essere ora
esaminata l'altra questione posta dalla su descritta
fattispecie, vale a dire come debba essere qualificato,
anche ai fini del suo computo, il termine non inferiore
a quindici giorni, che deve intercorrere tra la data
della notificazione del ricorso introduttivo e del
decreto di convocazione del debitore e quella
dell'udienza, di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3
(cfr., supra, n. 3.1., lett. b).
Anche per risolvere tale
questione, è utile premettere il quadro normativo di
riferimento.
A) Il testo originario
della L. Fall., art. 15, disponeva: "Il tribunale, prima
di dichiarare il fallimento, può ordinare la
comparizione del debitore in camera di consiglio e
sentirlo anche in confronto dei creditori istanti".
Di questa disposizione,
com'è noto, fu dichiarata l'illegittimità
costituzionale, per violazione dell'art. 24 Cost.,
"nella parte in cui (...) non prevede l'obbligo del
tribunale di disporre la comparizione dell'imprenditore
in camera di consiglio per l'esercizio del diritto di
difesa nei limiti compatibili con la natura di tale
procedimento" (Corte costituzionale, sentenza n. 141 del
1970; cfr.
anche le successive
ordinanze n. 171 del 1970 e n. 59 del 1971). A sostegno
della dichiarazione di incostituzionalità, la Corte
affermò, tra l'altro, che: "Per la più ampia tutela del
debitore sono preveduti, è vero, rimedi, ed in primo
luogo l'opposizione alla sentenza dichiarativa di
fallimento, improntati al principio del contraddittorio
e diretti, mediante piena cognizione, a verificare la
legittimità della sentenza medesima. Tuttavia la gravità
delle conseguenze di questa pone l'indefettibile
esigenza che il debitore, già nella prima fase
processuale in camera di consiglio, informato della
iniziativa in corso, possa contrastare, anche in
confronto di creditori istanti, con deduzioni di fatto
ed argomentazioni tecnico- giuridiche e con l'eventuale
ausilio di difensori, la veridicità dell'asserito stato
di dissesto e la di lui assoggettabilità alla esecuzione
fallimentare"; e che: "Va quindi dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 in esame,
che con sostanziale pregiudizio del diritto di difesa,
non statuisce l'obbligo del tribunale di disporre la
comparizione del debitore.
Ovviamente tale
disposizione, con l'eventuale successiva audizione del
debitore e con la possibilità di sue deduzioni e difese,
anche in confronto dei creditori istanti, non senza
assistenza tecnica, deve essere inquadrata e contenuta
nella vigente normativa circa il procedimento di
cognizione sommaria, nell'ambito delle finalità e delle
speciali ragioni di urgenza e tempestività anche allo
scopo della conservazione del patrimonio del debitore,
cui è informata la disciplina della dichiarazione di
fallimento. A questo conseguentemente si attaglia il
carattere della speditezza dei provvedimenti, svincolati
da speciali forme procedurali e dal rispetto di termini
non espressamente stabiliti dalla legge; il tutto
rimesso invece al prudente apprezzamento degli organi
giudiziari competenti" (n. 4. dei Considerato in
diritto).
B) L'art. 15 della legge
fallimentare - nel testo sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio
2006, n. 5, art. 13, entrato in vigore il 16 luglio 2006
(art. 153) ed applicabile, ai sensi dell'art. 150 dello
stesso decreto legislativo, ai "ricorsi per la
dichiarazione di fallimento e alle domande di concordato
fallimentare depositate" successivamente all'entrata in
vigore del decreto - dispone(va), al primo periodo del
comma 2, che "Il Tribunale convoca, con decreto apposto
in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti
per il fallimento" e, al secondo periodo del comma 3,
che "Tra la data della notificazione, a cura di parte,
del decreto di convocazione e del ricorso, e quella
dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore
a quindici giorni liberi".
C) La L. Fall., art. 15 -
nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n.
169, art. 2, comma 4, entrato in vigore il 1 gennaio
2008 (art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi
dell'art. 22, comma 2, dello stesso decreto legislativo,
"ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento
pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonchè
alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare
aperte successivamente alla sua entrata in vigore" -
riproduce, al primo periodo del comma 2, e al secondo
periodo del comma 3, il medesimo testo introdotto
precedentemente. L'unica modificazione rispetto a tale
testo sta nella soppressione della qualificazione - come
"liberi" - dei quindici giorni che devono intercorrere
tra la data della notificazione del ricorso e del
decreto di convocazione e quella dell'udienza.
Questo essendo il quadro
normativo di riferimento, deve immediatamente rilevarsi
che tale termine di quindici giorni è stabilito
nell'interesse del debitore, essendo chiaramente volto -
come già rilevato in modo puntuale nei su riportati
brani della sentenza della Corte costituzionale n. 141
del 1970 - a consentire allo stesso, entro un periodo di
tempo da ritenersi ragionevole tenuto conto delle
esigenze di speditezza del procedimento di istruttoria
prefallimentare, il pieno esercizio del proprio diritto
di difesa in contraddittorio con i creditori istanti per
il fallimento. Di qui l'ovvia conseguenza della natura
"dilatoria" del termine de quo, come del resto
riconosciuto dalla dottrina pressochè unanime e già
affermato da alcuni specifici precedenti di questa Corte
(cfr., tra le ultime, le sentenze nn. 1098 e 16757 del
2010).
Del resto, ad esempio,
parimenti di natura "dilatoria" è stato costantemente
ritenuto il termine previsto dall'art. 415 c.p.c., comma
5, (si veda anche il comma 6), il quale contiene, nel
rito del lavoro, una disposizione strutturata in modo
dei tutto analogo a quella di cui alla L. Fall., art.
15, comma 3, stabilendo che "Tra la data di
notificazione al convenuto del ricorso introduttivo e
del decreto di fissazione dell'udienza e quella
dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine
non minore di trenta giorni" (cfr., ex plurimis, le
sentenze nn. 16851 del 2011 e 1717 del 1978).
Ancora a titolo di esempio
di termine di natura dilatoria può essere menzionato,
sempre per l'analoga strutturazione, l'art. 318 c.p.c.,
comma 2, in tema di procedimento davanti al giudice di
pace, il quale dispone: "Tra il giorno della
notificazione di cui all'art. 316 notificazione della
citazione a comparire a udienza fissa e quello della
comparizione devono intercorrere termini liberi non
minori di quelli previsti dall'art. 163 bis, ridotti
alla metà".
Deve poi osservarsi che la
soppressione dell'aggettivo "liberi" ad opera del
decreto "correttivo" n. 169 del 2007, riferita a detto
termine dei quindici giorni intermedi, determina
necessariamente il passaggio dal criterio di computo
pertinente ai termini "liberi", per il quale non si
calcolano nè dies a quo nè dies ad quem, a quello
generale fissato dall'art. 155 c.p.c., comma 1, per il
quale soltanto dies a quo non computatur in termino.
Tale conclusione è
supportata dai seguenti rilievi: a) il legislatore
delegato del decreto "correttivo" non da ragione
specifica di detta soppressione nell'art. 15, comma 3,
essendosi limitato ad osservare genericamente, nella
relazione governativa, che "L'art. 2, comma 4, riformula
ex novo l'art. 15, per emendarlo di alcune improprietà",
sicchè nessun ausilio ermeneutico è apportato dai lavori
preparatori; b) il verbo "intercorrere" - che allude ad
un tempo che "corre" appunto tra due estremi di cui non
deve tenersi conto e che, quindi, potrebbe far
ipotizzare che la soppressione dell'aggettivo "liberi"
nel caso de quo è stata operata per meri motivi
pleonastici - è, in realtà, utilizzato dal legislatore
del codice di rito per indicare sia termini "liberi" (L.
Fall., art. 163 bis, comma 1, art. 318, comma 2, art.
15, comma 3, nella versione introdotta dal D.Lgs. n. 5
del 2006) sia termini che non sono esplicitamente
qualificati come tali (L. Fall., art. 415, comma 5, art.
15, comma 3, nella versione vigente), sicchè la
previsione o la soppressione dell'aggettivo "liberi"
associata ad un termine assume un autonomo significato
sul piano giuridico, quanto al criterio applicabile per
il computo del termine stesso; c) questa Corte ha più
volte enunciato il condivisibile principio per il quale,
in tema di computo dei termini processuali, qualora la
legge non preveda espressamente che si tratti di un
termine libero, opera il criterio generale di cui
all'art. 155 c.p.c., secondo il quale non devono essere
conteggiati i giorni e l'ora iniziali computandosi
invece quelli finali (cfr., ex plurimis, le sentenze nn.
11302 del 2011, 6263 del 2006 e 10797 del 1997); d) la
prevalente dottrina è concorde nel ritenere che, a
seguito di detta soppressione dell'aggettivo "liberi",
nel computo del termine in questione deve applicarsi la
regola generale dettata dall'art. 155 c.p.c., comma 1,
per la quale dies a quo non computatur in termino.
Deve aggiungersi che la
disposizione transitoria di cui allo stesso D.Lgs. n.
169 del 2007, art. 22, comma 2, - in forza del quale "Le
disposizioni del presente decreto si applicano ai
procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti
alla data della sua entrata in vigore 1 gennaio 2008" -
fa sì che il testo dell'art. 15, comma 3, introdotto dal
D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 13, è applicabile unicamente
ai procedimenti per la dichiarazione di fallimento
promossi a far data dal 16 luglio 2006 e conclusisi (ivi
comprese le eventuali fasi del reclamo e/o del
regolamento di competenza) entro il 31 dicembre 2007.
E', quindi, del tutto evidente che l'applicabilità di
tale testo è meramente teorica, non essendo immaginabili
ipotesi in cui sia ancora deducibile, nonostante
l'intervenuta definitività della sentenza dichiarativa
di fallimento, l'eventuale omesso rispetto del criterio
di computo con riferimento ai quindici giorni "liberi".
Inoltre, non può esservi
dubbio che il termine in esame sia annoverabile tra
quelli "a decorrenza successiva" e, dunque, da computare
"in avanti" e non "a ritroso". Depongono in tal senso i
concorrenti rilievi che si tratta di termine: a)
stabilito dalla legge nell'esclusivo interesse del
debitore per l'esercizio del proprio diritto di difesa;
b) da calcolare non come un prima rispetto alla data
dell'udienza di convocazione, al fine di consentire alle
controparti di conoscere il contenuto di un certo atto,
bensì corrente da un determinato atto (notificazione del
ricorso introduttivo e del decreto di convocazione) in
vista dell'udienza, la quale non deve svolgersi prima
che sia decorso quel termine, appunto a garanzia del
diritto di difesa del debitore; c) diverso, ad esempio,
da quello previsto dal primo periodo del quarto comma
dello stesso art. 15 - secondo il quale, tra l'altro,
"Il decreto... fissa un termine non inferiore a sette
giorni prima dell'udienza per la presentazione di
memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche2
- termine che, essendo invece destinato a consentire al
debitore la conoscenza e lo spatium deliberandi rispetto
agli scritti difensivi ed ai documenti contro di lui
prodotti, è tipico termine da computare "a ritroso", a
partire dal giorno fissato per l'udienza di
convocazione.
Conclusivamente, il
termine di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15,
comma 3, essendo di natura "dilatoria" e "a decorrenza
successiva", deve essere computato secondo i normali
criteri, escludendo il giorno iniziale e conteggiando
quello finale (art. 155 c.p.c., comma 1).
3.1.8. - All'esito
dell'analisi che precede, può essere perciò enunciato il
seguente principio di diritto: il termine di quindici
giorni di cui alla L. Fall., art. 15, comma 3, - nel
testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169,
art. 2, comma 4, entrato in vigore il 1 gennaio 2008
(art. 22, comma 1) ed applicabile, ai sensi dell'art.
22, comma 2, dello stesso decreto legislativo, "ai
procedimenti per la dichiarazione di fallimento pendenti
alla data della sua entrata in vigore, nonchè alle
procedure concorsuali e di concordato fallimentare
aperte successivamente alla sua entrata in vigore" -
deve essere qualificato come termine di natura
"dilatoria" e "a decorrenza successiva" e computato,
secondo il criterio di cui all'art. 155 c.p.c., comma 1,
escludendo il giorno iniziale (data della notificazione
del ricorso introduttivo e del decreto di convocazione)
e conteggiando quello finale (data dell'udienza di
comparizione).
3.1.9. - Applicando tale
principio alla fattispecie in esame, deve affermarsi, in
primo luogo, che il terzo motivo del ricorso principale
è privo di fondamento - perchè basato su premesse
interpretative contrarie allo stesso principio - e, in
secondo luogo, che, pur essendo i dispositivo della
sentenza impugnata - di revoca della sentenza de
Tribunale di Terni, dichiarativa del fallimento della
s.r.l. Exporter in liquidazione, n. 7 del 30 gennaio
2009 - conforme al diritto, la stessa sentenza è
tuttavia erroneamente motivata in diritto, con la
conseguenza che queste Sezioni Unite possono limitarsi a
correggere la motivazione, ai sensi dell'art. 384
c.p.c., comma 4.
Infatti, la Corte perugina
ha così argomentato: posto che i quindici giorni tra la
data della notificazione del ricorso e del decreto di
convocazione e la data dell'udienza, di cui al termine
stabilito dalla L. Fall., art. 15, comma 3, debbono
qualificarsi come "liberi", e che il primo giorno
computabile di tale termine coincide con la data del 30
dicembre 2008, il dies ad quem dello stesso termine cade
nella data del 13 gennaio 2009, giorno successivo a
quello stabilito per l'udienza di convocazione, con la
conseguenza che, essendo stata tenuta l'udienza di
comparizione nel giorno 12 gennaio 2009 ed essendo stato
perciò violato il contraddittorio, "per non essere stato
garantito al debitore termine pari a quello previsto
dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione", la
sentenza dichiarativa di fallimento è affetta da
nullità.
Ribadita la correttezza di
tale conclusione - la quale, peraltro, non è stata
investita da specifiche censure -, l'errore in cui sono
incorsi i Giudici a quibus sta nell'aver qualificato
come "liberi" i giorni previsti dal termine in
questione: infatti, come già dianzi rilevato (cfr.,
supra, n. 2.), la fattispecie di procedura concorsuale
de qua ricade interamente sotto la disciplina della
legge fallimentare nel testo risultante a seguito
dell'entrata in vigore - il 1 gennaio 2008 - del D.Lgs.
"correttivo" n. 169 del 2007 e, quindi, dell'art. 15,
terzo comma, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 4,
di tale decreto legislativo, il quale ha soppresso detta
qualificazione (cfr., supra, n. 3.1.7., lettera C). Ciò,
a prescindere dall'ulteriore rilievo che tale erronea
qualificazione avrebbe in ogni caso comportato
l'esclusione da computo anche del giorno 13 gennaio 2009
(quindicesimo giorno "libero") e l'individuazione del
primo giorno utile per la tenuta dell'udienza di
comparizione in quello successivo del 14 gennaio 2009.
Conforme al su enunciato
principio di diritto è, invece, l'individuazione del
dies a quo dello stesso termine nel giorno 29 dicembre
2008 e del dies ad quem nel giorno 13 gennaio 2009:
infatti, come già dianzi rilevato (cfr., supra, n.
3.1.6), la notificazione del ricorso introduttivo per la
dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in
liquidazione e del decreto di convocazione della
debitrice si è perfezionata, appunto, nel giorno 29
dicembre 2008 (lunedì) per l'intervenuta "compiuta
giacenza" del piego raccomandato depositato presso
l'ufficio postale preposto alla consegna, con la
conseguenza che - secondo la lettera dello stesso art.
15, comma 3 - nel computo del termine dilatorio di
quindici giorni doveva essere escluso i giorno iniziale
del 29 dicembre 2008 (data del perfezionamento detla
notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di
convocazione) e conteggiato quello finale del 13 gennaio
2009 (martedì), giorno in cui avrebbe dovuto tenersi
tale udienza nel rispetto di tale termine, udienza che -
invece - era stata fissata e tenuta il giorno precedente
12 gennaio 2009, in contumacia della Società Exporter.
4. - Il rigetto del
ricorso principale determina l'assorbimento del ricorso
incidentale, da ritenersi di natura necessariamente
condizionata in quanto proposto dalla parte, s.r.l.
Exporter in liquidazione, risultata totalmente
vittoriosa nel giudizio di merito, con la revoca della
sentenza dichiarativa del proprio fallimento (cfr. le
sentenze delle sezioni unite nn. 23318 e 5456 del 2009 e
23019 del 2007).
5. - La sostanziale novità
delle questioni trattate giustifica la compensazione
integrale delle spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta
il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso
incidentale. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella
Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8
novembre 2011.
Depositato in Cancelleria
il 1 febbraio 2012 |