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QUEL BRUTTO PASTICCIO DELLE TARIFFE E COSENZA RINVIA ALLA CONSULTA - Trib. Cosenza, 1° febbraio 2012 –commento e testo-Maria CARIELLO -

 

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Dopo l’abrogazione delle tariffe forensi da parte del DL liberalizzazioni il rischio è quello della paralisi dei procedimenti di liquidazione giurisdizionale. La norma  prevede che  il giudice debba prendere come riferimento i “parametri” fissati con Decreto dal Ministero della Giustizia.

Purtroppo il decreto non c’è e così il Tribunale di Cosenza, giusta  ordinanza del 1° febbraio 2012, ha sospeso una decisione sulle spese, rinviando i commi 1° e 2° dell’articolo 9 del Dl 1/2012 alla Corte costituzionale per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Carta.

Ad avviso del Tribunale la situazione è paradossale, essendo tenuto al rispetto di parametri di liquidazione inesistenti, ponendolo nella condizione di non poter determinare “in termini oggettivi e controllabili gli oneri di difesa da porre a carico della parte soccombente”.

Tale sciatteria  legislativa, singolare poiché attuato da un c.d. governo “tecnico”,  solleva inquietanti interrogativi, in ordine ai criteri cui il giudice è tenuto a conformarsi  nella liquidazione a carico del soccombente.

Nel contempo, la commissione giustizia del Senato si è espressa con parere contrario a tre articoli del decreto, fra cui l’articolo 9 che riguarda proprio l’abolizione delle tariffe professionali, oltre al tribunale delle imprese e l'efficienza produttiva del risarcimento diretto e del risarcimento informa specifica.
Per il giudice di Cosenza la strada era obbligata: l’assenza di una  disciplina transitoria non consente di ritenere ultrattivo il vecchio regime delle tariffe, obbligandolo secondo l’adagio “tempus regit actum” ad applicare il nuovo regime ai processi in corso, illegittime interpretazioni restrittive come quelle che ridurrebbero la portata della norma alle controversie aventi ad oggetto i compensi.

In conclusione l’abrogazione delle vecchie tariffe non consente di utilizzarle quali parametri in via analogica o in via equitativa, potendo l’equità avere uno spazio, nel determinare l’ammontare degli onorari, nell’ambito dei parametri che il ministero adotterà ma non nell’individuare i criteri cui ancorare la determinazione.


Tribunali bloccati costretti da un lato a decidere dalla “
indefettibilità della giurisdizione” e dall’altro sospesi nelle decisioni perché qualunque soluzione comporterebbe il rischio di dar luogo a disparità di trattamento, fondate sulla “equità soggettiva del decidente”.

Circostanze non diversamente scansabili dal magistrato, obbligato a decidere per non ledere il principio della ragionevole durata del processo, tanto fa far ritenere al giudice  la questione di costituzionalità rilevante e   non manifestamente infondata.

L’assenza di una disciplina transitoria si pone in contrasto con il canone costituzionale della ragionevolezza, vulnerando la norma,  allo stesso tempo il diritto costituzionale  di difesa ed il principio di uguaglianza lasciando  “di fatto e al di là di alcuna espressa attribuzione” una facoltà “ampiamente discrezionale” al giudice senza fornirgli parametri certi e controllabili, fiaccando ab initio, la parte soccombente nella reazione ad un provvedimento che risulti incongruo o esorbitante.

Che non sia questo  l’obiettivo della norma ?

 

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