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Dopo
l’abrogazione delle tariffe forensi da parte del DL
liberalizzazioni il rischio è quello della paralisi dei
procedimenti di liquidazione giurisdizionale. La norma
prevede che il giudice debba prendere come riferimento
i “parametri”
fissati con Decreto dal Ministero della Giustizia.
Purtroppo
il decreto non c’è e così il Tribunale di Cosenza,
giusta ordinanza del 1° febbraio 2012, ha sospeso una
decisione sulle spese, rinviando i commi 1° e 2°
dell’articolo 9 del Dl 1/2012 alla Corte costituzionale
per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Carta.
Ad avviso
del Tribunale la situazione è paradossale, essendo
tenuto al rispetto di parametri di liquidazione
inesistenti, ponendolo nella condizione di non poter
determinare “in
termini oggettivi e controllabili gli oneri di difesa da
porre a carico della parte soccombente”.
Tale
sciatteria legislativa, singolare poiché attuato da un
c.d. governo “tecnico”, solleva inquietanti
interrogativi, in ordine ai criteri cui il giudice è
tenuto a conformarsi nella liquidazione a carico del
soccombente.
Nel
contempo, la commissione giustizia del Senato si è
espressa con parere contrario a tre articoli del
decreto, fra cui l’articolo 9 che riguarda proprio
l’abolizione delle tariffe professionali, oltre al
tribunale delle imprese e l'efficienza produttiva del
risarcimento diretto e del risarcimento informa
specifica.
Per il giudice di Cosenza la strada era obbligata:
l’assenza di una disciplina transitoria non consente di
ritenere ultrattivo il vecchio regime delle tariffe,
obbligandolo secondo l’adagio “tempus
regit actum”
ad applicare il nuovo regime ai processi in corso,
illegittime interpretazioni restrittive come quelle che
ridurrebbero la portata della norma alle controversie
aventi ad oggetto i compensi.
In
conclusione l’abrogazione delle vecchie tariffe non
consente di utilizzarle quali parametri in via analogica
o in via equitativa, potendo l’equità avere uno spazio,
nel determinare l’ammontare degli onorari, nell’ambito
dei parametri che il ministero adotterà ma non
nell’individuare i criteri cui ancorare la
determinazione.
Tribunali bloccati costretti da un lato a decidere dalla
“indefettibilità
della giurisdizione”
e dall’altro sospesi nelle decisioni perché qualunque
soluzione comporterebbe il rischio di dar luogo a
disparità di trattamento, fondate sulla “equità
soggettiva del decidente”.
Circostanze
non diversamente scansabili dal magistrato, obbligato a
decidere per non ledere il principio della ragionevole
durata del processo, tanto fa far ritenere al giudice
la questione di costituzionalità rilevante e non
manifestamente infondata.
L’assenza
di una disciplina transitoria si pone in contrasto con
il canone costituzionale della ragionevolezza,
vulnerando la norma, allo stesso tempo il diritto
costituzionale di difesa ed il principio di uguaglianza
lasciando “di
fatto e al di là di alcuna espressa attribuzione”
una
facoltà “ampiamente discrezionale”
al giudice senza fornirgli parametri certi e
controllabili, fiaccando
ab
initio,
la parte soccombente nella reazione ad un provvedimento
che risulti incongruo o esorbitante.
Che non sia
questo l’obiettivo della norma ? |