L’utilizzo di un mezzo militare per
fini privati da parte di un carabiniere va punito con la
reclusione. A nulla vale la giustificazione di aver
sottratto le chiavi all’autista, durante la notte,
unicamente per procurarsi delle medicine di cui non
poteva fare a meno. Con la sentenza 2660/2012, la
Cassazione boccia, dunque, il ricorso del militare non
ritenendo la sua giustificazione credibile e lancia un
segnale forte contro l’utilizzo abusivo di veicoli dello
Stato da parte degli appartenenti alle Forze
dell’ordine.
Rischiava una condanna più grave
Non solo, lette le carte,
all’appuntato sarebbe potuta andare anche peggio. La
difesa, infatti, aveva sostenuto che in base al grado ed
alle funzioni rivestite, la disponibilità del mezzo
sarebbe stata in capo all’imputato e non all’autista. Ma
se ciò fosse stato vero, argomentano i giudici che non
accolgono il rilievo per difetto di interesse, il reato
in quanto commesso dall’affidatario del veicolo sarebbe
stato quello ben più grave di peculato d’uso. Invece, in
qualità di capo macchina, l’imputato non aveva la
disponibilità del mezzo e, dunque, secondo il codice
penale militare di pace, rispondeva del meno grave furto
d’uso.
La tesi del rischio per la salute
non era credibile
Una difesa maldestra su più punti.
In un altro passaggio, infatti, il legale aveva
sostenuto che il militare si sarebbe messo alla guida
del veicolo alla ricerca di un farmaco che doveva
assumere ad ore determinate, invocando così la
scriminante del pericolo di un danno grave alla persona.
La Cassazione però ha eccepito che le prescrizioni
mediche erano successive al fatto, e che comunque se il
rischio per la salute fosse stato reale, e già
conosciuto, è da presumere che il carabiniere si sarebbe
di certo preventivamente munito dei medicinali e li
avrebbe portati con sé, anziché “intraprendere da solo
la rischiosa e problematica ricerca di una farmacia in
servizio notturno in una zona a lui completamente
sconosciuta, e a sua dire, malfamata”. |