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IL POTERE ECONOMICO NELLA SEPARAZIONE-- Cass. Civ., sez I, 20 gennaio 2012 n. 785- testo

 

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La Corte rilancia il principio del potere discrezionale affidato al giudice, in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento.

 

 

 

 

 

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 settembre 2011 – 20 gennaio 2012, n. 785

 

Presidente Luccioli – Relatore Dogliotti

 

 Svolgimento del processo

 

 Con ricorso depositato in data 15-4-2008, C.P. chiedeva modificarsi il regime di separazione personale consensuale dal marito D.G.P. , chiedendo un aumento dell'assegno di

 

mantenimento per sé e per i figli.

 

Costituitosi il contraddittorio, il D.G. chiedeva rigettarsi il ricorso e, in via riconvenzionale, l'affidamento condiviso dei figli, nonché il loro mantenimento diretto da parte di entrambi i coniugi.

 

Il Tribunale di Catania, con provvedimento del 5-12-2008, elevava l'assegno per la moglie, disponeva affidamento condiviso dei figli con mantenimento diretto da parte dei genitori, ed assegno perequativo per il D.G. per l'importo di Euro 1.500,00 mensili.

 

 

Proponeva reclamo la C. . Costituitosi il contraddittorio, il D.G. ne richiedeva il rigetto, e in via incidentale, la revoca dell'assegno per la moglie e per i figli, che dovevano essere mantenuti direttamente da entrambi i genitori.

 

La Corte d'Appello di Catania, con provvedimento in data 9-15/3/2010, accoglieva il reclamo principale, revocando il mantenimento diretto dei figli, disponendo per essi assegno mensile di Euro 5.000,00 a carico del padre; rigettava il reclamo incidentale. Ricorre per cassazione il D.G. , sulla base di dodici motivi illustrati con memoria.

 

Resiste, con controricorso, la C. .

 

 Motivi della decisione

 

 Va innanzi tutto rilevata l'invalidità della procura rilasciata dalla C. al nuovo difensore avv. Laura Garofalo, in quanto apposta a margine della memoria per l'udienza, e quindi in un atto diverso da quelli tassativamente indicati nell'art. 83 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis.

 

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 155 c.c., in punto revoca del contributo diretto per i figli; con il secondo, vizio di motivazione al riguardo; con il terzo, violazione ulteriore dell'art. 155 c.c., sulla quantificazione dell'assegno; con il quarto, vizio di motivazione al riguardo; con il quinto, violazione dell'art. 155 c.c., in relazione all'art. 148 c.c.; con il sesto, violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c., sulla revoca del contributo diretto.

 

I motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente connessi. Essi appaiono infondati.

 

Come è noto, la L. 8 febbraio 2006, n. 54, ha introdotto la disciplina dell'affidamento condiviso. Già la scelta del termine è significativa, rispetto all'espressione più tradizionale, contenuta nella legge di divorzio dopo la riforma del 1987, di "affidamento congiunto": non solo affidamento ad entrambi, ma fondato sul pieno consenso di gestione, sulla condivisione, appunto. Ciò tuttavia non esclude che il minore possa essere prevalentemente collocato presso uno dei genitori, anche se l'altro dovrà avere ampia possibilità di vederlo e tenerlo con sé. L'assunto del ricorrente secondo il quale con la riforma del 2006 il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori costituirebbe la regola, come conseguenza diretta dell'affido condiviso, non può essere accolto: ed invero l'art. 155 c.c. riformato, nello stesso secondo comma in cui prevede in via prioritaria "la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori", dispone che il giudice fissi "altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento...", così conferendo allo stesso giudice un'ampia discrezionalità, sempre ovviamente "con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale" della prole (v. sul punto Cass. 2006 n.18187).

 

Inoltre il successivo comma 4 affida al giudice il potere di stabilire, "ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità".

 

Della discrezionalità esercitata nell'escludere il contributo diretto la ordinanza impugnata ha fornito congrua motivazione, facendo riferimento all'accentuata litigiosità dei genitori, quale circostanza idonea a sollevare ulteriori conflitti in un contesto che al contrario esige una condotta pienamente collaborativa, e tale valutazione non può costituire oggetto di controllo in questa sede. Dunque correttamente è stato revocato il regime di mantenimento diretto.

 

La Corte di Appello ha altresì rilevato, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dei minori, la notevole sproporzione tra le condizioni economiche dei genitori (la C. ha un reddito netto annuo di Euro 27.000,00 circa, il notaio D.G. nel 2007 un reddito di Euro 268.558,00, sceso ad Euro 86.000,00 nel 2008, con detrazione di spese deducibili per oltre Euro 300.000,00). Non si ravvisa al riguardo violazione dell'art. 148 c.c., il quale stabilisce che i genitori devono adempiere all'obbligo educativo, di istruzione e di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo.

 

Secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 11772 del 2010, n. 11538 del 2009), deve essere assicurato ai figli il tenore di vita di cui essi godevano durante la convivenza matrimoniale, ma rilevano gli incrementi di reddito di ciascuno dei genitori, se riferiti, come nella specie, all'attività che essi svolgevano durante la convivenza, rappresentandone il prevedibile sviluppo. Del tutto privo di fondamento appare l'assunto del ricorrente secondo il quale non potrebbe configurarsi in via generale, alcun prevedibile sviluppo per la carriera notarile: è evidente, al contrario, che l'esperienza acquisita, l'aumento dei clienti, ed anche, come nella specie, lo spostamento da una piccola località ad una città più grande, integrano "sviluppi prevedibili". E a ciò fa evidentemente riferimento il Giudice a quo, elevando l'importo dell'assegno per i figli ad Euro 5.000,00. Con i motivi settimo e ottavo Xil ricorrente lamenta violazione dell'art. 156 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'assegno per il coniuge. Anche tali motivi appaiono infondati.

 

Per giurisprudenza consolidata, l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge va raffrontata al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (tra le altre, Cass. n. 20582/10). Giurisprudenza altrettanto consolidata precisa che le attuali condizioni economiche delle parti possono costituire, in mancanza di ulteriori prove, elemento indicativo del pregresso tenore di vita della famiglia (tra le altre Cass. n.16606/10). Né va dimenticato che, in sede di modifica delle condizioni di separazione (o di divorzio), è necessario riferirsi ad elementi di novità rispetto al regime originario.

 

Come già si è detto trattando del mantenimento dei figli, si è notevolmente accresciuto il divario economico tra i coniugi, in relazione all'incremento dell'attività notarile del D.G. , già svolta durante la convivenza matrimoniale, che ne costituisce un prevedibile sviluppo. A tutto ciò si riferisce, con motivazione adeguata, il giudice a quo.

 

L'unico elemento di novità a favore del D.G. potrebbe essere costituito dalla dedotta convivenza more uxorio della C. con un "facoltoso avvocato". Ma di ciò - come precisa il giudice a quo - egli non ha fornito prova.

 

Palesemente infondato è il decimo motivo, attinente al vizio di motivazione, con riferimento al diverso parere del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello: è evidente che la sentenza impugnata, nella sua motivazione, ha manifestato contrario avviso rispetto alle conclusioni del P.G.; non era necessario che espressamente le contestasse. Inammissibili infine i motivi undici e dodici, attinenti al regime delle spese processuali (violazione dell'art. 91 c.p.c. e vizi di motivazione). Non è censurabile il regime delle spese dettato dal giudice di merito, se sorretto da adeguata motivazione (per tutte, Cass. n. 13229 del 2011). Nella specie, il giudice a quo ha richiamato la sostanziale soccombenza del D.G. .

 

Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

 

 P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi oltre a spese generali ed accessori di legge.

 

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