Redazione- Persona e danno.it
La Corte rilancia il principio del
potere discrezionale affidato al giudice, in sede di
determinazione dell’assegno di mantenimento.
Corte di Cassazione, sez. I Civile,
sentenza 26 settembre 2011 – 20 gennaio 2012, n. 785
Presidente Luccioli – Relatore
Dogliotti
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data
15-4-2008, C.P. chiedeva modificarsi il regime di
separazione personale consensuale dal marito D.G.P. ,
chiedendo un aumento dell'assegno di
mantenimento per sé e per i figli.
Costituitosi il contraddittorio, il
D.G. chiedeva rigettarsi il ricorso e, in via
riconvenzionale, l'affidamento condiviso dei figli,
nonché il loro mantenimento diretto da parte di entrambi
i coniugi.
Il Tribunale di Catania, con
provvedimento del 5-12-2008, elevava l'assegno per la
moglie, disponeva affidamento condiviso dei figli con
mantenimento diretto da parte dei genitori, ed assegno
perequativo per il D.G. per l'importo di Euro 1.500,00
mensili.
Proponeva reclamo la C. .
Costituitosi il contraddittorio, il D.G. ne richiedeva
il rigetto, e in via incidentale, la revoca dell'assegno
per la moglie e per i figli, che dovevano essere
mantenuti direttamente da entrambi i genitori.
La Corte d'Appello di Catania, con
provvedimento in data 9-15/3/2010, accoglieva il reclamo
principale, revocando il mantenimento diretto dei figli,
disponendo per essi assegno mensile di Euro 5.000,00 a
carico del padre; rigettava il reclamo incidentale.
Ricorre per cassazione il D.G. , sulla base di dodici
motivi illustrati con memoria.
Resiste, con controricorso, la C. .
Motivi della decisione
Va innanzi tutto rilevata
l'invalidità della procura rilasciata dalla C. al nuovo
difensore avv. Laura Garofalo, in quanto apposta a
margine della memoria per l'udienza, e quindi in un atto
diverso da quelli tassativamente indicati nell'art. 83
c.p.c., nel testo vigente ratione temporis.
Con il primo motivo, il ricorrente
lamenta violazione dell'art. 155 c.c., in punto revoca
del contributo diretto per i figli; con il secondo,
vizio di motivazione al riguardo; con il terzo,
violazione ulteriore dell'art. 155 c.c., sulla
quantificazione dell'assegno; con il quarto, vizio di
motivazione al riguardo; con il quinto, violazione
dell'art. 155 c.c., in relazione all'art. 148 c.c.; con
il sesto, violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116
c.p.c., sulla revoca del contributo diretto.
I motivi possono essere trattati
congiuntamente, essendo strettamente connessi. Essi
appaiono infondati.
Come è noto, la L. 8 febbraio 2006,
n. 54, ha introdotto la disciplina dell'affidamento
condiviso. Già la scelta del termine è significativa,
rispetto all'espressione più tradizionale, contenuta
nella legge di divorzio dopo la riforma del 1987, di
"affidamento congiunto": non solo affidamento ad
entrambi, ma fondato sul pieno consenso di gestione,
sulla condivisione, appunto. Ciò tuttavia non esclude
che il minore possa essere prevalentemente collocato
presso uno dei genitori, anche se l'altro dovrà avere
ampia possibilità di vederlo e tenerlo con sé. L'assunto
del ricorrente secondo il quale con la riforma del 2006
il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori
costituirebbe la regola, come conseguenza diretta
dell'affido condiviso, non può essere accolto: ed invero
l'art. 155 c.c. riformato, nello stesso secondo comma in
cui prevede in via prioritaria "la possibilità che i
figli minori restino affidati a entrambi i genitori",
dispone che il giudice fissi "altresì la misura e il
modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al
mantenimento...", così conferendo allo stesso giudice
un'ampia discrezionalità, sempre ovviamente "con
esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale"
della prole (v. sul punto Cass. 2006 n.18187).
Inoltre il successivo comma 4
affida al giudice il potere di stabilire, "ove
necessario, la corresponsione di un assegno periodico al
fine di realizzare il principio di proporzionalità".
Della discrezionalità esercitata
nell'escludere il contributo diretto la ordinanza
impugnata ha fornito congrua motivazione, facendo
riferimento all'accentuata litigiosità dei genitori,
quale circostanza idonea a sollevare ulteriori conflitti
in un contesto che al contrario esige una condotta
pienamente collaborativa, e tale valutazione non può
costituire oggetto di controllo in questa sede. Dunque
correttamente è stato revocato il regime di mantenimento
diretto.
La Corte di Appello ha altresì
rilevato, ai fini della determinazione dell'assegno di
mantenimento dei minori, la notevole sproporzione tra le
condizioni economiche dei genitori (la C. ha un reddito
netto annuo di Euro 27.000,00 circa, il notaio D.G. nel
2007 un reddito di Euro 268.558,00, sceso ad Euro
86.000,00 nel 2008, con detrazione di spese deducibili
per oltre Euro 300.000,00). Non si ravvisa al riguardo
violazione dell'art. 148 c.c., il quale stabilisce che i
genitori devono adempiere all'obbligo educativo, di
istruzione e di mantenimento dei figli in proporzione
alle rispettive sostanze e capacità di lavoro
professionale e casalingo.
Secondo giurisprudenza consolidata
(per tutte, Cass. n. 11772 del 2010, n. 11538 del 2009),
deve essere assicurato ai figli il tenore di vita di cui
essi godevano durante la convivenza matrimoniale, ma
rilevano gli incrementi di reddito di ciascuno dei
genitori, se riferiti, come nella specie, all'attività
che essi svolgevano durante la convivenza,
rappresentandone il prevedibile sviluppo. Del tutto
privo di fondamento appare l'assunto del ricorrente
secondo il quale non potrebbe configurarsi in via
generale, alcun prevedibile sviluppo per la carriera
notarile: è evidente, al contrario, che l'esperienza
acquisita, l'aumento dei clienti, ed anche, come nella
specie, lo spostamento da una piccola località ad una
città più grande, integrano "sviluppi prevedibili". E a
ciò fa evidentemente riferimento il Giudice a quo,
elevando l'importo dell'assegno per i figli ad Euro
5.000,00. Con i motivi settimo e ottavo Xil ricorrente
lamenta violazione dell'art. 156 c.c. e vizio di
motivazione, in relazione all'assegno per il coniuge.
Anche tali motivi appaiono infondati.
Per giurisprudenza consolidata,
l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge va raffrontata al
tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (tra le
altre, Cass. n. 20582/10). Giurisprudenza altrettanto
consolidata precisa che le attuali condizioni economiche
delle parti possono costituire, in mancanza di ulteriori
prove, elemento indicativo del pregresso tenore di vita
della famiglia (tra le altre Cass. n.16606/10). Né va
dimenticato che, in sede di modifica delle condizioni di
separazione (o di divorzio), è necessario riferirsi ad
elementi di novità rispetto al regime originario.
Come già si è detto trattando del
mantenimento dei figli, si è notevolmente accresciuto il
divario economico tra i coniugi, in relazione
all'incremento dell'attività notarile del D.G. , già
svolta durante la convivenza matrimoniale, che ne
costituisce un prevedibile sviluppo. A tutto ciò si
riferisce, con motivazione adeguata, il giudice a quo.
L'unico elemento di novità a favore
del D.G. potrebbe essere costituito dalla dedotta
convivenza more uxorio della C. con un "facoltoso
avvocato". Ma di ciò - come precisa il giudice a quo -
egli non ha fornito prova.
Palesemente infondato è il decimo
motivo, attinente al vizio di motivazione, con
riferimento al diverso parere del Procuratore Generale
presso la Corte d'Appello: è evidente che la sentenza
impugnata, nella sua motivazione, ha manifestato
contrario avviso rispetto alle conclusioni del P.G.; non
era necessario che espressamente le contestasse.
Inammissibili infine i motivi undici e dodici, attinenti
al regime delle spese processuali (violazione dell'art.
91 c.p.c. e vizi di motivazione). Non è censurabile il
regime delle spese dettato dal giudice di merito, se
sorretto da adeguata motivazione (per tutte, Cass. n.
13229 del 2011). Nella specie, il giudice a quo ha
richiamato la sostanziale soccombenza del D.G. .
Conclusivamente, il ricorso va
rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità che liquida in Euro
5.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi oltre a
spese generali ed accessori di legge. |