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La sezione lavoro della Suprema
Corte ritorna sul tema del licenziamento per giusta
causa e lo fa prendendo le mosse da un caso di
contestata violazione dell’obbligo di fedeltà da parte
del lavoratore dipendente. Con la sentenza de qua la
Corte ha ribadito che la strumentalizzazione per fini
personali della posizione di lavoro rivestita dal
dipendente costituisce giusta causa di recesso, idonea
ad incidere sulla persistenza del vincolo fiduciario,
una volta accertato che il comportamento del lavoratore
si sia risolto nella violazione della posizione di
imparzialità che quest'ultimo deve assumere nella
gestione degli affari di competenza del datore di
lavoro.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro,
sentenza 7 dicembre 2011 - 17 gennaio 2012, n. 567
Presidente Roselli – Relatore
Meliadò
Svolgimento del processo
Con sentenza in data
15.10/15.12.2008 la Corte di appello di Genova
confermava la decisione di primo grado che aveva
rigettato la domanda proposta da M. D. per far
dichiarare l'illegittimità del licenziamento intimatogli
dalla società C.p.a., già suo datore di lavoro, con
lettera del 5.6.2006.
Osservava in sintesi la corte
territoriale che gli esiti dell'istruttoria davano
riscontro alla contestazione disciplinare, e
precisamente che il D. aveva preteso da una società
fornitrice il pagamento di una somma di denaro al fine
di "sbloccare" il pagamento di una fattura di competenza
della stessa (e, comunque, ingenerando un convincimento
in tal senso), costituisse tale somma una vera e propria
"tangente" ovvero il prezzo di prestazioni svolte, a
titolo personale, in favore della azienda fornitrice,
così ponendo in essere una grave ed intollerabile
violazione del dovere di fedeltà.
Per la cassazione della sentenza
propone ricorso M. D. con cinque motivi.
Resiste con controricorso la
società C..
Entrambe le parti hanno depositato
memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, svolto ai
sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, il ricorrente lamenta che
la corte territoriale, con erroneo apprezzamento delle
circostanze di causa, aveva ritenuto che il dipendente
avesse la facoltà di influire sul pagamento della
fattura e che il pagamento della somma dal medesimo
richiesta fosse causalmente collegato a tale facoltà, e
ciò sebbene né dal libero interrogatorio, né dall'esame
dei testi fosse emerso che al D. era riconosciuta, in
relazione ai compiti svolti, la potestà di rilasciare il
benestare tecnico necessario per il pagamento delle
forniture; non senza, peraltro, considerare che la
sentenza penale, richiamata dai giudici di appello,
aveva dato atto che il D., lungi dal poter condizionare
il pagamento della fattura, aveva, in realtà, omesso di
consegnare alla ditta fornitrice materiale necessario
per il completamento della fornitura.
Con il secondo motivo, prospettando
ancora vizio di motivazione su fatto decisivo e
controverso, il ricorrente rileva che era rimasto
documentalmente accertato che l'ufficio di contabilità
aveva ritardato il pagamento, non per attendere il
benestare tecnico di sua asserita competenza, quanto
perché la fornitura non era stata completata mancando la
e. d. "terza valigia".
Con il terzo e quarto motivo, pur
essi svolti ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, il
ricorrente rileva che la corte territoriale aveva
mancato di considerare che la "terza valigia", dopo
l'arresto del D., era stata consegnata pur priva dei due
connettori mancanti; il che dimostrava, per come emerso
dall'istruttoria, che la presenza di tali connettori,
facilmente reperibili sul mercato, era, in realtà,
inutile per il corretto funzionamento della fornitura.
Con l'ultimo motivo, infine, il
ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc in
relazione all’art. 7 St. lav., che il licenziamento era
stato ritenuto legittimo dalla corte territoriale sulla
base della mera richiesta da parte del dipendente di
utilità personali, ma senza prendere in considerazione
le ragioni per le quali tale richiesta era stata
effettuata.
2. I primi quattro motivi possono
essere esaminati congiuntamente, trattandosi di censure
connesse, in quanto volte a contestare l'adeguatezza
della motivazione posta dalla corte di merito a sostegno
della legittimità dell'atto di recesso.
3. I motivi sono infondati.
Ha ritenuto la corte territoriale
che l'interferenza determinatasi fra il corretto
adempimento dei doveri connessi alla posizione
lavorativa del ricorrente e la realizzazione di finalità
personali di quest'ultimo (anche eventualmente non
illecite, quali il soddisfacimento di ragioni di credito
per prestazioni e servizi resi in favore di un fornitore
del datore di lavoro) costituisse legittima causa di
risoluzione del rapporto di lavoro, una volta accertato
che il comportamento del lavoratore si era risolto nella
violazione della posizione di imparzialità che
quest'ultimo deve assumere nella gestione degli affari
di competenza dell'azienda e nella conseguente
conformità di tali fatti agli addebiti contestati.
In particolare, ha ritenuto la
corte che il ricorrente aveva ingenerato nel legale
rappresentante della ditta fornitrice il convincimento
che, pagando una determinata somma (non importa se
dovuta ovvero illegittimamente richiesta), lo stesso si
sarebbe adoperato per sbloccare il pagamento di una
fattura relativa a lavori eseguiti dalla ditta medesima
e che tale risultato lo stesso era in grado di
determinare sia per i compiti che di fatto gli
competevano (seppur nell'ambito di una procedura che
prevedeva l'intervento di ulteriori soggetti, anche
sovraordinati) in ordine alla verifica del buon
funzionamento delle apparecchiature, sia non provvedendo
al completamento delle apparecchiature, con la fornitura
dei connettori relativi al terzo apparato, che il D.
stesso si era impegnato a procurare alla ditta
fornitrice.
E, quindi, nell'uno e nell'altro
caso, realizzando una palese interferenza, resa
possibile dal ruolo aziendale rivestito dal ricorrente,
fra l'adempimento dei doveri di servizio e la
realizzazione di finalità estranee a quelle dell'
esclusivo soddisfacimento, attraverso la prestazione di
lavoro, dell'interesse dell'organizzazione produttiva.
Così individuata la ragione
giustificativa essenziale della decisione impugnata, è
da escludere che la stessa si fondi su accertamenti nei
quali siano riscontrabili vizi tali da compromettere la
coerenza giuridica del decisum.
Basti, al riguardo osservare come
la corte territoriale abbia dato riscontro ai fatti
contestati richiamando puntualmente le conversazioni fra
il ricorrente e l'A., legale rappresentante della ditta
fornitrice, plausibilmente interpretandole come del
tutto sintomatiche della volontà del primo di ingenerare
nel secondo il convincimento della sua possibilità di
incidere sul pagamento delle fatture aziendali.
Così come è stato correttamente
valutato che, avesse o meno il D. la formale "potestà"
di "rilasciare il benestare tecnico per sbloccare le
fatture in generale e quella per cui è causa in
particolare", lo stesso, nondimeno, in quanto ordinante
i materiali, cooperava a verificarne la funzionalità e
la conformità, per come hanno accertato i giudici di
merito, sulla base di quanto dichiarato dagli stessi
testi citati dal ricorrente ("...una volta fatto
l'ordine e consegnato il materiale, il materiale viene
controllato dal tecnico che ha richiesto
l'apparecchiatura e poi ne attesta la conformità. La
richiesta credo l'abbia fatto l'ing. M., ma se ne è
occupato il sig. D.": così ad es., il teste P.).
Al pari di come del tutto
irrilevante risulta che i materiali che il D. si era
impegnato a fornire all'A. al fine di completare la
commessa (e precisamente i connettori relativi alla ed.
terza valigia) fossero facilmente reperibili sul mercato
ed, in definitiva, non essenziali per il buon
funzionamento delle apparecchiature, giacché quel che
rileva è l'approfittamento del ruolo aziendale, e cioè
che anche tale comportamento dilatorio fu posto in
essere per motivazioni personali, non connesse
all'adempimento dei doveri di servizio, ma,anzi, in
violazione dell'obbligo di imparziale gestione degli
affari aziendali.
E non è casuale che la consegna
venne ultimata ed il pagamento della fattura eseguito
solo dopo l'arresto del D. ed il licenziamento dello
stesso.
4. Deve, pertanto, conclusivamente
affermarsi che la strumentalizzazione per fini personali
della posizione di lavoro rivestita dal dipendente
costituisce giusta causa di recesso, idonea ad incidere
sulla persistenza del vincolo fiduciario, una volta
accertato che il comportamento del lavoratore si sia
risolto nella violazione della posizione di imparzialità
che quest'ultimo deve assumere nella gestione degli
affari di competenza del datore di lavoro, e tale
valutazione, cui si è correttamente ispirata la
decisione impugnata, assorbe ogni ulteriore censura, ivi
compresa quella svolta con l'ultimo motivo.
5. Il ricorso va, pertanto,
rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro
50,00 - per esborsi ed in euro 3.000,00 per onorari,
oltre a spese generali, IVA e CPA.
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