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Con un unico motivo i ricorrenti si dolgono che la Corte
di merito, con violazione dell'art. 2, comma 3, della
legge 2001/89, abbia rigettato la domanda, ritenendo che
la palese infondatezza della domanda proposta davanti al
Tar consentiva di escludere - anche in conseguenza
dell'esito negativo di un giudizio di legittimità
costituzionale, definito dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 330/1999 dichiarativa della non fondatezza
della questione sollevata, intervenuta proprio in
concomitanza con il decorso della durata ragionevole del
processo che l'attesa della definizione della
controversia, dall’esito sfavorevole ormai scontato,
potesse aver procurato ai ricorrenti medesimi un patema
d'animo indennizzabile. Il ricorso è fondato. Infatti,
in caso di violazione del termine di durata ragionevole
del processo, il diritto all'equa riparazione di cui
all'art. 2 della legge n. 89 del 2001 spetta a tutte le
parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse
siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla
consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno
che l'esito del processo presupposto non abbia un
indiretto riflesso sull'identificazione, o sulla misura,
del pregiudizio morale sofferto dalla parte in
conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come
quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria,
o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine
di perseguire proprio il perfezionamento della
fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in
difetto di una condizione soggettiva di incertezza,
restando irrilevante l'asserita consapevolezza da parte
dell'istante della scarsa probabilità di successo
dell'iniziativa giudiziaria. Dell'esistenza di queste
situazioni, costituenti abuso del processo, deve dare
prova puntuale l'Amministrazione, non essendo
sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda
della parte sia stata dichiarata manifestamente
infondata (Cass. 2006/7139; 2008/24269; 2010/9938). La
Corte di appello di Bologna - nel rigettare il ricorso
osservando che la palese infondatezza della domanda
proposta davanti al Tar consentiva di escludere che
l'attesa della definizione della controversia,
dall'esito sfavorevole ormai scontato dopo la pronuncia
della Corte costituzionale n.330/1999 dichiarativa della
non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale sollevata e intervenuta proprio in
concomitanza con il decorso della durata ragionevole del
processo, potesse aver procurato ai ricorrenti un patema
d'animo indennizzabile - non si è uniformata
ali'orientamento sopra enunciato e il decreto impugnato
deve essere conseguentemente annullato....
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Sentenza 12 dicembre 2011 – 9 gennaio 2012, n. 35
(Presidente Salmè – Relatore Schirò)
Motivi della decisione
Con un unico motivo i ricorrenti si dolgono che la Corte
di merito, con violazione dell'art. 2, comma 3, della
legge 2001/89, abbia rigettato la domanda, ritenendo che
la palese infondatezza della domanda proposta davanti al
Tar consentiva di escludere - anche in conseguenza
dell'esito negativo di un giudizio di legittimità
costituzionale, definito dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 330/1999 dichiarativa della non fondatezza
della questione sollevata, intervenuta proprio in
concomitanza con il decorso della durata ragionevole del
processo che l'attesa della definizione della
controversia, dall’esito sfavorevole ormai
scontato, potesse aver procurato ai ricorrenti
medesimi un patema d'animo indennizzabile.
Il ricorso è fondato.
Infatti, in caso di violazione del termine di durata
ragionevole del processo, il diritto all'equa
riparazione di cui all'art. 2 della legge n. 89 del 2001
spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente
dal fatto che esse siano risultate vittoriose o
soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza
del giudizio, a meno che l'esito del processo
presupposto non abbia un indiretto riflesso
sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio
morale sofferto dalla parte in conseguenza
dell'eccessiva durata della causa, come quando il
soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia
artatamente resistito in giudizio al solo fine di
perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie
di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una
condizione soggettiva di incertezza, restando
irrilevante l'asserita consapevolezza da parte
dell'istante della scarsa probabilità di successo
dell'iniziativa
giudiziaria. Dell'esistenza di queste situazioni,
costituenti abuso del processo, deve dare prova puntuale
l'Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine,
la deduzione che la domanda della parte sia stata
dichiarata manifestamente infondata (Cass. 2006/7139;
2008/24269; 2010/9938).
La Corte di appello di Bologna - nel rigettare il
ricorso osservando che la palese infondatezza della
domanda proposta davanti al Tar consentiva di escludere
che l'attesa della definizione della controversia,
dall'esito sfavorevole ormai
scontato dopo la pronuncia della Corte
costituzionale n.330/1999 dichiarativa della non
fondatezza della questione di legittimità costituzionale
sollevata e intervenuta proprio in concomitanza con il
decorso della durata ragionevole del processo, potesse
aver procurato ai ricorrenti un patema d'animo
indennizzabile - non si è uniformata ali'orientamento
sopra enunciato e il decreto impugnato deve essere
conseguentemente annullato.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
la causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell'art. 384, comma 2, c.p.c.
Si deve, in primo luogo, osservare che non si rinvengono
in atti elementi che, alla stregua del principio in
precedenza enunciato, consentano di ritenere che i
ricorrenti, pur proponendo una domanda priva di
fondamento, abbiano promosso una lite temeraria in
difetto di una condizione soggettiva di incertezza e che
pertanto non si sia nella specie verificato il
pregiudizio morale conseguente all'eccessiva durata
della causa, tenuto conto che questo si verifica di
regola come effetto della violazione medesima e non
abbisogna di essere provato sia pure attraverso elementi
presuntivi (Cass. 2005/21088; 2006/7139).
Va altresì rilevato che il giudizio presupposto -
promosso davanti al Tar Emilia Romagna con ricorso del
18 aprile 1996 e non ancora definito alla data di
deposito del ricorso per equa riparazione (3 aprile
2009) - si è protratto per tredici anni, con conseguente
superamento nella misura di dieci anni del termine
ragionevole di durata, determinato per il giudizio di
primo grado in tre anni alla stregua dei parametri
fissati dalla Corte europea dei diritti deli'uomo e
della Corte di cassazione (Cass. 2008/14).
In ordine al criterio per indennizzare la parte del
danno non patrimoniale subito nel processo presupposto
va considerato che la CEDU, in alcune decisioni (Volta
et autres c. Italia, del 16 marzo 2010; Falco et autres
c. Italia, del 6 aprile 2010) ha ritenuto che potessero
essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno
non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in
relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme
complessive d'importo notevolmente inferiore a quella di
mille euro annue normalmente liquidata, con valutazioni
del danno non patrimoniale che consentono al giudice
italiano di procedere, in relazione alle particolarità
della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto
a quelle in precedenza ritenute congrue (v. Cass.
2010/14753; 2010/15130).
Nel caso di specie, considerati i margini di valutazione
equitativa adottabili in conformità dei criteri
ricavabili dalla sopra menzionata giurisprudenza della
CEDU e valutate le specificità del caso in relazione al
protrarsi della procedura dinanzi al Tar Emilia Romagna
oltre i limiti ragionevoli di durata, e in particolare
del lunghissimo periodo in cui non vi è stato impulso
sollecitatorio di parte, avendo i ricorrenti presentato
istanza di prelievo soltanto il 17 e il 28 febbraio
20909, a ciascuno dei ricorrenti va liquidata in via
equitativa, per danno non patrimoniale, la somma di euro
6.500,00 con gli interessi legali dalla domanda, al cui
pagamento deve essere condannato il Ministero
soccombente.
Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di
cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come
in dispositivo, in base alle tariffe professionali
previste dall’ordinamento italiano con riferimento al
giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;
2008/25352).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato
e, decidendo nel merito, condanna il Ministero
dell'Economia e delle Finanze al pagamento in favore di
ciascuno dei ricorrenti della somma di euro 6.500,00,
oltre agli interessi legali dalla domanda.
Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore
dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che
si liquidano in euro 1.640,00 di cui euro 1.100,00 per
competenze ed euro 50,00 per esborsi, oltre a spese
generali e accessori di legge.
Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano
in euro 965,00, di cui euro 865,00 per onorari, oltre a
spese generali e accessori di legge.
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