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Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 17
novembre 2010 la Corte di Appello di Catanzaro liquidava
in favore di I.A. la somma di Euro 43.020,00 a titolo di
riparazione per l’ingiusta detenzione, subita dal
predetto, in relazione a giorni 239 di custodia
cautelare.
La Corte di Appello osservava che
I. era stato sottoposto alla misura cautelare carceraria
dal 2 agosto 2007 al 28 marzo 2008, quale indagato per
il delitto di omicidio volontario; segnatamente, la
custodia era stata sofferta dal giorno in cui nei
confronti del prevenuto era stato adottato provvedimento
di fermo, sino alla pronuncia assolutoria, per non aver
commesso il fatto, pronunciata dal G.i.p. del Tribunale
di Catanzaro.
La Corte territoriale escludeva la
sussistenza di condotte dolose o gravemente colpose
poste in essere dal richiedente, in rapporto causale
rispetto alla disposta misura cautelare; con riguardo al
“quantum”, il giudice della riparazione considerava che,
nel caso di specie, non risultavano conseguenze
personali o familiari ulteriori, rispetto a quelle
presumibili dalle circostanze dei fatti.
Nel procedere alla liquidazione
della somma dovuto a titolo di riparazione per
l’ingiusta detenzione, la Corte di Appello rilevava che
I. , al momento di applicazione della misura cautelare,
era gravato da precedenti penali; ed assumeva che,
diversamente dall’incensurato, il soggetto gravato da
precedenti penali, risultando assuefatto a tali
situazioni, subisce una afflizione minore. Sulla scorta
di tali rilievi la Corte territoriale operava una
riduzione rispetto all’importo di Euro 235,87,
individuato dalla giurisprudenza quale dato di partenza
per la determinazione del coefficiente giornaliero, ai
fini della liquidazione dell’indennizzo, e fissava il
coefficiente giornaliero, da applicare rispetto alla
custodia ingiustamente sofferta dello I. , in Euro
180,00. Detto importo, veniva quindi moltiplicato per il
numero dei giorni di custodia presofferta, così
pervenendosi alla somma di Euro 43.020,00. La Corte
disponeva la compensazione delle spese, rilevando che
l’Avvocatura non si era opposta all’accoglimento della
domanda.
2. Avverso la richiamata ordinanza
della Corte di Appello di Catanzaro ha proposto ricorso
per cassazione I.A. , a mezzo del difensore, deducendo
il vizio motivazionale, in punto di determinazione del
quantum debeatur.
Osserva l’esponente di avere
subito, per effetto della custodia cautelare,
conseguenze incidenti anche sulla attività lavorativa,
sulla vita familiare e sulla propria condizione
economica, essendosi pure protratto il sequestro dei
conti correnti riferibili allo I. .
Il ricorrente ritiene che la Corte
di Appello, nel disattendere le argomentazioni dello I.
, abbia argomentato in maniera apodittica, con
motivazione solo apparente.
Osserva la parte che la
giurisprudenza risulta consolidata nel ritenere che
nella liquidazione dell’equa riparazione debbano essere
compensate anche le conseguenze personali, di natura
morale, patrimoniale, fisica e psichica, derivanti dal
periodo di detenzione, compreso il danno all’immagine ed
alla identità personale.
L’esponente rileva che la vicenda
processuale venne divulgata dai mezzi di comunicazione
di massa, i quali diedero risalto alla natura delle
accuse elevate allo I. . Osserva che alla domanda di
riparazione era stata pure allegata documentazione
medica, attestante il fatto che la privazione della
libertà personale aveva compromesso il normale svolgersi
della vita di relazione del richiedente. La parte
rileva, poi, che la Corte di Appello ha
contraddittoriamente valorizzato, nel ridurre il dato
aritmetico funzionale alla liquidazione, I precedenti
penali a carico del prevenuto, precedenti peraltro
remoti e non particolarmente allarmanti. Osserva che I.
, benché soggetto censurato, non era stato mai attinto
in precedenza da privazioni della libertà, di talché
solo apoditticamente può affermarsi che lo stesso
risulti assuefatto alla misura cautelare carceraria. Il
ricorrente richiama precedenti giurisprudenziali ove si
è chiarito che la riduzione dell’ammontare
dell’indennizzo, rispetto al criterio nummario, non può
basarsi sulla minore incidenza della ingiusta detenzione
su di un soggetto che ha già subito la restrizione
carceraria.
3. Il Procuratore Generale con
requisitoria scritta, richiamato l’orientamento espresso
dalla giurisprudenza di legittimità in materia di
liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 314 cod.
proc. pen., ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato, nei sensi
di seguito esposti.
4.1 Come noto, la Suprema Corte ha
da tempo chiarito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1 del
13/01/1995, dep. 31/05/1995 Rv. 201035) che la
liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 314 cod.
proc. pen., va disancorata "da criteri o parametri
rigidi" e che deve, al riguardo, “procedersi con equità,
valutando la durata della custodia cautelare e, non
marginalmente, non in termini residuali, le conseguenze
personali e familiari, derivanti dalla privazione della
libertà”, questa intesa non "come un dato o valore
statico, ma come valore dinamico, come valore (...)
indispensabile ad ognuno per sviluppare, liberamente, la
propria personalità (...)"; sicché "debbono essere
valutati i due criteri di proporzionamento della
riparazione, che consistono nella durata della custodia
cautelare e nelle conseguenze personali e familiari
derivanti dalla privazione della libertà (...)". Ne
consegue che il giudice della riparazione deve procedere
alla liquidazione dell’indennizzo, sulla base di tali
parametri ed entro il tetto massimo del quantum
indennizzabile, tenendo conto della durata della
custodia cautelare ed apprezzando tutte le conseguenze
pregiudizievoli che essa ha comportato, sotto il profilo
personale, familiare, patrimoniale, morale, diretto o
mediato "che sia(no) in rapporto eziologico con la
ingiusta detenzione". Ed è stato ulteriormente chiarito
(Cass. Sez. U, Sentenza n. 24287 del 09/05/2001, dep.
14/06/2001, Rv. 218975) che la liquidazione
dell’indennizzo va effettuata tenendo conto del
parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il
tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315.2 cod.
proc. pen., e il termine massimo della custodia
cautelare di cui all’art. 303.4, lett. c) cod. proc.
pen., espresso in giorni, moltiplicato per il periodo,
anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione
subita, mentre il potere di liquidazione equitativa
attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto
non può mai comportare il superamento del tetto massimo
normativamente stabilito.
Posto, dunque, che quel criterio
aritmetico sopra enunciato deve essere tenuto presente
quanto meno come dato di partenza della relativa
valutazione indennitaria - ponendosi esso come dato
oggettivo di equità valutabile dal giudice - anche in
riferimento alle modalità, più o meno afflittive della
detenzione, ove il giudice intenda discostarsi dalla
misura dell’indennizzo In tal guisa determinabile deve
fornire adeguata motivazione idonea a dare contezza
delle circostanze specificamente apprezzate, sotto il
profilo personale e familiare, che a quel discostamento
abbiano condotto; motivazione che non necessariamente
abbisogna di particolareggiate o particolarmente
approfondite espressioni, trattandosi pur sempre di una
liquidazione indennitaria e non risarcitoria -
equitativa, ma che, nondimeno, deve sufficientemente
svolgersi in maniera, ancorché succinta, tale da
consentire il controllo di legittimità sulla logicità
del divisamento espresso. Vero è, in sostanza, che la
liquidazione dell’indennizzo in questione deve dal
giudice essere effettuata in via equitativa; ma
l’esercizio in concreto di tale potere discrezionale
deve pur sempre dare adeguata e congrua contezza
dell’uso di tale facoltà indicando il processo logico e
valutativo seguito; e solo quando la motivazione del
provvedimento dia adeguata ragione di tanto il
divisamento espresso non è suscettibile di sindacato
alcuno in sede di legittimità, ex art. 606.1, lett. e)
cod. proc. pen., (Cass. Sez. 4^, sentenza n. 30317 del
21.6.2005, Rv. 232025).
4.2 Nel caso di specie, la Corte di
Appello ha precisato di avere tenuto conto, nella
liquidazione operata in favore del richiedente, del
fatto che I. , al momento di applicazione della misura
cautelare, risultava gravato da precedenti penali.
Segnatamente, il Collegio ha evidenziato che,
diversamente dall’incensurato, il soggetto gravato da
precedenti penali, risultando assuefatto a tali
situazioni, subisce una afflizione minore; e sulla
scorta di tale rilievo ha operato una riduzione
dell’equo indennizzo per l’ingiusta detenzione.
4.2.1 L’argomentazione ora
richiamata, in base alla quale il Giudice della
riparazione ha ridotto l’indennizzo riconosciuto per
l’ingiusta detenzione, in considerazione del fatto che
il richiedente risultava gravato da precedenti condanne,
muove alle considerazioni che seguono.
Non sfugge che, secondo un
orientamento interpretativo espresso, peraltro non
univocamente, dalla Suprema Corte di Cassazione, nella
liquidazione dell’indennizzo dovuto a titolo di
riparazione per l’ingiusta detenzione è legittimo
operare una riduzione della somma giornaliera, computata
quale frazione di quella massima liquidabile, per la
minore afflittività della privazione della libertà
personale, riconducibile sia al minore discredito che
l’evento comporta per una persona la cui immagine
sociale è già compromessa, sia al fatto che la
dimestichezza con l’ambiente carcerario rende meno
traumatica l’ingiusta privazione della libertà (Cass.
Sezione 4, sentenza n. 34673 del 22.06.2010, dep.
24.09.2010, Rv. 248083; in argomento, si veda anche
Cass. Sezione 3, sentenza n. 17404 del 20.01.2011, dep.
5.05.2011, Rv. 250279, ove si afferma che l’ammontare
dell’indennizzo non può essere ridotto in considerazione
delle pregresse esperienze carcerarie subite dal
richiedente).
Orbene, tanto chiarito, deve
rilevarsi che, nel caso che occupa, la motivazione posta
a sostegno della decisione di ridurre l’importo dovuto a
titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione, non
risulta conferente, neppure in applicazione del criterio
ermeneutico ora richiamato, in base al quale il giudice
della riparazione può legittimamente operare una
riduzione del "quantum" dovuto al soggetto che abbia
subito precedenti periodi di detenzione. Ed invero, la
Corte di Appello ha fatto riferimento ai precedenti
penali a carico dello I. ed ha ritenuto che, in
considerazione di detta evenienza, il richiedente
risultasse assuefatto alla restrizione della libertà
personale. Come si vede, il ragionamento sviluppato
dalla Corte territoriale risulta inficiato da una
insanabile frattura logica, atteso che viene delineata
una sequenza causale, tra fattori ontologicamente
disomogenei. Ed invero, la Corte di Appello ha
considerato, quale elemento idoneo a determinare lo
stato di assuefazione alla carcerazione, la mera
presenza di precedenti penali a carico e non le
eventuali pregresse esperienze detentive subite dalla
parte. Ed è appena il caso di rilevare che la Corte
territoriale ha considerato l’incidenza delle precedenti
condanne riportate dal richiedente rispetto alla
privazione della libertà personale, omettendo ogni pur
possibile riferimento all’eventuale minore afflittività
della carcerazione per una persona la cui immagine
sociale risulti compromessa da precedenti condanne.
5. Si impone, pertanto,
l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla
Corte di Appello di Catanzaro, per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con
rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro. |