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Vietato accusare un giudice di
inoperosità. Un'espressione apparentemente innocua
pronuncuata in aula e che non suscita particolare
clamore può invece far scattare una sanzione
disciplinare a carico dell'avvocato restando irrilevante
lo "strepitus fori", il clamore appunto, che possono
eventualmente suscitate alcune espressioni. Il
chiarimento arriva con la sentenza n. 30170, depositata
il 30 dicembre 2012 delle sezioni Unite civili secondo
cui deve ritenersi sufficiente, ai fini dell'irrogazione
della sanzione disciplinare all'avvocato, l'accertata
pronunzia nell'aula di giustizia di espressioni
ingiuriose rivolte ai magistrati, dovendo ritenersi le
frasi offensive di per sé contrarie alla dignità e al
decoro professionale, indipendentemente
dall'accertamento del clamore suscitato da dette
affermazioni. Peraltro ove si accerti il CD "strepitus
fori", ciò può costituire un'aggravante della condotta
addebitata all'incolpato. Secondo quanto si legge in
sentenza, a seguito della ricezione del verbale dal
Tribunale di Firenze, il Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati procedeva disciplinarmente a carico di un
avvocato per la ravvisata violazione degli artt. 12 e 38
R.D.L. n. 1578 del 1933, per avere, quale difensore di
parte civile in un procedimento penale, pronunziato
espressioni ingiuriose, definite "non pertinenti né
direttamente finalizzate alla difesa", nei confronti
delle persone di due magistrati, il P.M. e il Giudice
del Lavoro. L'avvocato, in particolare, rivolgendosi al
P.M. aveva affermato che la stessa era "nota in Procura
per la sua inoperosità" e che la seconda "era passata
dal suo incarico di Sostituto Procuratore presso il
Tribunale di Prato a quello di Giudice del Lavoro di
Firenze in conseguenza della sua gestione disinvolta dei
collaboratori di giustizia", persistendo "nell'uso di
espressioni dal contenuto improprio ed inconferente
nonostante i ripetuti solleciti del Giudice del
dibattimento e del Pubblico Ministero di udienza". Con
decisione C.O.A dichiarò l'avvocato colpevole
dell'addebito ascrittogli e gli irrogò la sanzione della
censura. All'esito ed in parziale accoglimento del
gravame proposto dall'incolpato, il Consiglio Nazionale
Forense applicò la minore sanzione dell'avvertimento,
anche alla luce della remissione di querela da parte dei
due magistrati. Avverso la suddetta decisione l'avvocato
proponeva ricorso alle Sezioni Unite che, rigettando il
ricorso dell'avvocato (nella parte in cui sosteneva non
essersi integrato l'illecito ascrittogli per la mancanza
dello "strepitus fori"), hanno stabilito quanto segue:
"Quanto poi alla sussistenza o meno dello "sconcerto
negli astanti, che particolarmente si contesta nel mezzo
d'impugnazione, la censura difetta di rilevanza,
attenendo ad una circostanza non integrante alcun
elemento dell'illecito deontologico, la cui condotta
tipica, nella specie contestata, consiste nel compimento
di atti non conformi alla dignità ed al decoro
professionale non essendo anche richiesto, quale evento
lesivo, lo strepitus fori e neppure previsto
quest'ultimo quale eventuale aggravante dell'illecito.
Sotto diverso profilo deve osservarsi che detta
circostanza nemmeno ha assunto concreto rilievo, quale
parametro valutativo della oggettiva gravità
dell'illecito (in analogica applicazione dell'art. 133
C.P.) ai fini del trattamento sanzionatorio, posto che
il giudice di appello ha ritenuto di dover applicare
all'incolpato la sanzione minima prevista
dall'ordinamento professionale, quella dell'
avvertimento; sicché la censura difetta di concreto
interesse".
(Fonte: StudioCataldi.it) |