Il condominio non risponde dei
danni provocati dall'umidità di risalita al locale
semi-interrato. Spetta al proprietario farsi carico
degli interventi di manutenzione volti ad eliminare o,
quantomeno, a mitigare, il fenomeno. Ad affermarlo è la
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25239/2011.
Il caso. Il proprietario di un
locale seminterrato lamenta fenomeni di “umidità da
risalita” e cita in giudizio il Condominio perché, quale
custode, risarcisca il danno lamentato. Tale tesi,
trovando un proprio fondamento nell'art. 2051 c.c.,
viene accolta dal Tribunale, con la conseguenza che il
condominio viene condannato non solo all'esecuzione
delle opere indicate dal CTU, ma anche al risarcimento
del danno quantificato in 30mila euro.
La controparte non si sta e ricorre
in appello. In questa sede, la Corte territoriale
ribalta l'esito del giudizio e respinge la richiesta
risarcitoria applicando al caso di specie l'art. 844
c.c., norma che legittima l'azione del proprietario che
subisce delle immissioni derivanti dal fondo del vicino
purché queste superino la soglia della “normale
tollerabilità”. In particolare, il giudice di seconde
cure, fornendo un'interpretazione estensiva del concetto
di “immissione”, qualifica l'umidità di risalita come
una immissione molesta. Ergo, il risarcimento non
sarebbe dovuto in quanto le lamentate immissioni nocive
non sarebbero tali da superare la soglia della normale
tollerabilità. A questo punto è il proprietario del
locale a non arrendersi e a ricorrere per Cassazione.
Il giudizio di legittimità. Nello
specifico, il ricorrente formula il seguente quesito di
diritto: «il condominio, quale custode, è obbligato ad
adottare tutte le misure necessarie affinché le cose
comuni non rechino danno alla proprietà esclusiva del
singolo condomino?». I giudici di piazza Cavour, nel
respingere la tesi del proprietario-ricorrente,
ritengono che la Corte territoriale abbia correttamente
rigettato la domanda risarcitoria. L'unico errore
sarebbe ravvisabile nell'applicazione dell'art. 844 c.c.
e, quindi, delle norme in materia di immissioni nocive.
Ad entrare in gioco sarebbe, invece, il tradizionale
art. 2051 c.c. (danno da cose in custodia) a cui aveva
fatto ricorso il Tribunale. La norma prevede che il
custode della cosa risponda dei danni prodotti a terzi
salvo - ovviamente - il caso fortuito.
Corte
di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 novembre
2011, n. 25239
Svolgimento del processo
1.
A..G. proprietario di un locale seminterrato, prima
adibito a magazzino e poi a locale commerciale -
conveniva in giudizio il condominio, di cui faceva parte
l'immobile, lamentando infiltrazioni di acqua e umidità
derivanti dai muri comuni. Il giudice di primo grado
condannava il condominio, quale custode ex art. 2051
cod. civ., alla realizzazione delle opere ritenute
necessarie dal consulente tecnico per impedire le
infiltrazioni, oltre al risarcimento del danno (Euro
30.000,00) per il mancato utilizzo del locale.
2. La
Corte di appello di Perugia rigettava le domande attoree
(sentenza del 10 settembre 2008).
3.
Avverso la suddetta sentenza, G. propone ricorso per
cassazione con un unico motivo.
Resiste con controricorso il Condominio di via
(omissis).
Motivi della decisione
1. La
Corte di merito ha rigettato le domande sulla base delle
seguenti essenziali argomentazioni.
Deve
escludersi la responsabilità del condominio ex art. 2051
cod. civ. per l'assenza del danno ingiusto, requisito
logicamente anteriore all'insorgenza dell'onere a carico
del custode della prova liberatoria del caso fortuito.
Le
infiltrazioni di umidità provenienti da terreno
condominiale possono astrattamente configurare un danno
ingiusto se superano il limite della normale
tollerabilità ex art. 844 cod. civ., che ne condiziona
l'illiceità.
Se
tale limite non è superato il danneggiato è tenuto a
subirle.
Il
consulente tecnico ha ricondotto le infiltrazioni alla
mancanza di impermeabilizzazione delle pareti
controterra e alla mancanza di aereazione e (in sede di
appello) ha chiarito che la presenza di umidità nelle
pareti interrate fosse tollerabile per la originaria
destinazione a magazzino. Dalle valutazioni del ctu si
ricava che, una volta cambiata destinazione, con
aggravamento delle infiltrazioni per la mancata
aerazione dei locali, le infiltrazioni eccedano tale
limite di tollerabilità.
Sulla
base dei criteri previsti dall'art. 844 cod. civ., deve
ritenersi che il G. debba tollerare le infiltrazioni
provenienti dalle fondamenta e dal terreno condominiale,
considerato che queste si producono per l'effetto delle
risalenti tecniche di costruzione, all'epoca socialmente
accettate anche in considerazione della destinazione a
magazzino, con conseguente esclusione di qualunque vizio
del fabbricato; conseguentemente gravano su di lui le
opere per difendersi da tali infiltrazioni ritenute
intollerabili con la nuova destinazione. Conferma della
ragionevolezza di tale impostazione si ricava dalla
circostanza che, secondo il consulente, l'intervento che
il G. dovrebbe realizzare nel locale di sua proprietà
(una tramezzatura interna a guisa di intercapedine)
sarebbe più economico di eventuali opere sulle strutture
comuni (impermeabilizzazione delle pareti controterra,
previo scavo e successivo riempimento con materiale
drenante e rifacimento del marciapiede) alle quali il
condominio è stato condannato dal primo giudice.
2. Con
l'unico motivo di ricorso si deduce travisamento dei
fatti e violazione e falsa applicazione di norme di
diritto, chiedendo alla Corte (con il quesito) se il
condominio, quale custode, sia obbligato ad adottare
tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non
rechino danno alla proprietà esclusiva del singolo
condomino, dovendosi escludere qualunque limitazione
quantitativa del danno riconducibile alla normale
tollerabilità ex art. 844 cod. civ., anche se i danni
siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, in
ipotesi comportanti la concorrente responsabilità del
costruttore-venditore.
2.1.
Il motivo va rigettato perché la decisione è conforme a
diritto; ma, correggendo in tal senso la motivazione,
deve essere rettificato l'erroneo riferimento al'art.
844 cod. civ., contenuto nella sentenza impugnata.
2.2. Palese è
l'inconferenza del riferimento all'art. 844 cod. civ..
È
sufficiente ricordare che tale norma prevede un criterio
legale, quello della normale tollerabilità, per la
soluzione del conflitto nascente dall'interferenza del
godimento di un "fondo" con il godimento di un altro
"fondo", nel caso di immissioni di fumo, calore, rumori,
e, in genere, in tutti i casi di propagazione di
sostanze inquinanti. Il superamento della normale
tollerabilità legittima la pretesa dell'adozione di
misure antirumore, antinquinamento ecc. e, se non
bastasse, della cessazione dell'attività molesta.
Mentre, in un'ottica radicalmente diversa, l'art. 2051
cod. civ. - sul quale si fonda l'azione intrapresa dal
G. - disciplina la responsabilità per danni causati da
cose in custodia. 2.3. Ricondotta la soluzione della
controversia nell'ambito proprio dell'art. 2051 cod.
civ., il rigetto della domanda, ritenuto dalla Corte di
merito, è conforme a diritto.
È
costante nella giurisprudenza della Corte il principio
secondo cui la responsabilità ex art. 2051 cod. civ.
sussiste in relazione a tutti i danni cagionati dalla
cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per
l'insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa
solo dal caso fortuito, il quale può essere
rappresentato - con effetto liberatorio totale o
parziale - anche dal fatto del danneggiato, avente
un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il
nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da
affiancarsi come ulteriore contributo utile nella
produzione del danno (da ultimo Cass. 7 aprile 2010 n
8229).
2.3.1.
Nella specie, il giudice del merito, al di là
dell'inappropriato riferimento alle infiltrazioni
tollerabili, sulla base della consulenza tecnica, ha
ritenuto che: le infiltrazioni provenienti da parti
comuni dell'edificio, da cui scaturiva l'umidità del
locale di proprietà esclusiva, erano riconducibili alle
tecniche in uso all'epoca della costruzione
dell'edificio, tecniche idonee rispetto alla
destinazione dello stesso a magazzino, e alla mancanza
di aereazione; con la mancata aereazione del locale,
conseguente al mutamento della destinazione di uso da
magazzino a locale commerciale, le infiltrazioni si
erano aggravate. In tale modo, ha accertato che il fatto
del danneggiato, costituito dal mutamento di
destinazione d'uso - impedendo la normale aereazione del
locale seminterrato, le cui caratteristiche costruttive
erano compatibili con tale aereazione - ha avuto
efficacia causale tale da interrompere il nesso tra la
cosa e l'evento dannoso, integrando il caso fortuito
richiesto dalla legge perché il proprietario custode sia
esente da responsabilità.
3.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le
spese del presente giudizio. Le argomentazioni delle
sentenza di appello hanno ragionevolmente fatto sorgere
nel ricorrente l'aspettativa di un esito favorevole
della controversia.
P.Q.M.
La Corte
di Cassazione rigetta il ricorso; compensa integralmente
le spese processuali del giudizio di cassazione. |