In materia di lesioni personali, il
concetto di arma impropria è indicativo di qualunque
strumento atto ad offendere di cui sia vietato il porto
senza giustificato motivo, oltre che dal disposto
testuale dell'art. 585, c. 2 n. 2 c.p., anche dall'art.
4, c. 2 L. n. 110/1975, che per l'appunto definisce la
nozione della categoria di oggetti che non è consentito
portare fuori dell'abitazione senza un motivo
giustificato, individuandoli in qualsiasi strumento
chiaramente utilizzabile, per circostanze di tempo e di
luogo, per l'offesa alla persona. Non è dunque richiesta
alcuna tipicità funzionale di qualsivoglia oggetto che,
per circostanze spaziali e temporali, venga con modalità
casuali, ma volontarie, utilizzato con finalità
offensiva e quindi difforme rispetto alla naturale o
merceologica destinazione.
Corte di Cassazione, Sezione 6
penale, Sentenza 17 novembre 2011, n. 42428
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. -
Presidente
Dott. MILO Nicola - Consigliere
Dott. IPPOLITO Francesco -
Consigliere
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI. GA. El. Sa. , n. (OMESSO);
avverso la sentenza in data
01/12/2009 della Corte di Appello di Caltanissetta;
esaminati gli atti, la sentenza
impugnata ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la
relazione del consigliere Dott. Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in
persona del sostituto Procuratore Generale Dott. GALASSO
Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente,
avv. Giovanni Di Giovanni, che ha insistito per
l'accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- All'esito di giudizio
abbreviato il Tribunale di Caltanissetta ha dichiarato
Di. Ga.El. Sa. colpevole dei reati, unificati da
continuazione, di resistenza e di lesioni volontarie
aggravate. Condotta, attuata con piu' azioni in
sincronica sequenza, consistita: dapprima nell'essersi
opposto a due agenti di una "volante" della P.S. (
Pr.Ro. e P.G. ), intervenuti per porre termine alla
violenta colluttazione in corso tra lui e tale Gi.Ga. ,
divincolandosi e sottraendosi alla loro presa nonche'
scagliando contro gli stessi una stampante fuori uso
raccolta da un vicino cassonetto, che attingeva la
vettura di servizio; subito dopo proseguendo la lite con
il Gi. e scagliandogli contro la ridetta stampante, che
lo attingeva al volto, producendogli la frattura delle
ossa nasali con una prognosi di guarigione di 25 giorni;
nuovamente opponendosi, infine, agli agenti operanti,
tentando di darsi alla fuga e venendo fermato soltanto
grazie all'intervento dell'equipaggio di un'altra
"volante" di polizia.
Il Tribunale, nella piena
utilizzabilita' di tutte le emergenze delle indagini
(procedendosi a giudizio allo stato degli atti), ha
valutato univocamente dimostrata la penale
responsabilita' dell'imputato per entrambi i reati
ascrittigli in base alla analitica descrizione
dell'episodio contenuta nel verbale di arresto del
prevenuto in flagranza di reato ed al certificato
sanitario attestante le lesioni riportate dal Gi. . Per
l'effetto, concessa - quanto al reato di lesioni -
l'attenuante della provocazione ex articolo 62 c.p., n.
2 (avendo l'imputato reagito in stato d'ira alla
improvvisa e violenta aggressione del Gi. ), il
Tribunale ha condannato il Di. Ga. alla pena di otto
mesi di reclusione, dichiarata sospesa alle condizioni
di legge.
2.- Adita dall'impugnazione del Di.
Ga. , la Corte di Appello di Caltanissetta con sentenza
in data 1.12.2009 ha confermato la decisione di condanna
di primo grado, ritenendo destituiti di fondamento i
rilievi critici espressi con l'atto di appello.
In particolare i giudici della
Corte di Appello hanno, in primo luogo, considerato la
condotta reattiva dell'imputato integrare senza
incertezze il contestato reato di resistenza, dal
momento che i suoi gesti di violenza reattiva contro i
poliziotti sono stati compiuti allo scopo di opporsi al
loro rituale intervento, al di fuori di ogni ambito di
eventuale legittima difesa per contrastare l'azione
aggressiva del suo antagonista Gi. , ormai immobilizzato
dagli stessi operanti. In secondo luogo la decisione ha
confermato la ricorrenza della contestata aggravante ex
articolo 585 c.p., comma 1, u.p. e comma 2, n. 2,
dell'uso di arma impropria (la stampante ripresa da
terra) per commettere il reato di lesioni volontarie in
danno del Gi. , richiamando la conforme giurisprudenza
di legittimita' sulla nozione di arma impropria
(qualsiasi strumento, anche con destinazione funzionale
non tipica di esso, utilizzabile per concrete
circostanze spazio-temporali per l'offesa alla persona).
In terzo e ultimo luogo i giudici del gravame hanno
valutato congrua la pena comminata dal primo giudice,
non apparendo l'imputato meritevole delle invocate
attenuanti generiche, avuto riguardo alla oggettiva
gravita' del suo pervicace comportamento antigiuridico
(proseguito pur dopo l'intervento degli agenti) e al
precedente penale da cui e' gravato (tentato furto in
abitazione da minorenne).
3.- Il difensore di Di. Ga.El. Sa.
ha impugnato per cassazione la decisione della Corte di
Appello, formulando le censure di violazione di legge e
carenza e illogicita' della motivazione di seguito
esposte.
1. Violazione degli articolo 42
cpv. e articolo 43 c.p. e omessa motivazione dello
specifico motivo di appello sulla insussistenza
dell'elemento psicologico del reato di resistenza.
La sentenza della Corte nissena,
esclusa la ravvisabilita' della legittima difesa ex
articolo 52 c.p. per il reato di lesioni, non ha
confutato la congiunta tesi difensiva secondo cui il Di.
Ga. si e' divincolato dagli agenti non per opporsi agli
stessi, ma soltanto per non subire la perdurante
aggressione del Gi. nel momento in cui questi non era
stato ancora "bloccato" dagli agenti. L'imputato ha
agito per proteggere se stesso, senza alcuna intenzione
di ostacolare l'operato dei poliziotti sopraggiunti sul
luogo della sua colluttazione con il Gi. .
2. Violazione dell'articolo 52 c.p.
e insufficienza e illogicita' della motivazione con
riferimento alla prospettazione difensiva della
legittima difesa, valutata dai giudici di appello in
rapporto al reato di lesioni volontarie, ma non anche e
soprattutto rispetto alla ipotizzata resistenza. Il
contegno del Di. Ga. nei confronti degli agenti si e'
esplicato al solo scopo di sottrarsi alla "aggressione
che l'antagonista ( Gi. ) stava concretamente ponendo in
essere, approfittando dell'immobilizzazione del
ricorrente".
3. Erronea applicazione
dell'aggravante di cui all'articolo 585 c.p., comma 1
u.p., contestata per il reato di lesioni volontarie. La
circostanza aggravante dell'impiego di un oggetto
costituente arma impropria (la stampante dismessa
scagliata contro il Gi. ) non sussiste. La citata
disposizione normativa attiene all'uso di oggetti la cui
naturale destinazione sia l'offesa alla persona,
caratteristica certamente non presente nella stampante
utilizzata dall'imputato. La destinazione "funzionale"
all'offesa, evocata dalla sentenza di appello, deve
essere "tipica", che - diversamente ragionando -
qualunque oggetto rientrerebbe nella ipotesi aggravata
del reato di lesioni. Donde l'irrilevanza del richiamo
dei giudici di appello al disposto della Legge n. 110
del 1975, articolo 4, dal momento che le circostanze
locali e temporali che rendono un oggetto utilizzabile
per l'offesa alla persona vanno intese in senso
"astratto" ai fini del divieto del loro porto.
4. Violazione dell'articolo 59
c.p., comma 2 ed omessa motivazione sul motivo di
appello relativo alla "non volontarieta'" della suddetta
aggravante ex articolo 585 c.p., comma 1. La sentenza
impugnata non si e' fatta carico di vagliare la censura
sulla addotta surrogatoria ignoranza del Di. Ga. di fare
uso di un oggetto di cui sarebbe stato vietato il porto
(le circostanze aggravanti sono valutate a carico
dell'agente soltanto se da lui conosciute o ignorate per
colpa).
4.- Il ricorso proposto
nell'interesse di Di. Ga. El. Sa. deve essere respinto
per l'infondatezza o per la indeducibilita' dei
delineati motivi di censura.
1. Il primo motivo di ricorso
sull'asserita disapplicazione dei criteri definitori
dell'elemento psicologico del reato (articolo 42 c.p.,
comma 2, articolo 43) con riferimento - deve presumersi
- alla contestata fattispecie di resistenza (che il
ricorso non sembra porre in dubbio la volontarieta'
dell'azione eterolesiva consumata dall'imputato nei
confronti di Gi.Ga. ) e' infondato fino a lambire
l'evidenza. Esso nasce, infatti, da una travisante
rilettura del corrispondente motivo di appello, con cui
l'imputato adduceva genericamente di essersi divincolato
dalla presa degli agenti "per reazione spontanea e
istintiva all'aggressione che aveva subito ad opera del
Gi. " (aggressione, quindi, non piu' in atto dopo il
primo intervento dei poliziotti, come si desume dalla
motivazione della sentenza di appello, che riporta i
brani del verbale di arresto utilizzati a fini decisori
sulla dinamica dei fatti integranti la regiudicanda).
Ne' assistito da serio fondamento
si rivela il secondo e connesso motivo di impugnazione
in punto di mancato apprezzamento della scriminante
della legittima difesa in rapporto al reato di
resistenza e non gia', o non soltanto, in rapporto alla
condotta di lesioni volontarie prodotte ad un soggetto
terzo. Per vero, senza sottacere la palese discrasia
logica della prospettazione difensiva del ricorrente che
impropriamente parcellizza l'area referenziale della
ipotesi della legittima difesa, riesce arduo decifrare i
presupposti su cui e' fondata la censura, perche' - alla
luce delle motivazioni delle due conformi decisioni di
merito - non emerge in alcun modo che il Gi. abbia
proseguito o tentato di proseguire la sua aggressione
verso l'imputato dopo essere stato bloccato
("immobilizzato") dagli agenti di polizia.
In ogni caso la sentenza della
Corte di Appello di Caltanissetta ha diffusamente
motivato l'infondatezza di entrambe le odierne
prospettazioni censorie con argomenti lineari e
giuridicamente corretti, rigorosamente correlati alla
oggettiva dinamica delle condotte dell'imputato e del
Gi. nonche' degli agenti operanti, quali rappresentate
nel verbale di arresto del Di. Ga. , unico atto
apprezzabile per ricostruire lo sviluppo degli
accadimenti (si e' proceduto al giudizio allo stato
degli atti). Opportunamente la sentenza localizza
l'attenzione sia sull'autonomo contegno di resistenza
del Di. Ga. , divincolatosi dalla presa degli operanti
per proseguire la sua aggressione (pur reattiva, come
riconoscono entrambi i giudici di merito, concedendogli
l'attenuante della provocazione per il reato di lesioni)
nei confronti del Gi. e -per cio' stesso - opponendosi
all'azione degli agenti intervenuti per ragioni
d'istituto proprio allo scopo di far cessare la
colluttazione tra i due antagonisti, sia - per altro
verso - sul contegno, coevo al "divincolamento" dagli
agenti, del Di. Ga. verso il Gi. , che colpisce al volto
con la non leggera stampante raccolta da terra dopo
averla gia' in precedenza scagliata contro gli
intervenienti poliziotti.
Di tal che, alla luce della
ricomposta dinamica dei contegni dell'imputato svolta
dall'impugnata sentenza di secondo grado (sulla scia
della confermata decisione del Tribunale),
l'insussistenza dell'eventuale scriminante della
legittima difesa segnalata dai giudici di appello non
trova spazio alcuno non solo per la condotta di lesioni
verso il Gi. , ma a maggior ragione anche per il reato
di resistenza (v. sentenza, p. 5: "...il comportamento
violento dell'imputato, sia nella fase iniziale e tanto
piu' in quella successiva in cui si e' divincolato,
liberandosi dalla presa degli operanti per impossessarsi
nuovamente della stampante e lanciarla all'indirizzo del
Gi. , integra pienamente il delitto di resistenza,
essendo chiaramente finalizzato a contrastare
l'attivita' degli agenti, intervenuti proprio a sedare
la lite e separare in contendenti").
2. Destituita di pregio e
sostanzialmente generica, perche' riproduttiva di un
motivo di gravame ampiamente vagliato dai giudici di
secondo grado (e dalla stessa sentenza del Tribunale),
e' la doglianza sulla insussistenza della ritenuta
circostanza aggravante dell'uso di un'arma impropria per
commettere il reato di lesione volontaria in pregiudizio
del Gi. (terzo motivo di ricorso).
Le deduzioni della sentenza
impugnata sulla ravvisabilita' dell'aggravante in parola
sono ineccepibili e conformi al consolidato indirizzo
interpretativo di questa Corte regolatrice.
Correttamente i giudici di appello mutuano il concetto
di arma impropria, indicativo di qualunque "strumento
atto ad offendere" di cui sia vietato il porto "senza
giustificato motivo", oltre che dal disposto testuale
dell'articolo 585 c.p., comma 2, n. 2, anche dalla Legge
n. 110 del 1975, articolo 4, comma 2, che per l'appunto
definisce la nozione della categoria di oggetti che non
e' consentito (l'inosservanza del divieto integrando un
reato contravvenzionale) portare fuori dell'abitazione
senza un motivo giustificato, individuandoli (in uno a
specifiche elencate armi "indirette") in "qualsiasi
strumento chiaramente utilizzabile, per circostanze di
tempo e di luogo, per l'offesa alla persona".
E' ben chiara, allora, l'erroneita'
dell'assunto del ricorrente sulla irrilevanza o
inconferenza del richiamo a detta ultima disposizione
normativa (Legge n. 110 del 1975, articolo 4) effettuato
dalla sentenza di appello. Nell'indicato contesto
definitorio non e' richiesta alcuna "tipicita'"
funzionale di qualsivoglia oggetto che, per circostanze
spaziali (quali l'immediata reperibilita' o
disponibilita' dell'oggetto: il Di. Ga. preleva la
stampante dismessa da un vicino cassonetto dei rifiuti)
e temporali (violenta colluttazione in atto con il Gi.
), venga con modalita' casuali (od anche fortuite), ma
volontarie, utilizzato con finalita' offensive
strumentali, id est "funzionali" allo scopo lesivo,
verso la persona e, quindi, per scopi difformi dalla
naturale o merceologica destinazione propria dello
stesso oggetto impiegato (cfr. ex plumis: Cass. Sez. 5,
28.5.2008 n. 28622, P.G. in proc. Iacobone, rv. 240431:
"Sono armi improprie, Legge n. 110 del 1975, ex articolo
4, comma 2, gli strumenti, ancorche' non da punta o da
taglio, che, in particolari circostanze di tempo e di
luogo, possono essere usati per l'offesa alla persona.
Ne deriva che anche un pezzo di legno, se usato in un
contesto aggressivo, diventa uno strumento atto ad
offendere e rileva ai fini dell'applicazione
dell'aggravante di cui all'articolo 582 c.p., comma 2,
in quanto quel che rileva, a tal fine, non e' la forma
dell'oggetto utilizzato per offendere ma la destinazione
funzionale di esso"; Cass. Sez. 5, 15.4.2010 n. 27768,
P.G. in proc. Casco, rv. 247888).
3. Infondato e in sostanza
indeducibile (trattandosi di replica di un generico
motivo di appello) e' il rilievo sulla addotta
disapplicazione del dettato dell'articolo 59 c.p., comma
2, ovvero sulla omessa motivazione di detta
disapplicazione, basato sul presupposto per cui il Di.
Ga. avrebbe senza colpa ignorato il vietato e
illegittimo uso improprio da lui compiuto della
stampante scagliata addosso al Gi. .
La Corte di Appello ha fornito una
risposta implicita alla censura espressa con l'atto di
appello, laddove ha posto l'accento sulla inequivoca
volontarieta' dell'azione offensiva attuata
dall'imputato e sul suo consapevole impiego lesivo della
stampante usata come strumento di aggressione contro il
suo antagonista. Segnalata la scarsa incidenza
dell'aggravante in esame sul piano sanzionatorio (i
giudici di merito hanno individuato la pena base in
quella relativa al piu' grave reato di resistenza,
apportando un unitario incremento ex articolo 81 cpv.
c.p. per il connesso reato di lesioni), la palese
infondatezza del motivo di appello ex articolo 59 c.p.,
comma 2, rendeva - d'altra parte - ultronea ogni
risposta, sol che si osservi che l'aggravante ad effetto
comune di cui all'articolo 585 c.p., comma 1 u.p.,
contestata al ricorrente possiede specifica natura
oggettiva. In guisa che, in applicazione dell'articolo
59 c.p., comma 1, essa e' efficace ancorche' sconosciuta
o ignorata dal soggetto agente. Nel senso che, come per
ogni altra circostanza di carattere oggettivo, il
criterio di imputazione dell'aggravante ha valenze
oggettive, non richiedendosi alcuna previa
rappresentazione (cognitiva e volitiva) della
sussistenza della causa o circostanza aggravatrice da
parte del soggetto agente.
Al rigetto del ricorso segue ex
lege la condanna del Di. Ga. alla rifusione delle spese
del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. |