Nel diritto.it
MASSIMA
1. Il principio della comproprietà
dell'intero muro perimetrale comune di un edificio
legittima il singolo condomino ad apportare ad esso
(anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli
consentano di trarre, dal bene in comunione, una
peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta
dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche
all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali
di sua proprietà esclusiva), a condizione di non
impedire agli altri condomini la prosecuzione
dell'esercizio dell'uso del muro -ovvero la facoltà di
utilizzarlo in modo e misura analoghi - e di non
alterarne la normale destinazione e sempre che tali
modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il
decoro architettonico del fabbricato condominiale.
2. In considerazione della
peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato
dalla coesistenza di una comunione forzosa e di
proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli
impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto
individuale sui singoli piani in cui è diviso il
fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a
ragioni di solidarietà, si richiede un costante
equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i
partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi -
necessariamente alla stregua delle norme che
disciplinano la comunione - che l'uso del bene comune da
parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli
altri.
CASUS DECISUS
Con atto di citazione notificato
l'11 marzo 1998 C.C.T. evocava, dinanzi al Tribunale di
Bolzano M.M.I. e premesso di essere proprietaria di
unità immobiliare sita nel Condominio (omissis) ,
esponeva che la convenuta, proprietaria
dell'appartamento confinante con il proprio, nel corso
del precedente anno, senza autorizzazione dei condomini,
aveva intrapreso lavori di ristrutturazione del suo
alloggio, inglobando nello stesso spazi comuni e
pertanto ne chiedeva la condanna alla rimessione in
pristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento
dei danni. Instaurato il contraddittorio, nella
resistenza della convenuta, la quale precisava trattarsi
di invasione modestissima di area condominiale, per la
quale, gli altri condomini avevano prestato consenso
scritto sottoscrivendo in calce la raccomandata del
23.7.1997, prestata adesione dalla stessa attrice con
lettera del 5.9.1997, trovando applicazione l'istituto
dell'accessione invertita ex art. 938 c.c., per cui
eccepiva il difetto di legittimazione attiva
dell'attrice e spiegava riconvenzionale subordinata
operando il diritto di accessione invertita
relativamente alla superficie de qua (corrispondendo il
doppio del valore della superficie occupata al
condominio), veniva chiamato in causa iussu iudicis il
Condominio (…), con atto notificato l'8 novembre 1999,
il quale non si costituiva. Il Tribunale adito,
all'esito dell'istruttoria, accoglieva la sola domanda
attorea di rimessione in pristino dei luoghi, rigettate
quelle di risarcimento e quella riconvenzionale. In
virtù di rituale appello interposto dalla M.M. , con il
quale insisteva per la esiguità della porzione occupata,
applicabile alla specie l'istituto dell'accessione
invertita, la Corte di appello di Trento - Sezione
distaccata di Bolzano, nelle resistenza dell'appellata
G. (mentre il condominio rimaneva contumace), rigettava
l'appello. A sostegno dell'adottata sentenza, la corte
territoriale evidenziava che correttamente il giudice di
prime cure aveva qualificato i lavori eseguiti
dall'appellante sull'area comune come costituzione di
una servitù a carico del condominio, cosicché avrebbe
dovuto essere stipulato un contratto che doveva essere
intavolato, non rilevando al riguardo la documentazione
prodotta dalla stessa M.M.. Aggiungeva che del pari
correttamente era stata respinta la riconvenzionale non
operando nella specie l'art. 938 c.c. bensì la normativa
prevista per la proprietà comune di cui all'art. 1117 e
ss c.c.. Avverso l'indicata sentenza della Corte di
appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano ha
proposto ricorso per cassazione la M.M. , che risulta
articolato su un unico motivo, al quale ha resistito la
G. con controricorso. La ricorrente ha presentato
memoria ex art. 378 c.p.c..
PRECEDENTI
Conforme Difforme
Quanto alla massima n. 1, v. Cass.
17 febbraio 2005 n. 3265; Cass. 17 ottobre 2003 n.
16097; Cass. 18 febbraio 1998 n. 1708; v. Cass. 26 marzo
2002 n. 4314. Quanto alla massima n. 2, v. Cass. 30
maggio 2003 n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4617; 24
giugno 2008 n. 17208; Cass. 9 giugno 2010 n. 13879.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE
- SENTENZA 21 dicembre 2011, n.28025 - Pres. Schettino –
est. Falaschi
Motivi della decisione
Con un unico motivo la ricorrente
prospetta violazione e falsa applicazione degli artt.
1102 e 1120 c.c., nonché omessa motivazione su punto
decisivo della controversia per avere ritenuto la corte
di merito innovazione vietata l'occupazione di una
infinitesimale area comune, senza verificare il rispetto
o meno dei limiti esegetici indicati dallo stesso art.
1102 c.c., non potendosi considerare occupazione
comportante appropriazione di un bene comune in quanto
non aveva determinato l’inservibilità dello stesso bene
all'uso ed al godimento cui era destinato, trattandosi
di parte del tutto trascurabile rispetto alla superficie
complessiva dello stesso bene comune. Aggiungeva che
nonostante le diffuse ed approfondite censure mosse alla
sentenza di primo grado su tale fondamentale questione,
il giudice del gravame aveva sostanzialmente omesso di
motivare le ragioni per cui 'correttamente' i lavori
della ricorrente dovessero qualificarsi come
costituzione di servitù a carico del condominio stesso.
Con riferimento all'eccezione di
inammissibilità sollevata dalla C. nel controricorso in
ordine alla censura di violazione degli artt. 1102 e
1120 c.c. per essere questione nuova, si deve premettere
che, come questa Corte ha già affermato, si ha domanda
nuova per modificazione della 'causa petendi' - e come
tale inammissibile - quando i nuovi elementi, dedotti
innanzi alla cassazione, comportino il mutamento dei
fatti costitutivi del diritto azionato, modificando
l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della
controversia, in modo da porre in essere una pretesa
diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta
valere nel merito e sulla quale non si è svolto in
quella sede il contraddittorio (v. tra le più recenti:
Cass. 2 febbraio 2011 n. 2420; Cass. 22 ottobre 2010 n.
21791; Cass. 23 ottobre 2009 n. 22553). In altri
termini, una diversità di 'causa petendi' è
configurabile allorché essa sia ancorata ad un diverso
fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente
vantato, sicché risulti inserito nel processo un nuovo
tema di indagine.
Nel caso in esame I..M.M. ha da
sempre insistito per la esiguità della porzione
occupata, da cui fa discendere il proprio diritto ad
acquisire la superficie occupata, eventualmente anche
corrispondendo il doppio del valore del bene, ed ha -
fin dal merito - richiamato il consenso degli altri
condomini, espresso con la sottoscrizione della
raccomandata del 23.7.1997, prestata adesione dalla
stessa C. con lettera del 5.9.1997. Con l'atto di
appello la M.M. ha ribadito che la modestia della
occupazione per cui sarebbe maturato il diritto alla
acquisizione appropriativa dello stesso. Ha chiesto,
quindi, per quanto qui rileva, l'accertamento che ella
ha diritto a vedersi attribuire detta parte del bene
comune.
Come si vede, i fatti costitutivi
della pretesa azionata in via riconvenzionale e le
ragioni giuridiche ad essi ancorate (porzione
condominale di bene, occupazione in buona fede, assenza
di alcun pregiudizio a danno degli altri condomini), non
hanno subito modifiche tra i giudizi di merito e quello
di legittimità. La circostanza, addotta dalla C. ,
secondo cui in sede di cassazione la parte non avrebbe
più fatto valere un diritto all'appropriazione, ma per
la prima volta avrebbe avanzato richiesta di
accertamento di un uso legittimo della cosa comune,
qualificato dunque come diritto su bene comune, da un
lato non trova riscontro negli esatti termini della
domanda riconvenzionale della M.M. e dalla stessa
qualificazione data della fattispecie dal giudice di
prime cure - che l'ha configurata come costituzione di
servitù - dall'altro, non introduce un nuovo tema
d'indagine rispetto a quelli già allegati nei gradi di
merito ma involge una questione di qualificazione,
spettante al giudice e non incidente sui fatti
costitutivi della pretesa.
Ne segue l'infondatezza della
eccezione.
Ciò precisato, il giudice di
appello ha evidenziato che la ricorrente ha inglobato
nell'ingresso del proprio appartamento una porzione del
ballatoio di accesso alle proprietà esclusive, zona che
è stata immediatamente collegata alla canna fumaria
sistemata nel sottotetto, spostando il muro perimetrale
condominiale all'altezza della porta di ingresso della
sua abitazione, così realizzando - ad avviso del giudice
di merito - un'opera idonea a costituire una servitù in
danno del Condominio.
Nella sostanza la ricorrente
lamenta che i giudici di merito, in particolare quello
di appello, nell'argomentare la realizzazione di una
servitù non abbia tenuto conto che per la costituzione
di detto diritto reale occorreva l'esistenza di due beni
appartenenti a soggetti diversi, ciò che non è nella
specie, perché al più ricorrerebbe ipotesi di un uso
esclusivo del bene comune. Giova ricordare, al riguardo,
che l'uso della cosa comune è sottoposto dall'art. 1102
c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto
di alterare la destinazione della cosa comune e nel
divieto di impedire agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto. Del resto questa
corte ha più volte affermato che il principio della
comproprietà dell'intero muro perimetrale comune di un
edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad
esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che
gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una
peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta
dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche
all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali
di sua proprietà esclusiva), a condizione di non
impedire agli altri condomini la prosecuzione
dell'esercizio dell'uso del muro -ovvero la facoltà di
utilizzarlo in modo e misura analoghi - e di non
alterarne la normale destinazione (v. Cass. 17 febbraio
2005 n. 3265; Cass. 17 ottobre 2003 n. 16097; Cass. 18
febbraio 1998 n. 1708) e sempre che tali modificazioni
non pregiudichino la stabilità ed il decoro
architettonico del fabbricato condominiale (v. Cass. 26
marzo 2002 n. 4314). Pertanto la corte distrettuale
avrebbe dovuto valutare, alla luce dell'orientamento
consolidato di questa corte, se l'avere spostato il muro
perimetrale all'altezza della porta di accesso
dell'appartamento della ricorrente si risolva o meno in
un uso più intenso della cosa comune, purché senza
pregiudizio degli altri condomini.
La portata del principio, che il
collegio ritiene di condividere, deve essere precisata e
chiarita nel modo seguente. In considerazione della
peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato
dalla coesistenza di una comunione forzosa e di
proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli
impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto
individuale sui singoli piani in cui è diviso il
fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a
ragioni di solidarietà, si richiede un costante
equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i
partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi -
necessariamente alla stregua delle norme che
disciplinano la comunione - che l'uso del bene comune da
parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli
altri (v. Cass. 30 maggio 2003 n. 8808; Cass. 27
febbraio 2007 n. 4617; 24 giugno 2008 n. 17208; Cass. 9
giugno 2010 n. 13879).
Trova perciò applicazione nella
specie la disciplina che regola in modo particolare e
specifico il godimento e l'utilizzazione dei beni
comuni, per cui occorre fare riferimento all'art. 1102
c.c., applicabile ai sensi del'art. 1139 c.c. al
condominio che, nello stabilire i poteri ed i limiti di
ciascun partecipante nell'uso dei beni comuni, fissa al
tempo stesso le condizioni di liceità della condotta del
comunista.
Con riferimento al condominio la
norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione
dei beni comuni in funzione del godimento della
proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la
destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari
uso. In altri termini, l'estensione del diritto di
ciascun comunista trova il limite nella necessità di non
sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso
della cosa da parte degli altri partecipanti (v. Cass. 1
agosto 2001 n. 10453; 14 aprile 2004 n. 7044; Cass. 6
novembre 2008 n. 26737; Cass. 18 marzo 2010 n. 6546).
Pertanto, qualora attraverso la valutazione delle
esigenze e dei diritti degli altri partecipanti alla
comunione, il giudice verifichi che l'uso della cosa
comune sia avvenuto nell'esercizio dei poteri e nel
rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c. a
tutela degli altri comproprietari, deve ritenersi
legittima l'opera realizzata, stante la prevalenza della
norma speciale, dettata in materia di condominio, che
determina l'inapplicabilità di quella generale, quando i
diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi
o limitati per effetto dei poteri legittimamente
esercitati dal partecipante alla comunione sulla base
dell'art. 1102 c.c.. In considerazione del rapporto
strumentale di cui si è detto fra l'uso del bene comune
e la proprietà esclusiva, che caratterizza il
condominio, non sembra quindi ragionevole individuare a
carico del diritto del singolo condomino, che si serva
delle parti comuni in funzione del migliore e più
razionale godimento del bene di proprietà individuale,
limiti e condizioni estranei alla regolamentazione e al
contemperamento degli interessi dei partecipanti alla
comunione secondo i parametri stabiliti dalla specifica
disciplina ai riguardo dettata dall'art. 1102 c.c..
Risulta, dunque, evidente l'errore
in cui è incorsa la corte distrettuale, in quanto ha
ritenuto applicabili, a scapito dell'art. 1102 c.c., le
norme sulla servitù, come del resto aveva già fatto il
Tribunale, anziché verificare se l'uso del bene comune -
la zona immediatamente antistante il muro perimetrale
condominiale limitrofo alla porta di accesso
all'appartamento di proprietà esclusiva della ricorrente
- non ledesse il pari diritto del proprietario
dell'appartamento confinante, in particolare, e degli
altri condomini, in generale. In definitiva, l'indagine
avrebbe dovuto limitarsi ad accertare l'esistenza di un
pregiudizio per il proprietario dell'appartamento
limitrofo ovvero degli altri condomini che, a causa e
per effetto dello spostamento del muro perimetrale
condominiale, avessero subito una diminuzione
all'esercizio del loro diritto di transito e accesso
sulle cose comuni.
Il motivo del ricorso va quindi per
tale profilo accolto e la sentenza impugnata cassata,
con rinvio ad altra sezione della corte di appello di
Trento, la quale procederà ad un nuovo esame
dell'appello alla luce dei richiamati principi di
diritto.
Al giudice del rinvio è demandata,
altresì, la regolamentazione delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese
del giudizio di legittimità, alla corte di appello di
Trento. |