La
sentenza è di particolare interesse in quanto per la
prima volta la Corte si pronuncia sull’obbligo di
cancellazione “dei divieti totali in materia di
comunicazioni commerciali per le professioni
regolamentate” (art. 24, co. 1) introdotto dalla
direttiva sui servizi nel mercato interno (dir.
2006/123/CE).
Sul tema
si rilevava una certa ambiguità da parte del legislatore
comunitario, che, da un lato, aveva imposto agli Stati
membri - con la direttiva 2006/123/CE - la cancellazione
dei divieti assoluti di comunicazioni commerciali e,
dall’altro lato, - sempre con la direttiva 2006/123/CE -
legittimava eventuali restrizioni allo svolgimento di
dette comunicazioni, se poste a salvaguardia
dell’indipendenza, della dignità, dell’integrità della
professione. L’ambiguità della scelta comunitaria era
evidente soprattutto nel rinvio a concetti ampi e
indefiniti quali, appunto, l’indipendenza, la dignità e
l’integrità, la cui tutela spesso giustifica (nella
prassi) l’applicazione di regole restrittive .
La
sentenza segna un punto a favore verso la
liberalizzazione delle comunicazioni commerciali dei
professionisti, a sostegno del convincimento (fondato
anche sui risultati di studi economici) che la
pubblicità sia utile per tutelare i consumatori posto
che per essa:
(a) si
forniscono ulteriori strumenti di acquisizione delle
informazioni;
(b) si
facilita l’ingresso di nuovi operatori sul mercato ;
(c) si
agevola l’innovazione e il miglioramento qualitativo
delle prestazioni.
Secondo
tale convincimento, infatti, le restrizioni all’utilizzo
degli strumenti pubblicitari non risponderebbero alla
tutela di interessi generali, ma avrebbero effetti
negativi: infatti, riducendo la concorrenza, esse
finiscono col rendere più costosa l’acquisizione di
informazioni e più difficile ricercare prestazioni
qualitativamente migliori e al prezzo più adeguato .
Con questa
decisione la Corte sembra rafforzare, dunque, la
posizione di quanti da tempo indicavano la necessità di
considerare mezzi di comunicazione diversi, con regole
diverse da quelle fino ad ora utilizzate (Prandstraller,
1993) adeguate ai ritmi dello sviluppo tecnologico e
alle dinamiche del mercato (la necessità di non
ostacolare i prestatori transfrontalieri) e perciò
sostenendo l’abbandono di “vecchie logiche
notabilistiche o talora forse piuttosto bottegaie”
(Consolo, 2006). In altri termini le novità in tema di
pubblicità professionale non causano lo svilimento dei
professionisti, perché ingiustamente equiparati ad un
qualunque commerciante, né del loro “decoro”
(Schlesinger, 2006), ma rappresentano uno strumento
necessario per attrezzare i professionisti alle
rinnovate esigenze della società e del mercato.
Va
rilevato, infine, che la sentenza segna un’importante
revirement sul precedente orientamento espresso nel caso
Alpine Investments , laddove la Corte si era pronunciata
in senso positivo quanto alla compatibilità del divieto
di marketing telefonico (cd. cold calling) con le norme
sulla libera prestazione di servizi. In quell’occasione
veniva stabilito che il divieto, imposto da uno Stato
membro agli intermediari finanziari in esso stabiliti,
di rivolgere a potenziali clienti stabiliti in un altro
Stato membro telefonate non richieste allo scopo di
offrire loro servizi “costituisce una restrizione alla
libera prestazione dei servizi, ma è giustificato da una
ragione imperativa di interesse generale che consiste
nell’esigenza di proteggere la buona reputazione del
settore finanziario nazionale”. In effetti il buon
funzionamento dei mercati finanziari, precisavano i
giudici, “è dovuto alla fiducia che essi ispirano agli
investitori, che è subordinata all’esistenza di
discipline professionali volte a garantire la competenza
e la correttezza degli intermediari finanziari”. Orbene
secondo la Corte “il divieto del cosiddetto cold calling
su un mercato altamente speculativo come è quello delle
operazioni a termine sulle merci mira a salvaguardare il
sano funzionamento del settore finanziario nazionale”.
Nella
sentenza di aprile 2011 che sottoponiamo alla vostra
attenzione viene meno il tentativo di legittimare il
divieto per i professionisti di effettuare comunicazioni
commerciali per promuovere i propri servizi, divieto che
solitamente era fondato sulla necessità di tutelare i
valori (indipendenza, dignità e integrità) della
professione. Il tentativo, per altro, era stato
sostenuto anche dall’Avvocato generale nelle proprie
conclusioni , le quali, però, non hanno trovato conferma
nella sentenza della Corte.
La
fattispecie esaminata dai giudici comunitari riguarda la
vertenza avviata dalla Societé fiduciare nationale
d’expertise comptable davanti al Consiglio di Stato
francese contro il Ministero francese della Funzione
pubblica ed avente ad oggetto il decreto del 27
settembre 2007 n. 1387 recante il codice di deontologia
delle professioni di dottore commercialista ed esperto
contabile, nella parte in cui vieta l’accaparramento di
clientela. Più precisamente la disposizione su cui si
dibatte riguarda il “divieto di intraprendere qualsiasi
atto non richiesto al fine di proporre i propri servizi
a terzi” .
Secondo la
società ricorrente tale regolamentazione si pone in
contrasto con la disposizione della direttiva
2006/123/CE a mente della quale gli Stati membri sono
obbligati a sopprimere tutti i divieti totali in materia
di comunicazioni commerciali per le professioni
regolamentate (art. 24). La ratio della disposizione è
precisata nel considerando n. 100 della direttiva,
secondo il quale sono da revocare “non i divieti
relativi al contenuto di una comunicazione commerciale
bensì quei divieti che, in generale e per una
determinata professione, proibiscono una o più forme di
comunicazione commerciale, ad esempio il divieto
assoluto di pubblicità in un determinato o in
determinati mezzi di comunicazione”. Per questa via,
dunque, gli Stati membri rimangono liberi di stabilire
eventuali divieti solo quanto al contenuto o alle
modalità delle comunicazioni commerciali e sempreché
tali divieti siano giustificati e proporzionati rispetto
al fine di assicurare l’indipendenza, la dignità e
l’integrità della professione, nonché il segreto
professionale (art. 24, co. 2, dir. 2006/123/CE) .
È questa
la soluzione che viene proposta anche dall’Avvocato
generale Mazàk: a suo dire il divieto stabilito dal
codice deontologico non è contrario all’obbligo di
soppressione dei divieti totali in materia di
comunicazioni commerciali posto dalla direttiva (art.
24, co. 1) ma rientra fra le modalità di realizzazione
delle comunicazioni commerciali e come tale rimane
soggetto agli eventuali vincoli posti dal legislatore
nazionale.
Diversa è
l'interpretazione proposta dai giudici della Corte, i
quali ritengono che il divieto introdotto dalla
direttiva sia da considerare alla stregua di un divieto
assoluto essendo concepito in modo ampio e impedendo di
fatto qualsiasi atto di promozione commerciale diretta e
ad personam dei servizi, a prescindere dalla sua forma,
dal suo contenuto o dai mezzi impiegati. Di conseguenza,
concludono i giudici, tale divieto comprende la
proibizione di tutti i mezzi di comunicazione che
consentono l’attuazione di questa forma di comunicazione
commerciale e come tale rientra fra quelli oggetto di
divieto ai sensi dell’art. 24, co. 1, della direttiva
2006/123/CE.
Nella
sentenza non manca un rinvio esplicito alla
realizzazione del mercato interno dei servizi e
all’eliminazione degli ostacoli alla libertà di
stabilimento e alla libera circolazione dei servizi. In
effetti la Corte stabilisce che il divieto posto dal
codice deontologico dei dottori commercialisti francesi
di compiere qualsiasi atto di accaparramento dei clienti
costituisce una restrizione alla libera prestazione di
servizi transfrontalieri posto che va a ledere
soprattutto i professionisti provenienti da altri Stati
membri “privandoli di un mezzo efficace di penetrazione
del mercato nazionale di cui trattasi” (pt. 43).
Quanto fin
qui detto va integrato da due considerazioni. La prima
per ribadire che l’esito della vertenza rappresenta un
passo in avanti nel processo di liberalizzazione delle
attività professionali oggi sollecitato soprattutto
dalle Istituzioni dell’Unione Europea spesso in
controtendenza con l’atteggiamento di chiusura che
caratterizza l’azione normativa degli Stati membri. Tale
risultato, peraltro, difficilmente sarebbe stato
conseguito in assenza della direttiva 2006/123/CE: la
Corte, infatti, sarebbe stata chiamata a pronunciarsi
sulla conformità o no del menzionato divieto con le
norme del Trattato in tema di libera circolazione dei
servizi e libertà di stabilimento. In altri termini essa
si sarebbe limitata a verificare la presenza dei
requisiti costantemente connessi con la giustificazione
degli ostacoli alle libertà fondamentali del mercato
interno (segnatamente: l’essere il divieto in questione
non discriminatorio, giustificato da motivi imperativi
di interesse generale e non superare i limiti di quanto
è opportuno e necessario per la realizzazione dei
legittimi obiettivi perseguiti). In tal caso, è
ragionevole ritenere (alla luce delle osservazioni
svolte dai giudici ) che il divieto avrebbe superato il
‘test di legittimità’ e sarebbe stato ritenuto conforme
al diritto comunitario.
La seconda
considerazione è per sottolineare la funzione -
riconosciuta in sede europea - della deontologia
professionale e, di conseguenza, il ruolo che possono
svolgere gli Ordini professionali soprattutto nella fase
di elaborazione di regole / codici di condotta magari
condivisi a livello europeo. Al riguardo sia sufficiente
segnalare che la direttiva nei considerando iniziali
invita espressamente gli Stati membri “a incoraggiare
l’elaborazione di codici di condotta a livello
comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi
o associazioni professionali. Tali codici di condotta
dovrebbero includere, a seconda della natura specifica
di ogni professione, norme per le comunicazioni
commerciali relative alle professioni regolamentate e
norme deontologiche delle professioni regolamentate
intese a garantire l’indipendenza, l’imparzialità e il
segreto professionale… Gli Stati membri dovrebbero
adottare misure di accompagnamento per incoraggiare gli
ordini, gli organismi e le associazioni professionali ad
applicare a livello nazionale questi codici di condotta
adottati a livello comunitario” (considerando 114, dir.
2006/123/CE) .
SENTENZA
DELLA CORTE (Grande Sezione)
5 aprile 2011 (*)
«Libera prestazione dei servizi – Direttiva 2006/123/CE
– Art. 24 – Proibizione di tutti i divieti totali
in materia di comunicazioni commerciali per le
professioni regolamentate – Professione di
dottore commercialista/esperto contabile – Divieto di
promozione commerciale diretta e ad
personam dei propri servizi (“démarchage”)»
Nel procedimento C-119/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi
dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia), con
decisione 4 marzo 2009, pervenuta in cancelleria il
1° aprile 2009, nella causa
Société fiduciaire nationale d’expertise comptable
contro
Ministre du Budget, des Comptes publics et de la
Fonction publique,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A.
Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts,
J.-C.
Bonichot, K. Schiemann, J.-J.
Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dal sig. A.
Rosas, dalla
sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. U. Lõhmus
(relatore), M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger,
giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 23 marzo 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Société fiduciaire nationale d’expertise
comptable, dall’avv. F. Molinié, avocat;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B.
Messmer, in qualità di agenti;
– per il governo cipriota, dalla sig.ra D. Kallí, in
qualità di agente;
– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C.
Wissels, nonché dai sigg. M. de Grave e
J. Langer, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, dal sig. I. Rogalski e
dalla sig.ra C. Vrignon, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 18 maggio 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte
sull’interpretazione dell’art. 24 della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006,
2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato
interno (GU L 376, pag. 36).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una
controversia tra la Société fiduciaire nationale
d’expertise comptable (in prosieguo: la «Société
fiduciaire») e il Ministre du Budget, des Comptes
publics et de la Fonction publique (Ministro del Tesoro,
del Bilancio e della Funzione pubblica), in
merito a un ricorso diretto all’annullamento del decreto
27 settembre 2007, n. 1387, recante un
codice di deontologia della professione di dottore
commercialista/esperto contabile (JORF del 28
settembre 2007, pag. 15847), nella parte in cui vieta
gli atti di «démarchage», cioè di promozione
commerciale diretta e ad personam dei propri servizi.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 Ai sensi del secondo, del quinto e del centesimo
‘considerando’ della direttiva 2006/123:
«(2) Una maggiore competitività del mercato dei servizi
è essenziale per promuovere la crescita
economica e creare posti di lavoro nell’Unione europea.
Attualmente un elevato numero di
ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in
particolare alle piccole e medie imprese
(PMI), di espandersi oltre i confini nazionali e di
sfruttare appieno il mercato unico. Tale
situazione indebolisce la competitività globale dei
prestatori dell’Unione europea. Un libero
mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le
restrizioni alla circolazione
transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo
stesso la trasparenza e l’informazione dei
consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia
facoltà di scelta e migliori servizi a
prezzi inferiori.
(…)
(5) È necessario quindi eliminare gli ostacoli alla
libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati
membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati
membri nonché garantire ai destinatari e
ai prestatori la certezza giuridica necessaria
all’effettivo esercizio di queste due libertà
fondamentali del trattato. (…)
(…)
(100) Occorre sopprimere i divieti totali in materia di
comunicazioni commerciali per le
professioni regolamentate, revocando non i divieti
relativi al contenuto di una comunicazione
commerciale bensì quei divieti che, in generale e per
una determinata professione,
proibiscono una o più forme di comunicazione
commerciale, ad esempio il divieto assoluto di
pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di
comunicazione. Per quanto riguarda il
contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali,
occorre incoraggiare gli operatori del
settore ad elaborare, nel rispetto del diritto
comunitario, codici di condotta a livello
comunitario».
4 L’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123 prevede
che, ai fini della medesima, si debba intendere
per:
«“comunicazione commerciale”: qualsiasi forma di
comunicazione destinata a promuovere,
direttamente o indirettamente, beni, servizi, o
l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di
una persona che svolge un’attività commerciale,
industriale o artigianale o che esercita una
professione regolamentata. Non costituiscono, di per sé,
comunicazioni commerciali le informazioni
seguenti:
a) le informazioni che permettono l’accesso diretto
all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o
della persona, in particolare un nome di dominio o un
indirizzo di posta elettronica,
b) le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o
all’immagine dell’impresa, dell’organizzazione o
della persona elaborate in modo indipendente, in
particolare se fornite in assenza di un
corrispettivo economico».
5 L’art. 24 della direttiva 2006/123, intitolato
«Comunicazioni commerciali emananti dalle professioni
regolamentate», ha il seguente tenore:
«1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali
in materia di comunicazioni commerciali per
le professioni regolamentate.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni
commerciali che emanano dalle
professioni regolamentate ottemperino alle regole
professionali, in conformità del diritto
comunitario, riguardanti, in particolare,
l’indipendenza, la dignità e l’integrità della
professione
nonché il segreto professionale, nel rispetto della
specificità di ciascuna professione. Le regole
professionali in materia di comunicazioni commerciali
sono non discriminatorie, giustificate da motivi
imperativi di interesse generale e proporzionate».
6 A norma degli artt. 44 e 45 della direttiva 2006/123,
quest’ultima è entrata in vigore il 28 dicembre
2006 e doveva essere recepita dagli Stati membri entro
il 28 dicembre 2009.
La normativa nazionale
7 L’istituzione dell’Ordine dei dottori
commercialisti/esperti contabili nonché il titolo e la
professione
di dottore commercialista/esperto contabile sono
disciplinati dalle disposizioni del decreto 19
settembre 1945, n. 2138 (JORF del 21 settembre 1945,
pag. 5938). Ai sensi del predetto decreto, i
dottori commercialisti/esperti contabili hanno il
compito precipuo di tenere e di controllare la
contabilità di imprese e di organismi ai quali non sono
vincolati da un contratto di lavoro. Essi sono
abilitati ad attestare la regolarità e la veridicità dei
risultati di esercizio e possono altresì prestare
assistenza nella creazione di imprese ed organismi per
quanto riguarda tutti i relativi aspetti
contabili, economici e finanziari.
8 Fino all’adozione del decreto 25 marzo 2004, n. 279,
recante semplificazione e adeguamento delle
condizioni di esercizio di talune attività professionali
(JORF del 27 marzo 2004, pag. 5888), agli
esercenti la professione di dottore
commercialista/esperto contabile era vietata qualsiasi
pubblicità
personale. Il decreto 30 maggio 1997, n. 586, relativo
al funzionamento degli organi di autogoverno
professionale dei dottori commercialisti/esperti
contabili (JORF del 31 maggio 1997, pag. 8510), che
specifica a quali condizioni i dottori
commercialisti/esperti contabili possono ora ricorrere
ad azioni
promozionali, stabilisce, all’art. 7, che tali
condizioni formeranno oggetto di un codice dei doveri
professionali, le cui disposizioni saranno emanate sotto
forma di decreto preceduto dal parere del
Conseil d’État.
9 Pertanto, l’art. 23 del decreto n. 2138/1945 nonché
l’art. 7 del decreto n. 586/97 sono le norme
sulla cui base è stato adottato il decreto n. 1387/2007.
10 Ai sensi dell’art. 1 di quest’ultimo decreto:
«Le norme deontologiche applicabili alla professione di
dottore commercialista/esperto contabile
sono fissate dal codice di deontologia allegato al
presente decreto».
11 L’art. 1 del codice di deontologia della professione
di dottore commercialista/esperto contabile
dispone quanto segue:
«Le disposizioni del presente codice si applicano ai
dottori commercialisti/esperti contabili,
qualunque siano le modalità di esercizio della
professione, e, se del caso, ai
dottori commercialisti/esperti contabili tirocinanti
nonché ai dipendenti menzionati rispettivamente
agli artt. 83 ter e 83 quater del decreto 19 settembre
1945, n. 2138, recante istituzione dell’Ordine
dei dottori commercialisti/esperti contabili e
disciplinante il titolo e la professione di
dottore commercialista/esperto contabile.
Ad eccezione di quelle che possono riguardare unicamente
le persone fisiche, le disposizioni
suddette si applicano parimenti alle società di
revisione contabile e alle associazioni di gestione e di
contabilità».
12 A norma dell’art. 12 di tale codice:
«I - Ai soggetti di cui all’art. 1 è fatto divieto di
intraprendere qualsiasi atto non richiesto al fine di
proporre i propri servizi a terzi.
La loro partecipazione a dibattiti, seminari o altre
manifestazioni universitarie o scientifiche è
autorizzata nei limiti in cui tali soggetti non
compiano, in tale occasione, atti equiparabili a un
“démarchage”.
II - Le azioni promozionali sono consentite ai soggetti
di cui all’art. 1 nei limiti in cui forniscano al
pubblico un’informazione utile. I mezzi impiegati a tale
fine vengono applicati con discrezione, in
modo da non ledere l’indipendenza, la dignità e l’onore
della professione, nonché le regole del
segreto professionale e la lealtà verso i clienti e i
colleghi.
Quando presentano la loro attività professionale a
terzi, con qualsiasi mezzo, i soggetti di cui
all’art. 1 non devono adottare alcuna forma di
espressione idonea a compromettere la dignità della
loro funzione o l’immagine della professione.
Tali modalità di comunicazione, come qualsiasi altra,
sono ammesse soltanto a condizione che
l’espressione sia decorosa e improntata a ritegno, che
il loro contenuto sia privo di inesattezze e non
sia tale da indurre in errore il pubblico e che siano
prive di ogni elemento comparativo».
Causa principale e questione pregiudiziale
13 Con ricorso proposto il 28 novembre 2007, la Société
fiduciaire ha chiesto al Conseil d’État di
annullare il decreto n. 1387/2007 nella parte in cui
vieta il «démarchage», cioè gli atti di
promozione commerciale diretta e ad personam dei propri
servizi. Tale società considera che il
divieto generale e assoluto di qualsiasi attività di
«démarchage», previsto dall’art. 12-I del codice di
deontologia della professione di dottore
commercialista/esperto contabile, sia contrario all’art.
24
della direttiva 2006/123 e metta in grave pericolo
l’attuazione di quest’ultima.
14 Il giudice a quo ritiene che un rinvio pregiudiziale
sia necessario nella controversia dinanzi ad esso
pendente, in quanto il divieto di «démarchage» imposto
dal decreto impugnato, qualora fosse
considerato contrario all’art. 24 della direttiva
2006/123, comprometterebbe seriamente l’attuazione
di quest’ultima.
15 Ciò premesso, il Conseil d’État ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la
seguente questione pregiudiziale:
«Se la direttiva [2006/123] abbia inteso abolire, per le
professioni regolamentate da essa
contemplate, ogni divieto generale, qualunque sia la
forma di pratica commerciale di cui trattasi,
oppure se abbia lasciato agli Stati membri la
possibilità di mantenere dei divieti generali per talune
pratiche commerciali, quali il “démarchage”».
Sulla ricevibilità
16 Il giudice del rinvio sollecita l’interpretazione
della direttiva 2006/123, il cui termine di recepimento,
fissato al 28 dicembre 2009, non era ancora scaduto alla
data in cui è stata emanata l’ordinanza di
rinvio, ossia il 4 marzo 2009.
17 Il governo francese, senza eccepire esplicitamente
l’irricevibilità della domanda di pronuncia
pregiudiziale, solleva obiezioni in ordine alla
pertinenza del quesito posto dal giudice del rinvio e
alla
valutazione formulata da quest’ultimo secondo cui, se la
normativa nazionale controversa nella
causa principale venisse considerata contraria alla
direttiva 2006/123, comprometterebbe
seriamente l’attuazione di quest’ultima.
18 Infatti, secondo tale governo, se è pur vero che,
conformemente alla giurisprudenza della Corte, in
pendenza del termine di recepimento di una direttiva gli
Stati membri che ne sono destinatari
devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano
compromettere gravemente il risultato
prescritto dalla direttiva stessa (sentenze 18 dicembre
1997, causa C-129/96,
Inter-Environnement
Wallonie, Racc. pag. I-7411,
punto 45; 8 maggio 2003, causa C-14/02,
ATRAL, Racc. pag. I-4431,
punto 58, nonché 23 aprile 2009, cause riunite C-261/07
e C-299/07,
VTB-VAB e Galatea,
Racc. pag. I-2949,
punto 38), ciò non varrebbe nel caso di specie, in cui
l’applicazione della
normativa nazionale controversa in pendenza del termine
di recepimento della direttiva 2006/123
non produrrebbe effetti capaci, da un lato, di perdurare
dopo la scadenza di tale termine e
suscettibili, dall’altro, di presentare una particolare
gravità in rapporto all’obiettivo perseguito dalla
direttiva in parola.
19 A tal riguardo, va ricordato che, come emerge da
questa stessa giurisprudenza, spetta al giudice
del rinvio investito della controversia principale
valutare se le disposizioni nazionali di cui si contesta
la legittimità siano atte a compromettere seriamente il
risultato prescritto da una direttiva. In tale
valutazione il giudice del rinvio dovrebbe, in
particolare, esaminare se le disposizioni di cui
trattasi si
presentino come un completo recepimento della direttiva
e determinare gli effetti concreti
dell’applicazione di tali disposizioni non conformi alla
direttiva e della loro durata nel tempo (v., in
particolare, sentenza Inter-Environnement
Wallonie, cit., punti 46 e 47).
20 Non spetta dunque alla Corte verificare l’esattezza
di tale valutazione nell’ambito di un esame della
ricevibilità di una domanda di pronuncia pregiudiziale.
21 Ad ogni modo, secondo una giurisprudenza costante, la
questione relativa all’interpretazione del
diritto dell’Unione, sollevata dal giudice nazionale nel
contesto di diritto e di fatto che egli individua
sotto la propria responsabilità, beneficia di una
presunzione di rilevanza (v., in tal senso, sentenze
16 dicembre 2008, causa C-210/06,
Cartesio, Racc. pag. I-9641,
punto 67; 7 ottobre 2010, causa
C-515/08,
dos Santos Palhota e a., non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 20, nonché 12
ottobre 2010, causa C-45/09,
Rosenbladt, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto
33).
22 Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale
è ricevibile.
Sulla questione pregiudiziale
23 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede,
sostanzialmente, se l’art. 24 della direttiva
2006/123 debba essere interpretato nel senso che esso
osta ad una normativa nazionale la quale
vieti agli esercenti una professione regolamentata, come
quella di
dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare
atti di promozione commerciale diretta e ad
personam dei propri servizi («démarchage»).
24 In via preliminare, va rilevato che l’art. 24 della
direttiva 2006/123, intitolato «Comunicazioni
commerciali emananti dalle professioni regolamentate»,
sancisce due obblighi a carico degli Stati
membri. Da un lato, l’art. 24, n. 1, esige che gli Stati
membri sopprimano tutti i divieti assoluti in
materia di comunicazioni commerciali delle professioni
regolamentate. Dall’altro, il n. 2 del
medesimo articolo obbliga gli Stati membri a provvedere
affinché le comunicazioni commerciali che
promanano dalle professioni regolamentate ottemperino
alle regole professionali, conformi al diritto
dell’Unione, riguardanti, in particolare,
l’indipendenza, la dignità e l’integrità della
professione
nonché il segreto professionale, nel rispetto della
specificità di ciascuna professione. Le suddette
regole professionali devono essere non discriminatorie,
giustificate da un motivo imperativo di
interesse generale e proporzionate.
25 Al fine di verificare se l’art. 24 della direttiva
2006/123, e segnatamente il n. 1 di tale articolo,
costituisca una norma destinata a proibire
l’introduzione di un divieto di «démarchage» quale
quello
previsto dalla normativa nazionale in esame nella causa
principale, occorre interpretare tale
disposizione riferendosi non soltanto al suo tenore
letterale, bensì anche alla sua finalità e al suo
contesto nonché all’obiettivo perseguito dalla normativa
di cui trattasi.
26 A tal riguardo, dal secondo e dal quinto
‘considerando’ della direttiva in parola emerge che
quest’ultima mira ad eliminare le restrizioni alla
libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati
membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati
membri, al fine di contribuire alla realizzazione
del mercato interno libero e concorrenziale.
27 La finalità dell’art. 24 di detta direttiva viene
precisata nel centesimo ‘considerando’ di quest’ultima,
dove si afferma che occorre sopprimere i divieti
assoluti in materia di comunicazioni commerciali per
le professioni regolamentate che, in generale e per una
determinata professione, proibiscono una o
più forme di comunicazione commerciale, segnatamente
qualsiasi pubblicità in un determinato o in
determinati mezzi di comunicazione.
28 Per quanto riguarda il contesto in cui si inscrive
l’art. 24 della direttiva 2006/123, va ricordato che
esso è contenuto nel capo V della medesima, intitolato
«Qualità dei servizi». Orbene, come rilevato
dall’avvocato generale al paragrafo 31 delle sue
conclusioni, tale capo, in generale, e il citato
art. 24, in particolare, mirano alla salvaguardia degli
interessi dei consumatori migliorando la qualità
dei servizi delle professioni regolamentate nell’ambito
del mercato interno.
29 Di conseguenza, tanto dalla finalità del predetto
art. 24 quanto dal contesto in cui questo si
inserisce risulta che, come giustamente sostenuto dalla
Commissione europea, l’intenzione del
legislatore dell’Unione era non soltanto di porre fine
ai divieti assoluti, per gli esercenti una
professione regolamentata, di ricorrere alla
comunicazione commerciale, in qualunque forma, ma
anche di eliminare i divieti di ricorso a una o più
forme di comunicazione commerciale ai sensi
dell’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123, quali,
in particolare, la pubblicità, il marketing diretto
e le sponsorizzazioni. Alla luce degli esempi contenuti
nel centesimo ‘considerando’ della direttiva in
parola, devono considerarsi quali divieti assoluti,
preclusi a norma dell’art. 24, n. 1, della medesima
direttiva, anche le regole professionali che proibiscono
di fornire, nell’ambito di uno o più mezzi di
comunicazione, informazioni sul prestatore o sulla sua
attività.
30 Tuttavia, in forza dell’art. 24, n. 2, della
direttiva 2006/123, letto alla luce del secondo periodo
del
centesimo ‘considerando’ di quest’ultima, gli Stati
membri rimangono liberi di prevedere divieti
relativi al contenuto o alle modalità delle
comunicazioni commerciali per quanto riguarda le
professioni regolamentate, purché le regole previste
siano giustificate e proporzionate al fine di
garantire in particolare l’indipendenza, la dignità e
l’integrità della professione, nonché il segreto
professionale necessario in sede di esercizio di
quest’ultima.
31 Al fine di stabilire se la normativa nazionale
controversa rientri nell’ambito di applicazione
dell’art. 24 della direttiva in parola, occorre
anzitutto stabilire se il «démarchage» configuri una
comunicazione commerciale ai sensi di tale articolo.
32 La nozione di «comunicazione commerciale» è definita
all’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123
come comprensiva di qualsiasi forma di comunicazione
destinata a promuovere, direttamente o
indirettamente, i beni, i servizi o l’immagine di
un’impresa, di un’organizzazione o di una persona
che svolge un’attività commerciale, industriale,
artigianale o che esercita una professione
regolamentata. Tuttavia, esulano da tale nozione, in
primo luogo, le informazioni che consentono
l’accesso diretto all’attività dell’impresa,
dell’organizzazione o della persona, quali un nome di
dominio o un indirizzo di posta elettronica, nonché, in
secondo luogo, le comunicazioni relative ai
beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa,
dell’organizzazione o della persona elaborate in modo
indipendente, in particolare qualora esse siano fornite
senza corrispettivo economico.
33 Di conseguenza, come sostenuto dal governo olandese,
la comunicazione commerciale comprende
non soltanto la pubblicità classica, ma anche altre
forme di pubblicità e di comunicazione di
informazioni destinate all’acquisizione di nuovi
clienti.
34 Per quanto riguarda la nozione di «démarchage», va
rilevato che né la direttiva 2006/123 né alcun
altro atto normativo dell’Unione contengono una
definizione di tale nozione. Inoltre, la sua portata
può variare negli ordinamenti giuridici dei diversi
Stati membri.
35 Ai sensi dell’art. 12-I
del codice di deontologia in esame nella causa
principale, deve considerarsi
atto di «démarchage» quello con il quale un dottore
commercialista/esperto contabile prende
contatto con un terzo, che non l’abbia richiesto, al
fine di proporgli i propri servizi.
36 A tal riguardo, va evidenziato che, sebbene la
portata esatta della nozione di «démarchage», ai
sensi della normativa nazionale, non risulti
dall’ordinanza di rinvio, il Conseil d’État, nonché
tutti gli
interessati che hanno presentato osservazioni alla
Corte, considerano che il «démarchage» rientri
nella nozione di «comunicazione commerciale», di cui
all’art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123.
37 Secondo la Société fiduciaire, il «démarchage» si
definisce come un’offerta personalizzata di beni o
di servizi rivolta a una determinata persona giuridica o
fisica che non l’abbia richiesta. Il governo
francese aderisce a tale definizione, pur proponendo di
distinguere due elementi, ossia, da un lato,
un elemento di movimento, che risiede nel fatto di
prendere contatto con un terzo che non lo ha
richiesto, e, dall’altro, un elemento di contenuto
consistente nella trasmissione di un messaggio a
carattere commerciale. Secondo tale governo, è questo
secondo elemento che costituisce, in
particolare, una comunicazione commerciale ai sensi
della direttiva 2006/123.
38 Da tali elementi si evince che il «démarchage»
costituisce una forma di comunicazione di
informazioni destinata alla ricerca di nuovi clienti.
Orbene, come dedotto dalla Commissione, il
«démarchage» implica un contatto personalizzato tra il
prestatore e il potenziale cliente, al fine di
presentare a quest’ultimo un’offerta di servizi. Per
tale motivo, esso può essere qualificato come
marketing diretto. Di conseguenza, il «démarchage»
rientra nella nozione di «comunicazione
commerciale», ai sensi degli artt. 4, punto 12, e 24
della direttiva 2006/123.
39 La questione che si pone quindi è se il divieto di
«démarchage» possa essere considerato un divieto
assoluto in materia di comunicazioni commerciali ai
sensi dell’art. 24, n. 1, di tale direttiva.
40 Dalla formulazione dell’art. 12-I
del codice di deontologia oggetto della causa
principale, nonché
dalla «Griglia indicativa degli strumenti di
comunicazione» predisposta dal Conseil supérieur de
l’ordre des experts-comptables [Consiglio superiore
dell’Ordine dei
dottori commercialisti/esperti contabili], allegata alle
osservazioni scritte del governo francese,
risulta che, in forza della norma suddetta, gli
esercenti la professione di
dottore commercialista/esperto contabile devono
astenersi da qualsiasi contatto personale non
richiesto che possa essere considerato come un
reclutamento di clientela o una proposta concreta di
servizi commerciali.
41 Va constatato che il divieto di «démarchage», quale
previsto dal citato art. 12-I,
è concepito in
modo ampio, poiché vieta qualsiasi atto di promozione
commerciale diretta e ad personam dei propri
servizi, a prescindere dalla sua forma, dal suo
contenuto o dai mezzi impiegati. Pertanto, tale divieto
comprende la proibizione di tutti i mezzi di
comunicazione che consentono l’attuazione di questa
forma di comunicazione commerciale.
42 Ne consegue che un siffatto divieto deve essere
considerato come un divieto assoluto in materia di
comunicazioni commerciali, proibito dall’art. 24, n. 1,
della direttiva 2006/123.
43 Tale conclusione è conforme all’obiettivo di detta
direttiva, che consiste, come ricordato al punto 26
della presente sentenza, nell’eliminare gli ostacoli
alla libera prestazione dei servizi tra gli Stati
membri. Infatti, una normativa di uno Stato membro che
vieti ai
dottori commercialisti/esperti contabili di procedere a
qualsiasi atto di «démarchage» può ledere
maggiormente i professionisti provenienti da altri Stati
membri, privandoli di un mezzo efficace di
penetrazione del mercato nazionale di cui trattasi. Un
siffatto divieto costituisce pertanto una
restrizione alla libera prestazione dei servizi
transfrontalieri (v., per analogia, sentenza 10 maggio
1995, causa C-384/93,
Alpine Investments, Racc. pag. I-1141,
punti 28 e 38).
44 Il governo francese sostiene che il «démarchage» lede
l’indipendenza dei soggetti esercitanti tale
professione. A suo avviso, essendo i dottori
commercialisti/esperti contabili incaricati di
controllare
la contabilità di imprese e organismi ai quali essi non
sono vincolati da un contratto di lavoro,
nonché di attestare la regolarità e la veridicità dei
risultati di esercizio di tali imprese od organismi, è
indispensabile che i suddetti professionisti non siano
sospettati di alcuna compiacenza nei confronti
dei loro clienti. Orbene, mediante una presa di contatto
con il dirigente dell’impresa o dell’organismo
interessati, il dottore commercialista/esperto contabile
rischierebbe di modificare la natura del
rapporto che deve abitualmente intrattenere con il suo
cliente, ciò che dunque nuocerebbe alla sua
indipendenza.
45 Tuttavia, come constatato al punto 42 della presente
sentenza, la normativa di cui trattasi nella
causa principale vieta totalmente una forma di
comunicazione commerciale e rientra pertanto
nell’ambito di applicazione dell’art. 24, n. 1, della
direttiva 2006/123. Tale normativa è dunque
incompatibile con la direttiva 2006/123 e non può essere
giustificata in forza dell’art. 24, n. 2, di
quest’ultima, anche se essa è non discriminatoria,
fondata su un motivo imperativo di interesse
generale e proporzionata.
46 Alla luce di tutte queste considerazioni, la
questione deferita va risolta dichiarando che l’art. 24,
n. 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato
nel senso che esso osta a una normativa
nazionale la quale vieti totalmente agli esercenti una
professione regolamentata, come quella di
dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare
atti di promozione commerciale diretta e ad
personam dei propri servizi («démarchage»).
Sulle spese
47 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte
non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’art. 24, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 12 dicembre 2006,
2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno,
deve essere interpretato nel senso
che esso osta a una normativa nazionale la quale vieti
totalmente agli esercenti una
professione regolamentata, come quella di dottore
commercialista/esperto contabile, di
effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad
personam dei propri servizi
(«démarchage»).
Firme
* Lingua processuale: il francese. |