principi di correttezza e buona
fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei
contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ.,
rilevano sia sul piano dell'individuazione degli
obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento
dei contrapposti interessi delle parti:sotto il primo
profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi
anche non espressamente previsti dal contratto o dalla
legge, ove ciò sia necessario per preservare gli
interessi della controparte, mentre, sotto il secondo
profilo, consentono al giudice di intervenire anche in
senso modificativo o integrativo sul contenuto del
contratto, qualora ciò sia necessario per garantire
l'equo contemperamento degli interessi delle parti e
prevenire o reprimere l'abuso del diritto, specificando
poi che si ha abuso del diritto quando il titolare di un
diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali,
lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose
del dovere di correttezza e buona fede, causando uno
sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della
controparte contrattuale, ed al fine di conseguire
risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i
quali quei poteri o facoltà furono attribuiti, onde,
ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di
merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti
compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto,
oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio
diritto al risarcimento del danno in favore della
controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza
di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò
costituisca una ingerenza nelle scelte economiche
dell'Individuo o dell'imprenditore, giacchè ciò che è
censurato in tal caso non è l'atto di autonomia
negoziale, ma l'abuso di esso.
Cassazione civile, Sezione III,
21.6.2011, n. 13583
Svolgimento del processo
La società Francesco Stracciari
convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, la
Renault Italia s.p.a. e B.L., esponendo che, in qualità
di concessionario della società convenuta sin dall'anno
1966 - in forza di contratto rinnovato a tempo
indeterminato in data 8.2.1990 -, si era visto risolvere
il contratto di concessione di vendita con lettera di
preavviso del luglio 1992, anteriore di dodici mesi alla
data prevista per la cessazione del rapporto,
comportamento connotato da un palese abuso del diritto e
dalla violazione del principio della buona fede, non
risultando giustificato da alcun inadempimento
contrattuale (mentre la condotta della concedente
precedente e successiva al preavviso aveva creato nel
concessionario una legittima aspettativa di prosecuzione
del rapporto).
Il giudice di primo grado, respinta
la domanda nei confronti del B., accolse la domanda
subordinata proposta dall'attrice ex art. 1751 c.c.,
condannando la Renault Italia al pagamento in suo favore
della somma di 750.000 Euro.
La corte di appello di Roma,
investita del gravame proposto da quest'ultima, lo
accolse (rigettando l'appello incidentale dell'attrice
in prime cure).
La sentenza è stata impugnata dalla
s.a.s Francesco Stracciari con ricorso per cassazione
sorretto da 5 motivi e illustrato da memoria.
Resiste con controricorso la
Renault Italia.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Con il primo motivo, si denuncia
violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di
principi generali dell'ordinamento (art. 360 c.p.c., n.
3) in relazione all'art. 331 c.p.c. in ordine al rigetto
dell'istanza di integrazione del contraddittorio nei
confronti del sig. B..
Il motivo è privo dì pregio.
Esso si infrange, difatti, sul
corretto impianto motivazionale adottato dal giudice
d'appello nella parte in cui ha ritenuto (f. 9 della
sentenza oggi impugnata) che la natura solidale
dell'obbligazione da cui il predetto intimato
risulterebbe, in ipotesi, gravato escludeva ipso facto
la (pretesa) inscindibilità di cause.
Con il secondo motivo, si denuncia
violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di
principi generali dell'ordinamento in ordine alla
qualificazione del contratto inter partes, alla
disciplina ad esso applicabile in materia di recesso sue
modalità e conseguenze;
motivazione insufficiente e
contraddittoria circa il contenuto del contratto inter
partes controverso e decisivo per il giudizio.
Atipicità del contratto di
concessione di vendita, individuazione della sua natura
e della disciplina più affine applicabile anche alla
luce del divieto generale di abuso di dipendenza
economica e conseguente applicazione della disciplina
del recesso nei contratti di collaborazione, il quale,
se esercitato senza giusta causa, è fonte dell'obbligo
di corrispondere una adeguata indennità per la perdita
dell'avviamento (art. 1751 c.c.).
Con il terzo motivo, si denuncia
insufficiente e in parte contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio:
il comportamento della Renault Italia immediatamente
prima del recesso e durante il periodo di preavviso.
Con il quarto motivo, si denuncia
violazione e falsa applicazione di principi generali
dell'ordinamento (dovere di buona fede e divieto
dell'abuso del diritto ex artt. 1115, 1375 c.c., anche
in riferimento all'art. 1373 c.c..
Con il quinto motivo, si denuncia
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio: il comportamento scorretto,
diretto o in concorso, di Renault Italia.
I motivi, che possono essere
congiuntamente esaminati attesane la intrinseca
connessione logico -giuridica, sono nel loro complesso
fondati.
Questa corte, in relazione a
fattispecie del tutto analoga a quella odierna, dopo
aver condivisibilmente premesso che la concessione di
vendita è un negozio atipico, avente natura di contratto
normativo - dal quale deriva l'obbligo per il
concessionario sia di promuovere la stipulazione di
singoli contratti di compravendita, sia di concludere
contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle
condizioni fissate nell'accordo iniziale -, che
differisce da quello di agenzia perchè in esso la
collaborazione tra concedente e concessionario, pur
prevista, non assurge ad elemento determinante, ha avuto
modo di affermare, in accoglimento di analogo ricorso,
che i principi di correttezza e buona fede
nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di
cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia
sul piano dell'individuazione degli obblighi
contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei
contrapposti interessi delle parti:
sotto il primo profilo, essi
impongono alle parti di adempiere obblighi anche non
espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove
ciò sia necessario per preservare gli interessi della
controparte, mentre, sotto il secondo profilo,
consentono al giudice di intervenire anche in senso
modificativo o integrativo sul contenuto del contratto,
qualora ciò sia necessario per garantire l'equo
contemperamento degli interessi delle parti e prevenire
o reprimere l'abuso del diritto, specificando poi che si
ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto
soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo
eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del
dovere di correttezza e buona fede, causando uno
sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della
controparte contrattuale, ed al fine di conseguire
risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i
quali quei poteri o facoltà furono attribuiti, onde,
ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di
merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti
compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto,
oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio
diritto al risarcimento del danno in favore della
controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza
di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò
costituisca una ingerenza nelle scelte economiche
dell'Individuo o dell'imprenditore, giacchè ciò che è
censurato in tal caso non è l'atto di autonomia
negoziale, ma l'abuso di esso (così Cass. 20106/09,
predicativa di principi poi confermati da Cass.
13208/010).
In applicazione di tali principi di
diritto, dai quali il collegio non intende discostarsi e
ai quali, per converso, intende dare continuità, è stata
cassata analoga decisione di merito la quale aveva
ritenuto insindacabile la decisione del concedente di
recedere ad nutum dal contratto di concessione di
vendita sul presupposto che tale diritto gli fosse
espressamente riconosciuto dal contratto:
pertanto, non essendosi il giudice
territoriale attenuto ai suesposti principi, la sentenza
oggi impugnata deve essere cassata con rinvio.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa
e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione,
alla corte di appello di Roma in diversa composizione. |