La parte che nel processo soccombe dovrà pagare anche le
consultazioni e la corrispondenza informativa tra il
proprio legale e l’avversario.
Così i giudici della Suprema Corte, nella sezione terza
civile, si sono espressi con la sentenza 20 giugno 2011,
n. 13482 con cui è stato respinto il ricorso della parte
soccombente che era stata condannata al pagamento delle
spese legali.
Il Tribunale aveva confermato che per l’attività
espletata dovesse essere remunerata anche quella
successiva all’emanazione della sentenza, così come
erano state rimborsate le voci di richiesta e ritiro
copia della stessa.
I giudici di legittimità, confermando il pensiero dei
“colleghi di primo grado” (e “invertendo la rotta”
rispetto al 2002, anno di approvazione delle norme sulla
tariffa) hanno precisato, nella decisione de qua,
che in dipendenza del mutamento del testo normativo di
riferimento, “deve affermarsi che gli onorari e i
diritti di procuratore per le voci tariffarie
consultazioni con il cliente e corrispondenza
informativa con il cliente sono ripetibili nei
confronti della parte soccombente in sede di
precetto intimato dalla parte vittoriosa anche
successivamente e in relazione alla sentenza
definitiva”.
È legittimo, quindi, pretendere competenze e spese non
liquidate dal giudice, in quanto ciò risponde ai
principi in tema di autoliquidazione in sede di
precetto, quando le stesse riguardino attività
connesse alla sua predisposizione o, in ogni caso,
comprese nell’intervallo tra la liquidazione (contenuta
nel titolo) e le successive iniziative (legittime) del
creditore al fine di poter conseguire quanto in proprio
favore statuito in quest’ultimo.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE
Sentenza 20 giugno 2011, n. 13482
Svolgimento del processo
1. R.P.F. è condannato alle spese di un giudizio
relativo ad un contratto di locazione stipulato dalla
sua defunta consorte con G.C., con sentenza del
Tribunale di Torino - sez. dist. di Susa n. 61/06 del
17-20.10.06. recante tra l'altro condanna alle spese in
danno del R. per Euro 124,32 per esborsi, Euro 1.100,60
per diritti ed Euro 1.100,00 per onorari, oltre rimborso
forfetario, CPA e IVA (sentenza che risulta confermata
dalla Corte di Appello di Torino con sentenza 25.2.08 n.
203).
Ricevuto in data 20.10.06 un "deconto" da parte dei
legali del G. con concessione di un termine di sette
giorni per il pagamento spontaneo, il R. spedisce, in
data 26.10.06, un assegno circolare per la minore somma
ritenuta effettivamente dovuta, ma il G. procede a
notificare alla controparte, contestualmente, il 9.11.06
il titolo esecutivo ed il relativo precetto per la somma
ritenuta ancora dovuta, pari ad Euro 668,92 (o, secondo
altri atti, Euro 671,34).
2. Avverso tale precetto si oppone il R., dapprima al
giudice di pace di Susa e poi, da questi dichiarata la
propria incompetenza, al Tribunale di Torino - sez.
dist. di Susa: il quale peraltro rigetta l'opposizione
con sentenza n. 122/08 pubbl. il 27.10.08, con cui:
- riconosce doversi remunerare anche tutta l'attività
professionale successiva all'emanazione della sentenza,
comprese le "spese successive occorrendo";
- ritiene irrilevante che le prestazioni siano anteriori
o successive all'invio del "deconto", la debenza del
quale comunque conferma;
- qualifica dovute le voci di richiesta e ritiro copia
sentenza, ma inammissibili le questioni sulle spese
della fase dinanzi al GdP e di altri processi tra le
parti;
- in dispositivo, oltre a rigettare l'opposizione al
precetto, dichiara in separato capo l'opponente tenuto
al pagamento delle somme da detto atto recate
(quantificate in Euro 668,92) e lo condanna alle spese
di quel giudizio.
Avverso tale sentenza, che si deduce notificata il
17.11.08 sia pure in forma incompleta per la carenza di
una pagina, propone ricorso per cassazione R.P.F., al
quale resiste con controricorso G.C..
Motivi della decisione
3. Il ricorrente censura la gravata sentenza mediante:
3.1. un primo motivo (rubricato come "1-2"), di
"violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in
relazione agli artt. 91 e 474 c.p.c., anche in relazione
al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (regolamento recante
determinazione degli onorari, dei diritti e delle
indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni
giudiziali in materia civile ...), nonchè in relazione
all'art. 1175 c.c., art. 1176 c.c., comma 1, artt. 1184
e 1187 c.c., in relazione anche all'art. 2963 c.c.";
motivo concluso con i seguenti tre quesiti: 1) è
legittima la pretesa della parte vincitrice di ripetere,
nei confronti della parte soccombente, il rimborso di
spese di lite non ancora effettuate all'atto del
pagamento o comunque non liquidate dal Giudice? 2)
Nell'eventualità di adempimento dell'obbligazione di
pagamento effettuata a mezzo assegno circolare, inviato
tramite lettera raccomandata, in quale termine può dirsi
perfezionato l'adempimento? 3) Viola il principio di cui
all'art. 1375 c.c., secondo cui le obbligazioni devono
essere adempiute secondo buona fede, la parte che, in
epoca anteriore al termine concesso al debitore per
effettuare il pagamento, pone in essere attività, nella
specie richiesta di copia della sentenza, richiesta di
notifica e cosi via, destinate ad incrementare il
quantum dell'obbligazione in onere del debitore?;
3.2. un secondo motivo (rubricato come "3"), di
"violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in
relazione all'art. 91 c.p.c. e al D.M. 8 aprile 2004, n.
127, tabella B1 e B2 (regolamento recante determinazione
degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti
agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia
civile ...)"; motivo concluso con il seguente quesito: è
legittima la pretesa della parte vincitrice di ripetere,
successivamente alla sentenza definitiva, nei confronti
della parte soccombente, il rimborso di spese di lite
relative alle seguenti prestazioni professionali:
sessione cliente, corrispondenza informativa?;
3.3. un terzo motivo (rubricato come "4"), di
"violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per
avere omesso la motivazione circa il seguente punto
decisivo della controversia: la ripetibilità o meno nei
confronti del soccombente delle prestazioni
professionali non ancora eseguite"; motivo che non
risulta però concluso con una sintesi ex art. 366-bis
c.p.c., comma 2;
3.4. un quarto motivo (rubricato come "5"), di
"violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in
relazione all'art. 615 c.p.c., comma 1, art. 616 c.p.c.
in relazione all'art. 474 c.p.c. e art. 481 c.p.c.,
comma 2"; motivo concluso con il seguente quesìto:
costituisce duplicazione del titolo esecutivo la
sentenza che, nella causa instaurata con atto di
citazione in opposizione a precetto, statuisce la
condanna dell'opponente al pagamento della somma portata
dal precetto, anzichè semplicemente confermare, in caso
di rigetto dell'opposizione, l'efficacia del precetto
opposto?. 4. L'intimato G.C. replica che vanno tenute
distinte le attività collegate all'emanazione della
sentenza da quelle prodromiche all'inizio
dell'esecuzione; deduce avere il suo legale chiesto le
copie autentiche solo il 27.10.06, decorso il termine di
cortesia concesso per l'adempimento spontaneo, anche in
vista di una notificazione da avviare il successivo
lunedì 30; sostiene la correttezza della motivazione
sull'irrilevanza del compimento delle attività
professionali prima o dopo l'invio del "deconto";
contesta la giurisprudenza di merito addotta da
controparte e la tesi del perfezionamento del pagamento
al momento della spedizione dell'assegno circolare; nega
la prospettata mancanza di buona fede;
argomenta per la spettanza dei compensi per
corrispondenza informativa e sessione col cliente nel
vigore della tariffa forense 2004 (che modifica quella
del 1994 sul punto della non spettanza dopo le sentenze
definitive); adduce la spettanza delle voci per
precetto, nonostante la facoltà del precettante di
formarlo di persona;
contesta ampiamente nel merito il penultimo motivo;
sull'ultimo esclude la pratica reiterabilità della
condanna, comunque esclusa dal fatto che nella gravata
sentenza ci si riferisce al precetto l'opposizione al
quale viene rigettata, ma rimettendosi alle valutazioni
di questa Corte.
5. I motivi di ricorso vanno esaminati separatamente,
per tutti peraltro preliminarmente ricordando che il
singolo motivo di cassazione, nel regime dei quesiti di
cui all'art. 366-bis cod. proc. civ. (tuttora
applicabile alla fattispecie, nonostante la sua
applicazione, in ragione della disciplina transitoria di
cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, essendo il
provvedimento oggetto del presente ricorso stato
pubblicato tra il 2.3.06 ed il 4.7.09), è delimitato
dalla concreta formulazione del quesito stesso.
6. Ciò posto, quanto al primo motivo (di cui sopra al
punto 3.1.), esso è infondato:
6.1. il primo dei tre quesiti (rubricato come "1-2") in
cui esso si articola (è legittima la pretesa della parte
vincitrice di ripetere, nei confronti della parte
soccombente, il rimborso di spese di lite non ancora
effettuate all'atto del pagamento o comunque non
liquidate dal Giudice?) è manifestamente incongruente
con il thema decidendum e comunque tale da qualificare
infondata la censura:
6.1.1. in primo luogo, è in astratto pienamente
legittimo pretendere spese e competenze non liquidate
dal giudice, rispondendo questo a generali principi in
tema di cd. autoliquidazione in sede di precetto, quando
esse riguardano attività, normalmente connesse alla sua
predisposizione o comunque abitualmente comprese
nell'intervallo tra la liquidazione contenuta nel titolo
e le successive legittime iniziative del creditore per
conseguire quanto in suo favore in quest'ultimo
statuito; il difetto di specificazione, nel quesito,
delle voci che esulerebbero sia dalla previa
liquidazione che da tale normale serie causale impedisce
poi, in concreto, di valutare la congruità del motivo e
la sua pertinenza alla fattispecie, ovvero la sua
idoneità a determinare una diversa soluzione della
medesima;
6.1.2. la comunicazione in cui si risolve il "deconto"
pare consistere in un atto stragiudiziale volto a
favorire lo spontaneo adempimento del debitore, il quale
potrà certamente ritenersi in tutto o - come poi è
successo nel caso in esame - solo in parte obbligato e
determinarsi di conseguenza;
6.1.3. non può allora riferirsi la "pretesa" del
creditore alla dichiarazione di credito contenuta nel
"deconto", atteso che solo con il precetto quegli
quantifica il suo credito nel suo preciso ammontare;
6.1.4. nel caso di specie, se non altro nel quesito il
debitore non si duole dell'inserimento nel precetto di
spese successive o non liquidate e comunque l'intero suo
impianto difensivo contesta la correttezza
dell'inserimento in quello di alcune voci e non già
l'effettivo espletamento delle relative attività, sia
pure in tempo successivo:
circostanza quest'ultima che resta, nonostante il suo
carattere invece decisivo, del tutto incontestata;
6.1.5. comunque, bene può il creditore prospettare nel
"deconto" - che è certamente cosa diversa dal precetto -
anche attività future e meramente eventuali, che si
rendessero necessarie in relazione alla condotta del
debitore, salvo poi a non esigerle ove, in dipendenza di
quest'ultima, si rendessero superflue;
6.1.6. anche nel precetto, d'altro canto, possono
ammettersi spese o competenze per attività non ancora
espletate, purchè normalmente riconducibili allo
sviluppo procedimentale, a condizione poi che esse siano
effettivamente poste in essere e potendo contestare
l'intimato la loro debenza appunto con la prospettazione
del loro mancato espletamento;
6.2. anche il secondo dei tre quesiti in cui il primo
motivo (rubricato come "1-2") si articola
(nell'eventualità di adempimento dell'obbligazione di
pagamento effettuata a mezzo assegno circolare, inviato
tramite lettera raccomandata, in quale termine può dirsi
perfezionato l'adempimento?) merita risposta tale da
qualificare, se non inammissibile per le incongrue
modalità di formulazione (meramente esplorative e cioè
non tali da individuare una soluzione quale che sia,
ponendo un autentico interpello a questa Corte, anzichè
prospettare la fondatezza di almeno una tesi), infondato
il motivo:
6.2.1. a parte il caso - che qui non ricorre e neppure
viene prospettato - in cui tale modalità di pagamento
sia in qualche modo riconducibile alla volontà espressa
o presunta (ad esempio, per una reiterata prassi
intercorrente tra solvens ed accipiens, ovvero in base
ad altri elementi di fatto che consentano di qualificare
seria l'offerta) delle parti, nelle obbligazioni
pecuniarie, il cui importo sia inferiore ad Euro 12.500
o per le quali non sia imposta per legge una diversa
modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare,
a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato
(ed al domicilio del creditore) o mediante consegna di
assegno circolare:
nel primo caso il creditore non può rifiutare il
pagamento, come, invece, può nel secondo solo per
giustificato motivo, da valutare secondo le regole della
correttezza e della buona fede oggettiva;
l'estinzione dell'obbligazione con l'effetto liberatorio
per il debitore si verifica nel primo caso con la
consegna della moneta e nel secondo quando il creditore
acquista concretamente la disponibilità giuridica della
somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio
dell'inconvertibilità dell'assegno (Cass. Sez. Un., 18
dicembre 2007, n. 26617; sulla prima affermazione, vedi
anche Cass. 1 dicembre 2010, n. 24402; sulla seconda,
vedi anche Cass. 10 marzo 2008, n. 6291);
6.2.2. non è peraltro qui in contestazione l'idoneità
del mezzo, che per vero l'accipiens non contesta in
quanto tale, ma l'identificazione del tempo in cui esso
produce l'effetto proprio del pagamento;
6.2.3. è ovvio che la deroga alla norma generale in tema
di modalità di effettuazione del pagamento, quand'anche
tollerata, non possa però produrre ulteriori effetti, in
favore del derogante ed in difetto di espressa o tacita
volontà delle parti coinvolte, in ordine anche a tale
ultimo profilo;
6.2.4. pertanto, prescelto a suo rischio e sotto la sua
responsabilità il debitore il suddetto mezzo di
pagamento alternativo a quello solo previsto dalla
legge, egli accetta le correlate conseguenze negative
(in base al principio cuius commoda eius et incommoda)
dei tempi di viaggio, consegna e cambio, i quali non
possono andare a danno del creditore;
6.2.5. il tempo dell'adempimento di un'obbligazione
pecuniaria in caso di pagamento a mezzo di assegno
circolare va quindi identificato in quello in cui il
creditore, che non si dolga dell'imperfezione del mezzo
di pagamento o non adduca altri giustificati motivi, si
riceve, cambiandolo nelle forme prescritte dalla legge
ed usando al riguardo l'ordinaria diligenza, il
controvalore pecuniario del detto titolo di credito;
6.2.6. va escluso qualsiasi effetto favorevole per il
solvens a decorrere dalla data della sola spedizione del
detto assegno circolare.
6.3. Anche il terzo dei tre quesiti (rubricato come
"1-2") in cui il primo motivo si articola Viola il
principio di cui all'art. 1375 c.c., secondo cui le
obbligazioni devono essere adempiute secondo buona fede,
la parte che, in epoca anteriore al termine concesso al
debitore per effettuare il pagamento, pone in essere
attività, nella specie richiesta di copia della
sentenza, richiesta di notifica e cosi via, destinate ad
incrementare il quantum dell'obbligazione in onere del
debitore?) è formulato in termini tali da comportare
l'infondatezza della censura:
6.3.1. vi sono preliminarmente contestazioni sulla data
di espletamento delle attività indicate e comunque di
quelle espressamente menzionate nel quesito, cioè la
richiesta della copia della sentenza e la richiesta di
notifica;
6.3.2. più radicalmente, peraltro, dette attività
prescindono del tutto dall'adempimento (spontaneo o
provocato con l'invito in cui il "deconto" pare
consistere) di controparte, in difetto di elementi
concreti (quali ad es. una dichiarazione di rinuncia
all'impugnazione, che invece nel caso di specie
l'animosità tra le parti riferita alla fase precedente
alla formazione del titolo giudiziale può bene
escludersi) che possano fare legittimamente presumere la
totale superfluità di detti adempimenti, che invece
normalmente attengono alla fase successiva alla
pronuncia di un titolo giudiziale;
6.3.3. infatti, tanto la richiesta della copia che
quella di notifica sono invero legittimamente
finalizzate alla disamina del titolo, ai fini di
un'eventuale sua impugnazione o dell'attivazione del
termine breve di impugnazione al fine di conseguirne al
più presto il passaggio in giudicato;
6.3.4. non pone pertanto e normalmente in essere alcun
comportamento contrario a buona fede il creditore in
forza di titolo esecutivo giudiziale che espleta, anche
nelle more del termine concesso per il pagamento
spontaneo, attività normalmente finalizzate al
conseguimento della definitività di quel titolo.
7. A non diversa conclusione, sia pure previa adeguata
integrazione o correzione della motivazione
dell'impugnata sentenza, deve giungersi per il secondo
motivo (di cui sopra al punto 4.2: è legittima la
pretesa della parte vincitrice di ripetere,
successivamente alla sentenza definitiva, nei confronti
della parte soccombente, il rimborso di spese di lite
relative alle seguenti prestazioni professionali:
sessione cliente, corrispondenza informativa?):
7.1. il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa
Corte (e precisamente Cass. 20 agosto 2002, n. 12270), a
mente della quale gli onorari e i diritti di procuratore
per le voci tariffarie "consultazioni con il cliente" e
"corrispondenza informativa con il cliente" non sono
ripetibili nei confronti della parte soccombente in sede
di precetto intimato dalla parte vittoriosa anche
successivamente ed in relazione alla sentenza
definitiva;
7.2. tale pronuncia è relativa alla tariffa forense
precedente quella attualmente in vigore, cioè quella
recata dal D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 (in G.U. 21
ottobre 1994, n. 247), ma dal ricorrente è ritenuta
applicabile anche al caso di specie, regolato invece,
ratione temporis, dalla successiva tariffa;
7.3. detta pronuncia si basa su diversi ordini di
argomentazioni:
7.3.1. un primo, testuale, per il quale nella previgente
tariffa non era prevista (e precisamente in conclusione
della parte 1^ della tabella B, dopo la voce 45, con la
formula "i diritti di cui alle voci 2, 17, 20, 21 e 39
sono dovuti anche dopo ogni sentenza non definitiva,
dopo ogni ordinanza collegiale, dopo ogni riassunzione
del processo e fissazione di nuova udienza") la sentenza
definitiva quale evento dopo il quale spettavano le voci
in questione "... così chiaramente indicando eventi che
implicano attività di impulso processuale prima della
sentenza che chiude definitivamente il processo. Detta
norma di chiusura non menziona la "sentenza definitiva"
il che implica che la indicazione delle attività
successive alla stessa cui conseguono diritti ed onorari
deve intendersi tassativa poichè proprio dalla natura
degli eventi processuali in precedenza indicati si
evince come, una volta emessa la sentenza definitiva ed
escluse alcune attività necessarie e consequenziali
(come la registrazione), la fase di cognizione si
intende chiusa e i diritti e gli onorari spettanti sono
(eventualmente e solo) quelli indicati nella parte 2^
della Tabella.
Non si scorge, altrimenti, la ragione per cui, accanto
alla sentenza non definitiva, l'organo deliberante
tariffe, se avesse voluto seguire la ratio condivisa dal
Tribunale, non abbia elencato anche la sentenza
definitiva ...");
7.3.2. un secondo, sistematico, per il quale "... esiste
... una cesura netta tra il procedimento di cognizione
(capo 1A) e quello di esecuzione (capo 2A) che
processualmente ha inizio col pignoramento (art. 491
c.p.c.) e rispetto al quale il precetto è atto
estrinseco e meramente preliminare avente, come è noto,
natura sostanziale tanto da poter essere sottoscritto
anche dalla parte personalmente o da un suo procuratore
ad negotia piuttosto che da un difensore tecnico. Ciò
spiega ancora la non necessità di una attività difensiva
remunerata e preordinata, dopo la sentenza, alla
intimazione del precetto. Questa succede alla formazione
del titolo esecutivo e le prime attività difensive al
riguardo contemplate sono la richiesta del titolo
esecutivo e la sua disamina (voci 46 e 47 tab. 2A,
collocate nel processo di esecuzione) ...";
7.4. il controricorrente argomenta contro detta
pronuncia:
7.4.1. rilevando la mancata riproduzione, nella tariffa
vigente al momento della pronuncia della sentenza che
costituisce titolo esecutivo e della formulazione del
precetto (quella tuttora in vigore, recata dal D.M. 8
aprile 2004, n. 127, in G.U. n. 115, suppl. ord.
18.5.04), della norma di chiusura della tab. B - parte
I, con conseguente possibilità di riconoscere le voci
senza alcuna limitazione;
7.4.2. rilevando che comunque anche la mera
facoltatività della prestazione professionale dopo la
pronuncia della sentenza non esclude che essa, ove in
concreto espletata, sia poi remunerata, richiamando
decisioni di merito sulla normalità od abitualità delle
relative attività (consultazione e sessione) anche - se
non proprio specialmente - dopo la sentenza definitiva.
8. Ritiene il Collegio che la tesi del controricorrente
sia fondata e che si debba giungere, nel vigore della
tariffa forense attuale, a conclusione opposta rispetto
a quella cui è pervenuta Cass. 12270/02:
8.1. effettivamente è venuta meno, nella parte
dispositiva della tab. B - parte 2^ allegata alla
tariffa, la specificazione "i diritti di cui alle voci
2, 17, 20, 21 e 39 sono dovuti anche dopo ogni sentenza
non definitiva, dopo ogni ordinanza collegiale, dopo
ogni riassunzione del processo e fissazione di nuova
udienza": il preteso supporto testuale della tesi della
non spettanza - che peraltro pure poteva ritenersi assai
gracile, in quanto la congiunzione "anche" sembrava più
che altro ampliare (con effetti esemplificativi e non
tassativi od esclusivi) e non invece restringere
l'ambito di operatività della previsione delle voci 20 e
21 (attuali 21 e 22) - più non sussiste;
8.2. il principio generale della tariffa, riferito
espressamente agli onorari ma facilmente estensibile
anche ai diritti, è espresso nell'art. 5, comma 6, del
testo normativo premesso alla tariffa, a mente del quale
"la liquidazione ... deve essere fatta in relazione a
tutte le prestazioni effettivamente occorse ogni volta
che vi sia stata una decisione anche se espressa con
ordinanza collegiale o con sentenza non definitiva": ed
è evidente che "decisione" è, a maggior ragione, anche
la sentenza definitiva;
8.3. non può negarsi che, proprio dopo la sentenza
definitiva ed in base a nozioni di comune esperienza,
l'avvocato della parte vittoriosa normalmente (ed anzi
ove voglia diligentemente e con scrupolo adempiere il
suo mandato professionale) consulta il cliente
sull'opportunità o meno di porla in esecuzione o di
notificarla ai fini dell'attivazione del termine breve
per l'impugnazione: sicchè non può negarsi che una
specifica attività professionale possa essere
legittimamente posta in essere proprio nella fase di
transizione tra la quella di cognizione, culminata nella
pronuncia del tìtolo, e quella di esecuzione, che
inizierà solo dopo il vano decorso del termine del
precetto;
8.4. del resto, il mandato ad litem conferito per la
fase di cognizione si estende normalmente, cioè salvo
che non consti una contraria o diversa volontà del
mandante, anche alla fase di esecuzione, che della prima
è la naturale prosecuzione e costituisce anzi quella in
cui in concreto l'ordinamento assicura a chi ha ragione
il conseguimento del bene della vita riconosciutogli
dovuto;
8.5. pertanto, la mera facoltatività della redazione del
precetto non elide il diritto al compenso per
un'attività comunque normalmente riconducibile alla
prestazione del difensore e che sia eventualmente in
concreto posta in essere;
8.6. spetta così al creditore, beneficiario della
sentenza esecutiva, che intenda intimare il precetto
valutare se officiare da subito il professionista legale
cui poi affidare l'incarico di rappresentarlo
nell'eventuale processo esecutivo reso necessario dalla
mancata spontanea ottemperanza del debitore intimato,
oppur no;
8.7. ancora, per la fase di esecuzione la tariffa stessa
prevede, al punto 74 della parte 2^ della tabella B, che
"per ogni altra prestazione concernente il processo di
esecuzione ed i procedimenti concorsuali, non prevista
nel presente paragrafo e per i giudizi a cui diano luogo
i processi medesimi, sono dovuti gli onorari e i diritti
stabiliti nel paragrafo concernente le corrispondenti
prestazioni": cosa che fonda, anche dal punto di vista
testuale e ad avviso del collegio, l'astratta
ammissibilità delle voci "consultazioni con il cliente"
e "corrispondenza informativa";
8.8. resta beninteso salva la necessità, ma solo in caso
di effettiva e specifica contestazione (che nel caso di
specie - si torna a ripetere - manca, riferendosi quella
del ricorrente all'ammissibilità in astratto), di
valutare se dette attività, che pure possono normalmente
presumersi (per quanto argomentato sopra al punto 8.3.),
siano state in concreto espletate;
8.9. pertanto, in dipendenza del mutamento del testo
normativo di riferimento, deve giungersi a conclusione
opposta a quella della richiamata giurisprudenza ed
affermarsi che gli onorari e i diritti di procuratore
per le voci tariffarie "consultazioni con il cliente" e
"corrispondenza informativa con il cliente" sono
ripetibili nei confronti della parte soccombente in sede
di precetto intimato dalla parte vittoriosa anche
successivamente ed in relazione alla sentenza
definitiva.
9. Al contrario, il terzo motivo di ricorso (di cui
sopra al punto 4.3: "violazione dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5) per avere omesso la motivazione circa il
seguente punto decisivo della controversia: la
ripetibilità o meno nei confronti del soccombente delle
prestazioni professionali non ancora eseguite") è
inammissibile per mancata formulazione del momento di
sintesi, ai sensi dell'art. 366-bis cpv. cod. proc.
civ.:
9.1. il quesito è imposto anche per tale tipologia di
motivo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord.
n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da
Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le
ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) dalla
norma appena richiamata (come introdotta dal D.Lgs. 2
febbraio 2006, n. 40, art. 6, applicabile - in virtù
dell'art. 27, comma 2, medesimo decreto - ai ricorsi per
cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri
provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di
entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006,
senza che possa rilevare la sua abrogazione ad opera
della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett.
d), in virtù della disciplina transitoria dell'art. 58
della medesima legge);
9.2. per il vizio di motivazione la consolidata
giurisprudenza di questa Corte esige che il quesito
indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo,
chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come
pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la
decisione (da ultimo, v. Cass., ord. 30 dicembre 2009,
n. 27680): occorrendo, in particolare, la formulazione
conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio
espositivo del ricorso, nel quale e comunque anche nel
quale si indichi non solo il fatto controverso riguardo
al quale si assuma omessa, contraddittoria od
insufficiente la motivazione, ma anche - se non
soprattutto - quali siano le ragioni per cui la
motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la
decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002);
9.3. per mera completezza può peraltro rilevarsi che, ad
ogni buon conto, la gravata sentenza ha espressamente
affermato che vi è stata attività successiva anche al
"deconto" e non ha comunque statuito che spettano spese
o competenze per attività non ancora espletate,
dichiarando dovuta la somma di cui al precetto: e
comunque si è visto che le voci successive, prospettate
come eventuali nel "deconto", sono legittimamente
incluse nel precetto in quanto effettivamente e
legittimamente - con la sola puntualizzazione della voce
per sessioni e corrispondenza, qui ritenuta dovuta in
mutamento della pregressa giurisprudenza - intervenute
nelle more tra formazione del titolo giudiziale e
intimazione del precetto.
10. E' infine infondato anche l'ultimo motivo di ricorso
(di "violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in
relazione all'art. 615 c.p.c., comma 1, art. 616 c.p.c.
in relazione all'art. 474 c.p.c. e art. 481 c.p.c.,
comma 2"; motivo concluso con il seguente quesito:
costituisce duplicazione del titolo esecutivo la
sentenza che, nella causa instaurata con atto di
citazione in opposizione a precetto, statuisce la
condanna dell'opponente al pagamento della somma portata
dal precetto, anzichè semplicemente confermare, in caso
di rigetto dell'opposizione, l'efficacia del precetto
opposto?):
10.1. in primo luogo, la sentenza così recita in
dispositivo:
"respinge in toto le domande proposte dalla parte
opponente;
conseguentemente dichiara tenuto il sig. R.P.F. al
pagamento di Euro 668,92 in favore della parte convenuta
in opposizione di cui al precetto indicato in atti";
10.2. la formulazione letterale del titolo esclude
quindi un autonomo titolo di condanna, perchè
"dichiarare tenuto" potrebbe già di per sè non
equivalere a "condannare", per l'etimologia stessa delle
due espressioni, a meno che la condanna non si possa
ricavare per implicito;
10.3. una tale ricavabilità per implicito va esclusa,
attesa la stretta connessione letterale tra il rigetto
della opposizione al precetto e la declaratoria
dell'obbligo di pagamento delle somme da quello recate:
sicchè è solo quest'ultimo obbligo che viene
definitivamente riconosciuto - e, con tutta evidenza -
una - sola volta come sussistente;
10.4. ne conseguirebbe la radicale illegittimità di
qualsiasi eventuale duplicazione di esecuzioni, fondata
la prima sul titolo di cui al precetto e l'altra, se
separata, sul capo della sentenza di declaratoria
dell'obbligo di pagare le somme di cui al precetto (ma
beninteso fondando la sentenza stessa autonomo titolo di
condanna per il capo sulle spese di quel grado di
giudizio);
10.5. pertanto, non costituisce alcuna duplicazione - e
tanto meno indebita - di titolo esecutivo la
contemporanea pronuncia di rigetto dell'opposizione a
precetto e di declaratoria di sussistenza del credito da
questo recato.
11. Il ricorso va nel suo complesso rigettato, corretta
o integrata la motivazione della gravata sentenza in
ordine alla spettanza delle voci per sessione con il
cliente e corrispondenza informativa. Quanto alle spese
di lite, esse non possono che conseguire alla prevalente
soccombenza del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna R.P.F. al
pagamento, in favore di G.C., delle spese del giudizio
di legittimità, liquidate in Euro 500,00, di cui Euro
200,00 per esborsi. |