Nel caso in cui il datore di lavoro
non adotti, a norma dell'art. 2087 cod. civ., tutte le
misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e le
condizioni di salute dei prestatori di lavoro, il
lavoratore ha - in linea di principio - la facoltà di
astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione
possa arrecare pregiudizio alla sua salute;
conseguentemente, se il lavoratore prova la sussistenza
di tale presupposto, è illegittimo il licenziamento
disciplinare intimato a causa del rifiuto del lavoratore
di continuare a svolgere tali mansioni (Cass. 18 maggio
2006, n. 11664). In ipotesi di licenziamento irrogato,
ai sensi dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604,
per il rifiuto del lavoratore di svolgere le mansioni
assegnategli e di giustificazione di tale rifiuto con la
diversità delle nuove mansioni rispetto alle precedenti
o con la non corrispondenza di esse al proprio livello
professionale, il datore di lavoro, essendo gravato, ai
sensi dell'art. 5 della stessa legge, dell'onere di
provare la sussistenza della giusta causa o del
giustificato motivo di licenziamento, deve dimostrare
che le nuove mansioni equivalgono a quelle precedenti o
rientrano in quelle proprie del livello professionale
del lavoratore; ma ciò non esclude l'applicabilità,
anche nell'ipotesi suddetta, del principio secondo cui
il giudice del merito può utilizzare, ai fini della
formazione del proprio convincimento, gli elementi
probatori comunque acquisiti al processo e da qualunque
parte forniti.
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