MASSIMA
Può essere risarcito, a titolo di
danno morale, il patimento d’animo provato dalla vittima
del sinistro, nel lasso di tempo intercorso tra l’evento
e la morte, nella lucida consapevolezza dell’estrema
gravità delle sue condizioni.
CASUS DECISUS
Il tribunale di Busto Arsizio,
decidendo sulla domanda proposta dai congiunti di T.E. -
deceduto a seguito di un incidente avvenuto, nel
(omissis), tra l’autovettura da lui condotta e quella
appartenente a D.M. e guidata da L.D - ritenne il pari
concorso di colpa del conducenti, e condannò il D., la
L. e la Generali Assicurazioni s.p.a. a risarcire per
quanto di ragione i danni subiti agli attori. Le
impugnazioni proposte hic et inde dalle parti del
giudizio di primo grado furono decise dalla corte di
appello di Milano nel senso: - della conferma
dell’affermazione di pari responsabilità tra i
conducenti; - della conferma del riconoscimento del
danno non patrimoniale seguito da morte subito dalla
vittima - non costando, nella specie, alcuna alterazione
dello stato di coscienza di T.E. tale da impedirgli (pur
nell’assai ristretto arco temporale di accertata
sopravvivenza) di avvertire la estrema gravità delle
proprie condizioni e patirne la conseguente, intensa
sofferenza; - della esclusione del riconosciuto
risarcimento, in favore degli attori in prime cure, iure
haereditario, di un preteso "danno alla vita" occorso al
T. e liquidato in corrispondenza della voce massima di
danno biologico in relazione alla durata media della
vita stessa. La sentenza è stata impugnata dagli eredi
T. con ricorso per cassazione sorretto da due motivi.
Resiste con controricorso la compagnia assicuratrice.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III
CIVILE - SENTENZA 20 settembre 2011, n.19133 - Pres.
Amatucci – est. Travaglino
In diritto
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, si denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059
c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Il motivo si conclude con la
formulazione del seguente quesito di diritto:
Dica la corte di cassazione se la
corte di appello di Milano abbia violato o falsamente
applicato gli artt. 2043, 2059 c.c. escludendo in capo
al sig. T. il diritto al risarcimento del danno
biologico patito dallo stesso in conseguenza del
sinistro per cui è processo, con conseguente
trasmissibilità diretta, iure haereditatis, in capo ai
propri congiunti, non essendo stabilito, in linea
generale, la durata cronologico-temporale della
sopravvivenza perché possa essere ritenuta apprezzabile,
ai fini del risarcimento del danno biologico patito,
secondo l’orientamento giurisprudenziale formatosi sul
punto in seno alla corte di cassazione (da ultimo con
statuizione n. 870 del 2008).
Con il secondo motivo, si denuncia
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
di un fatto controverso e decisivo del giudizio.
Il motivo, in ossequio al disposto
dell’art. 366 bis c.p.c., si conclude con una sintesi
del fatto rappresentato come decisivo e controverso del
seguente tenore:
Dica la corte di cassazione se la
corte di appello di Milano abbia errato nel ritenere
insufficiente il lasso temporale tra l’evento lesivo,
che ebbe a colpire T.E. in data (omissis), e l’esito
mortale di cui lo stesso fu vittima in data (omissis),
caratterizzato, oltretutto, dalla piena lucidità, dalla
totale consapevolezza da parte dello stesso delle
proprie condizioni cliniche, nonché dalla prognosi di
guarigione formulata dai medici curanti, dimostrato per
tabulas a mezzo delle dichiarazioni dallo stesso rese ai
carabinieri e da questi ultimi riportate nel rapporto di
incidente stradale.
Le censure, che possono essere
congiuntamente esaminate attesane la intrinseca
connessione, sono entrambe prive di pregio.
Esse si infrangono, difatti, sul
corretto impianto motivazionale adottato dal giudice
d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il danno
biologico c.d. 'terminale' (ovvero il danno da perdita
della vita intesa come massima espressione del bene
salute) non fosse in alcun modo risarcibile, in
consonanza con la giurisprudenza ampiamente
maggioritaria di questa corte regolatrice, che ha
trovato definitiva e autorevole conferma nelle pronunce,
rese a sezioni unite, dell’11 novembre 2008 nn. 26972,
26973, 26974, 26975 (e poi confermate dalla successiva
giurisprudenza di questo giudice di legittimità,
nell’ambito della quale, di recente, la problematica del
danno da perdita della vita è nuovamente affrontata e
risolta funditus, in consonanza con il dictum delle ss.
uu., da Cass. n. del 2011), predicative tout court e
senza eccezioni del principio della irrisarcibilità del
danno de quo.
Danno, va precisato,
ontologicamente diverso da quello - correttamente e
condivisibilmente liquidato dal giudice territoriale
(ancora in consonanza con quanto affermato dalle sezioni
unite di questa corte con le sentenze poc’anzi
ricordate) -, cui mostra di far cenno il ricorrente nel
secondo motivo - con evidenti quanto non consentite
sovrapposizioni concettuali -, conseguente al patimento
d’animo provato dalla vittima dell’incidente nella
lucida consapevolezza dell’estrema gravità delle sue
condizioni, vicenda emotiva che questa corte ha
definitivamente ricondotto nell’orbita del danno morale
(risarcibile e nella specie puntualmente risarcito)
inteso nella sua nuova e più ampia accezione. Il ricorso
è pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue,
giusta il principio della soccombenza, come da
dispositivo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e
condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese
del giudizio di cassazione, che si liquidano in
complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese
generali.
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